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Andrea Spada

Andrea Spada

Anya e il suo fantasma

Iniziando a leggere il volume, la premessa della storia pare semplice e anche scontata: Anya è una ragazzina di origine russa che vive in una cittadina degli Stati Uniti, frequenta il liceo ed è la classica adolescente con qualche complesso, soprattutto sulle sue caratteristiche estetiche.
Si impegna negli studi, ma ha le sue crisi legate alla crescita; si sente in parte emarginata e ha il sogno di essere notata dal 'fusto' dell’istituto. E’ una ragazza che sta cercando di allontanare le sue origini russe per integrarsi all’ambiente, anche sociale, nel quale vive, ma deve combattere con le usanze e le tradizioni del suo paese, rappresentate soprattutto dalla madre. Sentendosi lei una reietta, cerca di evitare i contatti con i suoi simili.

Ci si potrebbe trovare di fronte a una storia lineare, con lo sviluppo delle classiche dinamiche adolescenziali, ma per l’autrice Vera Brosgol, giustamente vincitrice di importanti premi fumettistici, sarebbe troppo semplice e banale.
Infatti la sceneggiatura, nel suo evolversi, inserisce dei repentini cambi di rotta e anche uno spunto di riflessione interessante.

Un incidente permette alla protagonista di incontrare lo spirito, o un fantasma, di una ragazzina, Emily, morta quasi cent’anni prima, inserendo nella storia un elemento sovrannaturale. Questo incontro segna l’inizio di un rapporto, di una amicizia e di una complicità, che permette ad Anya di sperimentarsi in situazioni e contesti che fino a quel momento aveva solo sognato o desiderato.
Partecipa ad una festa alla quale non era stata invitata; viene notata dai ragazzi, soprattutto quello per cui ha una cotta e altri piccoli passi verso l'integrazione sociale.

Ma, ovviamente, non finisce qui.
La scoperta della verità relativa alla cronaca dietro al dramma della morte di Emily accende un finale di storia che porta alla consapevolezza di chi Anya voglia essere o diventare.
Il confronto col fantasma mette a nudo le debolezze e i condizionamenti sociali che Anya deve imparare a superare se vuole diventare un'adulta matura, responsabile e sicura del proprio io.

Lo sviluppo della storia passa da una modalità quasi da commedia, molto leggera, a un ritmo più serrato, quasi horror, e lo fa lasciando il lettore a bocca aperta. Immersi nella lettura ci si lascia catturare dallo sviluppo degli eventi e ciò che all’inizio poteva sembrare surreale diventa concreto, ciò che poteva sembrare leggero diventa pesante.

L’autrice mostra una grande capacità di narrazione, con uno stile di disegno chiaro, semplice ma efficace. L’utilizzo delle sfumature di nero-grigio, tra l’altro, offre il giusto grado di profondità alla storia.

Bao Publishing, con questo volume, dimostra ulteriormente quanto ci tenga a pubblicare materiale molto interessante e adatto a un pubblico maturo.

In estrema sintesi si potrebbe chiudere così questa recensione, affermando semplicemente che ci si trova davanti a un ottimo racconto ben confezionato ma chi scrive, forse per deformazione professionale, ha notato una cosa e si è fatto una domanda: e se l’autrice avesse voluto inserire, in parte velatamente, una denuncia?
Una denuncia verso le problematiche legate ai disturbi alimentari?

Analizzando la storia si nota come Anya manifesti un problema alla linea e già nelle prime tavole viene mostrato come il suo rapporto col cibo non sia adeguato.
Nel tentativo di avvicinarsi ai ragazzi che contano, la presentazione di Elizabeth, sia per il ruolo che per il confronto grafico con Anya, mette in evidenza la sua magrezza e la sua fragilità psicologica. E questo risulterà essere un punto importante, nell’economia della storia, per la maturazione del personaggio.

Il fantasma, quindi, diventa una metafora.
Il fantasma è il mostro dell’anoressia che si sta sviluppando dentro Anya. La protagonista, però, con grande forza di volontà riesce a combatterlo e a scacciarlo.

Se già a una lettura distratta il volume risultava bello, analizzandolo con questa chiave di interpretazione lo schietto “un capolavoro” di Neil Gaiman  si può condividere pienamente.

DK #1 - Io so chi non sono

Quando, nel 1962, le sorelle Giussani diedero alle stampe il primo numero di Diabolik, fecero un passo significativo nella storia del fumetto italiano.
Soprattutto ebbero coraggio. Coraggio per una  idea, innovativa, fuori dagli schemi e anche cruda che fece scandalo ma fu premiata.
Negli anni si sono avvalse di autori e disegnatori di grande talento ma hanno sempre mantenuto e, in alcuni casi stabilito come legge immutabile, una posizione: il personaggio doveva rispettare certi dettami e su questo non andava cambiato. È stata una decisione che ha dato i suoi frutti, tanto che Diabolik è riconoscibile a prescindere dal contesto usato. Qualunque volumetto si legga si trovano le stesse modalità, gli stessi cliché, le stesse dinamiche e colpi di scena ma, allo stesso tempo, ogni storia è sempre nuova e interessante. Mantenere un livello qualitativo alto per così tanti anni e con questi “paletti”, non è cosa da poco, ma è sempre stata una garanzia per il lettore affezionato.
Per chi è appassionato del Diabolik originale, quindi, questa nuova versione potrebbe destabilizzare e stimolare critiche negative per ciò che è stato da sempre l'input delle sorelle Giussani, ma riteniamo che DK, invece, possa inserirsi a pieno titolo nel panorama costruito attorno al “re del terrore”.

Già negli anni scorsi, soprattutto con gli speciali Il grande Diabolik (di cui questo volume fa parte), sono state approfondite parti del passato del protagonista e dei comprimari, gli autori hanno inserito elementi di novità e indagato su misteri che per anni avevano arrovellato le menti dei lettori. Un processo di cambiamento e ampliamento, per quanto circoscritto, era già in atto da tempo. Ma quello che, sulla carta, dovrebbe essere DK è qualcosa di diverso, è un passo ulteriore. Come dice Mario Gomboli nella prefazione del volume DK è "altro": è una serie parallela a quella originale, e con quella con va confusa. Assodato che si tratta di una nuova versione del “ladrone mascherato”, la valutazione va fatta esulando il più possibile dallo stilema classico, anche se la conoscenza della versione originale può offrire elementi di confronto molto utili.
Gli autori si sono dati carta bianca in modo che un nuovo lettore, non influenzato da cinquant'anni di storie, possa immergersi nel volume senza condizionamenti, ma allo stesso tempo, memori delle positive esperienze di certi restyling (ad esempio quelli delle serie Ultimate della Marvel o dei New 52 della DC), strizzano l'occhio a chi Diabolik lo conosce a menadito, inserendo stimolanti citazioni o ribaltamenti di fronti.
In estrema sintesi, e anche per non rovinare la lettura, vengono presentate le azioni criminose del personaggio con l’inserimento di una triangolazione interessante fra il “nostro”, l’ispettore di polizia e un “enigmatico” giudice. Il finale è aperto, facendo intuire l’intenzione di aggiungere altri elementi allo sviluppo della storia.

In questo primo numero le nuove incarnazioni dei personaggi sono presentati in maniera efficace e la dinamica degli eventi, ben costruita da Gomboli e Faraci oltre che magistralmente disegnata da Palumbo, rispetta una normale storia di Diabolik, ma vengono inseriti elementi atipici per il lettore tipo e adatti a un pubblico abituato alle storie americane (quali sceneggiatura e tavole costruite in modo da dare dinamicità al racconto e l’uso del colore fin dalla prima pagina).
Se la divisione in capitoli di venti pagine fa ben intuire, già dalla struttura, l’ipotesi di una presentazione nel mercato internazionale, i dialoghi taglienti e l’uso delle didascalie sono un chiaro esempio dell’allontanamento dallo stile freddo e asciutto che caratterizza, da cinque decenni, lo sviluppo delle sceneggiature del nostro ladro nazionale. Un prodotto ben fatto, ben curato dal punto di vista fumettistico, ma in una edizione che non esalta: una stampa in formato comic-book avrebbe dato maggiore risalto ai disegni e sarebbe stato più adatto per questa nuova incarnazione del personaggio.

E su questo mettiamo la nostra nota dolente.
Abbiamo iniziato scrivendo che le sorelle Giussani avevano avuto coraggio. Ecco, il coraggio è ciò che manca in questa operazione.
Se DK fosse il primo numero di una serie parallela al Diabolik originale, anche con un formato o una periodicità totalmente diversi, avrebbe il nostro totale plauso. Messo così, all'interno della serie degli speciali, perde in efficacia, è fuorviante per il vecchio lettore e rischia di non attrarre il nuovo lettore un dimostrando come l’Astoria sia dubbiosa sulla strada da far realmente prendere a questo DK. Quasi inconsciamente, il titolo, “Io so chi non sono”, esprime già la posizione nebulosa dell’editore: DK non è questo o, almeno, non dovrebbe esserlo.
Confidiamo comunque nel successo del volume in modo che gli autori e l’editore possano prendare il coraggio necessario e inizino veramente una serie nuova, che sia sempre DK ma in un formato diverso, in modo da creare due versioni parallele del personaggio e poter accontentare diverse platee.

Il fumetto sociale e i casi Rughe e Maria e Io

Per tornare all'intervista a Paco Roca, clicca qui.

Il fumetto è un’arte dalle potenzialità infinite in quanto, unendo immagini e parole, può esplorare qualunque campo, con una flessibilità di azione incalcolabile.
L’utilizzo del media può seguire la strada del semplice intrattenimento, ma può anche percorrere la via dell’approfondimento tematico e, in questo contesto, sta prendendo sempre più piede il concetto di “fumetto sociale” che ha creato una categoria di produzioni che identifica delle opere, ma anche delle iniziative, atte a stimolare il lettore verso temi difficili, quali le malattie, la vecchiaia, le persone diversamente abili, il disagio sociale o la violenza.

Storicamente possiamo andare indietro nel tempo per trovare esempi di fumetti che, pur non avendo l’esplicita intenzione di essere “sociali”, attraverso alcuni incisi nello sviluppo della narrazione portavano il lettore a farsi delle domande su questioni che normalmente venivano affrontate solo in ambiti accademici o specifici.
Pensiamo, come esempio, ai “drug issues” di Spiderman, o ad alcuni numeri di Lanterna Verde/Freccia Verde che, a inizio anni settanta, non ebbero il visto della censura statunitense perché accennavano al problema della droga, tema che veniva considerato, più o meno nello stesso periodo, anche in alcuni numeri dell’italianissimo Diabolik.
Al di là della superficialità con cui veniva trattato il tema, vi era un rimando al mondo reale e all’esigenza di occuparsi di problematiche sociali che stavano determinando cambiamenti notevoli, con effetti anche devastanti, al vivere comune.
L’obiettivo di sensibilizzare l’”uomo della strada” su un problema che non lo toccava direttamente, ma che comunque poteva avere una ricaduta sulla propria vita, poteva essere fatto, ottenendo risultati interessanti.

Altri autori si sono lanciati in messaggi più o meno velati sulla problematica del disagio, ad esempio quello giovanile. Liberatore e Tamburini, nel loro Ranxerox, ambientato in un possibile vicino futuro, presentavano una vita degli adolescenti che, negli anni ottanta (quando il fumetto fu pubblicato), era quasi impensabile immaginare  e poteva far sorridere il lettore italiano. Ora stiamo vedendo come le loro previsioni non siano state poi così lontane dalla realtà quotidiana che viviamo, dove le sostanze stupefacenti possono essere reperite con facilità, il divario economico è sempre più imponente e il degrado, sia ambientale che sociale, amplifica il malessere delle persone.

Ovviamente non solo i fumetti si occuparono di temi socialmente importante. Parlando di cinema, non sottovalutiamo, come semplice esempio, l’importanza di film quali “Indovina chi viene a cena” e “Il buio oltre la siepe” nella sensibilizzazione degli statunitensi (e non solo) sulla problematica dell’integrazione il primo sulla sola questione del colore della pelle, il secondo anche sul rapporto con le persone in disagio mentale.

Ma ciò che si sta vedendo ultimamente è un passaggio ulteriore: il fumetto non si limita a contenere l’accenno al problema sociale, la storia è costruita sul problema sociale che ne determina la caratterizzazione.
In altri termini si sta passando da una presentazione della problematica come semplice denuncia, alla rappresentazione nuda e cruda della questione sociale che si vuole affrontare, senza mediazioni, senza che sia un arricchimento della sceneggiatura, senza che vi sia spazio per altri aspetti. Il messaggio è diretto: “In questa storia parliamo di questo argomento di rilevanza sociale”.
Esempi di ciò sono le opere di Paco Roca e Miguel Gallardo, con i rispettivi volumi Rughe e Maria e io, editi in Italia da Tunuè e Comma22.

Rughe: Paco Roca racconta l’Alzheimer

rughe_cover_HRIl volume di Paco Roca, del 2008, oltre a essere una bellisima storia sulla vecchiaia e sulla perdita dell'identità, è un piccolo trattato sull’Alzheimer.
Fra le patologie che colpiscono la popolazione anziana, il morbo di Alzheimer (dal nome dello psichiatra e neurologo tedesco che per primo, nel 1906,  ne identificò l’esistenza evidenziandone tratti e sintomi) è una demenza senile che si manifesta come malattia degenerativa e colpisce, generalmente, le persone dopo i 65 anni.
In maniera molto sintetica la patologia è questa: per via di una eccessiva distruzione dei neuroni (la cui causa non è ancora ben chiara) vi sono modificazioni cerebrali e la trasmissione degli impulsi nervosi risulta notevolmente compromessa. L’esordio della malattia non è sempre chiaro, perché ogni caso è singolare e lo stesso decorso può seguire strade e modalità diverse. Comunque la persona si trova con sintomi quali: difficoltà a ricordare, alterazioni dell’umore o del comportamento, difficoltà nell’espressione orale, confusione, disorientamento, allucinazioni, ossessività o ripetizione dei comportamenti.
Al momento, terapeuticamente, si interviene sia sul piano del supporto ambientale, relazionale e cognitivo, che su quello farmacologico, ma non si sta ottenendo nulla di più che un semplice miglioramento dello stile di vita e un rallentamento del decorso della malattia. Gli studi attuali e le statistiche di riferimento sono drammatiche: tutto fa supporre che la popolazione di malati di Alzheimer sarà in aumento, con tutte le problematiche sociali ed economiche che ne deriveranno.

Roca, vedendo la dolorosa decadenza del padre di un suo amico, decide di raccogliere dati, aneddoti e informazioni sulla vecchiaia, sulle strutture che ospitano gli anziani e sulle inevitabili malattie che caratterizzano la fase finale della vita, concentrandosi soprattutto sulla demenza senile, per farne un romanzo grafico.
Nel volume racconta di Emilio, ex direttore di banca che, fatto entrare in casa di riposo dal figlio che non è più in grado di gestirlo, incontra altre persone, tutte con caratteristiche strane e particolari, che gli sono estranee. In realtà esse rappresentano il suo attuale mondo e dovrà convivere con la drammatica diagnosi di Alzheimer che, purtroppo, definirà la parte finale della sua esistenza.

Il racconto, costruito in maniera geniale, è allo stesso tempo simpatico e crudo. L’autore usa la tecnica dell’aneddotica lasciando quindi da parte l’idea di raccontare una storia con un inizio e una fine, ma con questa modalità affronta le problematiche della demenza senile in modo preciso, chiaro e diretto.
In questa logica le difficoltà mnemoniche vengono presentate con una lucidità disarmante per il lettore che, pur sorridendo, si trova costretto a fare i conti con ciò che potrebbe essere il suo futuro. Le paure, la sessualità e il rapporto con i parenti sono solo accennati, ma inseriscono elementi di completezza per il quadro che si intende offrire. La presentazione della struttura che ospita gli anziani, per quanto positiva, evidenzia i tempi morti, le inattività degli anziani, le routine comportamentali tanto necessarie quanto avvilenti. La presentazione delle persone attraverso il loro ricordo principale, normalmente antico e significativo, evidenzia l’attaccamento a qualcosa di sicuro, a ciò che nessuno potrà mai togliere, fonte di rassicurazione ed elemento di sicurezza alla vita. L’idea di frapporre le immagini dei protagonisti sui due diversi piani temporali, quello attuale e quello del ricordo, allo stesso tempo è centrato, spiazza ma rafforza il racconto. In questo contesto ha altrettanto grande valore l’amore, ben rappresentato dai comportamenti di un coppia di anziani presente nella struttura. Nella parte finale della storia le pagine bianche e il volto di Michele, amico di Emilio, che compare e scompare, evidenziano la grande attenzione dell’autore alla malattia e il desiderio di rappresentarla nella sua essenza, senza mezze misure.

Un libro molto bello, commovente e simpatico allo stesso tempo, che può anche essere usato come strumento educativo per sensibilizzare sulla problematica.
Conferma di ciò è il fatto che AIMA, l’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, abbia adottato questo volume e che nel 2011 il regista Ignacio Ferreras ne abbia tratto il film d’animazione “Arrugas”, vincitore di molti premi europei e, purtoppo, ancora poco proiettato in Italia.

Miguel Gallardo e l’autismo della figlia Maria

1254235525763_010copertinaIl libro di Miguel Gallardo, del 2007, invece, parla di autismo, e lo fa raccontando di una vacanza alle Canarie con la figlia, che funge da pretesto per presentare la sindrome e le modalità di gestione dei soggetti che ne sono diagnosticati. Significativo, ad esempio, il fatto che il volume contenga una parte con precise istruzioni su come interagire con i bambini autistici. Rispetto al volume di Roca, quindi, questo pare essere più un manuale sul tema e una guida per i comportamenti da seguire. Infatti lo sviluppo della storia non  è altro che una disamina di tante problematiche che un genitore si trova a dover affrontare quando il proprio figlio soffre di autismo.

Questa sindrome (considerata anche come disturbo pervasivo dello sviluppo e che ha una sua definizione precisa a partire dallo studioso Asperger), di cui ancora risultano sconosciute le cause, è un disturbo delle funzioni cerebrali che porta ad una diminuzione dell’integrazione sociale e della comunicazione del soggetto che ne è affetto. Generalmente un soggetto con autismo ha limitate capacità di verbalizzazione ed interazione, spesso mostrando ripetizioni di parole o frasi. All’apparenza vi è scarso interesse nelle relazioni e indifferenza emozionale, oltre che una ossessività di azioni e comportamenti e una astrazione dalla realtà, quasi ci fosse un isolamento in un mondo virtuale. Purtroppo non esiste una unicità nel trattamento di soggetti con autismo, se non il fatto che si agisca precocemente, in modo da poter migliorare il livello di apprendimento del linguaggio e creare condizioni che rassicurino il soggetto stesso.

Gallardo presenta tutto ciò, quasi in maniera didascalica. La storia della vacanza viene presentata dal punto di vista del genitore e, con questo espediente, l’autore presenta tutte le difficoltà, le frustrazioni e le attenzioni che chi aiuta una persona soggetta da autismo deve superare ed affrontare. Il volume contiene anche una postfazione della dottoressa Hervas Zuniga, specialista in psichiatria infantile, che aumenta il valore scientifico della storia presentata.

Roca e Gallardo: insieme in un viaggio emozionante

PROSPERO_39_world_tour_HRL’uscita di queste due opere ha creato il giusto interesse sugli argomenti trattati, e i due autori hanno fatto, insieme, una presentazione dei loro volumi nelle diverse fiere del fumetto e in congressi di vario genere in giro per l’europa.
Il resoconto del loro viaggio è racchiuso nel volume Emotional World Tour (edito in Italia da Tunué) che, in maniera simpatica e presentando anche i dietro le quinte, fa comprendere come un fumetto possa assolvere la funzione di sensibilizzazione su temi sociali di grande valore. Può essere un mezzo per stimolare il lettore ma anche e soprattutto un veicolo di sensibilizzazione e di consapevolezza dell’autore: una sorta di viaggio nel profondo io da condividere, per far conoscere, far riflettere e stimolare chi può fare qualcosa per affrontare e gestire al meglio queste problematiche.

In questa logica di consapevolezza si inserisce, ad esempio, anche il progetto Capitan Venezia a la disabilità che il Comune di Venezia, insieme all’Associazione Italiana Persone Down, attraverso il fumetto ha fatto per coinvolgere le persone affette da detta sindrome,  ma anche per sensibilizzare la cittadinanza.

Le storie di Roca e Gallardo presentano una evoluzione del fumetto in una logica di crescita di appeal come mezzo e strumento di diffusione di messaggi importanti. Se i due autori, grazie ai loro volumi, sono stati addirittura invitati a congressi riferiti alla problematica sociale da loro trattata, questo dimostra come il fumetto abbia giustamente superato il confine dell’arte di serie B e possa veramente fungere da tramite per divulgare conoscenza, in questo caso specifico a  una divulgazione di problematiche di valore sociale.Ovviamente questo non basta e tanto altro si può ancora fare, ma il successo di questi volumi fa immaginare che il “fumetto sociale” possa diventare quanto prima un nuovo genere universalmente riconosciuto, a fianco di quello d’avventura, quello supereroistico, di guerra, comico, ecc..

Ci auguriamo che questo sia l’inizio anche per un utilizzo del media fumetto per motivi didattici, in modo che le problematiche sociali che spesso vengono presentate in maniera troppo accademica e non accattivante, possano essere affrontate anche con la leggerezza della sequenza di immagini, catturando per la storia, ma arricchendo gli animi per il tema trattato.

Troppo non è mai abbastanza

Ulli è una ragazza austriaca di diciassette anni, e vuole sperimentarsi in un viaggio in Italia.
Insieme all’amica Edy intraprende un viaggio senza una meta precisa, senza avvisare i genitori, cercando di oltrepassare la frontiera in modo clandestino e senza un minimo di organizzazione: nessun cambio di vestiti, un sacco a pelo e qualche spicciolo raggranellato qua e là.
Non ha grande interesse per lo studio ed è affascinata dall’ambiente punk e, forse, non disdegna l’uso di droghe.

Siamo all’inizio degli anni ottanta e, per gli adolescenti di quel periodo, molte cose sono veramente da scoprire e comprendere, vivendole. Non esistono i cellulari, non c’è internet, non si comunica con i social-network; tutto passa attraverso il contatto diretto. E in questo viaggio Ulli ha la possibilità di conoscere tanta gente.
Il viaggio è sempre un’esperienza importante e può essere il banco di prova per capire chi siamo e cosa vogliamo diventare.
Il viaggio, insomma, è un percorso e per Ulli questa vacanza in Italia risulta essere lo spartiacque per la sua vita. Le esperienze di questo peregrinare per l’Italia la segneranno su diversi aspetti, le faranno capire alcune caratteristiche della propria persona e le daranno i parametri di riferimento per la costruzione di una sua esistenza da adulta.
Del resto l’adolescenza serve a questo: passare da una età “bambina” ad una “adulta”, soffrendo perché si desidera diventare grandi ma intuendo che la vita, quella da adulti, così tanto bella non è. È nell’adolescenza che si realizza che il percorso va verso un unica inesorabile destinazione e occorre fare delle scelte, anche dolorose, se si vuole avere un ruolo, qualunque esso sia, nella società adulta.

Ulli Lust racconta, nel volume Troppo non è mai abbastanza, una sua esperienza reale.
Il libro è dichiaratamente autobiografico e l’autrice non si risparmia nella presentazione, anche cruda, di ciò che era quando aveva diciassette anni. Lo fa con apparente ingenuità, come se a scrivere fosse proprio un adolescente, ma il racconto mostra come, invece, il narratore sia una persona adulta, in quanto i commenti che lo pervadono sono chiaramente filtrati da una elaborazione mentale successiva ai fatti.

Il titolo dice molto della storia, perché la protagonista, per seguire le persone che frequenta e incontra nel viaggio, si perde in un vortice che pare non avere fine.
La protagonista vive, in questo viaggio, delle esperienze sessuali che la segneranno.
È chiaro che queste esperienze non sono le prime, ma sono di una drammaticità inimmaginabile. Ulli si rende conto che il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta passa anche dal sesso e dall’uso del suo corpo, sia per ciò che può farne lei, sia per ciò che può risvegliare negli altri (soprattutto negli uomini) e quindi come possono usarlo, a prescindere che lei lo desideri o meno.

E arriviamo al punto focale del volume.
Troppo non è mai abbastanza è, soprattutto, un atto di denuncia: l’elemento centrale del racconto è la violenza sessuale che possono subire le donne
Il maschio, nello specifico quello italiano (quello che da sempre è considerato il “latin-lover”), viene presentato, in alcuni casi anche graficamente, come un mostro che non ha rispetto della donna, a partire proprio dall’atto sessuale che, nell’evolversi della storia, viene normalmente presentato come semplice dimostrazione di potenza e potere nei confronti del sesso femminile.
Non tutte le esperienze sessuali avute in questo viaggio sono state negative, ma la sensazione che vive Ulli è quella di essere un oggetto, non una persona che può essere amata e rispettata come donna.

L’autrice usa una tecnica grafica molto serrata. Di norma le tavole sono a tre bande orizzontali con tre vignette l’una; l’uso eccezionale di vignette più grandi è funzionale nel dare maggiore respiro, e le pagine che invece presentano più disegni servono ad amplificare il senso di confusione che la protagonista sta vivendo, in modo che il lettore abbia una percezione più completa delle sensazioni di Ulli.
In alcuni passaggi, dove le battute dei protagonisti sono lasciate in inglese per offrire al lettore la differenza degli idiomi utilizzati, la lettura risulta un po’ lenta: a nostro avviso potevano essere tradotte inserendo una nota che chiarisse come, in quel momento, si stesse usando una lingua diversa.
I disegni sono semplici ma efficaci, con uno stile molto diretto, sicuramente adatti al tono della storia.
La sceneggiatura è altalenante in fatto di dinamicità, ma essendo una storia vera riteniamo corretto che presenti degli alti e dei bassi: lo sviluppo della vita reale non segue le regole dello spettacolo.

Si parla da tempo di “sex-offender”, e questo volume esce proprio in un periodo dove anche in Italia molte cose si stanno muovendo per cercare di comprendere il fenomeno, arginarlo, prevenirlo ed essere di aiuto, sia alle donne che hanno subito violenza, ma anche nei confronti degli uomini che capiscono di aver sbagliato e vogliono cambiare.
La lettura di questa opera di Ulli Lust può offrire una occasione, agli adulti e agli adolescenti che si avvicinano ora alle esperienze che li formeranno, di considerare il fenomeno della violenza sessuale che si può nascondere anche dietro delle facciate apparentemente pulite, per poterlo riconoscere e affrontare, sperando che di fatti come questi ne avvengano sempre meno e ci possa essere un vero rispetto sessuale fra uomo e donna.

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