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Deadpool & Wolverine, recensione: un buddy movie quasi perfetto immerso nella nostalgia

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Molta acqua è passata sotto i ponti tra Deadpool & Wolverine e la precedente avventura cinematografica del mercenario chiacchierone interpretato da Ryan Reynolds. Nel secondo capitolo della saga, datato 2018, Wade Wilson viaggiava ancora a vele spiegate sotto il vessillo della 20th Century Fox e con lui tutto il catalogo di personaggi Marvel appartenenti al "sottobosco" mutante. I motivi della "diaspora" cinematografica ultra ventennale degli X-Men e i personaggi ad essi collegati dal resto del Marvel Cinematic Universe sono cosa ben nota e non ci torneremo sopra in questa recensione. L'acquisizione della Fox da parte della Disney nel 2019 apre le porte a una serie di conseguenze per lungo tempo inimmaginabili tra cui quella più desiderata dai fan: il "ritorno a casa" dei mutanti Marvel che ora possono finalmente confluire nel MCU e riunirsi, come accade da sempre negli albi a fumetti, con Avengers e soci. In realtà questa reunion non si mette in moto immediatamente: tra pandemie, false ripartenze e una serie di flop del MCU impensabili fino ad Avengers: Endgame, i mutanti cominciano a fare capolino solo adesso nell'Universo Cinematografico Marvel, prima con l'acclamatissima serie animata X-Men '97 e ora proprio con Deadpool & Wolverine.

Le vicende aziendali sopra raccontate sono un piatto succulento per la verve meta-narrariva strabordante di Deadpool, personaggio di un cinecomic che sa di essere un personaggio dei cinecomic, e che è cosciente di avere l'occasione irripetibile della sua vita, fornitagli dal mellifluo Paradox. Questo subdolo agente della Time Variance Authority (ente che gli spettatori di Loki conoscono bene) propone a Wade l'upgrade della sua vita: lasciare il moribondo universo Fox prossimo alla fine per diventare icona e colonna del Marvel Cinematic Universe. Ma Wade è un mercenario con il cuore grande, e in un tripudio di violenza a metà tra cartoon e Tarantino (con buona pace di chi temeva che il passaggio alla Disney potesse "ammorbidire" le vicende cinematografiche di Deadpool) rifiuterà l'offerta per cercare di salvare i suoi amici (tra cui l'amata Vanessa) e il suo mondo condannato all'oblio. E chi (tentare di) coinvolgere nell'impresa se non Wolverine, il mutante più amato? E visto che il Logan del suo mondo è morto nell'omonimo film del 2017, Wade dovrà perlustrare il Multiverso per trovare una "variante" dell'irsuto canadese disposto ad aiutarlo.

Deadpool Wolverine 1

Non vogliamo aggiungere altro al racconto della trama di Deadpool & Wolverine, limitandoci al racconto di quanto già visto nei trailer e nel materiale promozionale uscito in questi mesi. Meglio non rischiare di spoilerare il gran numero di sorprese presenti nel film, tra camei e omaggi a cinecomic del passato e alla storia fumettistica di Logan, alcuni davvero inaspettati, che manderanno in un brodo di giuggiole gli spettatori "iniziati".
Queste apparizioni sono il piatto forte del film: alcune annunciate, altre inattese e sorprendenti (vorremmo dirvi quelle che ci hanno fatto sobbalzare sulla poltrona ma ovviamente non possiamo)... e altre lungamente suggerite e molto attese che invece non sono presenti nel film, rivelandosi parte di un'abile strategie di marketing e null'altro. Camei che non sono da derubricare a semplice "fan service", termine spesso usato in modo dispregiativo da chi dimentica che questi film vengono fatti essenzialmente per i fan.

Deadpool Wolverine 2

Vecchi lettori di fumetti o spettatori "millennial" che sono invecchiati da quel primo X-Men del 2000 targato Fox e dagli altri film Marvel prodotti da questo studio, e Deadpool & Wolverine, tra azione, sangue, battute irriverenti e gite nel Multiverso, racconta anche e soprattutto di questo. Invecchiando si diventa malinconici, e attraverso l'inserimento di hit musicali dell'epoca (e ritorni clamorosi) il film strizza l'occhio a chi in fondo ha amato quelle pellicole Fox che nei primi anni del secolo hanno avuto il merito di rilanciare con una visione moderna (seppure con qualche inciampo) il genere degli adattamenti cinematografici dei comics, anticipando la nascita dei Marvel Studios. Ed è evidente l'affetto che proprio il demiurgo del MCU, Kevin Feige, prova per l'era Fox (dove iniziò la sua carriera come giovane assistente produttore di X-Men), tributando un giusto omaggio a quelle pellicole prima che spariscano nel "vuoto" in cui si svolge il secondo e terzo atto del film. Una metafora, sempre per restare in ambito meta-narrativo, della natura consumistica della cultura pop di massa, dove tutto si divora velocemente e i resti vengono gettati via quando non vengono più considerati utili.

Ma se la dimensione "meta" è l'aspetto che più la contraddistingue, Deadpool & Wolverine è comunque una pellicola ben diretta e ben interpretata, caratterizzata da una chimica straordinaria tra i due protagonisti. Ha fatto bene Ryan Reynolds a "corteggiare" per anni Hugh Jackman (cosa che non manca di sottolineare in più di una scena), convincendolo a tornare nei panni di Wolverine. Un personaggio che interpretata da 24 anni (record assoluto), e di cui riesce a cogliere ancora sfumature inespresse in precedenza. E che goduria vederlo finalmente nel costume iconico del mutante canadese! Il nero post-Matrix non è più di moda ed i tempi sono ormai maturi per lo "yellow spandex" deriso nella pellicola del 2000. Ryan Reynolds snocciola battute irriverenti a mitraglietta, all'insegna di un sano "politicamente scorretto". I due insieme fanno fuoco e fiamme e tutto fa pensare che li rivedremo insieme.

Deadpool Wolverine 3

Due parole vanno spese per la brava Emma Corrin, che presta le sue sembianze a una Cassandra Nova minacciosa e inquietante come la sua controparte cartacea creata da Grant Morrison. Un'ottima prova dell'attrice britannica, vera sorpresa del film. Shawn Levy, esperto di commedie, ha buon gioco nel dirigere le tante scene esilaranti del film, ma riesce a trovare la giusta sintesi con i momenti drammatici confermandosi come un ottimo artigiano della macchina cinematografica statunitense.

Se proprio bisogna trovare un difetto a Deadpool & Wolverine, "buddy movie" quasi perfetto, è la sua natura di pellicola che guarda molto al passato del genere "cinecomic", mentre ci saremmo aspettati novità importanti per il futuro del MCU (come suggerito in più occasioni da Feige stesso).
Dovremo aspettare ancora per capire se l'avventura di Wade e Logan avrà conseguenze nel grande (e un po' tormentato) arazzo della Saga del Multiverso attualmente in corso nei prodotti targati Marvel Studios.

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Zagor 703-708, Supermike! recensione: il ritorno dello Spirito Giallo

zagor supermike

Supermike nasce come avversario di Zagor nel 1975, in una storia raccontata sui numeri di Zenith Gigante dal 173 al 176. I fan dello Spirito con la scure sono soliti considerare quell’avventura come una delle ultime appartenenti alla cosiddetta Golden Age del personaggio, un periodo che viene generalmente fatto partire con l’albo intitolato Angoscia! del luglio del 1972 - dove compare per la prima volta il vampiro Bela Rakosi - e terminare con il numero 189, L'orrenda magia, in cui il papà di Zagor Guido Nolitta, alias Sergio Bonelli, coadiuvato ai disegni da Gallieno Ferri – il creatore grafico del Re di Darkwood - e Franco Donatelli (con il contributo occasionale di Franco Bignotti), fece fare alle storie quel salto di qualità che trasformò il personaggio in uno dei più popolari del fumetto italiano.
La versione ufficiale, così come viene anche riportata da Moreno Burattini nel video di presentazione del ritorno di Supermike, vuole che l’idea per questo singolare villain fosse venuta a Nolitta per contrapporre a Zagor un antagonista con doti fisiche e intellettuali tali da metterlo realmente in difficoltà, in modo da rispondere ai tanti lettori che trovavano l’invincibilità dello Spirito con la scure – pure quando messo di fronte a robot giganti, stregoni immortali e mostri di ogni tipo - piuttosto inverosimile. Ciononostante, considerando che l’arrivo di Supermike coincise con il periodo di massima diffusione dei supereroi americani nelle edicole italiane, diversi commentatori – e noi tra questi – hanno sempre intravisto nel personaggio una sorta di bonaria presa in giro di Spider-Man e compagnia. Non fosse altro che per lo sgargiante costume giallo esibito dal Nostro una volta decisosi a sfidare il protagonista della serie e per il nome molto “sopra le righe” con cui, da quel momento in poi, ha cominciato a farsi chiamare. Due scelte sicuramente in linea con l’indole spocchiosa e megalomane di Mike Gordon (l’identità “civile” di Supermike), la quale, però, a ben vedere, è essa stessa una conferma delle reali intenzioni di Nolitta.

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A ogni modo, qualunque fosse la motivazione, siamo abbastanza certi che il creatore di Mister No non si aspettasse che il personaggio riuscisse a rivaleggiare in popolarità con Hellingen o con altri iconici nemici dello Spirito con la scure, tanto che, per come viene portato avanti lo scontro con quest’ultimo, sembrò a tutti davvero difficile che la loro strada potesse tornare a incrociarsi. Solo il compianto Alfredo Castelli ebbe l’ardire di immaginare il rientro in scena di Supermike, ma la controversa storia che ne seguì (pubblicata nel 1984 su quattro albi, a partire dal numero 277 di Zenith Gigante, con Ferri di nuovo alle matite), mai apprezzata dagli zagoriani duri e puri per le incongruenze e i vari punti irrisolti che la caratterizzarono, dimostrò ancora una volta quanto fosse complicato utilizzare in maniera credibile un character come Mike Gordon. 
Eppure, negli anni, le richieste dei lettori di rivedere lo Spirito Giallo (l’epiteto con cui le tribù di Darkwood identificano Supermike) sono diventate incessanti, tanto da convincere Burattini, da molto tempo curatore editoriale di Zagor e uno dei suoi principali sceneggiatori, a fare in modo che i due rivali tornassero a sfidarsi in una serie di prove di destrezza, forza e resistenza, sulla falsariga di quelle raccontate da Nolitta e Ferri. Inoltre, con lo scopo di accrescere ulteriormente il clamore verso un evento così atteso, non solo si è deciso di pubblicarlo in occasione del quarantesimo anniversario dell’avventura firmata da Castelli e l’artista genovese, ma il buon Moreno ha addirittura annunciato che lui e il disegnatore Marco Verni (incaricato di realizzare tutti i capitoli della nuova storia) avrebbero tentato di superare il record di Incubi, la saga ideata da Tiziano Sclavi nel 1988, famosa per essere la più lunga, come numero di pagine, dedicata allo Spirito con la scure. L’intenzione dei due autori, in verità, era già nota da tempo, cionondimeno, pur certi che, alla fine, l’obiettivo sarebbe stato raggiunto a noi come, crediamo, a gran parte dei lettori, è piaciuto stare al gioco. Benché, naturalmente, tutto sarebbe passato in secondo piano se la riapparizione di Supermike non si fosse dimostrata all’altezza delle aspettative. E in proposito, bisogna dire che, sebbene il compito più arduo sia apparentemente toccato al fumettista toscano, che ha dovuto architettare una motivazione plausibile per giustificare il ritorno del personaggio, pure Verni si è trovato ad affrontare un ostacolo assolutamente imprevedibile, l’alluvione che ha colpito Forlì, la sua città, nel maggio del 2023, che oltre a costringerlo a interrompere il lavoro per parecchi giorni, ha seriamente rischiato di fargli perdere una parte di quanto già disegnato fino a quel momento per questa storia.

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Tornando, però, al soggetto: senza nulla togliere alle varie e articolate ramificazioni della trama, che portano il racconto a essere meno banale di quello si potrebbe immaginare, esse sono tuttavia destinate, fin dall’inizio, a porre le basi per un “remake” della prima sfida tra Zagor e Supermike, la cui idea preliminare pare derivi da un suggerimento di Verni (egli stesso uno zagoriano di ferro e vero punto di riferimento della redazione di via Buonarroti quando occorre intercettare gli umori degli appassionati) e che, di fatto, a livello creativo, ha rappresentato l’unica strada percorribile per arrivare alla lunga avventura di questi ultimi mesi. Oltretutto, proprio Nolitta - probabilmente in maniera inconsapevole - aveva fornito un potenziale escamotage per il ritorno di Mike Gordon, che Burattini è stato abilissimo a sfruttare per rendere credibile l’intera vicenda. Per non dire, poi, del modo brillante con cui l’autore bonelliano è riuscito a ricucire la “continuity” del personaggio trovando, in particolare, una spiegazione per le stranezze e le contraddizioni della sceneggiatura di Castelli. L’aspetto maggiormente importante del lavoro di Burattini, però, è la facilità con la quale ha gestito le 518 pagine della storia. Non ci sono punti morti o “stiracchiature” che potrebbero far pensare a strategie per dilatare la narrazione il più possibile. Anzi, tolta qualche scenetta comica di alleggerimento, tutto il resto è funzionale a preparare la nuova sfida tra i due antagonisti, con una tensione realmente palpabile che cresce di capitolo in capitolo. Da notare, infine, come l’esito dello scontro si riveli, nell’epilogo, meno scontato del previsto. Un chiaro segnale da parte dello scrittore di non voler utilizzare l’effetto nostalgia fino in fondo, appiattendosi su una pedissequa replica della saga originale. Sempre ché – eventualità che non possiamo escludere, dato il tempo limitatissimo a disposizione di Verni per terminare le ultime tavole - la sceneggiatura, in extremis, non sia stata parzialmente rimaneggiata, proprio per scongiurare ritardi che avrebbero costretto la casa editrice milanese a soluzioni non in linea con la sua tradizionale affidabilità. L’unico appunto che, in effetti, ci sentiamo di rivolgere a Burattini è una certa frettolosità nel chiudere la vicenda, che contrasta in maniera abbastanza evidente con il “lungo respiro” della trama nel suo complesso e che si percepisce, a tratti, anche nei disegni del cartoonist forlivese, man mano che il racconto procede verso la sua conclusione. Una conseguenza peraltro inevitabile, visti i problemi causatigli dall’alluvione, ma che non oscura minimamente quella che può tranquillamente essere considerata una delle sue migliori prove sulla testata.

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Ferriano fino al midollo, Verni ha ormai reso il suo stile quasi indistinguibile da quello del maestro ligure, tanto da riuscire a ricreare nelle storie dello Spirito con la scure quell’atmosfera vintage così cara ai fan di lunga data. L’orgoglio con cui il fumettista romagnolo rivendica l’eredità artistica del suo mentore traspare in ogni vignetta e non lascerà indifferenti neppure i lettori più giovani, solitamente attratti da disegnatori con altre caratteristiche.
Lo stesso non si può dire per Alessandro Piccinelli, alle cui copertine vengono ancora riservati parecchi commenti negativi. Giudizi in maggioranza ingenerosi, a nostro avviso, benché dobbiamo ammettere che, a volte, non tutto funzioni a dovere. Se, infatti, per quanto riguarda la qualità degli sfondi e dei dettagli, o sulla scelta delle inquadrature, non ci sia praticamente nulla da contestare, il discorso cambia per le figure umane, i volti delle quali (e quello di Zagor in particolare) tendono a essere non di rado legnosi e poco espressivi. I personaggi in generale, poi, vengono di frequente rappresentati in pose eccessivamente “statuarie”, che fanno perdere all’immagine molta della sua intensità. Guardando proprio alla storia in esame, difficile affermare che le copertine delle prime cinque parti non siano di ottimo livello (soprattutto la prima, la terza e la quinta), a differenza della sesta, che, invece, non regge il confronto con quella de La settima prova, l’ultimo capitolo dell’avventura raccontata da Nolitta e Ferri, da sempre ritenuta una delle più drammatiche dell’intera serie.
Lo ripetiamo a scanso di equivoci, il valore di Piccinelli non si discute, e ci sono decine di tavole di Tex e Zagor a testimoniarlo, ma il tentativo del disegnatore comasco di trovare il giusto equilibrio tra innovazione e rimandi ferriani, di tanto in tanto va al di là delle sue capacità.

A leggere i commenti sui forum degli appassionati, tolte alcune “rumorose” voci dissonanti – che ci sono, inutile negarlo - il duo Burattini/Verni sembra aver raggiunto il proprio intento. Un risultato per nulla scontato, visto quanto il popolo degli zagoriani si sia rivelato esigente di recente (si vedano, per esempio, le pesanti critiche rivolte al settecentesimo numero della serie), che, tuttavia, non deve far credere agli autori di poter riposare sugli allori. I fumetti classici continuano a perdere terreno nelle (poche) edicole rimaste e senza l’impegno costante dimostrato finora dalla Bonelli, difficilmente lo Spirito con la scure riuscirà a conquistare i giovani lettori di oggi. Gli unici in grado di garantirgli di festeggiare in buona salute, tra poco più di un lustro, ben settant’anni di vita editoriale.

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