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Steve Jobs: la mela e il bastone

Un lontanissimo giorno di un remotissimo passato un uomo, o forse meglio un animale più simile ad uno scimpanzé che a un uomo, raccolse un legno, un ramo di un albero e lo usò come un bastone, per difendersi e per attaccare. Quel giorno, un uomo per la prima volta interpretava ed elaborava la Natura, alterando il significato e la funzione di un suo elemento a proprio vantaggio, per rispondere a un suo bisogno. Era nata la tecnologia.
Da quel momento e per sempre, uomini speciali, singolari e geniali avrebbero raccolto quell'eredità e inventato strumenti e macchine meravigliose o terrificanti.
Un filo invisibile lega quel bastone a una mela, la mela di Apple, la mela di Steve Jobs, ancora un altro suo membro in cui l'umanità ha voluto esprimersi in tutto il suo vigore e la sua energia creativa.

Per questo motivo il mondo è triste e più povero, perché Steve Jobs non c'è più, sconfitto alla fine di una lotta estrema, interminabile, da un male che lo affliggeva da tempo e che non gli ha dato scampo.
Tutto il mondo lo ha ricordato e gli ha reso omaggio perché se ne andato un grande, in ogni senso, e diventa difficile, impossibile dire ancora qualcosa che non sia già stato detto. Libri, biografie autorizzate e meno lo raccontano da anni, editoriali, interviste ad amici e nemici, pezzi di archivio si susseguono da giorni su tutti i media. Eppure si continua a scrivere, per continuare a rendergli omaggio, tributargli riconoscenza e Cus non vuole isolarsi dal coro.

Si sono consumate metafore, paragoni d'ogni sorta e soprattutto iperboli, per descriverlo, fino a definirlo il “Cristo del Computer”, il messia della modernità e del futuro che si fa presente.
Ma Jobs era ben diverso dalla figura umile e amorevole di Gesù di Nazareth, o meglio era capace anche di grande dolcezza e sensibilità come e soprattutto di sfacciata arroganza, presunzione e cinica praticità.
Era un lavoratore instancabile, che pretendeva dai suoi collaboratori e dipendenti la sua stessa maniacale dedizione. Sapeva encomiare per un ottimo lavoro oppure umiliare per un'inezia. Non aveva sfumature il suo modo di essere, la perfezione o il nulla. Lo ha testimoniato tutta la vita, con trionfi e cadute rovinose, successi e sconfitte amarissime.
Perché oltre alla genialità, il fondatore della Apple ha conquistato tutti anche con la sua vita rocambolesca, a partire dall'adozione, la mancata laurea, la filosofia hippy, il primo laboratorio nel garage di casa, la prima società con l'altrettanto geniale Steve Wozniak e la nascita del primo personal computer alla fine degli anni '70. Da quel momento ancora grandi traguardi e fallimenti, il licenziamento dalla compagnia da lui fondata, la scommessa e l'ennesima intuizione geniale fatta  con l'acquisto della Pixar e l'inizio digitale e 3D dell'animazione, il ritorno alla Apple e i nuovi successi, fino ai nostri giorni.

Il suo carisma indiscutibile e il suo successo presso ogni tipo di pubblico, anche il meno avvezzo all'informatica e alla tecnologia, sono dovuti in gran misura proprio a questo, alla capacità di farsi dal nulla, di incarnare davvero il sogno americano, di sapersi rialzare sempre e di non darsi mai per finito.
La sua umanità era vera, carnale, fatta di elementi spigolosi, scomodi, a volte antipatici, da intelligenza impareggiabile e da un intuito quasi animale per il successo, uniti a una sensibilità sottile; Jobs era capace di licenziare un suo tecnico perché non gli era piaciuto il colore del nuovo prototipo al vaglio oppure di catturare e commuovere un platea per nulla facile come quella dell'indimenticabile discorso ai neo-laureati di Stanford del 2005.
Perché Jobs non era solo un uomo di scienza, era un artista, i suoi prodotti non potevano essere solo funzionali, efficienti, dovevano essere eleganti, seducenti.   
L'arte e la scienza, l'estro e la razionalità sono i due grandi principi antitetici e irriducibili tra cui l'uomo è sospeso e diviso, quando questi due poli si mescolano, scambiano, combinano, nasce il genio. E allora l'uomo non si accontenta di un bastone appuntito per colpire, il bastone diventa lancia affusolata, borchiata, intarsiata, in una ricerca di perfezione senza fine. Questo è stata la vita di Steve Jobs.

È stato capace di anticipare sempre i tempi, indovinare i gusti e i bisogni della gente, trasformare oggetti ovvi in straordinari, dare loro un nuovo scopo o ridefinirne completamente la funzione, ma senza venire mai meno allo stile,  al suo significato estetico e filosofico, creando sempre qualcosa di rivoluzionario. Indiscrezioni di questi giorni, per esempio, parlano di una futura sfida legata alla televisione per la Apple, lo sviluppo di un'idea di Jobs intorno a una TV che unisca tutte le qualità dei prodotti di Cupertino, Internet e le sue applicazioni di punta, ancora una volta un mezzo e una tecnologia mai visti prima, generati rielaborando l'essenza di altri strumenti e dando vita a qualcosa di completamento innovativo.

Proprio nel citato discorso di Stanford disse: “We can’t connect the dots looking forward, we can only connect them looking backwards” (“Non possiamo unire in puntini guardando avanti, possiamo solo farlo guardando indietro”). Non possiamo dunque prevedere, avere già un'idea degli sviluppi futuri di ciò che stiamo facendo nel presente, sapere a cosa porteranno i nostri propositi e le nostre scelte,  possiamo solo collegare quei punti voltandoci indietro, capire cioè cosa abbiamo realizzato solo molto tempo dopo aver portato a termine ciò che ci eravamo prefissati, ma è inevitabile farlo, scegliere liberamente e appassionarci in ciò che faremo; questa è la sfida e l'augurio per ogni uomo, perché chiunque voltandosi alla fine della sua corsa possa essere orgoglioso nel vedere e comprendere a pieno cosa sia riuscito a costruire e possa assistere goduto nel vedere altri usufruirne.

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