ONE SHOT

Marvel IT Presenta…

Direttamente dalle pagine di X-FORCE

“SOLITUDINE”

Luca Losito   

Storia

rossointoccabile  

supervisione Marvel IT

Carlo Monni  

supervisore capo

Mr. T  

Presidente

 

 

***

 

Solitudine
Ha una sua solitudine lo spazio,
solitudine il mare
e solitudine la morte - eppure
tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare,
che è un’anima al cospetto di se stessa:
infinità finita.

(
Emily Dickinson

)

Ricordo.

Ricordo il cielo terso, le nuvole bianche che sembravano grossi batuffoli di cotone su cui sognavo di addormentarmi. Il vento caldo dell’estate che scompigliava i capelli di mia madre e le mani grandi di mio padre quando mi prendeva tra le sue braccia confortanti.

Ricordi vaghi e offuscati da dimenticare.

Ricordo.

Ricordo il cielo di quella sera, nero come la pece in cui neanche le stelle riuscivano a brillare. Tornato a casa dopo aver aiutato mio zio a costruire il carro per i buoi, scoprii di essere rimasto solo al mondo, nessun dolce bacio e nessuna carezza calda mi avrebbero più consolato. Il sangue di mio padre e di mia madre uccisi per errore da due pallottole in paese avevano dato il colore alla luna che ora regnava grande e sovrana lassù. E rimasi solo.

Ricordo.

Ricordo il cielo di quella mattina di primavera, grigio fumo da cui una interminabile pioggia scendeva lenta; l’aria fredda si insinuava tra gli spifferi di casa. La tanto cara nonna dava gli ultimi respiri della sua lunga e centennale vita e io scoprii che anche quella aggraziata mano ruvida non mi avrebbe più consolato. E rimasi solo.

Ricordo.

Ricordo il cielo di quella sera. Terso e sereno come da tanto tempo non lo vedevo. Tornai a casa dal lavoro presto. Dato che era il giorno del mio compleanno, il capo mi aveva concesso di poter tornare a casa qualche ora in anticipo. Mangiai di corsa il riso che mi ero preparato il mattino, presto sarei dovuto andare al villaggio con i miei amici a festeggiare.

Quella sera fu indimenticabile, tra i balli, il vino e le ragazze che incontrai. Misi da parte tutti i momenti brutti che avevo passato. Conobbi una ragazza quella sera, si chiamava Kya ed aveva i capelli neri e gli occhi piccoli e gentili, era davvero bellissima. Ad un certo punto io e Kya ci allontanammo dagli altri per rimanere un po’ da soli. Mi batteva tanto il cuore quella sera, finalmente dopo tante sofferenze almeno qualcosa di buono mi stava per capitare.

La portai sul tetto del municipio di nascosto, i soldati non volevano che andassimo sopra al municipio, ma appunto per questo la portai, per dimostrarle il mio coraggio.

Ci sdraiammo insieme tenendoci la mano, e insieme guardammo il cielo.

Già quel cielo che tante volte ho guardato e ho osservato durante la mia vita, quel cielo unica cosa che mi è sempre rimasta.

Quella sera le stelle brillavano come non mai le ho viste brillare.

Erano forse anche loro felici per me?

Immaginavo di si.

Vedete stelle? Finalmente anche il giovane Kuan-Yin Xorn aveva finalmente ritrovato un pezzetto di felicità.

Ma come inaspettatamente la felicità arriva con la stessa velocità se ne va via.

Proprio mentre le mie labbra toccarono le sue, il mio cuore impazzi quasi a scoppiare.

Poi mi sembrò che qualcosa di caldo uscisse dai miei occhi e poi da tutta la mia testa.

Kya fece un urlò straziante.

Io cercai di aprire gli occhi e quando lo feci, non vidi più nulla.

La mia testa si era trasformata in una sorta di palla incandescente rilasciando la stessa energia luminosa che hanno le stelle per potersi far vedere fin da qui.

Scoprii che Kya era morta.

Quell’ulro e quella luce non passarono inosservati, le guardie,  e il villaggio intero, giunsero al municipio per vedere cosa fosse successo.

Io volevo scappare, ma non vedendo nulla iniziai a muovermi tastando a terra.

Seppure non avevo più due occhi, un naso, una bocca e due orecchie riuscivo a percepire qualcosa attorno a me riuscivo a percepire i colori a diverse lunghezze d’onda, riconoscevo il movimento dell’energia prodotta dagli abitanti del villaggio e le loro emozioni.

Quando le guardie e gli abitanti arrivarono sopra il municipio sentii le urla dei parenti della piccola Kya, alcuni gridavano contro di me dandomi del mostro.

Io volevo fuggire, volevo tornare a casa.

Cercai di muovermi ma una pallottola sparata da una guardia mi perforò la spalla.

Caddi nel sonno.

Quando mi risvegliai, erano passati diversi giorni. Mi ritrovai in una cella umida da solo, ero  incatenato al muro con spesse catene che non mi permettevano neanche di muovere un dito. Per potersi proteggere, le guardie mi avevano messo in testa una specie di casco capace di poter contenere l’energia che emanavo. Non sentivo più il bisogno di mangiare, né di bere né di respirare, l’unico bisogno che avevo era quello di vedere il cielo.

Passò qualche giorno e nessuno venne a farmi visita, neppure una guardia.

Un giorno giunsero degli strani uomini. Un uomo, sicuramente un militare, mi indicò, le guardie mi liberarono dalle catene e mi chiusero in un furgone. Non prima di avermi iniettato un sonnifero.

Caddi in un lungo sonno.

Le stagioni si succedettero decine e decine di volte prima che io mi potessi risvegliare.

Quando mi risvegliai vidi davanti a me due donne, una dai capelli rossi avvolta in un lungo manto nero mentre l’altra era una bambina dai capelli biondi. Erano rimaste a bocca aperta nel vedermi, davvero ero diventato un mostro così terribile?

La bambina mi chiese se ci fosse qualche altra persona viva dentro quel luogo e io non percepii nessun segno vitale.

Poi mi chiesero di seguirle, non so perché io lo feci, forse perché erano state le uniche due persone da tanto tempo che non mi avevano fatto muovere urlandomi dietro e legandomi come un animale.

Quando salimmo in superficie salvai i suoi amici da un essere meccanico; poi, ad un tratto il generale che mi aveva indicato in quella prigione tanti anni fa riapparve dietro di me.

Urlò alle sue guardie di catturare me e gli altri.

Ma lo fermai.

Non potevo permettere che il fato mi avrebbe separasse ancora una volta dalle persone che tenevano a me. Non potevo permettere che quei soldati facessero del male ai miei salvatori.

Mi contrapposi tra i miei nuovi amici e il generale.

Mi tolsi il casco.

Una forte energia luminosa invase tutto l’edificio raggiungendo tutti i posti più remoti, ma questa volta riuscivo a controllarla evitando quindi di colpire i miei nuovi amici.

Percepii tutte le anime imprigionate nei corpi morti che erano state dilaniate, torturate e sfinite fino a essere portate in fin di vita a causa degli esperimenti che facevano su di esse,  mi chiedevano di liberarle dalle loro sofferenze e io le liberai.

Utilizzai a fin di bene la stessa energia che mi aveva rovinato la vita più di quanto non mi fosse   stata rovinata, permettendo a quelle anime dannate qui sulla terra di raggiungere il cielo.

E pace eterna sia per loro.

Poi quando mi assicurai che ogni anima fosse libera, e che il generale e le sue guardie fossero sconfitti mi rimisi il casco.

E voltai lo sguardo verso l’alto.

Finalmente dopo tanti anni di agonia, rividi il cielo.

NOTE

Poche note al termine di questo one-shot, in cui vengono rivelate le origini di Xorn apparso per la prima volta su X-Force #5. Potrete saperne di più su questo personaggio leggendo i prossimi numeri di X-Force nel qualche diventerà un comprimario fisso.