Dalla New York pixellata di Amazing Spider-Man alla Gotham di Cappuccio Rosso: intervista a Paolo Pantalena
- Scritto da Redazione Comicus
- Pubblicato in Interviste
- dimensione font riduci dimensione font aumenta la dimensione del font
- Stampa
Intervista a cura di Gennaro Costanzo e Giorgio Parma.
Durante il Palermo Comic Convention, abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Paolo Pantalena, artista italiano molto attivo sul versante dei comics americani, con tavole realizzate per editori come Marvel Comics, DC Comics, Aspen, Zenoscope e Top Cow. Tra i suoi lavori più recenti troviamo Deathstroke e Red Hood/Arsenal per la Distinta Concorrenza, serie a cui l'artista è molto legato, come emerge dalla nostra intervista, in cui abbiamo ripercorso un po' tutti i momenti salienti della carriera di Pantalena, fino ad approdare proprio al lavoro alla DC. Tra le immagini trovate anche la commission di Deathstroke a cui stava lavorando durante la manifestazione siciliana. Trovate anche la versione completa postata di recente su Instagram.
Qui trovate invece le interviste fatte a Lele Vianello e Artgerm.
Innanzitutto, benvenuto su Comicus!
Partiamo dalle origini: come ti sei avvicinato al mondo del fumetto e qual è stata la tua formazione artistica?
Mi sono avvicinato al mondo del fumetto mediante un vecchio gioco dell'Amiga, The Amazing Spider-Man, che mi ricordo che mi piacque molto, con una grafica molto fumettistica, e da lì cominciai a comprare i fumetti. Avevo 12-13 anni ed ebbi la fortuna di trovare, come primo acquisto, lo Spider-Man di Todd McFarlane, che era completamente diverso da tutti gli altri fumetti che avevo visto, perché, soprattutto quelli italiani, erano molto più classici. Ho iniziato a disegnare soprattutto perché mi piaceva il personaggio, quindi fantasticavo su queste storie, sul proseguo dell'avventura virtuale, che comunque era un gioco abbastanza complesso all'epoca. Piano piano ha preso piede questa cosa, e ho cercato sempre di migliorarmi attraverso i lavori di altre persone, all'epoca c'era Ron Frenz, un altro grande artista, e John Buscema, ho trovato anche un libro di Buscema How to Draw Comics the Marvel Way. Quindi ho fatto tutto da autodidatta. Il mio amore era per Spider-Man, anche se ho cominciato poi a interessarmi anche ad altri supereroi. C'era Ghost Rider anche, che era molto bello. C'era un periodo in cui nei Fantastici 4 c'era Wolverine, [Ghost Rider, Spider-Man e Hulk], disegnato da Arthur Adams, in cui dovevano sconfiggere l'Uomo Talpa nel sottosuolo. C'era Jim Lee sugli X-Men, c'era Whilce Portacio, c'erano cose graficamente bellissime, c'erano un sacco di autori che hanno spezzato quel ritmo classico. Poi c'è stato il boom dell'Image, che è uscito anche in Italia. C'era Spawn, Wildcats della Wildstorm, il primo approccio al colore virtuale, le splash page A4 fenomenali. I colori di Wildcats erano proprio diversi dalla colorazione piatta classica, e infatti poi la Marvel prese esempio. Gli anni '90 secondo me sono quelli che hanno catturato la maggior parte di noi, di me e dei miei colleghi.
Da lì ho iniziato, andando anche allo studio di Bruno Brindisi, perché sono di Salerno, ed era tutto diverso da quello che volevo fare io, e anche Bruno lo sapeva, ma per me comunque era una scuola dove potevo imparare diverse cose, ma anche solo l'approccio lavorativo, le scadenze, e Bruno era avanti, almeno una pagina al giorno la faceva, anche se lavorava per la Bonelli. Oppure 10 alla settimana. E questa è una cosa che mi ha formato. Anche il prendere qualcosa che puoi fare a casa come un lavoro. Anche se ormai il tempo manca sempre.
Il mio inizio è stato su Jonathan Steele, che ho fatto con Federico Memola per Star Comics, poi postavo le cose su DeviantArt e in quel periodo la Zenoscope aveva appena iniziato e l'editor della casa editrice mi chiese se ero interessato a fare dei numeri di Sinbad e accettai. Ho fatto due numeri e poi sono passato direttamente alla Marvel. Poi sono passato alla Aspen, poi ancora alla Zenoscope ma solo per copertine, e adesso con grande gioia siamo arrivati alla DC. Lo volevo da tempo, quello che vorrei fare è Batman.
Il tuo stile è iper-dettagliato. Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato maggiormente? Quanto devi ad artisti come Michael Turner, McFarlane e Marc Silvestri?
A dire il vero, Turner è uno dei pochi che mi ha influenzato di meno. Più Silvestri, Jim Lee. McFarlane tantissimo. Sinceramente non noto nessuna somiglianza con lo stile di Turner, i suoi corpi sono molto allungati, i miei sono diversi. La mia anatomia è diversa da quella di Turner. Lui faceva mani grandi, facce piccoline, occhi grandi e figure molto allungate, anche il seno era diverso. Molto sottili come donne, mentre le mie sono già più formose. Posso dirti che come stile il mio è un amalgama tra giapponese, tipo i concept art della CAPCOM - che praticamente hanno formato Joe Madureira, ma nessuno lo sa. Infatti se prendi i concept art di Street Fighter o Darkstalkers e li paragoni ai lavori di Madureira, già capisci da dove prendeva -. Jim Lee mi ha ispirato tantissimo, ma soprattutto McFarlane, che ancora adesso mi piace tantissimo.
Segui i video che ultimamente realizza McFarlane?
No perché non voglio rovinarmi il ricordo che ho, di quello che ho vissuto. Mi è capitato di conoscere autori che amavo e che poi non amo più. Ci sono alcuni che sono fantastici, con cui ho un bel rapporto di amicizia. Tipo Mahmud Asrar, una persona fantastica, con cui scherziamo e ci sentiamo tranquillamente.
Hai lavorato sia per Top Cow che Aspen, che per Marvel e DC. Qual è la differenza principale tra queste case editrici, dal punto di vista lavorativo?
Ovviamente, nel momento in cui ho lavorato per Aspen e Top Cow, ho avuto la possibilità di stare nello studio. Quindi i ragazzi della Aspen li conosco tutti, usciamo insieme, andiamo a San Diego, ci sentiamo. È un ambiente più ristretto e anche la comunicazione lo è. C'è uno scambio di opinioni che non è "fai questo e basta". Stessa cosa con Top Cow, dove c'era Marc Silvestri che ti veniva vicino e ti dava sempre un input che ti aiutava a vedere quello che stavi facendo in chiave diversa, in modo da poter migliorare con una persona accanto che ha una certa esperienza. Quindi questa è la differenza. Proprio nello scambio e nell'interscambio di informazioni che portano alla fine una crescita stilistica e artistica e di una qualità editoriale. Con Marvel e DC è diverso. La Marvel ti contatta e ti dice che devi fare questo e quell'altro in tot giorni. Se hai un input è difficile che ne tengano conto. Ti dicono grazie ma poi ti dicono di procedere per come ti è stato detto. Ci sono oggi delle realtà un po' più aperte, anche parlando di DC, che ha mandato una mail a noi artisti per proporre una sorta di quesito riguardo a quale potesse essere una nuova chiave che potesse aprire una nuova frontiera per la qualità e per la comunicazione, per cercare di eliminare lo stress derivante dal lavorare con altre persone che non conosci che poi devono mettere mano sulle tue tavole, tipo l'inchiostratore o il colorista, che non vuol dire che non siano bravi, ma che magari non conoscono il tuo modo di lavorare con i colori e non enfatizzano correttamente quello che hai fatto. Ci sono coloristi e inchiostratori che vanno bene con delle persone, altri con altre. E questo quesito ha funzionato. Per quanto riguarda Deathstroke, di cui mi occupo delle tavole, ho potuto mandarle io direttamente al colorista che ho scelto io. Che poi è lo stesso con cui collaboro già per fare le copertine. Perché noi lavoriamo così, quindi sai già che viene fuori quello che ti aspetti. C'è uno scambio tra me e il colorista che alleggerisce il suo lavoro. E poi alla casa editrice arriva il prodotto finito, poi se c'è qualcosa da cambiare siamo a disposizione. E questa è un'importante chiave di comunicazione. Perché poi magari incontri delle persone e le conosci perché ci hai lavorato, ma ovviamente non le hai mai viste prima, quindi non c'è lo stesso contatto umano che ho avuto con Top Cow e Aspen.
Lavori principalmente per il mercato americano. Hai una predilezione per il mondo dei comics americani rispetto agli altri fumetti, anche quello italiano?
Da sempre. Da sempre mi piace quello stile, mi piace essere slegato da quegli schemi tipici del fumetto italiano, anche se oggi stanno cambiando. Rispetto a 26 anni fa c'è stato un salto. Nel comics c'è poi il colore, che è molto importante. Ti permette di sperimentare nuovi stili, di fare certe cose, di lavorare con altre persone, perché il lavoro in team comunque è divertente a volte. Può essere stressante, però se trovi la persona giusta, due persone fanno meglio di una.
Parlando di arte digitale e arte tradizionale. Cosa cambia secondo te a livello comunicativo tra le due?
Molti dei miei colleghi hanno un approccio al digitale perché li velocizza. Per velocizzare il processo tra layout e pagina finita, perché hai tutto nello stesso ambiente di lavoro, non hai dieci fogli che volano. Per quanto mi riguarda, io preferisco avere il contatto con il foglio. Sentire che sto toccando le linee. Potermi avvicinare io alla tavola, piuttosto che fare in modo che la pagina si avvicini a me. Perché nel momento in cui io avvicino la pagina virtuale, con lo zoom, io perdo l'insieme. A meno che non si disegni su di un 70'', ma non accade. Invece con la pagina, io mi posso allontanare e avvicinare. Ma il mio occhio vede comunque l'insieme, non è costretto dallo schermo a vedere una figura parziale. E quindi mi trovo meglio così, e preferisco avere la pagina in mano alla fine di tutto, perché mi dà la sensazione di qualcosa che ho realizzato per davvero nel mondo reale, piuttosto che in un file, che poi resta lì, che fondamentalmente non guardi più, una volta che lo hai mandato a pubblicare. È difficile che lo riprendi e lo riguardi. Invece con la pagina può capitare che la riprendi in mano, vuoi perché te la ritrovi davanti o per le references, o che vai in fiera e la riguardi. E pensi anche il vissuto che ci sta dietro, quando ci hai lavorato sopra. Perché fondamentalmente dietro ogni linea c'è un pensiero. Perché la mano va ma il pensiero va tranquillo e libero, non legato per forza a quello che stai creando. Quindi io sono per il tradizionale, ma uso il digitale quando per esempio c'è una correzione da fare, perché velocizza. Piuttosto che cancellare la vignetta, o rifarla su un altro foglio, puoi cambiarla in digitale, anche solo poche cose perché magari la richiesta è minima. E poi le uso per la colorazione. Per quanto riguarda questa fase mi piace di più pubblicare qualcosa colorato in modo digitale perché ha una resa migliore, ed è più fresca per esempio per le nuove generazioni. Quando devo realizzare qualcosa per un collezionista, lo faccio in maniera tradizionale perché è comunque bello da vedere e ti resta, cioè non è una stampa. Se ci passi una mano sopra, senti gli strati di colore che ci hai messo, ed è bello. È come vedere un quadro di persona, dove vedi le pennellate, oppure in foto.
Hai lavorato su numerosissime serie, per diverse case editrici. Ce ne è qualcuna per cui ti è piaciuto maggiormente lavorare? un certo personaggio che ti è piaciuto maggiormente tra tutti quelli che hai disegnato?
Mi è piaciuto lavorare di più su Deathstroke perché ho avuto la possibilità di incontrare altri personaggi, di disegnare di nuovo il Cappuccio Rosso. Mi sono divertito a disegnare Ra's al Ghul e a creare alcuni personaggi che non esistevano, e che quindi adesso appartengono a me. Questo mi è piaciuto molto. Poi forse un giorno disegnerò qualcos'altro che mi piacerà di più.
Quale personaggio ti piacerebbe disegnare?
Batman. Prima preferivo Spider-Man, però oggi sarebbe un po' più complicato... mi piace eh, però mi vedo un po' più affine a Batman.
Parlarci dei tuoi progetti futuri: su cosa stai lavorando e su cosa lavorerai a breve?
Adesso sto lavorando sempre su Deathstroke, poi forse potrebbe esserci in ballo qualcosa sulla Suicide Squad, o meglio su alcuni membri singoli. Ci stiamo lavorando sopra, e stiamo lavorando anche sull'ampliare il discorso che si è aperto con Deathstroke sulla Lega degli Assassini. Stiamo un attimo vagliando delle opzioni, stiamo un attimo vedendo il da farsi. Tutto è legato adesso, con la nuova linea editoriale, al mondo cinematografico.
A proposito dei film, come hai trovato le ultime produzioni cinematografiche DC?
Mi sono piaciuti perché io li vedo in un contesto diverso rispetto a quello del mondo del fumetto. Cioè, io vado a vederli come se mi approcciassi per la prima volta a quella tipologia di film. Quindi io non voglio sapere niente a parte quello che mi sta dicendo il film. Suicide Squad è stato divertente. Si affianca a Guardiani della Galassia, che ad ora reputo uno dei film migliori dei supereroi.
Più di Civil War che non mi è piaciuto. Poi Avengers e i primi due Iron Man, non il terzo.
Di Guardiani è bello il racconto, perché gioca sulla nostalgia evocata dalle canzoni e su personaggi nostalgici che cita Peter Quill. È divertente e non è il classico Spider-Man che si fa mille problemi. In lingua originale poi è ancora più bello, per via dei giochi di parole che poi si perdono nella traduzione. Anche Suicide Squad l'ho visto in lingua originale. Vedere già il doppiaggio di Joker, per esempio, già per me perde. Si perde una parte della recitazione, un po' di anima che l'attore gli ha voluto donare durante la recitazione. Batman V Superman e anche Man of Steel mi sono piaciuto. Tutti i problemi che sono nati su Superman che uccide la gente: non è lui che la uccide. Il danno collaterale c'è sempre. Cioè è impensabile che tu combatta in un posto in cui non ci sia forma di vita umana in una zona civilizzata. Ad esempio in Civil War, nella scena dell'aeroporto non c'è una persona che sia una. Neanche qualcuno che fugge. In un aeroporto, in qualsiasi ora tu vada, c'è della gente. In questo caso non arriva neanche l'esercito. Lì non succede niente, e questo è totalmente fuori dalla realtà. Superman invece combatte nella città, anche se in prima persona non si vede la gente che muore. Ma te lo immagini comunque. Questo se volete è legato all'11 settembre. Quando succede nella realtà un disastro del genere, delle vittime civili ci sono sempre. Se arrivano due persone con i poteri di due dei e si mettono a combattere come hanno fatto, è normale che succeda una cosa simile. Anche perché Zod ha giocato sulla debolezza di Superman perché l'ha capito dal principio che lui era legato alla razza umana. E questo poi lo vediamo in BvS. Quando a Superman gli vai a toccare una persona che conta molto per lui, cambia completamente, e questo è proprio della natura umana. È tutta una questione psicologica. Quello che hai subito diventa parte di te, ti inquina, e da vittima diventi carnefice. E questo è diverso da quello che vediamo nei film Marvel, dopo due litigano perché non vuoi firmare un pezzo di carta. Che è un po' meno profonda come cosa. E poi non muore nessuno. C'è questo buonismo di base nei film Marvel che è poco reale. Cioè in Civil War c'è War Machine che cade dal cielo e al massimo perde l'uso delle gambe per poco tempo. In Suicide Squad invece viene ucciso Slipknot così, e nella versione senza tagli aveva ancora più scene e una presentazione iniziale come gli altri, perché così te lo aspettavi ancora di meno che morisse.
Ringraziamo ancora Paolo per questa lunga intervista e vi consigliamo di seguire il suo lavoro su Deathstroke e di rimanere aggiornati sui suoi splendidi lavori che posta regolarmente su DeaviantArt, sul suo profilo Facebook, su Instagram e sul suo sito ufficiale.