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Luca Tomassini

Luca Tomassini

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Spider-Man Collection 2: Notti Oscure

La presenza di Frank Miller in qualità di ospite d’onore alla recente kermesse di Lucca Comics ha avuto come piacevole conseguenza quella di spingere molti editori che avevano nel proprio catalogo lavori firmati dal genio del Maryland a proporre ristampe delle sue opere: in alcuni casi si è trattato di vere e proprie chicche, molte delle quali assenti da tempo dagli scaffali delle librerie italiane se non addirittura inedite. Due volumi in particolare, Universo DC di Frank Miller edito da RW Lion e Spider-Man Collection: Notti Oscure pubblicato da Panini Comics, riportano le lancette del tempo indietro di quasi 40 anni, ai tempi delle prime prove di Miller presso DC e Marvel. Per quanto il volume della RW contenga la prima storia in cui Frank viene accreditato, un breve racconto di guerra pubblicato su Weird War Tales per il quale realizza le matite dal quale, in tutta sincerità, nulla traspare del talento rivoluzionario che sfoggerà nelle opere successive (anche a causa delle pesanti e mortificanti chine di Danny Bulanadi), è il volume della Panini a rappresentare una più esauriente testimonianza di un’evoluzione artistica che porterà il giovane Miller, in un paio d’anni, a diventare la stella assoluta del fumetto a stelle e strisce.

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Dopo il debutto alla DC (anche se una prima storia era già stata pubblicata, seppure non accreditata, su Twilight Zone della Gold Key), Miller finisce sul taccuino di Jim Shooter, il vulcanico editor in chief della Marvel tra la fine degli anni ’70 e i primi ’80. Shooter è alla ricerca di nuovi talenti che possano infondere rinnovata linfa vitale alla casa editrice, e sta puntando forte su una nuova generazione di giovani autori come Chris Claremont e John Byrne che, messi a lavorare su una serie come Uncanny X-Men che fino a quel punto era stata una “cenerentola” del parco testate Marvel, la trasformeranno nel più grande successo commerciale della casa editrice fino all’alba del nuovo millennio. Miller ricorderà sempre con piacere il suo primo periodo marvelliano, tra vivaci riunioni di redazione, il mitico “Bullpen” dove si potevano incontrare gli altri colleghi e mostrarsi tavole a vicenda, e i preziosi consigli di veterani del calibro di John Romita Sr., John Buscema e Marie Severin. A Miller viene assegnato un annual di Incredible Hulk su testi di Mary Jo Duffy, giovane scrittrice nonché editor di serie come Peter Parker, Spectacular Spider-Man e Daredevil. Se ci sono degli incontri orchestrati dal dio del fumetto perché la storia prenda certi corsi e non altri, quello tra Miller e la Duffy è sicuramente uno di questi. La redattrice si rende conto del talento non comune del giovane autore e gli assegna le matite di due numeri “scoperti” di Peter Parker, le due storie che aprono il volume Panini e nelle quali il tessiragnatele fa squadra con un altro vigilante marvelliano, quel Daredevil che segnerà il periodo in Marvel di Miller. Se i testi di Bill Mantlo non si innalzano sopra lo standard convenzionale dell’epoca (un team-up tra l’Arrampicamuri e l’Uomo Senza Paura si rende necessario per evitare che il villain Marauder faccia esplodere una bomba nel centro di New York), è lo storytelling del giovane artista che colpisce: pur tra incertezze da rookie e un tratto ancora legnoso e da sgrezzare (certamente non aiutato dalle chine di Frank Springer), si fa notare con piacere l’originale costruzione della tavola e la perizia nelle scene d’azione, dense di un inedito taglio cinematografico inusuale per l’epoca. Le due storie segnano il primo incontro di Miller con Daredevil e l’amore a prima vista è evidente: i due sono a proprio agio l’uno con l’altro come quegli innamorati che pur incontrandosi per la prima volta, hanno la sensazione di conoscersi da sempre. Il Devil di Miller è un fascio di nervi e muscoli pronto all’azione e non è escluso che sia stata proprio l’eccellente resa del personaggio in questa coppia di storie a convincere Shooter ad affidargli le sorti editoriali allora traballanti dell’alter ego di Matt Murdock, prima come disegnatore e poi come autore completo.

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La storia successiva proposta nel volume, Il Libro dei Vishanti, segna un primo snodo della carriera di Miller e un importante tassello della sua crescita artistica. L’autore continua ad occuparsi del Ragno, personaggio prediletto della sua infanzia di cui ben ricorda le storie disegnate da Steve Ditko, influenza enorme del Miller prima maniera. I testi sono firmati da Dennis O’Neill, altro incontro fondamentale nella vita e nella carriera dell’artista. O’Neill è un veterano che negli anni ’70, insieme al disegnatore Neal Adams, ha riportato Batman alle sue origini di Cavaliere Oscuro dopo la sbornia camp dei sixties, trovando il tempo anche il tempo di realizzare, sempre insieme ad Adams, un celebrato ciclo di Green Lantern/Green Arrow dove Hal Jordan e Oliver Queen affrontano tematiche sociali scabrose come il dilagare della droga tra i giovani e il razzismo della società americana. O’Neill sostituirà la Duffy come editor di Miller su Daredevil e lo assisterà anche nella realizzazione della sua opera più celebrata, The Dark Knight Returns. La storia imbastita da O’Neill e Miller ha per protagonisti l’Uomo Ragno e il Dottor Strange, impegnati in una corsa contro il tempo per evitare che la sinistra alleanza formata dal Dottor Destino e da Dormammu rilasci sul mondo un’antica piaga. Si tratta di una storia godibilissima, contrassegnata da una consistente dose di ironia, servita dai testi frizzanti da O’Neill e dall’arte di Miller che qui sboccia nello stile che lo accompagnerà per gli anni successivi, fino alla conclusione del ciclo di Daredevil. Innanzitutto l'avventura è un sentito omaggio dei due autori a Steve Ditko, il creatore grafico tanto del Ragno quanto del Mago Supremo: Miller si sbizzarrisce in una sequela di tavole condite di psichedelia e inquietanti dimensioni parallele, proprio come nelle storie di Ditko. Fa capolino inoltre nel pantheon di riferimento dell’artista il nome di Gil Kane, artista celebre per il suo stile espressionista e per le pose altamente drammatiche dei suoi volti. L’influenza di Kane, cartoonist ingiustamente sottovalutato, accompagnerà Miller per tutta questa sua prima fase marvelliana; l’autore padroneggia ormai l’uso del chiaroscuro, e si diverte a disegnare comignoli, lucernari, cisterne per la raccolta d’acqua, a voler sottolineare quella dimensione urbana che sarà un tratto caratteristico delle sue storie.

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Karma! Lei possiede la persone!, segna il primo incontro tra Miller e Chris Claremont, che un paio d’anni dopo realizzeranno insieme la prima, storica miniserie di Wolverine. La storia, un team-up tra il Ragno e i Fantastici Quattro, ha il compito di introdurre Karma, la mutante coreana che successivamente entrerà a far parte dei New Mutants, il primo spin-off di X-Men, e si segnala più come un importante tassello dell’epopea mutante che Claremont in quegli anni sta costruendo utilizzando il parco testate dell’editore che come episodio rilevante del Miller prima maniera. Se quello che abbiamo visto finora è un artista in gestazione, l'avventura che chiude il volume, Uomo Ragno: Pericolo o Minaccia, ci mostra ormai un Miller pienamente consapevole dei suoi mezzi, grazie anche alle chine di Klaus Janson, maestro di ombre e chiaroscuri, il cui pennino si sposa alla perfezione col tratto di Frank. La storia, sceneggiata ancora una volta da Dennis O’Neill, è un brillante tour de force in cui il Tessiragnatele, con l’aiuto involontario del Punitore, ingaggia una corsa contro il tempo per evitare che il Dottor Octopus avveleni la città. L’autore di Sin City padroneggia ormai la sua arte alla perfezione, capace di proporre uno storytelling concitato e di altissimo profilo (si veda tutta la frenetica sequenza finale tra le rotative del Daily Bugle), non inferiore a quello che sta proponendo mensilmente in quel momento, sempre in coppia con Janson, sulle pagine di Daredevil. Miller trova anche il tempo di omaggiare nuovamente Ditko, nella sequenza del sottomarino che non potrà non ricordare al lettore di vecchia data quella Saga del Coordinatore che è il punto più alto dello Spider-Man di Lee & Ditko.

Il bel cartonato della Panini contiene inoltre Giochi di Potere, un annual della serie Marvel Team-Up che non avrebbe particolari motivi d’interesse se non quello di essere la prima sceneggiatura scritta da Miller per un altro disegnatore, in questo caso il veterano Herb Trimpe. La storia vede L’Uomo Ragno, Devil, Moon Knight, Luke Cage e Iron Fist unirsi per affrontare l’empia alleanza formata da Kingpin e Killgrave, l’Uomo Porpora. È uno script volutamente leggero e ironico che viene purtroppo mortificato dalle legnose matite di Trimpe, artista che appare già all’epoca irrimediabilmente datato, ma che fornisce una curiosa e involontaria anticipazione di alcuni temi e atmosfere dei serial Marvel/Netflix dei giorni nostri.

Spider-Man Collection: Notti Oscure è un volume prezioso, che non può mancare nello scaffale di ogni lettore che voglia gustarsi un Ragno d’annata ed essere testimone allo stesso tempo dell’evoluzione di un autore che, da lì a pochi anni, scriverà con lettere di fuoco la storia del fumetto americano.

Guerra bianca

La Guerra Bianca è un episodio poco conosciuto dei tragici eventi accaduti sul versante italiano della Prima Guerra Mondiale, la catastrofe umanitaria passata alla storia come Grande Guerra che è costata la vita ad un’intera generazione di giovani. Un conflitto crudo e spietato tra Italia e Impero Austro-Ungarico si consumò sulle innevate montagne del Trentino, nei territori di confine reclamati con forza dal governo italiano. La strategia bellica utilizzata assomigliava a tutti gli effetti alla guerra di trincea, con un’unica, crudele variante fornita dall’opportunità di trovarsi sulle ghiacciate cime del Trentino e delle Dolomiti: il ricorso a valanghe di neve deliberatamente provocate da esplosivi allo scopo di seppellire gli eserciti nemici. Si stima che sul fronte italiano abbiano perso la vita tra i 60.000 e i 100.000 soldati travolti da valanghe provocate dal nemico, che riuscì così a sfruttare in modo implacabile l’innata crudeltà della natura. È merito di Robbie Morrison e Charlie Adlard, autori di questo Guerra Bianca, quello di aver riportato alla luce una pagina non sufficientemente approfondita dai libri di storia.

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Morrison (da non confondere col più illustre Grant) si è costruito una reputazione nel mercato inglese con le storie del personaggio di sua creazione Nikolai Dante, pubblicate sulla prestigiosa rivista 2000 AD; in Italia è stato pubblicato qualche suo lavoro sparso tra Marvel e DC e un non esaltante ciclo dell’Authority post – Mark Millar. Lo scrittore venne ispirato dalla visione di un documentario sulla Prima Guerra Mondiale e iniziò la stesura dello script proprio mentre si trovava in vacanza in Italia, a Frascati: il monumento dedicato ai caduti della Grande Guerra che si trova nei pressi del Belvedere della graziosa cittadina laziale gli suggerì i nomi dei protagonisti. A chiudere il cerchio di fortunate coincidenze arrivò la telefonata di Charlie Adlard, che stava sperimentando una nuova tecnica, a suo dire perfetta per un fumetto di ambientazione bellica, e chiese a Morrison se fosse interessato a collaborare con lui. Siamo alla fine degli anni’90 e Adlard non è ancora il disegnatore delle fortunatissima The Walking Dead; è appena uscito da un lungo ciclo di X-Files realizzato per la Topps, grande successo di vendite ma insoddisfacente dal punto di vista artistico. L’artista sente il bisogno di cercare nuove sfide e di addentrarsi in territori più autoriali, svincolati dalle scadenze di un impegno seriale. Come spiega a Morrison, sta sperimentando una nuova tecnica, una combinazione di carboncino e gesso su carta grigia, grazie alla quale riesce ad evocare l’atmosfera malinconica di un racconto di guerra. L’artista mette l’anima nella realizzazione del progetto e, allo scopo di avere il final cut, fonda con alcuni amici un collettivo per autoprodursi e lo chiama Les Cartoonistes Dangereux, richiamo francofono alla grande tradizione del fumetto europeo: l’opera che nasce dagli sforzi di Morrison e Adlard si rifà infatti ai classici del fumetto di guerra italiano e francese.

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Guerra Bianca ci racconta la storia di Pietro Acquasanta, italiano d’Istria di stanza nell’esercito austriaco che, dopo essere stato catturato dal nemico, si unisce alle truppe italiane pur di aver salva la vita. Siamo sull’altopiano Alighieri, Trentino, fronte italiano. Pietro conosce bene quelle valli perché è li che è nato e cresciuto, prima del trasferimento in Austria. Suo padre comandava una squadra di soccorso alpino e gli ha insegnato tutto sulle montagne, compresi i punti fragili… e come provocare delle valanghe. Abilità che gli torna utile quando se ne serve per salvare se stesso e i suoi commilitoni da un attacco al gas lanciato dagli austriaci. Il crudele Capitano Orsini coglie subito al balzo la nuova opportunità che gli si presenta e nomina Pietro caporale, mettendolo a capo di una pattuglia di ricognizione che dovrà individuare quei punti strategici dove sia possibile provocare valanghe allo scopo di distruggere l’esercito nemico. La Morte Bianca, come recita il titolo originale dell’opera.

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Se lo scopo di Guerra Bianca era dimostrare la crudeltà e la futilità della guerra di ogni epoca, l’obiettivo è stato centrato pienamente. Le tavole ammantate di bianco e griglio di Charlie Adlard trasformano le valli del Trentino da regno di avventure di ragazzo in cupi scenari di morte. Il griglio delle uniformi e delle maschere a gas fanno da triste contraltare al bianco sporco della neve, simbolo di un’innocenza perduta che non si può più recuperare. Come perduta per sempre è l’innocenza di Pietro Acquasanta, che le circostanze hanno portato a diventare assassino, “portatore di morte bianca”, ruolo per il quale non può evitare di provare una vergogna profonda. Non c’è nulla di epico in questa guerra, a dispetto della maestosità dello scenario: solo le miserie degli esseri umani che si trucidano l’un l’altro nell’inferno delle trincee, lo squallore degli ospedali da campo dove ci si chiede se sia meglio curare i mutilati o dargli il colpo di grazia, la possibilità di aprire il proprio cuore offerta dal fugace incontro con una prostituta in un bordello. C’è anche tanta pietas e compassione nell’ispirato script di Robbie Morrison, che fa dissolvere in un istante il secolo che ci separa dalle vicende di Pietro Acquasanta e dei suoi commilitoni. Che rivivono purtroppo in tutti gli scenari di guerra di cui ci arrivano le tristi immagini quotidianamente, a cominciare dalla Siria.

Imperium

La Valiant Comics è una bella realtà del fumetto statunitense, valida alternativa al classico duopolio Marvel/DC. Fondata nel 1989 da Jim Shooter, vulcanico ex redattore capo della Marvel all’indomani dal suo licenziamento dalla guida della Casa delle Idee, la Valiant ha conosciuto il suo periodo di maggior successo nella prima metà degli anni ’90, periodo d’oro per il mercato americano in cui, sull’onda del successo della Image degli enfant prodige Todd McFarlane, Jim Lee, Rob Liefeld e soci, il debutto di un nuovo consorzio editoriale era all’ordine del giorno. X-0 Manowar, Bloodshot, Turok, Shadowman, Ninjak, Harbinger, Archer & Armstrong, sono solo alcuni dei titoli che hanno brillato della luce di un momento prima di essere inceneriti dalla grande bolla speculativa che ha investito come una supernova il mercato del fumetto nella metà di quel decennio. Dopo aver visto la chiusura di tutta la sua linea editoriale, la Valiant ha provato per quasi venti anni a rimettersi in carreggiata, e dopo un paio di passi falsi ha finalmente centrato il bersaglio con il rilancio del 2012.

Passata attraverso due cambi di proprietà, la travagliata casa editrice ha beneficiato dell’eccellente lavoro del nuovo staff editoriale, che ha saputo radunare un gruppo assortito di ottimi e sottovalutati artigiani del fumetto come Christos Gage, Fred Van Lente, Clayton Henry, Roberto De La Torre, Trevor Haisine ed alcune eccellenze del settore come Jeff Lemire, Peter Milligan e Paolo Rivera. Il risultato è stato molto apprezzato sia dai lettori che dalla critica, tanto da far guadagnare all’editore ben 50 nomination agli Harvey Awards del 2016. Oltre ad infondere nuova linfa vitale alle sue testate storiche, la Valiant ha saputo anche lanciare sul mercato alcune novità decisamente interessanti. È il caso di Imperium, firmata da Joshua Dysart per i testi e Doug Braithwaite per i disegni.

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La serie è il sequel della classica Harbinger, testata che vedeva tra i protagonisti Toyo Harada, filantropo e capo della Fondazione Harbinger. Harada è uno psiota, termine che nell’universo Valiant indica gli individui dotati di super-poteri: è un potente telecineta, telepate e può controllare le menti. Convinto che il mondo stia andando alla deriva per la cupidigia degli stati nazionali e per le sempre crescenti disparità sociali, Harada decide di gettare la maschera e di intervenire direttamente sulla scena politica e militare internazionale: se finora si era servito dei suoi Harbingers per agire nell’ombra, il milionario decide di rivelare al mondo la sua natura di essere potenziato e di perseguire con ogni mezzo, anche sanguinario, la sua visione di un mondo unito dove il benessere sia alla portata di tutti.
Grazie ad un flashforward iniziale sappiamo che nel futuro questa utopia si è realizzata: ma il cammino per Harada non sarà privo di ostacoli, morte e tradimenti.

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Imperium si domanda cosa accadrebbe se i superumani esistessero nel mondo reale. La risposta, sul solco di illustri predecessori come Miracleman, Watchmen e The Authority, è semplice: cambierebbero drasticamente la storia del mondo e il destino dell’umanità. Non provando alcun interesse a descrivere una comunità di individui potenziati che passano le giornate a inseguirsi in sterili caroselli, Joshua Dysart propone un intrigante mix di fumetto supereroistico, thriller geo-politico e horror fantascientifico. Lo script dello sceneggiatore di Violent Messiahs è un avvincente tour de force tra salti nel futuro, campi di battaglia, e complotti orditi dietro le quinte, che riesce allo stesso tempo a non trascurare la caratterizzazione psicologica dei personaggi. Esempio emblematico è Toyo Harada, personaggio shakespeariano considerato un benefattore da alcuni, un terrorista da altri.

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I disegni del veterano Dougie Braithwaite fanno da compendio perfetto allo script di Dysart, conferendogli solennità e spessore: una prova importante, seconda solo a quella sfoderata sul Justice della DC, valorizzata anche dai colori dell’ottimo team formato da Brian Reber, Dave McCaig e Ulises Areola. L’edizione italiana è proposta dalla Star Comics in un bel brossurato che si segnala per un ottimo rapporto qualità - prezzo. Un debutto solido e degno di considerazione, che testimonia la maturità ormai raggiunta dalle testate Valiant.

Moon Knight 1: Lunatico

Jeff Lemire è senza dubbio una delle rivelazioni del comicdom degli ultimi anni. Fattosi notare con l’intimista Essex County, si è costruito una reputazione in casa DC Comics dove ha scritto apprezzate run di Animal Man, Green Arrow e Justice League Dark, senza disdegnare il fumetto indie con il grande successo di Descender per la Image. Il passo verso un contratto in esclusiva con la Marvel è stato breve, e la Casa delle Idee lo ha subito messo a lavorare su alcuni dei suoi progetti più attesi: l’ennesimo rilancio della saga mutante con Extraordinary X-Men. il sequel di Hawkeye dopo i fasti della serie di Matt Fraction, le avventure di un anziano Wolverine dislocato temporalmente nel nostro tempo in Old Man Logan e la nuova serie di Moon Knight. Dopo aver parzialmente fallito nel raccogliere l’eredità di Fraction sulle pagine di Occhio Di Falco, la versione di Lemire del Cavaliere della Luna era attesa al varco, considerando il fatto che gli echi dell’apprezzatissima versione di Warren Ellis e Declan Shalvey, datata 2014, non si erano ancora spenti.

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Nel ciclo di Ellis, i problemi di salute mentale di Moon Knight sono stati definitivamente chiariti: Marc Spector è realmente un agente del dio egizio Khonshu, che esiste e non è un parto della sua psiche malata, e sfrutta le sue ingenti risorse economiche per proteggere i “viaggiatori notturni” da criminali e psicopatici. Come poteva Lemire succedere al guru britannico della macchina da scrivere, che aveva fornito una delle versioni più apprezzate del personaggio? La ricetta dell’autore canadese è semplice: ribaltare completamente il tavolo da gioco, restando fedele allo stesso tempo al canone del personaggio. Il tipico concetto made in Marvel di supereroe con super-problemi viene qui portato alle estreme conseguenze, perché il super-problema è di natura psichiatrica. In apertura di volume vediamo infatti il buon Marc Spector risvegliarsi in un centro di igiene mentale, di cui è ospite suo malgrado. Folle tra i folli, la sua situazione ricorda quella di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo. Con la differenza che se quest’ultimo aveva solamente cercato una via di fuga ad un aaltrimenti inevitabile spedizione in Vietnam, Spector dubita di quello che si muove davanti ai suoi occhi e di quello che si agita nei suoi pensieri. Medici ed infermieri sostegno che la sua carriera come Moon Knight è frutto della sua psiche malata, così come le innumerevoli avventure dal lui vissute. Ma di notte, la voce di Khonshu chiama ancora a sé il suo figlio prediletto, per avvertirlo di una minaccia incombente. Riuscirà Marc Spector a distinguere la verità dalla pazzia, affrontando allo stesso tempo un’antica piaga che sta per abbattersi sulla città di New York?

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Narratore di rara finezza psicologica, Jeff Lemire mette la sua arte al servizio del più tormentato degli eroi Marvel, accompagnandoci in un labirinto di ambiguità e follia dal quale non sembra esistere salvezza. L’autore di Sweet Tooth eccelle nel costruire una situazione di straniamento dove niente è come sembra e tutto quello che pensavamo di sapere potrebbe rivelarsi sbagliato: le premesse alla base della mitologia di Moon Knight vengono prese e portate alle estreme conseguenze, consegnandoci così un eroe fragile che deve agire nonostante sia privato di ogni certezza.

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La discesa agli inferi di Marc Spector ordita da Lemire viene visualizzata con sbalorditivo talento visivo da Greg Smallwood, che con questo lavoro lascerà probabilmente lo status di “promessa” per  quello di  “rivelazione dell’anno”. Una crescita esponenziale rispetto ai primi lavori su testate antologiche come A+X, che lascia di stucco per la padronanza dello storytelling e la versatilità del tratto, sporco nelle sequenze oniriche dove omaggia senza timori riverenziali l’immenso Bill Sienkiewicz (che proprio su Moon Knight si fece le ossa), mentre cesella tavole minuziosamente dettagliate nelle scene del sanatorio, dove sciorina una composizione della tavola classica e originale allo stesso tempo. Sicuro del proprio talento, Smallwood si concede anche una citazione dei Nighthawks di Edward Hopper, con la Tavola Calda che sembra emergere da una tempesta di sabbia come in un sogno. Completamento ideale al tratto dell’illustratore sono i colori di Jordie Bellaire, ormai certezza assoluta del settore, che con la sensibilità unica della sua palette conferisce stati d’animo diversi a seconda del momento, con colori più slavati all’interno del manicomio e caldi nelle scene d’azione, apporto cromatico fondamentale in una storia in cui il colore si fa paesaggio dell’anima.

Il team creativo riesce nell’intento di allontanarsi dai cliché della classica ed abusata storia di supereroi, costruendo un thriller psicologico che ricorda classici del genere come Il Corridoio della Paura e L’Esercito delle 12 Scimmie. Un debutto solido ed intenso che fa ben sperare per il prosieguo della serie e fa attendere l'uscita del secondo volume con una certa impazienza.

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