Logo
Stampa questa pagina

Speciale Batman '89: Parte IV - Un ricordo personale

Speciale Batman '89: Parte IV - Un ricordo personale

Parte I - Parte II - Parte III

Tornare con la mente all’uscita italiana del Batman di Tim Burton, avvenuta il 20 ottobre del 1989, significa riportare indietro le lancette della memoria a un’epoca spensierata, tipica dei ragazzini che stanno per affacciarsi all’età adulta senza sapere che quel tempo, che prima non passava mai, presto avrebbe cominciato a correre in maniera inesorabile, senza poter mai più tornare indietro. Nel mio caso, significa ripensare alla mia bellissima città natale, che oggi vive un degrado insopportabile a causa degli interessi sudici di una ristretta cerchia di individui inqualificabili che ne hanno corrotto l’anima. Ironia della sorte, per un fan di Batman come me, Roma sta prendendo giorno dopo giorno le sembianze della Gotham City descritta da Todd Phillips nel bellissimo e recente Joker, un cazzotto nello stomaco al perbenismo e al conformismo di una cinematografia contemporanea stagnante che ha ricevuto elogi e critiche in egual misura. Ma nel 1989 non era così.

All’epoca, Roma era una città che sentivo definire “provinciale” nei discorsi degli adulti, ancora raccolta nella sua anima profondamente popolare. Nel mio quartiere, era possibile incontrare tanto i divi della tv della vicina Rai quanto le famiglie formate da nonni e nipotini che scorrazzavano per le strade e i giardinetti pubblici. Con i miei amici dell’epoca, sfruttavamo la libertà che la fiducia dei nostri genitori e l’anagrafe ormai ci concedevano, girando per il quartiere come la Legione degli Strilloni o la Gang di Yancy Street dei fumetti di Jack Kirby. In un’epoca in cui la felicità non era chiudersi in casa a giocare con la console, citofonare a un amico per fare un giro di palazzo era il nostro divertimento. Calpestavamo i marciapiedi delle nostre strade con la gioia di poter vivere la nostra gioventù insieme. In quegli anni di prime uscite tra ragazzi, il cinema era la meta più gettonata. Rigorosamente al primo spettacolo, si intende, e a casa per le 18. Roma poteva vantare una rete di sale cinematografiche sterminata e di grande fascino. Erano quasi tutte risalenti all’epoca del boom economico, gli anni in cui i cinema erano talmente affollati che spesso ci si ritrovava a guardare il film in piedi. Quelle sale erano le vestigia di un tempo mitico e ormai andato, ed esercitavano su di noi un grande fascino. Sale da 1000-1500 posti a sedere come il mitico Adriano, dove i Beatles si erano esibiti nel lontano 1965. O l’Etoile, il Metropolitan, salotti incastonati in antichi palazzi del centro come il Capranica… Il solo entrare in questi cinema era un’esperienza, tra drappi rossi, sedili di velluto, pomi d’ottone e palchetti in galleria, le mie postazioni preferite. Ti poteva capitare di vedere Robocop o Gli Intoccabili in un teatro in cui, nei primi decenni del secolo, si erano esibiti fior d’attori. Negli anni a venire, la maggior parte di queste sale prestigiose sarebbero state chiuse e, grazie al trucchetto del “cambio di destinazione d’uso”, trasformate in boutique d’alta moda o, addirittura, parcheggi, sale bingo, banche e supermercati. Uno stupro del tessuto urbano e sociale della città, compiuto tra l’indifferenza e la miopia delle varie amministrazioni comunali che si sono succedute da allora.

DarkKnightReturnsFinal 1024x1024

A casa mia l’amore per il cinema è sempre stata una questione di famiglia, trasmessa da mio nonno che ci raccontava della grande emozione, vissuta alla fine della guerra, di vedere arrivare tutti insieme i grandi film americani bloccati per anni dal regime. Ma in materia di cinema, mio zio era il mio mentore. La sua stanza, piena di libri sui grandi registi della Hollywood degli anni d’oro come Alfred Hitchcock, biografie di attori e dizionari illustrati sui generi cinematografici, era per me il paese dei balocchi. Fu proprio lui a mettermi al corrente, intorno al 1988, che in America si stava girando un grande film ispirato ai fumetti di Batman. In quegli anni, i fumetti di supereroi in Italia stavano vivendo una rinascita, dopo anni di oblio. Il fallimento dell'Editoriale Corno nel 1984, che per quasi tre lustri aveva pubblicato i fumetti Marvel nel nostro paese, aveva gettato i lettori di comics dell’epoca nello sconforto, compreso il sottoscritto. Per placare la sete di fumetti di supereroi, in anni in cui internet non esisteva, si cercavano arretrati nelle librerie che trattavano materiale usato, si mendicavano le rese delle edicole o si acquistavano albi in lingua originale, che mettevano a dura prova una ancora stentata conoscenza dell’inglese, nelle primissime fumetterie delle grandi città. Poi, improvvisamente, un nuovo inizio. Dopo un effimero tentativo della Labor Comics, nel 1987 la Star Comics di Perugia si assunse l’onere e l’onore di riportare i supereroi americani nelle edicole nostrane, a partire dall’Uomo Ragno. Gli anni di assenza dal nostro paese avevano prodotto un notevole gap temporale tra le storie proposte da noi e quelle in corso di pubblicazione in USA, così in Italia nel 1987 si leggevano storie di fine anni ’70 – primi anni ’80. Ma era materiale destinato a lasciare il segno sulla nostra generazione. In un sol colpo, arrivarono cicli leggendari e memorabili come gli X-Men di Chris Claremont e John Byrne e il Daredevil di Frank Miller. Noi che avevamo scoperto i supereroi da bambini con gli ultimi vagiti della Corno, eravamo ormai degli adolescenti ammaliati dalla bellezza dei disegni di Byrne, dalle trame labirintiche di Claremont, dai noir urbani di Miller. Col cuore a pezzi eravamo testimoni del sacrificio di Jean Grey sulla luna, e della morte di Elektra in una strada sudicia, assassinata da Bullseye. Eravamo diventati adulti.

E Batman? Rispetto alla Marvel, la DC ha sempre avuto una storia editoriale travagliata in Italia. Avevo scoperto il Cavaliere Oscuro da piccolo, negli albi di formato ridotto delle Edizioni Cenisio, il licenziatario italiano per i personaggi DC tra gli anni ’70 e i primi anni ’80. Erano storie disegnate da Jim Aparo, un artista sottovalutato che ha dedicato quasi tutta la carriera al personaggio, riprendendone il look atletico imposto da Neal Adams pochi anni prima. Mi piacevano in particolare le storie tratte dalla testata USA The Brave and the Bold, dove di numero in numero Batman era protagonista di gustosi team-up con gli altri personaggi DC. Erano storie più semplici di quelle Marvel che, anche ad un bambino della mia età, sembravano più moderne e al passo con i tempi. Però Batman aveva un fascino che nessun altro personaggio aveva. In particolare, empatizzavo con lui per via delle sue dolorose origini. Essendo molto legato ai miei genitori, soffrivo terribilmente all’idea di poterli perdere in modo violento. Anche per questo provavo un senso di straniamento davanti alle repliche della celeberrima serie tv che durante gli anni della mia infanzia impazzavano sulle reti tv private: cosa c’era tanto da ridere? Quest’uomo aveva avuto la vita rovinata da un dramma personale. Ero affascinato dalla sua figura di vendicatore notturno, quasi soprannaturale, avvolto nel suo mantello. Un regalo molto gradito, all’epoca, fu un volume con una miscellanea di storie di Batman dalle origini fino agli anni ’70. Potei così fare conoscenza con i grandi autori del personaggio di quel periodo come Denny O’Neil, Neal Adams, Frank Robbins e Irv Novick. Come la Corno, anzi prima della Corno, anche la Cenisio fallì e i personaggi DC furono risucchiati dallo stesso limbo di quelli Marvel. Ma a differenza di questi, avrebbero dovuto aspettare più tempo per tornare nelle edicole italiane. Di Batman e Superman non ebbi notizie per anni.

Un giorno, leggendo le note di un albo Star Comics, venni a sapere che il prestigioso editore Rizzoli aveva già da mesi acquistato i diritti dei due principali personaggi DC per pubblicarli sulla sua rivista antologica di fumetti d’autore Corto Maltese. In particolare, era in corso di pubblicazione la rivoluzionaria Batman: The Dark Knight Returns di cui avevo tanto sentito parlare nei redazionali degli albi dei vari editori, realizzato da quel Frank Miller che tanto apprezzavo su Daredevil. Tra i due lavori erano passati svariati anni, e senza internet a darmi conforto con le immagini, cercavo di immaginare la versione milleriana del Cavaliere Oscuro. Chiesi una copia di Corto Maltese al mio edicolante. Quella che mi ritrovai per le mani era una bellissima rivista patinata, di grande formato, dal taglio autoriale. Mi trovai davanti a lavori di nomi prestigiosi che col tempo avrei imparato ad apprezzare: Hugo Pratt, Milo Manara, Sergio Toppi, Andrea Pazienza, Dino Battaglia tra gli altri. In allegato, al centro della rivista, un inserto di piccolo formato con le avventure di Superman firmate dal John Byrne che avevo adorato su X-Men e di cui leggevo ogni mese gli splendidi Fantastici Quattro. In appendice, era serializzato uno strano fumetto che non capivo appieno perché ne avevo perso l’inizio, come uno che entra in sala a film iniziato: si chiamava Watchmen. Ma di Batman nessuna traccia. Compresi in seguito che la Rizzoli aveva impiegato addirittura un anno e mezzo per pubblicare i quattro capitoli di Dark Knight Returns. Si trattava del piatto forte della rivista e l’editore voleva diluirlo il più possibile.

364e1178-0454-4850-8620-329b61a241f8

Un giorno d’estate del 1989, recandomi in edicola ad acquistare un quotidiano, mi trovai davanti ad un’immagine che mi lasciò a bocca aperta. Alle spalle dell’edicolante, tra riviste di viaggi e di critica letteraria come Millelibri, campeggiava in bella vista il numero del mese di Corto Maltese. Il frontespizio recitava: “Batman – La caduta del Cavaliere Oscuro”. In copertina un Batman appesantito, in là con gli anni, in sella ad un destriero nero come Clint Eastwood in un western di Sergio Leone, sembrava arringare una folla. Feci immediatamente mia la rivista. All’interno, era ospitato l’ultimo capitolo de Il Ritorno del Cavaliere Oscuro. Niente avrebbe potuto prepararmi ai livelli di epicità fuori scala di cui quelle pagine erano impregnate. Questo non era il Batman delle mie letture infantili. Era migliore. Era tutto quello che il personaggio conteneva in nuce, ma elevato all’ennesima potenza. Un Batman invecchiato ed imbolsito che ritorna da un ritiro durato 10 anni, disgustato dalla deriva di una Gotham degradata e violenta, che si ritrova a dichiarare guerra all’ordine precostituito e al governo stesso. Fu leggendo quelle pagine che capii che i comics erano cresciuti con me, e che ero testimone della loro era più splendente. Era bello essere un lettore di fumetti americani nell’estate del 1989. Sembrava un’estate come tante della mia gioventù, trascorse nella casa al mare di famiglia. Estati che sembravano infinite, passate a scorrazzare in bicicletta con gli amici o a frequentare le sale giochi come i ragazzini di Stranger Things.

I mesi estivi di quell’anno, però, li ricordo per l’attesa spasmodica dell’uscita italiana di Batman, prevista per il 20 ottobre. Ricordo le prime foto del film, uscite sul numero di agosto della rivista di cinema Ciak, che mi fecero andare in visibilio. Una sera in cui avevo fatto tardi guardando una puntata del “Costanzo Show”, scoprii per puro caso che dopo la trasmissione venivano trasmessi i trailer dei film in uscita nella nuova stagione. E il primo della sequenza era proprio quello di Batman. L’attacco del filmato era da restare secchi: il Cavaliere Oscuro, alla guida del Batwing, girava intorno ad una torre dallo stile assurdamente gotico per poi gettarsi all’attacco del Joker. C’erano Jack Nicholson, Michael Keaton e Kim Basinger in tutto lo splendore della sua giovinezza. La Batmobile aveva un design da urlo. Era il mondo dei miei sogni di lettore che diventava realtà, dark e cupo come l’umore e l’irrequietezza dei tredicenni che eravamo. Inutile dire che, dopo quella sera, il rito notturno estivo fu quello di aspettare quel trailer che veniva replicato tutte le notti intorno all’una. D’altronde, per Youtube e le sue infinite visualizzazioni avremmo dovuto aspettare ancora molti anni. L'estate del 1989 fu scandita dal ritmo della Batdance di Prince, il cui strepitoso concept album Batman era presenza fissa nello stereo dell'automobile di mio padre, per la sua disperazione. Ricordo l'irresistibile video, in cui il folletto di Minneapolis sembrava divertirsi un mondo, lanciato in anteprima a Deejay Television dal nuovo conduttore della versione estiva della trasmissione, un certo Fiorello.

ce419504-7fc0-4e8e-ac8a-ead103647bdb

Intanto, una dilagante Bat-Mania impazzava per il pianeta. Era impossibile non incontrare qualcuno per strada che non esibisse il bat-logo su una maglietta, una felpa, un cappellino. E ancora tazze, zaini scolastici, diari, quaderni e gadget di qualsiasi tipo. Questo sfruttamento intensivo del merchandising, che oggi costituisce la norma, nasce proprio nel 1989 con Batman. La prima volta che vidi il manifesto del film su un cartellone pubblicitario di dimensioni giganti non potevo credere ai miei occhi. Oggi i supereroi fanno ormai parte della cultura popolare, ma all'epoca avevano compiuto solo sporadiche sortite fuori dal confine angusto dei loro albi in quadricromia. Adesso, davanti ai miei occhi, cominciavano ad invadere il mondo reale. Ricordo uno speciale televisivo, condotto da Red Ronnie e dal compianto Bonvi, in cui vennero mostrate in anteprima sequenze del film alternate ad immagini di Dark Knight, Killing Joke e altri classici del canone batmaniano. I fumetti sbarcavano in televisione, per la prima volta dai tempi di Supergulp, ma venivano trattati con un taglio adulto.

E poi, all’improvviso, arrivò l'autunno e quel 20 ottobre, il giorno della prima di Batman. Mio zio, che condivideva la mia stessa emozione, si offrì di accompagnarmi. Non molto tempo fa, ricordando quel giorno, mi disse che fu in quell'occasione che diventammo più di uno zio e di un nipote: diventammo amici. Fu proprio così. L’anno prima avevamo visto insieme anche Beetlejuice, il nostro primo incontro con l’arte visionaria di Tim Burton, un tipo che stava al cinema degli anni ’80 come la malinconia degli Smiths di Morrissey e la gioiosa tristezza dei Cure di Robert Smith stavano alla musica sguaiata dello stesso decennio. Ricordo l’arrivo al cinema Cola Di Rienzo, la sala del mio quartiere che proiettava il film. Le due vetrine ai lati dell’ingresso principale contenevano una locandina ciascuna del film, con due enormi bat-loghi. Non potevo essere più emozionato. Ci accomodammo in sala e la luce si spense.

e12cf796-2148-47cc-8d2b-cc3afc875e10

La fanfara di Danny Elfman si preparava subito ad avvolgerci, mentre il logo della Warner Bros si dissolveva. Subito dopo la telecamera iniziava una discesa verso un labirinto oscuro che, alla fine, si scopriva essere il segno di Batman. Come negli ipnotici titoli di testa de La donna che visse due volte di Alfred Hitchcok, Burton ci accompagnava per mano in un mondo onirico. In questo caso, la Gotham City immaginata da lui e dal compianto scenografo Anton Furst, un gioiello di design gotico che fornì il set indispensabile allo scontro tra Batman e il Joker. La scelta di Keaton nel ruolo principale aveva suscitato molte polemiche in patria, ma io ne apprezzai subito l'interpretazione volutamente sotto le righe, anche se finì per farsi rubare la scena dallo straripante Jack Nicholson. Il film era tutto quello che avevo sperato che fosse. Ne amavo ogni aspetto, l'ambientazione fuori dal tempo voluta da Burton soprattutto. Aveva un look da noir anni '40 per quanto riguardava i vestiti, ma i gadget tecnologici di Batman sembravano venire da un futuro possibile. La Gotham City di Furst, poi, era un'opera d'arte indimenticabile, una sintesi conflittuale di stili diversi che richiamava l'espressionismo tedesco e capolavori come Metropolis. Ancora oggi, il film rimane un’esperienza visivamente immersiva ed insuperata. Molti fanno notare la mancanza di coerenza di alcuni punti della sceneggiatura, dovuti soprattutto alle molte riscritture che vennero fatte da diverse mani durante le riprese. Mi sento di dire che nel caso del Batman di Burton, la cosa riveste un’importanza relativa. Perché il Joker sceglie un piano di fuga elaborato come farsi prelevare da un elicottero in cima ad una cattedrale alta centinaia di metri, quando potrebbe semplicemente darsela a gambe per le strade di Gotham? Perché questo dà l’occasione al regista di costruire un inseguimento mozzafiato per le scale del campanile, citando volutamente tra l’altro proprio La donna che visse due volte di Alfred Hitchcok. La sospensione dell’incredulità viaggia di pari passo con la magia del cinema.

La partitura di Danny Elfman per il film divenne iconica, al pari di quella scritta da John Williams per il Superman di Richard Donner. Ancora oggi penso che sia uno dei migliori spartiti mai scritti per il cinema e che sia uno scandalo che non abbia vinto l'Oscar, come successo invece per le incredibili scenografie di Furst. Nei giorni successivi alla visione del film acquistai una copia della colonna sonora strumentale di Elfman, come avevo fatto un paio di mesi prima per l'album di Prince. Inserivo nel mio walkman tanto il Batman Theme di uno quanto The Future e Vicki Waiting dell'altro e me ne andavo in giro per le strade del quartiere illuminate da vecchi lampioni dalla luce soffusa immaginando di essere a Gotham.
Quel pomeriggio del 20 ottobre 1989 uscii dal cinema Cola di Rienzo felicissimo per aver visto il film che tanto avevo desiderato, ma anche triste perché sapevo già che difficilmente avrei assistito, negli anni successivi, a un progetto epocale come quello. Perché Batman è stato il film che ha dato prestigio e rispetto al genere degli adattamenti cinematografici dei fumetti, sconfiggendo i pregiudizi e la diffidenza che avevano confinato il genere al triste settore dei b-movies, preparando allo stesso tempo la strada ai cinecomic moderni. Fu qualcosa che all’epoca non si era mai visto prima. La visione artistica di Tim Burton, Anton Furst e degli altri creativi coinvolti ci ha regalato un’opera in cui ci si addentra rimanendone avvolti e catturati, oggi come ieri.

1a412098-61ed-4819-a5a6-9b6f206f742c
 
Quando rivedo il film riprovo le stesse emozioni di quel pomeriggio di trent’anni fa, anche se intorno a me è tutto cambiato. Come un Bruce Wayne legato alla sua Gotham, o un Matt Murdock alla sua Hell’s Kitchen, ogni tanto torno a passeggiare nel quartiere dove sono nato e cresciuto, arrivando fino alla sua arteria principale, in cui una volta c’era un cinema col suo stesso nome. Da qualche anno il Cola Di Rienzo non c’è più, e una sala bingo ha preso il suo posto. Quando ci passo davanti, non posso fare a meno di ripensare all’emozione di quel giorno, e di rivedere tutto com’era. Mi vedo ancora entrare in sala, per immergermi nel mondo dei miei sogni. In un certo senso, non ne sono mai più uscito.

Comicus.it © 2000-2021. Tutti i diritti riservati.