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Luca Tomassini

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Alien 1 - Linea di sangue, recensione: urlare nello spazio, di nuovo

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A seguito della recente acquisizione della 20th Century Fox da parte della The Walt Disney Company, le property più celebri del glorioso studio cinematografico hanno trovato spazio nella già ricca library della Casa del Topo. Una bulimia che aveva già portato negli anni la Disney, ricordiamolo, ad acquistare negli anni precedenti dei brand chiave dell’entertainment come Lucasfilm e Marvel Comics. Proprio la Marvel, come conseguenza del ritrovarsi improvvisamente nella stessa famiglia con la Fox, ha avuto accesso a proprietà celebri dello studio come Alien e Predator e la possibilità di dedicargli della collane a fumetti. Uno sviluppo curioso, visto che la storia a fumetti dei due franchise, nasce negli anni ’80 proprio come tentativo di un editore, la Dark Horse Comics, di fare concorrenza alla stessa Marvel.

È il 1988 quando la Dark Horse, pioniera dell’editoria indipendente, decide di sfidare sul piano delle vendite Marvel e DC. Non potendo contare su un universo supereroistico, la casa editrice di Portland, nella persona del suo capo redattore, Mike Richardson, ha un’idea geniale: acquisire i diritti di sfruttamento di un marchio cinematografico di successo. È ancora fresco il successo di Aliens – Scontro Finale di James Cameron del 1986, quindi la scelta diventa ovvia. Aliens, la serie a fumetti, debutta due anni dopo il film di Cameron e due anni dopo la stessa fondazione della Dark Horse, segnando un incredibile successo di vendite e l’avvio di un universo espanso a fumetti che durerà più di trent’anni, fino al recente cambio di editore.

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Trovandosi per le mani un franchise storico di tale portata, la Marvel ha optato per un saggio “back to the basics”, un ritorno a quegli elementi caratteristici che hanno determinato il successo ultradecennale della saga dello xenomorfo. E, parlando di Alien, non c’è niente di più tipico che ritrovarsi a lottare per la propria sopravvivenza contro uno xenomorfo in una stazione orbitante nello spazio, dove nessuno può sentirti urlare.
Per Alien- Linea di sangue (Panini Comics), la prima scelta importante riguarda il team creativo. Phillip Kennedy Johnson è uno sceneggiatore in rampa di lancio, autore di un ottimo ciclo di Action Comics attualmente in corso di pubblicazione. È inoltre in possesso di un background militare personale che non può che fargli comodo trovandosi a scrivere di marine, per quanto in un contesto fantascientifico. Ai disegni troviamo invece un veterano della Casa delle Idee, lo spagnolo Salvador Larroca, una scelta che potrebbe apparire conservativa e che invece, come vedremo si rivela assolutamente funzionale alla riuscita del progetto.

La serie si svolge nel 2200, dopo la trilogia cinematografica originale, e ha sempre al suo centro le macchinazioni della spietata multinazionale Weyland-Yutani. Un corporazione dalle losche finalità che, ottanta anni prima, non aveva esitato a mandare allo sbaraglio l’equipaggio di un suo cargo rimorchiatore, la USS Nostromo, nascondendo all’equipaggio il vero scopo della propria missione, ovvero il recupero dalla luna conosciuta come LV-426 di un esemplare di xenomorfo da studiare e usare coma arma biologica. Vent’anni prima, una missione del corpo dei marine per liberare la stessa luna da una invasione di xenomorfi era finita ugualmente in tragedia.

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La narrazione segue quanto raccontato dai film di Ridley Scott e James Cameron, introducendo nuovi personaggi tra cui il protagonista Gabriel Cruz, soldato, studioso e responsabile per la sicurezza della stazione orbitante Epsilon, fiore all’occhiello della Weyland-Yutani. Dopo una vita al servizio della corporazione, alla quale ha sacrificato anche gli affetti familiari, per Gabriel è arrivato il momento della meritata pensione. Eppure non si tratta di un momento sereno della sua vita. È tormentato da strani incubi che riguardano una missione di una decina di anni prima, in cui tutti i suoi uomini sono morti lasciandolo come unico sopravvissuto. Un sintetico di tipologia Bishop (che i fan della saga cinematografica ben conoscono), messogli a disposizione dalla compagnia, lo aiuta ad affrontare i suoi demoni con sedute di psicoterapia. Ma il peggio deve ancora arrivare. A sua insaputa, il figlio Daniel si è unito ad un gruppo di ribelli anti-corporazione e, con le credenziali rubate al padre, ha favorito l’accesso di un contingente di rivoluzionari sulla Epsilon con lo scopo di sabotarla. Si imbatteranno in qualcosa di tremendo e toccherà proprio a Gabriel, minacciato dalla Weyland-Yutani, intervenire a capo di una nuova missione per salvare la base e la vita del figlio. Non daremo altri dettagli per non rovinare il piacere di un’eventuale lettura, diremo solamente che lo sviluppo degli eventi abbraccerà appieno la tradizione di Alien.

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Philip Kennedy Johnson costruisce una trama mozzafiato e claustrofobica come da consuetudine di questo franchise, strizzando l’occhio, come già detto, soprattutto ai primi due amatissimi capitoli diretti da Scott e Cameron. Fin dalle prime pagine si respira chiaramente il presagio di cose terribili che dovranno accadere, e la tensione si taglia col coltello. La scelta di Salvador Larroca come illustratore risulta perfetta funzionale alla riuscita del progetto. Lo stile del cartoonist spagnolo si è evoluto nel tempo, passando da quello dinamico pieno di influenze manga con cui si fece conoscere sul mercato statunitense degli anni ’90 a quello fotorealistico, e più statico, che cominciò a sfoggiare a partire dalla sua celebrata run su Iron Man in coppia con Matt Fraction verso la fine del decennio successivo. È questo secondo Larroca, ormai cifra stilistica definitiva dell’artista, che ritroviamo sulle pagine di Alien, in un abbinamento spettacolare. La capacità dello spagnolo di saper far recitare i suoi personaggi, unita alla capacità di produrre tavole strabordanti di azione tipica della sua generazione, si amalgama alla perfezione con lo script di Johnson. La palette di colori lividi di Guru-eFX, che richiama le atmosfere delle prime due storiche pellicole, completano un comparto grafico di tutto rispetto.

"Hai sentito che ha fatto Eddie Gein?", recensione: il mostro della porta accanto

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Nel 2012 arriva nelle sale il film Alfred Hitchcock and the Making of Psycho (in Italia esce con il titolo Hitchcock), tratto dall’omonimo libro di Stephen Rebello, un resoconto cinefilo incentrato sulla tormentata realizzazione del capolavoro del Maestro del brivido, qui interpretato da uno straordinario Anthony Hopkins. La pellicola racconta la scommessa più ambiziosa della carriera di Hitchcock, all’indomani del grande riscontro commerciale di Intrigo Internazionale, una spy story interpretata da Cary Grant il cui successo fa ottenere al cineasta una proposta molto importante: la regia del primo film dedicato all’Agente 007 di Ian Fleming. Ma il regista inglese non ha mai seguito percorsi convenzionali e rifiuta l’allettante offerta per seguire un intuizione che si trasforma in ossessione. Ha letto un libro scritto da un giovane autore di horror di nome Robert Bloch, Psyco, che racconta una storia inquietante di necrofilia ed omicidi. Hitchcock propone il libro ai maggiori studios per realizzarne una trasposizione sul grande schermo, ma ottiene solo rifiuti. Nessuno vuole girare un film con una trama che, per il 1960, è sconvolgente. Il regista riuscirà a realizzare il progetto solo correndo un grande rischio personale, cioè investendo il suo stesso denaro: ma i fatti gli daranno ragione. Psycho sarà il suo più grande successo commerciale del e cambierà per sempre la storia del cinema.

Il film di Hitchcock, tuttavia, come il libro di Bloch da cui era tratto, non raccontava purtroppo vicende del tutto immaginarie. Era fiction con i piedi ben piantati nella cronaca nera e, in particolare, ispirata agli orrendi delitti commessi pochi anni prima da Ed Gein nella tranquilla cittadina di Plainfield, nel Wisconsin. Massacri che sconvolsero una nazione e che ancora oggi, a quasi 70 anni di distanza dai fatti, suscitano ancora orrore ma anche il tentativo di comprendere come un contadino apparentemente mite si sia trasformato in un mostro. Uno sforzo a cui tentano di assolvere anche Harold Schechter ed Eric Powell in “Hai sentito che ha fatto Eddie Gein?”, romanzo grafico di recente pubblicazione in Italia per Panini Comics.
Schechter è un rinomato autore di true crime a sfondo storico, mentre Powell è ben conosciuto dai lettori come il creatore di The Goon, serie noir/comica di culto, cinque volte vincitore del Premio Eisner, che nella sua carriera ha lavorato anche su personaggi celebri come Superman e Hulk. Territori artistici molto differenti da questo crudo graphic novel, che racconta con precisione documentaristica fatti agghiaccianti realmente accaduti.

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Come un gioco di scatole cinesi, il racconto degli autori parte proprio dall’uscita nei cinema di Psycho nel 1960 e dallo scalpore suscitato dalla violenza contenuta nel film. È lo stesso Hitchcock, durante la famosa intervista concessa al regista francese François Truffaut, a confermare che la vicenda narrata dalla pellicola è ispirata ad un fatto di cronaca nera avvenuta nel cuore dell’America rurale. Dopo un rapido passaggio in un cimitero locale, dove le autorità sono alle prese con la riesumazione di una tomba, gli autori passano senza soluzione di continuità a narrare la storia di Ed Gein e della sua famiglia, vera e propria incubatrice di follia. Si comincia con la nascita di Ed nella cittadina di La Crosse, in Wisconsin, nel 1906. I genitori sono George e Augusta Gein. Il padre è un ubriacone inetto, che fatica a gestire l’emporio del piccolo paese che da sostentamento alla famiglia. La madre è una puritana sessuofobica, una fanatica che, vedendo il peccato ovunque, condiziona pesantemente la vita di Ed e del fratello maggiore Henry. Convinta che il paese in cui vivono sia un covo di peccatori, la donna acquista una fattoria con terreno a Plainfield, poco distante, e vi trasferisce l’intera famiglia. George muore giovane, lasciando soli la moglie, che lo disprezzava ed è tutt’altro che disperata, e i figli. La morsa di Augusta sui ragazzi si fa sempre più stringente e soffocante, una castrazione psicologica che ottiene esiti differenti. Mentre Eddie pende dalle sue labbra, Henry comunica al fratello l’intenzione di andarsene. Purtroppo non potrà farlo, perché verrà ritrovato cadavere nei pressi della vicina palude. Nonostante la morte di Henry venga archiviata come decesso naturale, in realtà gli autori suggeriscono che potrebbe trattarsi del primo omicidio di Eddie, il quale ora può realizzare il suo desiderio più grande: restare solo con l’amata madre, dalla quale è ormai completamente e irrimediabilmente plagiato. Quando la donna muore per un malore improvviso, il mondo di Eddie cade a pezzi, e non riesce a farsene una ragione. Il desiderio di riavere con se la madre, unito ad una sessualità repressa e a un odio latente per il genere femminile, maturato dopo una vita accanto ad una donna folle di cui è stato vittima e allievo entusiasta allo stesso tempo, lo spingeranno a compiere atti atroci che non riporteremo qui. Gli abitanti di Plainfield scopriranno che il mite tuttofare, che si reca presso tante famiglie del paese per effettuare lavoretti di ogni sorta, è in realtà un efferato assassino, inchiodato per l’omicidio di almeno due donne anziane, di cui vengono ritrovati i resti nella sua abitazione. Ma Gein viene sospettato dalle autorità di essere il responsabile della morte di altre donne della zona, scomparse negli anni precedenti, oltre che un profanatore di tombe.

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Schechter sceglie di non sbattere immediatamente il mostro in prima pagina ma delinea una lenta discesa negli inferi, mostrando la difficile infanzia di un bambino soggiogato da una presenza materna che sarà la fonte della sua rovina. Da parte dello scrittore non c’è alcun intento assolutorio nei confronti del mostro, ma solamente il tentativo, perfettamente riuscito, di condurre un’indagine dal sapore naturalistico sulle cause che hanno portato alla follia omicida di Gein. La narrazione ha il piglio di un documentario, ma riesce a costruire sapientemente la suspense pagina dopo pagina. Si tratta di una vicenda di cronaca ben nota e il lettore è cosciente di dove si andrà a parare: ciò nonostante quando l’orrore arriva, colpisce forte come un pugno nello stomaco. Merito anche dell’arte di Eric Powell, artista eccelso, e del suo uso straordinario della bicromia, un bianco e grigio “seppia” che dona alle pagine l’aspetto di foto invecchiate, che raccontano fatti lontani nel tempo ma che hanno segnato per sempre l’esistenza di una comunità e di un’intera nazione. Powell si mette completamente a servizio della sceneggiatura di Schechter, visualizzando la lenta caduta nell’abisso del protagonista. Un registro inizialmente grottesco, con cui illustra la vita familiare dei Gein, che lascia spazio nella seconda parte all’horror puro, con scene che non consigliamo ai deboli di stomaco.

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I massacri compiuti da Ed Gein lasciarono un solco profondo nella coscienza collettiva americana. Per la prima volta la minaccia alla propria esistenza non veniva da paesi stranieri, fobia sublimata nei romanzi e film di fantascienza dell’epoca. Gli orrori commessi dai nazisti nei campi di concentramento, di cui all’epoca cominciavano ad arrivare testimonianze fotografiche (come raccontato nello splendido e doloroso Mostri di Barry Windsor-Smith di cui abbiamo già parlato), rivivono nella follia omicida di Gein, che dagli eccidi nazisti era rimasto affascinato. L’America improvvisamente scopriva che il mostro può essere anche l’inquilino della porta accanto. L’inquietudine derivante da questa consapevolezza verrà elaborata dalla cultura popolare col genere degli slasher movie che, dal precursore Psycho arrivando fino a Non aprite quella porta e affini, porteranno sul grande schermo gli orrori di cui Ed Gein si rese responsabile nella vita reale.

Lucifer 1 - Il Diavolo sulla soglia, recensione: il Demonio Ribelle di Mike Carey

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L’etichetta Vertigo, il marchio della DC Comics rivolto ad un pubblico più sofisticato e maturo di quello interessato solamente ai supereroi, ha lasciato una traccia indelebile nella storia del fumetto americano nonostante sia stata chiusa da qualche anno per scelta editoriale, venendo soppiantata dalla divisione Black Label.
Creata da Karen Berger, redattrice e figura fondamentale nella storia della DC Comics, la Vertigo è stata la casa degli esponenti principali della “British Invasion” come Neil Gaiman, Peter Milligan, Grant Morrison, Garth Ennis e, in generale, del fumetto di qualità.

Il grande successo di una serie come il Sandman di Gaiman portò al consolidamento dell’etichetta e all’arrivo di una successiva ondata di autori inglesi nella seconda metà degli anni ’90. Sceneggiatori come Mike Carey, proveniente dalla fucina britannica di 2000 A.D., che debuttò nel 1999 in DC/Vertigo con una miniserie di tre numeri (seguita da una serie regolare) dedicata a Lucifer, il diavolo androgino che era stato presentato proprio nei primissimi numeri di Sandman. Costretto a recarsi all’inferno per recuperare l’elmo facente parte dei suoi paramenti reali, Morfeo si era imbattuto in “Lucifer Morningstar”, immaginato da Gaiman e da Sam Kieth, autori della storia, con le fattezze di David Bowie, il “rebel” per eccellenza della cultura pop/rock britannica. Paradigma dell’autodeterminazione, Lucifero lascerà anche l’Inferno per seguire la propria strada. Che vuol dire, nel suo caso diventare il proprietario di un piano bar a Los Angeles. È in questa veste che lo ritroviamo all’inizio di Lucifer vol.1 – Il Diavolo sulla soglia, il primo di una serie di volumi brossurati con cui Panini Comics inizia la ristampa della serie culto dedicata a colui che era stato il più luminoso tra gli angeli, prima della sua caduta.

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Il volume è suddiviso in tre capitoli. Il primo corrisponde alla miniserie del 1999, in cui ritroviamo Lucifer alle prese con la sua nuova vita. Si è dimesso dall’inferno e gestisce un club a Los Angeles, situazione che ritroviamo anche nella serie tv che si ispira al fumetto solo superficialmente, senza mutuarne trame e spessore. Il Paradiso, nonostante gli antichi dissapori, lo contatta comunque per affidargli un incarico: rintracciare e fermare una pericolosa entità capace di realizzare qualsiasi desiderio concepito dagli esseri umani. Lo accompagnerà una giovane di origine indiana, Rachel, la cui vita è stata irrimediabilmente travolta da un desiderio esaudito e che scoprirà ben presto cosa voglia dire avere a che fare col Diavolo in persona. Il secondo capitolo coincide con l’inizio della serie regolare originale e vede Lucifer recarsi ad Amburgo e più precisamente nel quartiere di St. Pauli, culla del movimento punk tedesco, brulicante di vita, locali ma anche di naziskin e prostituzione. L’Astro del Mattino va alla ricerca di Meleos, un angelo che vive tra gli umani camuffandosi da libraio. Una vecchia conoscenza di Lucifer, esperto di divinazione e tarocchi. E il Diavolo vuole da Meleos proprio questo, una risposta su quali siano i piani del Paradiso e su cosa gli riservi il futuro. Nell’ultima storia del volume facciamo la conoscenza di Elaine Belloc, una bambina che ha la capacità di parlare con i defunti, che deve indagare sull’assassinio della sua amica Mona. L’incontro con Lucifer darà la svolta alla vicenda.

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Ponendosi sul solco tracciato da Neil Gaiman e dal suo Sandman, Mike Carey usa questi primi episodi per presentare i personaggi e gli elementi che costituiranno l’architrave del suo ciclo, un lavoro di worldbuilding efficace che ci trascina subito nel mood della serie. Come in molte storie a marchio Vertigo, entità ancestrali sostanzialmente indifferenti al destino degli uomini incrociano il cammino di un’umanità alla deriva. Un Inferno che gli uomini si costruiscono da soli e di cui Lucifero, ironicamente, non è responsabile, preso dal suo processo di emancipazione da un destino già tracciato. Un enigmatico osservatore delle miserie umane, che interviene solo quando il caos rischia di travolgere tutto e tutti. Carey delinea una figura misteriosa e insondabile, magnetica e carica di fascino ambiguo, che inizia qui il percorso di protagonista di una serie di settantaquattro numeri che sarà acclamata da pubblico e critica.

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Sul fronte grafico, si alternano tre artisti sinonimo di fumetto d’autore. Apre le danze Scott Hampton, che con i suoi acquarelli che trascina il lettore in atmosfere rarefatte ed evocative. Il segmento ambientato ad Amburgo, invece, si avvale delle matite di stampo realista dell’inglese Chris Weston, un nume tutelare della Vertigo di quegli anni che avremmo rivisto anche su alcuni numeri di Hellblazer e, soprattutto, su The Filth in coppia con Grant Morrison. Al contrario dei pennelli di Hampton, il tratto di Weston gioca su un nero molto marcato e amplificato dalle chine realizzate dello stesso autore in coppia con James Hodgkins, altro habitué dei fumetti Vertigo come il colorista Daniel Vozzo, che concorrono ad un risultato finale classico e di forte impatto. Il capitolo finale ci regala un altro cambio di registro, dovuto alla storia che Carey vuole raccontare, una vicenda di fantasmi per la quale il tratto stilizzato di Dean Ormston e Warren Pleece è perfetto nel trasmettere brividi e suggestioni.

La morte di Doctor Strange - Un mondo senza Strange, recensione: chi proteggerà il Marvel Universe?

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Lo scorso anno Marvel Comics ha preparato l’uscita del secondo film dedicato al suo Stregone Supremo, Doctor Strange nel Multiverso della Follia, in un modo alquanto inusuale: celebrandone la morte.
In La morte di Doctor Strange, realizzato da Jed McKay e Lee Garbett, il buon vecchio Stephen è rimasto vittima di un complotto ai suoi danni. L’identità dell’assassino è stata presto rivelata (come anche uno stratagemma concepito dalla coppia di autori per riportare indietro il personaggio), ma l’intera operazione è apparsa come un pretesto per mettere in panchina Strange per un breve periodo e, nel frattempo, concedere l’onore dei riflettori a Clea, sua discepola e compagna storica, destinata a rilevare provvisoriamente il titolo di Stregone Supremo. Una scelta non casuale visto che il personaggio appare proprio nella scena post-credit della pellicola diretta da Sam Raimi, interpretata dalla splendida Charlize Theron.


Tra la morte di Strange l’arrivo di Clea, pronta ad ereditarne il ruolo, c’è un gap temporale in cui le minacce mistiche che erano sempre state tenute a bada dal Mago sono libere di scorrazzare sulla Terra, facendo ogni sorta di danno. Per analizzare le conseguenze della dipartita del suo negromante più famoso, la Marvel ha fatto uscire una serie di one-shot dedicati ad alcuni dei suoi eroi più famosi, alle prese con le ripercussioni di quanto narrato nella miniserie portante. Panini Comics ha raccolto questi albi speciali nel volume cartonato La morte di Doctor Strange – Un mondo senza Strange.
Si tratta di un volume compendio alla vicende principale, composto da 7 capitoli, che ci mostra un Marvel Universe pesantemente colpito dall’assenza del suo Stregone Supremo.

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In apertura troviamo gli Avengers, alle prese con una minaccia mistica proveniente dal regno di Cyttorak, vecchia conoscenza dei lettori Marvel, con un Iron Man tradizionalmente scettico nei confronti della magia che dovrà rivedere alcune sue convinzioni di uomo di scienza. Ci trasferiamo in seguito alla Strange Academy, l’università della magia co-fondata dal buon Dottore in una delle serie più interessanti proposte dalla Casa delle Idee negli ultimi anni. Questo capitolo sviscera le conseguenze della scomparsa di Strange sulla scuola e suoi alunni, in particolare su Iric, il primogenito della Dea asgardiana Incantatrice, rapito da un mago di Weirdworld in seguito ad un patto infranto di cui Strange si era fatto garante anni prima. Toccherà ad Amora e ad Alvi, l’altro suo figlio, irrompere nel regno magico per salvare il ragazzo. A New York, intanto, un incantesimo di sicurezza lanciato da Strange prima di morire coinvolge Spider-Man e la Gatta Nera nella lotta alla magia fuori controllo, ma non sarà Peter Parker, momentaneamente indisponibile a raccogliere la sfida quanto Ben Reilly, il suo clone, che lo sostituisce nella fase “Beyond” di Amazing Spider-Man.

In Asia è il turno degli eroi locali White Fox e Sword Master, e vengono messi in moto eventi che avranno grandi conseguenze per quest’ultimo, destinato a vestire i panni di un tradizionale eroe Marvel legato alle arti marziali. Intanto, nei pressi della città abbandonata di Chernobyl, la nazione vampira governata da Dracula è in fermento, e toccherà a Blade, “sceriffo” nominato dagli Avengers previo accordo col Re dei Vampiri, mantenere un precario ordine. Nella storia che da la copertina al volume Dane Whitman, l’Avenger britannico Cavaliere Nero, andrà in soccorso degli X-Men posseduti da un’entità demoniaca che affonda le sue origini ai tempi di Camelot. Nell’ultimo capitolo, invece, Elsa Bloodstone la cacciatrice di demoni e suo fratello Cullen scopriranno di avere una sorella, particolare di cui l’immortale padre Ulysses Bloodstone non li aveva messi al corrente e che era stato finora occultato da un incantesimo di Strange.

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La Morte di Doctor Strange – Un mondo senza Strange è un volume molto eterogeneo per contenuti e dalla qualità altalenante. Si alternano infatti artisti di ottimo livello insieme a semplici artigiani della matita. Tra i primi troviamo sicuramente Mike Del Mundo, da anni tra gli autori più interessanti al lavoro per Marvel Comics, i cui acquarelli deliziano la storia di Strange Academy con protagonista Amora l’Incantarice dipingendo un’atmosfera davvero fiabesca. Allo stesso modo, nel capitolo con protagonista Blade, i disegni dal sapore underground di Dylan Burnett, abituale compagno di avventure fumettistiche di Donny Cates, sono perfetti per illustrare i toni cruenti della vicenda. Ricordiamo con affetto anche la prova di Ryan Bodenheim sul one-shot degli Avengers, artista frequente collaboratore di Jonathan Hickman scomparso poco dopo l’uscita dell’albo, che ci regala un’ultima prova spettacolare e convincente all’insegna della linea chiara.

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Abbiamo citato quelli che riteniamo i tre squilli graficamente più importanti del volume: gli altri artisti coinvolti sono perlopiù onesti faticatori del tavolo da disegno la cui prova lascia piuttosto indifferenti. Marcelo Ferreira, Andie Tong, Luciano Vecchio, Bob Quinn e Ig Guara sono al momento, discreti mestieranti che, pur lasciando intravvedere delle qualità, devono lavorare ancora molto sul proprio tratto. Una nota di demerito per la storia di copertina, il team-up tra X-Men e Cavaliere Nero scritto da Si Spurrier, autore di un recente e apprezzatissimo ciclo di John Costantine: Hellblazer.
Spurrier, autore britannico che aveva saputo scrivere un Costantine eccellente, è reduce da una miniserie del Cavaliere Nero che, per chi scrive, è stata une delle delusioni più cocenti dello scorso anno. Una caratterizzazione di un classico eroe come Dane Whitman virata su un tono scanzonato e farsesco. Un registro che purtroppo viene ripreso nella storia ospitata in questo volume, completamente fuori fuoco rispetto alla storia del personaggio e più in linea con alcune derive di caratterizzazione dei personaggi tipiche del Marvel Cinematic Universe. Un grande peccato, considerato il talento di Spurrier dimostrato in altri ambiti.

Panini Comics pubblica la raccolta dei tie-in de La Morte di Doctor Strange in un prestigioso volume cartonato, veste editoriale esagerata per un contenuto piuttosto modesto che ci sentiamo di consigliare solo allo zoccolo più duro dei lettori Marvel.

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