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Lucca'13: intervista a Esad Ribic

Intervista a cura di Raffaele Caporaso.

In occasione del suo showcase al Lucca Comics & Games abbiamo fatto alcune domande a Esad Ribic, artista croato di fama mondiale, attualmente a lavoro su Thor: God of Thunder. Nel suo passato in Marvel Comics ha lavorato, fra le altre cose, su The Ultimates, Loki, Sub-Mariner: Abissi e Silver Surfer: Requiem.

esadribicIl tuo lavoro su Thor: God of Thunder è stato particolarmente apprezzato da critica e fan: cosa puoi raccontarci di questa esperienza? Come è stato disegnare una delle icone Marvel Comics, traghettandola nell’”era Marvel Now!”? Hai contribuito a creare il nuovo look di Thor?
Il re-styling del personaggio era già stato deciso dall’editore, che però non sapeva ancora in che direzione andare. Quando mi hanno offerto di prendere questo personaggio, mi hanno concesso di lavorarci un po’ su e io ho pensato “Evviva!”. Quello che ho fatto è in linea con ciò che più mi piace, cioè un approccio più fantasy e fantascientifico piuttosto che meramente supereroistico. Credo che lo stile che ho dato a Thor vada in questa direzione. Tendo ad avere uno stile naturalistico, e, anche se non si può parlare di realismo con Thor, mi piace che il personaggio sia più credibile possibile nel fare ciò che fa. Questo è il mio obiettivo e spero di essere riuscito a raggiungerlo.

Il villain della tua run su Thor è Gorr, the God Butcher: nel creare questo nuovo personaggio, cosa ti ha ispirato?
Il design è mio, chiaramente basato su ciò che c’era nella sceneggiatura nella quale veniva descritto come un “tizio alieno e inquietante”, qualunque cosa significhi. Per il volto la mia idea si è ispirata, da un lato, all’Imperatore di Star Wars e, dall’altro, agli alieni di Bad Taste. Ho pensato molto anche a una storia folkloristica dei Balcani, nella quale c’è questo diavolo che si nasconde fra la gente tagliandosi le corna, ma comunque non può nascondere le zampe di capra ed è costretto a indossare una veste lunga: per questo ho deciso di disegnarlo con un’unica zampa caprina, per renderlo un freak, un essere sgraziato e senza simmetria. Una cosa sulla quale ero sicuro è che non volevo fosse molto muscoloso. In principio, avevo anche intenzione di renderlo più alto di Thor, pur mantenendo un fisico asciutto. Jason Aaron è stato invece irremovibile sul fatto che Gorr dovesse avere le stesse dimensioni di Thor, e devo dire che così funziona meglio. L’ho riportato alle dimensioni di un uomo… o meglio, di un dio! Nella sceneggiatura c’era anche la descrizione dell’arma di Gorr, una sorta di mantello vivente, che ho deciso di rendere come fosse fatta d’olio, o di mercurio. Cercavamo, in generale, un design che permettesse di mostrare le emozioni del personaggio; solitamente i villain non mostrano la propria emotività, la nascondono, ma con Gorr era importante mostrarla e abbiamo creato un viso che potesse comunicare qualcosa e che quindi non doveva essere troppo alieno: perché chi sa come può sorridere un alieno?!

Su Thor hai lavorato insieme allo sceneggiatore Jason Aaron: come è stata questa esperienza? Cosa puoi raccontarci su di lui?
Lavorare con Jason è sempre molto facile, le sue sceneggiature sono molto chiare. Mi trovo molto bene con lui, immagino che faremo molti lavori insieme: ad esempio ho in programma di fare altri 16 numeri di Thor: God of Thunder nel prossimo futuro, una buona mole di lavoro. Le nostre comunicazioni avvengono tramite mail. Jason è una persona molto abile a capire che un artista ha bisogno di un certo spazio di manovra, e me ne lascia sempre molto. Si vede che è una persona che pensa in termini visivi, mentre altri sceneggiatori non sono in grado di capire che l’immagine è diversa dalle parole. Lui pensa per immagini!

Come valuti il tuo ritorno a disegnare Thor dopo l’esperienza su Loki? Quali sono le differenze rispetto al passato?
Il mio approccio, sia nel passato che oggi, è molto simile, perché in realtà penso sempre a Thor come a un’opera mitica, quasi come fosse un’opera di Wagner, per esempio. Quello che cambia è ovviamente la tecnica, perché Loki era una miniserie, cosa che mi consentiva di lavorarci su per più tempo, mentre la serie attuale di Thor è mensile, si tratta quindi di venti pagine al mese più due copertine, cosa che mi obbliga a occuparmi esclusivamente delle matite.

Su Avengers, anche se per solo un numero, il 24, tornerai a lavorare con Jonathan Hickman, dopo l’esperienza su Ultimate Comics: The Ultimates. Com’è lavorare con uno degli sceneggiatori più apprezzati del momento, oltre che uno degli “architetti” Marvel?
Penso che Hickman sia un grande, amo il suo modo di scrivere. Avevamo moltissime idee sull’universo Ultimate, ma le vendite non sono andate molto bene e l’editore ha deciso di cambiare le carte in tavola, sposando un approccio più commerciale. Ho abbandonato il progetto perché non era più ciò per cui mi era stato chiesto di lavorare. Sono convinto che se ci avessero lasciati liberi di fare ancora per un po’, le vendite sarebbero schizzate in alto, ma, in ogni caso, è andata così. Per ciò che concerne Avengers, Hickman mi ha voluto a lavorare con lui, ha chiesto di me, ma il fatto è che per me si tratta fondamentalmente della stessa cosa, perché gli Ultimates non sono altro che gli Avengers dell’universo Ultimate. La stessa cosa, ma con le mani legate: molte cose che potevo fare in The Ultimates non posso più farle in Avengers. Non mi è sembrato che avesse senso fare qualcosa di così simile ma allo stesso tempo di così limitato. Inoltre ero già in trattative per Thor: God of Thunder ed ero deciso a continuare su questa strada. Vorrei certamente lavorare con Hickman nuovamente, ma su un progetto diverso. In Avengers non si tratta di storie ma di semplice presentazione di personaggi che hanno ciascuno più di ventimila fan: si tratta di un prodotto che sicuramente vende bene, però è un prodotto che non mi interessa fare.

Come è cambiato nel tempo il tuo lavoro di impostazione della pagina ora che ti occupi solo delle matite, dopo anni di lavori pittorici, e come ti senti lasciando che altri modifichino il risultato finali, lavorando sui colori?
Non ho nessun problema a lasciare che siano altri a colorare le mie opere, sempre che seguano le mie linee guida! Credo che ci sia una tendenza dei coloristi a imporsi in maniera aggressiva per far risaltare il loro lavoro, questo è un errore da parte loro perché l’opera non ne beneficia. Da qualche tempo ho preso l’abitudine con la quale, finite le matite, scannerizzo i disegni e poi realizzo una scala di grigi grazie alla quale creo luci, ombre e profondità: in questo modo il colorista è costretto a seguire questo livello in scala di grigi e ciò mi assicura che si attenga maggiormente a ciò che voglio che faccia. In realtà questo mio metodo riduce anche il suo tempo di lavoro: i miei coloristi impiegano solo circa tre giorni per finire di lavorare ad un numero.

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