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Marvel Omnibus: Namor

Se siete lettori di fumetti americani cresciuti negli anni ’80 e ’90, ben pochi nomi potranno provocare in voi nostalgici ricordi di ore di letture avvincenti come quello di John Byrne. L’autore, inglese di nascita ma cresciuto in Canada, ha attraversato da assoluto protagonista quel decennio chiave in cui il fumetto americano è diventato adulto, scrivendone pagine indimenticabili: dagli inizi, sul finire degli anni ’70, come jolly sui titoli più disparati della Marvel (Avengers, Iron Fist, Star-Lord, Marvel Team-Up, Champions), fino alla consacrazione con il seminale ciclo di Uncanny X-Men in coppia con Chris Claremont che ha cambiato la storia del fumetto seriale a stelle e strisce; il debutto come autore completo con la lunga ed eccezionale run, durata ben cinque anni, di Fantastic Four, giustamente considerata la versione definitiva del Quartetto dopo quella di Stan Lee e Jack Kirby; la rottura con la Marvel a seguito di un violento alterco con l’allora editor-in-chief Jim Shooter e il passaggio alla DC Comics, dove aggiorna il mito di Superman per l’era moderna depurandolo dalle ingenuità tipicamente Silver Age. Se i lavori dell’amico e contemporaneo Frank Miller bruciano di ardore innovatore e rivoluzionario, l’approccio di Byrne al mezzo è del tutto antitetico ed è ben sintetizzato nel motto back to the basics (ritorno alle origini) che aveva caratterizzato la sua gestione del Favoloso Quartetto, cioè il recupero degli elementi classici e dei caratteri originali dei personaggi per proiettarli poi in una nuova era. I lavori più riusciti di John Byrne sono in apparenza dei splendidi fumetti d’avventura, fra le cui pieghe l’autore inserisce sottilmente elementi di grande novità, come lo spessore inedito conferito ai personaggi femminili. Il ciclo di Fantastic Four è un’ode a Susan Storm, a cui Byrne modifica il nome da Invisible Girl a Invisible Woman, segnando il passaggio da “fidanzatina del capo” dei tempi di Lee & Kirby a quello di consapevole donna, madre ed eroina della sua straordinaria gestione.

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E poi i disegni. Parlare di John Byrne significa parlare, molto semplicemente, di fumetti belli da guardare, di anatomie scolpite ma dinamiche, di un tratto che coniuga potenza e grazia, di forme atletiche ma fluide e sinuose allo stesso tempo, di eroi carismatici e di eroine di cui è impossibile non innamorarsi. Big John è uno dei primi autori intorno al quale si crea uno zoccolo duro di fan che acquista tutto quello che lui produce, che si tratti di Superman o degli eroi disfunzionali e problematici di Alpha Flight, supergruppo canadese che annovera tra le sue fila il velocista Northstar, il primo eroe dichiaratamente gay della storia del fumetto e la sorella gemella Aurora, schizofrenica dalla doppia personalità, pudica fanciulla nella sua identità borghese, sensuale e dissoluta nei suoi panni da eroina. Pur in un contesto classico, Byrne continuerà ad infarcire i suoi lavori di elementi di rottura, soprattutto nel secondo periodo in Marvel dopo il ritorno dal suo “esilio” alla DC, dal 1988 in poi. È il periodo di Sensational She-Hulk, dove la protagonista, che sa di essere la star di un fumetto, parla direttamente col lettore e si lamenta del trattamento riservatole dall’autore (anticipando di qualche anno quello "sfondamento della quarta parete" che è alla base del successo di Deadpool), e di Avengers West Coast, dove il fumettista canadese per primo ci mostra una Scarlet Witch fuori controllo e in preda alla follia, idea che verrà ripresa quasi un ventennio dopo da Brian Micheal Bendis e che sarà alla base del ciclo di Avengers Disassembled e delle trame della Marvel del primo decennio degli anni 2000. È in questo felice periodo della produzione di Byrne che trova posto Namor The Sub-Mariner, serie del 1990 dedicata all’eroe anfibio della Marvel, di cui Panini Comics ripropone i primi 18 episodi in un prezioso Omnibus.

Namor, sovrano mezzosangue di Atlantide nato dalla fantasia di Bill Everett, è il primo supereroe pubblicato dalla Marvel a partire dal 1939, quando la casa editrice si chiamava ancora Timely Comics. Viene presentato inizialmente come una minaccia affrontata dall’altro eroe della casa editrice, la Torcia Umana originale, Jim Hammond. A seguito dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, anche Namor si arruola per il fronte e, insieme agli eroi della Timely, affronterà le forze dell’Asse. Dopo essere caduto nel dimenticatoio per tutti gli anni ’50, il personaggio viene ripescato da Stan Lee & Jack Kirby come antagonista dei Fantastici Quattro, che fermano più volte i suoi tentativi di invasione, da lui giustificati come risposta all’inquinamento degli oceani perpetrato dagli abitanti di superficie. Da quel momento sarà un comprimario ricorrente della serie del Quartetto di cui diventerà un alleato, innamorandosi della bella Susan Storm. Quando Byrne si mette al lavoro su Namor, quest’ultimo è un personaggio quasi dimenticato: le ultime storie degne di nota sono quelle illustrate da Gene Colan negli anni ’60 e le successive miniserie a lui dedicate nel corso degli anni non hanno lasciato il segno. Ma sono gli anni in cui l’autore inglese trasforma in oro tutto ciò che tocca e Namor non fa eccezione. A Byrne basta un numero per dare una spiegazione al comportamento impulsivo e rissoso del personaggio: è causato da uno squilibrio biologico dovuto alla sua doppia natura, umana e atlantidea allo stesso tempo. Dopo essere tornato in possesso delle sue facoltà, e constatato lo stato d’inquinamento in cui versano ormai gli oceani, Namor decide di investire le ricchezze trovate nella carcassa di un veliero rilevando una compagnia in bancarotta e trasformandola in una nuova azienda con la difesa dell'ambiente come core business, la Oracle Inc. Nel giro di poche pagine l’autore regala al personaggio un setting  e una “missione” completamente nuova: Atlantide non appare praticamente mai e Namor, novello uomo d’affari, si districa in giacca e cravatta tra le insidie della borsa. Da ricordare che ci troviamo negli anni successivi a Wall Street di Oliver Stone, il cui protagonista senza scrupoli, Gordon Gekko, ha pesantemente segnato l’immaginario degli anni ’80.

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Altrettanto spietati sono i villain che Byrne introduce nella serie, i crudeli gemelli Desmond e Phoebe Marrs, legati da un rapporto perverso e incestuoso che l’autore si limita solo a suggerire. I due faranno di tutto per mettere i bastoni tra le ruote all’ex sovrano di Atlantide, ma non saranno le uniche minacce che Namor dovrà affrontare: si va da Headhunter, la cacciatrice di teste di Wall Street, geniale e neanche troppo velata critica al capitalismo finanziario, al recupero di classici villain come Griffin e il Super-Skrull. Byrne realizza una serie divertente e la infarcisce di colpi di scena e di sottotrame accennate che poi esplodono nei numeri successivi, divertendosi a giocare col pantheon dell’Universo Marvel di cui è un profondo conoscitore: ecco apparire in rapida sequenza Fantastici Quattro, Iron Man, Capitan America, Thor, la Torcia Umana originale, Misty Knight & Colleen Wing, le Figlie del Drago, Iron Fist (ma sarà davvero lui?), il Punitore, Ka-Zar, Shanna e tanti altri.

La sequenza di storie che farà la gioia dei vecchi fan è quella che vede Namor tornare a Berlino dopo tanti anni per affrontare la perversa eredità del Reich rappresentata da Master Man e Warrior Woman: ne scaturirà l’occasione per una reunion degli Invasori, la squadra formata ai tempi della guerra dall’eroe anfibio, Cap e la Torcia originale, qui raggiunti anche da Spitfire e dal nuovo Union Jack, in quello che è un sentito omaggio dell’autore alle storie classiche degli Invaders di Roy Thomas e Frank Robbins. L’azione si sussegue senza un attimo di tregua e, pur condita da qualche ingenuità del tempo, la sceneggiatura dell’autore canadese sfrutta le 22 pagine concesse da ogni albo per infarcirle di eventi, diversamente (e non ci dispiace) dallo stile decompresso dei fumetti di oggi.

Dal punto di vista dei disegni, qui ci troviamo di fronte ad uno dei picchi del Byrne artista. Nonostante abbia sempre inserito Jack Kirby nel suo pantheon di riferimento, il tratto del penciler sembra appartenere più al lignaggio di un Alex Raymond, la cui aristocrazia un po’ ingessata viene scossa da un dinamismo alla Neal Adams. Namor è scolpito e possente come un vero nuotatore, le figure femminili, come sempre in Byrne, sono sensuali e rubano l’occhio, si veda la cugina Namorita, vero e proprio sidekick del Principe Vendicativo. Menzione d’onore per il personaggio di Phoebe Marrs, la cui figura sensuale esprime allo stesso tempo perversione e fragilità, crudeltà e dolcezza. La serie si segnalò all’epoca per l’uso innovativo del duo-shade: era una tecnica grazie alla quale l’artista disegnava e inchiostrava direttamente su cartoncino Bristol, trattato poi con un agente chimico che rilasciava sul disegno linee e punti d’ombra, a formare un piacevole effetto di chiaroscuro. Byrne utilizzò la duo-shade per questa serie e per O.M.A.C. alla DC, salvo abbandonarla con l’avvento della colorazione digitale. La resa finale mantiene comunque un certo fascino ancora oggi.

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Unica pecca da trovare ad un volume dalla qualità eccellente è la decisione dell’editore di troncare la sequenza di storie col numero 18, lasciando così insoluti i misteri del ritorno di Lady Dorma e del destino di Danny Rand, Iron Fist: la speranza è che i numeri conclusivi della run di Byrne, metà dei quali disegnati da un allora debuttante Jae Lee, possano trovare spazio in un eventuale, secondo volume.

Namor The Sub-Mariner è una serie che proporrà ai nuovi lettori una visione classica e moderna allo stesso tempo del Marvel Universe e farà conoscere loro un autore leggendario di cui forse avranno sentito parlare. Per i vecchi lettori sarà una passeggiata sul viale dei ricordi che emergeranno con forza dal fondale della memoria. Ci sono cose, nella vita e nei fumetti, che passano, altre che restano. L’epoca d’oro della Marvel di John Byrne certamente resterà.

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Marvel Omnibus: Power Man & Iron Fist

Gli anni ’70 vengono ricordati come una decade di grande vitalità e sperimentazione nella storia della Marvel. Dopo essere esplosa come fenomeno di costume nel decennio precedente, è in questi anni che la casa editrice di Park Avenue South consolida la sua posizione predominante sul mercato, aggiungendo al suo già nutrito parco testate nuovi titoli che cavalcano lo spirito del tempo. Sempre attenta a nuove mode e tendenze, la Marvel attraversa gli impetuosi anni ’70 come un riff di chitarra selvaggio, lanciando nuove proposte che riflettono gli stimoli della cultura popolare dell’epoca. I film horror della Hammer Films riscuotevano successo? Ecco arrivare sugli scaffali delle fumetterie Tomb Of Dracula e Werewolf By Night. Shaft e Foxy Brown erano gli alfieri della blaxploitation? Ecco arrivare l’eroe di Harlem, Luke Cage, Power Man. E se il successo dei film con Bruce Lee e del telefilm Kung Fu con David Carradine aveva fatto esplodere nel paese la moda delle arti marziali, la Marvel rispondeva con Shang-Chi, Master of Kung Fu e Iron Fist, The Living Weapon.

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Le testate di Luke Cage, Hero for Hire, e di Iron Fist in particolare conoscono un buon successo di vendite fino alla seconda metà degli anni ’70, grazie alla qualità dei team creativi che vi si alternano e per le atmosfere inusuali rispetto alle altre collane Marvel del periodo. Le storie di Cage, ambientate tra bassifondi e gang di strada, vengono realizzate da autori come Archie Goodwin, George Tuska, Steve Englehart, Don McGregor e Billy Graham, con un design del personaggio curato nientemeno che da John Romita Sr.; le vicende di Danny Rand, alias Pugno d’Acciaio, sospese tra New York e la mistica città di K’un-Lun, debuttano grazie alle firme prestigiose di Roy Thomas e Gil Kane, prima di essere affidate ad una coppia che di li a poco farà la storia del fumetto americano grazie ad un epocale ciclo di Uncanny X-Men, Chris Claremont e John Byrne. Ma sul finire del decennio sia il genere blaxploitation che quello delle arti marziali cominciano a segnare il passo, cominciando un rapido declino. Il primo a farne le spese è Iron Fist, la cui testata viene chiusa nonostante l’ottimo ciclo di Claremont & Byrne; nel momento in cui anche le vendite della serie di Cage, ribattezzato nel frattempo Power Man, cominciano a scricchiolare, la Marvel tenta una mossa a sorpresa nel tentativo di salvarla dal dimenticatoio. I numeri 48 e 49 vengono eccezionalmente affidati proprio alla premiata ditta Claremont & Byrne, che ne approfittano per affiancare all’Eroe Nero quel Pugno d’Acciaio orfano ormai di una serie personale. Dal numero 50 la testata cambia nome in Power Man & Iron Fist, e la scommessa di abbinare due eroi in declino per tentare un disperato rilancio viene subito vinta, dando vita ad una serie ancora oggi considerata di culto, tanto da meritare di essere ospitata nella linea Marvel Omnibus di Panini Comics.

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Il volume si apre con le storie sopra citate, a firma Claremont & Byrne, che servono a far incontrare per la prima volta i due personaggi: il pretesto è il rapimento di Misty Knight, compagna di Iron Fist, da parte di un Cage tenuto in scacco dal bieco Bushmaster, che minaccia altrimenti di fare uccidere le due persone più care della sua vita, la fidanzata Claire Temple e l’amico Professor Burnstein. Dopo un’inevitabile scontro, i due eroi si uniranno per sconfiggere il losco criminale. Iron Fist, nella sua identità civile di Danny Rand, fornirà inoltre a Cage l’assistenza del suo scaltro legale, Jeryn Hogarth, per essere scagionato da un’ingiusta accusa di omicidio che lo perseguitava fin dalla sua prima apparizione. È l’inizio di una imprevedibile e profonda amicizia, che porterà due eroi e due uomini molto diversi tra loro a diventare soci nell’agenzia Eroi in vendita.

Dieci anni prima che lo sceneggiatore Shane Black e il regista Richard Donner ci presentassero con gli agenti Riggs e Murtaugh di Arma Letale l’esempio più riuscito di buddy movie, Luke Cage e Danny Rand erano già li a calcare le strade. Come brillantemente sottolineato da Aurelio Pausini nell’introduzione al volume, fu illuminata la scelta di abbinare due personaggi apparentemente agli antipodi, ma accomunati in realtà da un passato doloroso. Il ricco ereditiere Danny Rand poteva condurre la sua crociata contro il crimine nei panni di Iron Fist senza alcuna preoccupazione di carattere economico ma aveva visto perire i genitori da piccolo nella spedizione verso la città incantata di K’un-Lun; Luke Cage poteva farsi strada nella vita grazie alla sua forza ma portava il peso di un’infanzia difficile nel ghetto e l’onta di una ingiusta carcerazione. Danny imparerà a conoscere grazie a Luke la dignità del lavoro e le difficoltà della vita delle persone normali; al contrario l’irruento Cage imparerà da Danny l’importanza della disciplina. Amicizia, rispetto, valori, esempio: argomenti importanti per un semplice fumetto di supereroi.
Anche se dobbiamo a Chris Claremont la felice intuizione di aver messo in società Power Man e Iron Fist, è a Mary Jo Duffy, efficace scrittrice ed editor dimenticata della Marvel degli anni ’70 e ’80 che va il plauso per aver confezionato, nei tre anni della sua gestione, una serie scanzonata ma attenta alla caratterizzazione dei personaggi, dove azione e ironia vanno di pari passo con un riuscito approfondimento psicologico, pur con tutte le ingenuità dell’epoca.

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Il comparto grafico del volume è nobilitato dalla presenza di John Byrne che da sola ne giustifica l’acquisto. Le pagine dell’artista canadese blandiscono la pupilla del lettore oggi come ieri, grazie ad un dinamismo e una composizione della tavola che sono pura espressione del Marvel Style di quegli anni. Dopo un lieve calo dovuto alla presenza di un Mike Zeck ancora agli inizi della carriera e a un non troppo ispirato Lee Elias, la qualità dei disegni si risolleva grazie a Trevor Von Eeden e al sicuro mestiere di Kerry Gammill, ottimo artigiano ormai dimenticato.

Marvel Omnibus: Power Man & Iron Fist è una piacevole lettura estiva, consigliata sia per nuovi lettori impazienti di conoscere i protagonisti dei prossimi due serial Marvel/Netflix, sia per vecchi lettori desiderosi di fare una passeggiata sul viale dei ricordi della Marvel che fu.

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Jim Lee consegna a Frank Miller il suo Eisner Award

  • Pubblicato in News

Un Frank Miller sorridente e sempre più segnato nel fisico ha ricevuto, nel suo studio a New York, da Jim Lee un Eisner Award che sancisse il suo ingresso nella Eisner Hall of Fame, classe 2015. Sui rispettivi profili Twitter sia Miller che Lee hanno diffuso una foto della consegna del prestigioso riconoscimento.

Stessa sorte è toccata anche ad un altro influente artista inglese, John Byrne, il quale però ha scoperto di essere stato ammesso nella Hall of Fame senza particolari annunci o consegne a domicilio, ma sul proprio forum. Ha così commentato Byrne "stavo guardando gli altri nomi degli artisti introdotti nella Hall of Fame. Mi trovo in buona compagnia".

(Via Bleedingcool)

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Avengers Omnibus: Il destino di Miss Marvel

Potrà sembrare strano ai lettori di comics di oggi, abituati a vedere le loro città tappezzate dai manifesti delle produzioni cinematografiche Marvel come Avengers: Age of Ultron, ma c’è stato un tempo, in Italia, in cui gli eroi della Casa delle Idee erano scomparsi dalle edicole italiane e le suddette produzioni milionarie, a cui oggi siamo abituati, erano relegate ai sogni febbricitanti di legioni di fan sconfortati e col lutto al braccio. Nel 1984 l’Editoriale Corno, la storica casa editrice milanese che nel 1970 aveva portato stabilmente i personaggi creati da Stan Lee nel nostro Paese, cessò improvvisamente le pubblicazioni. Un anno dopo la Labor Comics, meteora del panorama editoriale italiano, tentò un revival con uno sfortunato antologico durato due numeri, Marvel. Poi il nulla. Bisognerà attendere il 1987, anno in cui la neonata Star Comics, piccola e intraprendente casa editrice di Perugia, riporta nelle edicole italiane L’Uomo Ragno, dedicandogli la sua quarta serie italiana dopo le tre pubblicate dalla Corno. Dopo un inizio incerto, le vendite migliorano e la Star riporta nelle edicole gli altri personaggi del cosmo Marvel: I Fantastici Quattro, Hulk, gli X-Men, Devil (con i mirabili cicli, rispettivamente, di Chris Claremont/John Byrne e Frank Miller). Nel 1989, finalmente, la Star restituisce ai lettori italiani gli amati Vendicatori con il leggendario Speciale Vendicatori: Il destino di Miss Marvel.

Il lungo preambolo era necessario per sottolineare l’importanza di queste storie, che Panini Comics ripropone in un corposo Omnibus, nelle vicende editoriali dei supereroi Marvel in Italia. Il volume si può dividere fondamentalmente in due blocchi: le ultime storie pubblicate dalla Corno, illustrate principalmente da Byrne, e quelle immediatamente successive, disegnate da George Pérez, che oltre a raccontarci la triste vicenda di Carol Danvers/Miss Marvel vedono l’esordio di Taskmaster e il ritorno di Ultron. Parliamo in ogni caso di classici assoluti, di storie leggendarie che occupano un posto speciale della storia degli Avengers.
Nel primo blocco di storie i Vendicatori si trovano ad affrontare minacce differenti: la più subdola è rappresentata dalle ingerenze del governo nelle attività del gruppo, per mano dell’agente governativo Gyrich, che tenterà anche di imporre una sua personale formazione. Segue la fondamentale saga de Le Notti di Wundagore, imperniata sul viaggio di Quicksilver e Scarlet Witch nell’Europa dell’ Est alle ricerca delle loro origini: ma quando la donna sarà posseduta dal demone Chton, toccherà ai suoi compagni Avengers accorrere in  suo aiuto.

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La seconda parte dell’Omnibus ospita la storia che da il titolo al volume, una delle più controverse nei 75 anni di vita della Marvel, imperniata sullo strano caso di Carol Danvers, Miss Marvel, e della sua misteriosa gravidanza. La donna si ritrova improvvisamente incinta e, dopo una gravidanza durata poche ore, partorisce un bambino che nel volgere di pochi istanti cresce fino all’età adulta. L’uomo si rivela essere Marcus, figlio di Immortus, viaggiatore temporale e nemico storico della squadra, che rivela di aver rapito Miss Marvel e di averla trasportata nella dimensione del Limbo, di cui l’uomo era prigioniero; una volta resa la donna inconsapevole di quanto stava accadendo, aveva messo la donna incinta, trasferendo la coscienza nel feto. In sostanza, quindi, Marcus è figlio di sé stesso. Dopo aver sventato un dissesto spazio – temporale provocato dalle azioni dell’uomo, i Vendicatori acconsentono con una certa superficialità alla decisione di Carol, che nel frattempo dichiara di essersi affezionata a Marcus, di seguire il suo rapitore nel Limbo. La storia, all’epoca della pubblicazione, sollevò un polverone: il personaggio di Miss Marvel veniva infatti trattato come un oggetto sessuale, lasciato alla mercé del suo violentatore dai suoi compagni Vendicatori, i quali sembravano mostrare addirittura un certo compiacimento per l’improvvisa gravidanza. Una delle reazioni più sdegnate fu quella di Claremont, al tempo sceneggiatore della collana personale di Miss Marvel, che mise alla berlina il comportamento inverosimile del resto degli Avengers. Non molto tempo dopo arrivarono le scuse ufficiali di Jim Shooter, editor in chief della Marvel e uno dei co-sceneggiatori della storia, che diede la colpa ai troppi rimaneggiamenti subiti dallo script, definendo il risultato finale “un gran pasticcio”. Chris Claremont scriverà poi una bellissima storia “riparatrice” in Avengers Annual 10, con la quale si chiude il volume, in cui Miss Marvel affronterà con condivisibile durezza i suoi ormai ex compagni Avengers.

Ai testi, oltre ai già citati Shooter e Claremont, troviamo veri e propri numi tutelari della Marvel fine anni 70 – primi anni 80: David Michelinie (al timone del maggior numero di storie), Tom DeFalco, Mark Gruenwald, Steven Grant, Bill Mantlo e Roger Stern. Il gran numero di sceneggiatori all’opera non pregiudica però il risultato finale, che rimane comunque omogeneo. Svetta nel gruppo Michelinie, ai testi del classico Avengers 181, con l’ingresso di Falcon nel team a seguito della decisione governativa di introdurre nel team un membro appartenente ad una minoranza etnica: lo scrittore introduce così nel cosmo Marvel il concetto di pari opportunità, tematica più che mai attuale anche ai nostri giorni.
Michelinie riceve poi un valido assist ai testi da Gruenwald e Grant per il mini ciclo de Le Notti di Wundagore: sotto-trama costruita sapientemente nei numeri precedenti che esplode con la decisione di Scarlet Witch e Quicksilver di recarsi in Europa alla scoperta del loro passato. La saga stabilisce le origini definitive dei due gemelli mutanti, almeno finora: dopo il loro ingresso nell’universo cinematografico Marvel avvenuto in Avengers: Age of Ultron, le vicende di Wanda e Pietro Maximoff verranno modificate anche nei fumetti per rendere i personaggi più simili alle loro controparti fumettistiche. I testi di Michelinie sono lontani anni luce dai cervellotici intrecci dell’attuale gestione Hickman: ciò nonostante lo scrittore riesce a muoversi abilmente tra momenti di introspezione e grandiose scene d’azione, garantendo al lettore un intrattenimento popolare ma di ottimo livello.

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Come per i testi, anche il reparto artistico vede l’avvicendarsi di un folto numero di artisti: il contributo più significativo viene comunque fornito da John Byrne e George Pérez, all’epoca giovani promesse ma già avviati sul cammino che li porterà a diventare due tra le maggiori star del fumetto americano anni ’80. Byrne sforna già tavole di una bellezza estetica sublime, che non temono il confronto con quelle che lo stesso disegnatore canadese realizzerà da li a breve per Uncanny X-Men. Memorabile lo scontro con Crusher Creel sul fiume Hudson, con scene di gruppo perfettamente coreografate, come memorabile è tutta la sequenza del monte Wundagore, con la possessione di Scarlet e lo scontro con Chton e Mordred: uno dei migliori esempi di  Marvel Style del periodo. Le fattezze del suo Capitan America sono prese a prestito dalla più grande star cinematografica dell’epoca, Robert Redford; la sua Miss Marvel è una strepitosa Farrah Fawcett in maschera. Sebbene le matite di Byrne trovino nelle chine di Dan Green un buon completamento, è da segnalare l’apporto di Klaus Janson in due storie: il pennino del grande inchiostratore di Daredevil e The Dark Knight Returns conferisce fascino ombroso alle energiche matite del disegnatore, dando luogo ad un inedito e piacevole connubio artistico che purtroppo non avrà seguito. Lo stesso discorso fatto per Byrne si può applicare a Pérez: le tavole dell’artista portoricano sono forse più acerbe, ma dietro alcune incertezze già si intravede il grande illustratore di Crisis on Infinite Earths.

Le storie vengono presentate da Panini Comics in uno splendido Omnibus con la consueta cura editoriale; la sovracoperta ripropone l’iconica cover di Avengers #200 di George Pérez, scelta a suo tempo dalla Star per il suo mitico Speciale Vendicatori, che susciterà nei lettori di vecchia data più di un brivido di nostalgia.
Un volume imperdibile per scoprire, o riscoprire, i primi passi di due giganti del fumetto americano in storie che occupano un posto speciale nella saga pluridecennale dei Vendicatori.

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