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Luca Tomassini

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Michael Jordan - La biografia a fumetti

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Scrivere una biografia nasconde sempre delle insidie, prima tra tutti il rischio di non essere obiettivi e di cadere nell’agiografia. Figurarsi poi se la biografia in questione è dedicata a Micheal Jordan, il più grande giocatore di basket di tutti i tempi, atleta leggendario la cui fama ha varcato i confini dell’ambito sportivo fino a trasformarlo in icona pop e simbolo di un’epoca. Ad assolvere al non facile compito è Wilfred Santiago, artista di Chicago, con Michael Jordan - La Biografia a Fumetti.
A Santiago non interessa mettere in scena un racconto pedestre e didascalico che inizi dall’infanzia del Campione e finisca con una carrellata dei suoi numerosi trionfi: il cartoonist struttura la sua narrazione intorno ad alcuni episodi chiave della vicenda umana e sportiva di Jordan (in una maniera non dissimile da quella sperimentata da Danny Boyle nel recente Steve Jobs), mostrandoci alcuni sprazzi delle sue “origini” solo attraverso brevi e significativi flashback.

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Il racconto di Santiago si snoda attraverso tre momenti topici della vita del Campione: le fasi finali del campionato 1990-91, che consegnerà ai Chicago Bulls di Jordan il primo di tre titoli consecutivi; la crisi personale, in seguito all’omicidio del padre, che porterà ad un primo ritiro dalla pallacanestro; il ritorno nella NBA datato 1995, che segnerà l’inizio di una nuova serie di trionfi per i Bulls; il tiro decisivo (a 5 secondi dalla fine) in gara 6 nella finale del 1998 contro gli Utah Jazz, che vuol dire nuovamente terzo titolo consecutivo per i Bulls e sesto in totale per la compagine di Chicago, col definitivo ingresso nella leggenda per Jordan. Questi tre momenti fondamentali della vita di “Air” Jordan sono intervallati da flashback che ce ne mostrano l’infanzia nella Carolina del Nord, insieme ai genitori e ai fratelli e in particolare al fratello Larry, punto di riferimento per il piccolo e problematico Mike; il rapporto controverso col padre, che intravede nel figlio il talento del campione e lo pungola per stimolarlo; gli inizi difficili nella squadra del liceo, dove viene scartato a causa del suo fisico ancora acerbo. Senza soluzione di continuità passiamo dal ragazzo incerto dei propri mezzi ad His Airness, il Campione  che sta spiccando il salto decisivo nella leggenda. È il campionato 1990-91, con i Bulls di Jordan che stanno dettando legge. La formazione di Chicago, composta da Jordan, Scottie Pippen, Bill Cartwright, Horace Grant e John Paxson, annichilisce ogni ostacolo che incontra sulla sua strada. Ne fanno le spese i New York Knicks di Patrick Ewing e, in semifinale, i Detroit Pistons di Isaiah Thomas. Stessa sorte tocca in finale ai Los Angeles Lakers di Earvin “Magic” Johnson e di Vlade Divac, che vengono disintegrati da Jordan e soci. È il trionfo per la franchigia di Chicago, il primo di tre anelli consecutivi, e personale di Jordan, che viene nominato miglior MPV delle serie finali (vincerà l’ambito riconoscimento per ben sei volte).

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Ma per ogni ascesa c’è una caduta: quando il padre verrà derubato ed ucciso da una banda di delinquenti, un Jordan svuotato lascerà la pallacanestro per tentare egual fortuna nel baseball, secondo il desiderio originale dell’amato genitore. Sono due anni bui, avari di soddisfazioni per il campione, che medita il grande ritorno: questo si concretizza nel 1995, a stagione in corso. Jordan riprende in mano dei Bulls allo sbando e a partire dal campionato successivo infila di nuovo tre anelli consecutivi, portando il bottino totale della franchigia di Chicago a sei titoli. Il culmine della vicenda sportiva di Air Jordan si consuma il 14 giugno 1998 a Salt Lake City, dove i Bulls affrontano gli Utah Jazz di John Stockton e Karl Malone. È la gara 6 di una serie finale molto equilibrata. I Bulls stanno perdendo 85 a 86. Ma a 20 secondi dalla fine Jordan ruba palla in difesa ad un incredulo Malone, si spinge nella lunetta avversaria e, con un incredibile cambio di passo, prima lascia a terra il suo marcatore, Byron Russell, poi lascia partire un tiro chirurgico in elevazione che si insacca nel canestro dei Jazz: sono i due punti della vittoria, del sesto titolo per Chicago e di una prestazione leggendaria per Jordan nel giorno della sua ultima partita con i Bulls]. Pochi giorni dopo il campione annuncia il suo ritiro. Nel 2001 Jordan tornerà in campo, vestendo per due anni i colori dei Washington Wizards. Si tratta di un ritorno effimero, che non produce risultati all’altezza dei precedenti. Ma la leggenda di Air Mike è già scritta e consegnata ai posteri, insieme alla statua che lo raffigura all’esterno del centro sportivo dei Bulls a Chicago, sotto la quale una targa recita: "The Best there ever was. The Best there ever will be".

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Pur raccontando le imprese di un autentico mito dello sport e non solo, l’opera di Wilfred Santiago ha il merito, come già sottolineato all’inizio, di non cedere alla tentazione di realizzare una banale agiografia. Dell’uomo Jordan ci vengono raccontate anche le spigolosità e le contraddizioni: le “scappatelle”, il  presunto coinvolgimento in uno scandalo scommesse, la riluttanza ad andare in televisione per invocare lo stop ai saccheggi di Chicago nella calda estate del 1992. Mentre assistiamo alle vicende umane e sportive del campione, sullo sfondo si svolgono eventi che hanno segnato la storia americana contemporanea, come le succitate rivolte razziali in seguito al pestaggio di Rodney King da parte della polizia di Los Angeles, facendo dell’opera di Santiago anche una preziosa testimonianza d’epoca. Sfilano inoltre volti indimenticabili della pallacanestro americana come Charles Barkley, Larry Bird, Clyde Drexler, i già citati Pippen, Malone, Stockton, Ewing, Magic Johnson, che insieme a Jordan faranno parte della mitica spedizione americana alle Olimpiadi di Barcellona del 1992 passata alla storia col nome di Dream Team.

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Ma il vero punto di forza dell’opera è nei bellissimi dipinti di Santiago, realizzati con pennellate ruvide ed energiche che da una parte fanno pensare agli esempi più riusciti di street-art urbana, dall’altra avvicinano il talentuoso artista di Chicago al genio visionario del grande Bill Sienkiewicz.
Completa il bel volume delle Edizioni BD una commossa introduzione di Flavio Tranquillo, commentatore della NBA per la TV italiana, che ci offre il suo ricordo personale di quella notte del 14 giugno 1998 a Salt Lake City ormai consegnata alla storia.

Descender 1: Stelle di latta

Se venisse realizzato un sondaggio tra i lettori di fumetti americani per decretare lo sceneggiatore emergente preferito, il vincitore risulterebbe probabilmente Jeff Lemire. Passato con disinvoltura dalla dimensione indie di opere come Essex County, Sweet Tooth e Il Saldatore Subacqueo ad interessanti cicli su serie mainstream come Animal Man e Green Arrow per la DC Comics, Lemire si è accasato di recente alla Marvel, dove ha raccolto la pesante eredità di Matt Fraction sul pluripremiato Hawkeye e l’arduo compito di rilanciare l’universo degli X-Men. Ciò nonostante lo sceneggiatore canadese continua a non disdegnare sortite in territori creator-owned come dimostra questo Descender, edito in USA dalla Image Comics e proposto in Italia da Bao Publishing. L’accostamento del nome di Lemire e dell’altissimo livello dei suoi lavori precedenti al marchio Image, sinonimo di fumetto di qualità, ha fatto si che la serie fosse molto attesa fin dal suo primo annuncio, tanto che la Sony ne aveva già acquistato i diritti per un adattamento cinematografico già prima dell’uscita del numero 1. Dopo la lettura del primo volume, che raccoglie i numeri 1-6 della serie originale, possiamo dire che l’attesa è stata abbondantemente ripagata.

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La storia inizia in un futuro imprecisato, che vede i pianeti della galassia riuniti in un’alleanza chiamata Concilio Galattico Unito. La quiete di questi pianeti viene messa in pericolo dalla comparsa di nove enormi Robot, uno per ciascun pianeta dell’alleanza. Il Concilio Galattico non fa in tempo a riunire i propri esperti in materia che i Robot si attivano all’improvviso, seminando morte e distruzione. Dieci anni dopo un piccolo robot da compagnia, Tim-21, si sveglia dopo un lungo sonno in una colonia mineraria ai margini della galassia. L’androide, che ha le fattezze di un bambino, non scorge la presenza di nessuno, salvo quella del cane droide Bandit. Ne scoprirà presto la ragione: tutti gli abitanti della base, compresa la sua famiglia adottiva, sono stati sterminati. Neanche il tempo di decidere il da farsi che i due robot vengono attaccati da un gruppo di mercenari senza scrupoli, i Rottamatori. Tim-21 apprende così che dopo il massacro operato dieci anni prima dai robot giganti ribattezzati Mietitori, gli umani terrorizzati avevano reagito sfogando la loro rabbia sugli automi, che fino a quel momento avevano vissuto tra loro aiutandoli nei lavori quotidiani. Ma quella dei Rottamatori non è l’unica fazione interessata a Tim-21, perché ben presto faranno la loro comparsa sulla scacchiera altri giocatori interessati al droide, che condivide a sua insaputa un oscuro segreto con gli spietati Mietitori: lo schema di base della loro programmazione è identico a quella del piccolo robot.

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Pur pescando a piene mani dai classici della letteratura e del cinema fantastico, come i libri di Isaac Asimov e pellicole come Blade Runner (il robot perseguitato perché diverso) e A. I. – Intelligenza Artificiale, Lemire si discosta presto da questi padri nobili per condurci verso territori più consoni alla fiaba che non alla fantascienza tout court. In Descender non troviamo le dissertazioni parascientifiche tanto care a Jonathan Hickman, per citare un autore contemporaneo a Lemire, né sappiamo come si è arrivati alla costituzione del Concilio Galattico Unito: la storia inizia in medias res, e se si aprisse con un Tanto tempo fa in una galassia lontana o C’era una volta, non avremmo nulla da ridire. Se da spettatori della celeberrima saga di George Lucas non ci interessava conoscere il funzionamento di spade laser e salti nell’iperspazio, anche qui la tecnologia è mero pretesto messo al servizio del racconto, come vuole la tradizione della space-opera più autentica. È il sogno la chiave di volta per calarsi appieno nel mondo immaginato da Lemire: come nei sogni tutto è suggerito e nulla è spiegato, così in quelli del piccolo Tim-21 si trovano probabilmente le ragioni dei misteri che sono alla base dell’intera vicenda. Certo non tutto è perfetto in Descender, e Lemire dovrà chiarire alcuni aspetti della mitologia da lui creata nei prossimi volumi: ma nel frattempo è impossibile non apprezzare la fantascienza impregnata di malinconia e calore umano proposta dallo sceneggiatore canadese. Le relazioni umane, più che il consueto apparato da science fiction, sono il cuore dell’opera: non lasciano indifferenti gli struggenti flashback imperniati sul rapporto tra Tim-21 e la famiglia adottiva che non c’è più, che oltre a far empatizzare il lettore col piccolo androide, servono anche ad accentuarne la solitudine attuale.

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L’atmosfera sognante e fiabesca della storia concepita da Lemire trova una compiutissima realizzazione nelle illustrazioni di Dustin Nguyen. Il disegnatore di origini vietnamite, che si è fatto le ossa sulle testate della Bat – Family per la DC dopo l’esordio col botto con un mirabile ciclo di Wildcats su testi di Joe Casey, sposa in pieno il progetto di Lemire, partecipandovi con splendidi acquarelli che ne sottolineano la dimensione favolistica e onirica. Non troverete, nei disegni di Nguyen, dettagliate raffigurazioni di astronavi, meccanismi e circuiti cibernetici, anzi i particolari più pedantemente tecnologici vengono volutamente tradotti sulla pagine con pennellate sfumate e sapientemente imperfette. L’artista sembra voler richiamare più l’atmosfera lieve dei libri illustrati per ragazzi degli anni ’60, come quelli realizzati dal disegnatore ceco Miroslav Sasek, che quella tradizionale da opera di fantascienza, con tutto il pesante armamentario tecnologico che ne conseguirebbe. Altra scelta vincente dell’artista è quella relativa al design dei personaggi, su tutti il delizioso protagonista Tim-21, novello Pinocchio per il quale il lettore non può che parteggiare fin dalla sua prima apparizione.

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La proficua alchimia creativa stabilitasi tra Lemire e Nguyen e il perfetto bilanciamento tra i testi e comparto artistico fanno senza dubbio di Descender una delle migliori proposte di fine 2015: ai due autori spetta ora il non facile compito di mantenere, nello prossime uscite, uno standard qualitativo davvero elevato.

Lazarus 1: Famiglia

L’ansia per un futuro che appare oscuro ed incerto, alimentata dalla complessità politica ed economica dei tempi in cui viviamo, ha da sempre ispirato la letteratura e il cinema fantastico.  Un caso esemplare è Io sono leggenda, romanzo di Richard Matheson che è stato adattato più volte con successo per il grande schermo, e le saghe di Mad Max e Terminator.  La visione di un  mondo distopico e minaccioso anima anche le pagine di The Walking Dead, straordinario successo partorito dalla penna di Robert Kirkman. Difficile quindi creare una nuova saga ambientata in un futuro apocalittico, a meno che non si abbia il talento di Greg Rucka e Michael Lark. Il duo, artefice insieme ad Ed Brubaker di un mirabile ciclo di Gotham Central, torna a riunirsi in Lazarus, saga futuristica creata per la Image Comics e proposta in Italia da Panini.

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La storia si svolge in un futuro prossimo venturo caratterizzato da elementi di forte contiguità col nostro presente, primo tra tutti il dominio incontrastato delle multinazionali a livello politico ed economico. Nello scenario distopico brillantemente immaginato da Rucka & Lark, il ruolo delle multinazionali nello scacchiere mondiale è aumentato di importanza fino a diventare dominante e a sostituirsi alle nazioni esistenti; così, come in un nuovo Medioevo da incubo, la divisione del mondo in Stati sovrani è stata soppiantata dalla frammentazione in domini, espressione del potere delle famiglie più ricche e potenti. Una di queste è la famiglia Carlyle, dinastia di industriali che governa lo Stato della California. Core Business dei Carlyle è la coltivazione di semi geneticamente modificati, attività che garantisce loro il potere assoluto in un territorio dove cittadini che soffrono la fame sono trattati come sudditi da un regime dittatoriale. Ciascuna delle famiglie più influenti gode dei servigi di un “Lazarus”, un essere artificiale di incredibile potenza a cui viene fatto credere di essere umano. I Lazarus guidano le milizie private delle varie famiglie, proteggendone gli interessi. A svolgere questo ruolo nella famiglia Carlyle è Forever, o Eve, come viene chiamata dai membri delle famiglia. Benché sia stata assemblata in laboratorio, ad Eve viene fatto credere di essere un membro dei Carlyle dal patriarca Malcolm e dai suoi figli, ma l’affetto che provano per la “donna” è solo di facciata: farla sentire parte integrante della famiglia è solamente un modo astuto per controllarla ed influenzarne le decisioni. Ma le certezze di Eve verranno presto messe a dura prova, quando un attacco della milizia dei rivali Morray al deposito delle sementi dei Carlyle svelerà l’esistenza di un complotto e di una serpe in seno a questi ultimi. Eve dovrà suo malgrado confrontarsi con il vero volto della sua famiglia e dei suoi membri, e non di meno cominciare ad interrogarsi sulla natura del regime dei Carlyle e sul mistero della sua stessa esistenza.

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Nonostante la lettura di Lazarus sia attraversata in alcuni momenti da un consistente senso di dejà-vu, i due autori ci regalano comunque un’opera di notevole intensità che, seppure obbedendo fedelmente ai cliché di una certa letteratura fantastica, non si sottrae all’impegno di pronunciarsi su argomenti di strettissima attualità come il ruolo delle multinazionali e la concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani delle oligarchie. Greg Rucka, già autore di ottime run sul già citato Gotham Central per la DC e di The Punisher per la Marvel, sforna una delle sue prove migliori: la sua prosa secca e asciutta ci trascina in un mondo di avidità e ambizione sfrenata, collocato in un futuro prossimo ma sinistramente simile al nostro. Maestro nello sceneggiare sequenze d’azione che esplodono sulla pagine dopo essere state sapientemente costruite attraverso la suspense, Rucka eccelle anche nella caratterizzazione dei personaggi. Dopo la Renée Montoya di Gotham Central e la Kate Kane di Batwoman, lo sceneggiatore ci regala un altro straordinario personaggio femminile, Forever, indistruttibile e fragile allo stesso tempo, inconsapevole pedina nei giochi di potere della sua “famiglia”. Ottima anche la caratterizzazione dei singoli membri dei Carlyle, covo di serpi legate tra loro dalla conservazione dei privilegi e dall’ambizione smodata, che nulla hanno da invidiare ai famigerati Lannister de Il Trono di Spade: il rapporto palesemente incestuoso tra i gemelli Johan e Johanna ricorda quello altrettanto proibito tra Cersei e Jamie Lannister.

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La sceneggiatura serrata di Rucka non poteva trovare traduzione in immagini migliore delle dettagliate illustrazioni di Michael Lark. L’ex disegnatore di Daredevil realizza tavole dal respiro cinematografico, tra le migliori della sua carriera. La pagina è spesso suddivisa in sequenze di quattro strisce widescreen nelle sequenze d’azione più concitate, per poi lasciare spazio a primi piani e piani americani nelle scene di dialogo, lasciando intuire una padronanza del mezzo espressivo che farebbe la gioia degli studiosi delle teorie e tecniche del montaggio cinematografico. L’artista si mette completamente al servizio dello script secco e senza fronzoli di Rucka, sciorinando sequenze al fulmicotone che colpiscono l’occhio del lettore come una lama. Le bellissime illustrazioni di Lark sono esaltate dal formato scelto da Panini Comics, un pregevole cartonato su carta patinata dal prezzo contenuto, che inaugura la nuova collana 100% HD dell’editore.

Ottimo debutto che fa ben sperare per il proseguo della serie, in attesa di sapere se la presa di coscienza di Forever porterà alla sua auspicata ribellione nei confronti della terribile famiglia Carlyle.

 

Ribelli - La nascita degli Stati Uniti d'America

La storia della nascita degli Stati Uniti come li conosciamo ora è da sempre oggetto della fiction made in USA: se in campo cinematografico la rivisitazione della propria storia e delle proprie ragioni d’essere ha ispirato sia kolossal spettacolari come Il Patriota di Roland Emmerich che riflessioni d’autore come lo splendido Lincoln di Steven Spielberg, anche il fumetto non ha mancato di fornire un valido contributo. È il caso di Rebels, miniserie di recente pubblicazione scritta da Brian Wood per i disegni di Andrea Mutti, edita negli Usa dalla Dark Horse e proposta in Italia da Mondadori Comics all’interno della collana Historica col titolo Ribelli – La Nascita degli Stati Uniti d’America.

Come intuibile, seguiamo le vicende che hanno portato alla formazione degli Stati Uniti d’America e in particolare le vicissitudini di Seth Abbott, giovane colono del New Hampshire. Dopo un’infanzia segnata dal rapporto con un padre duro che condizionerà inevitabilmente le scelte della sua vita da adulto, Seth decide di combattere per la causa dell’indipendenza, avendo assistito con i suoi occhi alle violenze e agli abusi perpetrati dalle giubbe rosse al servizio della Corona Inglese. Il ragazzo si troverà davanti a scelte difficili, prima tra tutte quella di dover lasciare la giovane moglie Mercy per poter proseguire la lotta per l’indipendenza. La narrazione procede quindi su un doppio binario: da un lato seguiamo le vicende di guerra di Seth, che si guadagnerà la fiducia dei suoi superiori arrivando a svolgere un’importante missione per George Washington in persona. Dall’altro, assistiamo alle difficoltà della vita quotidiana di Mercy rimasta dapprima sola, e in seguito, con un bambino da allevare.

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Chi pensa di trovare in Ribelli la rappresentazione spettacolare della guerra di cui tanti film come il succitato Patriota sono impregnati resterà deluso: per nulla interessato ad imbastire un racconto epico o agiografico, Wood ci mostra le conseguenze della guerra su uomini e donne comuni, investiti da un dramma più grande di loro. È la storia vista attraverso gli occhi degli umili, uomini che devono abbandonare le famiglie senza sapere se faranno ritorno, contadini espropriati delle loro terre e costretti a subire violenze, donne sole che devono provvedere alla famiglia in assenza dei mariti, soldati che fanno la storia morendo sui campi di battaglia, senza che il loro nome venga ricordato. La sua è una prosa asciutta, non celebrativa; il suo è un linguaggio essenziale che esce dalla bocca di personaggi semplici ma così ben caratterizzati che restano nel cuore e nella memoria. È il caso del protagonista Seth, uomo di poche parole che conosce la durezza del lavoro, capace di votarsi a una causa nobile alla quale sacrificare anche più di quello che gli verrebbe richiesto, e di sua moglie Mercy, che a seguito delle circostanze dovrà imparare a contare solo sulle sue forze in un processo di emancipazione forse non desiderato all’inizio ma conseguito poi con orgoglio.

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Compendio perfetto ai testi di Wood sono i disegni di Andrea Mutti, ormai lanciatissimo negli USA dopo le esperienze in Italia e in Francia, che conferiscono al racconto una dimensione prettamente cinematografica grazie a tavole costruite orizzontalmente, a mò di schermo, candidando Ribelli ad un’eventuale trasposizione cinematografica o televisiva. Il suo tratto sporco è l’ideale per tratteggiare la polvere da sparo e i campi di battaglia, fucili ed uniformi, la neve calpestata dalle orme delle milizie, ma anche la quiete, purtroppo fuggevole, dell’intimità domestica. Importante menzione per i colori di Jordie Bellaire, reduce da una prova sfavillante sul Moon Knight della Marvel, a suo agio sia nel fumetto mainstream che in quello indie. Da elogiare la versatilità e la bravura della colorista americana, la migliore in questo momento, che dona luminosità e calore al bel tratto di Mutti, fondendosi in unico, gradevolissimo risultato.

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Il bel volume cartonato della Mondadori è arricchito da una puntuale introduzione di Sergio Brancato, utile sia come ripasso di fatti storici che potrebbero essere stati dimenticati dal lettore, sia come spunto di riflessione su alcuni aspetti della politica americana attuale. Trovano spazio inoltre alcuni bozzetti, gli studi dei personaggi di Mutti e le evocative copertine di Tula Lotay per i sei numeri della versione originale. Lettura consigliatissima non solo agli amanti della storia ma anche a quelli del buon fumetto, in attesa del già annunciato secondo volume.

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