Marvelit Presents:

 

A Yuri N. A. Lucia’s tale.

 

Spiderman & Birdman:

 

Yesterday & Today.

 

 

1969 – Base Militare Camp Lauphred.

 

 

I tre corpi fendevano l’aria con grazia e rapidità, diretti verso i luminosi raggi del sole, verso il proprio destino.

“Allora capo! Stavolta Vultro e i suoi amici hanno esagerato, nevvero?”

Lui voltò leggermente il capo verso il giovane compagno, sorridendogli e con gentilezza rispose:

“Quelli come Vultro non lo capiscono mai quanto possono essere inutili certe azioni.  Per quanto possano tentare, saranno sempre destinati a fallire!”

“Almeno fino a quando non ci sarà un eroe come te a proteggere il pianeta, vero Avenger?”

Il rapace mandò un alto grido provocando il divertimento dell’uomo.

“Finché ci saranno persone disposte a fronteggiarlo nel nome delle forze del bene.

Corresse affettuosamente l’entusiastico giovine.

Sei troppo modesto capo!”

“Dico solo la verità e poi, senza te ed Avenger non riuscirei mai a sconfiggere con tanta facilità i criminali. Comunque, anche se lo abbiamo già catturato in passato sventando le sue oscure trame, non dobbiamo sottovalutarlo: Vultro rimane uno dei criminali più pericolosi che abbiamo mai incontrato; stando alle informazioni di Falcon 7 ha potenziato la sua tuta volante e le sue bande energetiche.”

Per un attimo scorse sul volto del ragazzo un ombra oscura e preoccupato gli chiese:

“Cos’hai? E’ un po’ di tempo che tendi a rabbuiarti e chiuderti in te stesso.

“Capo… secondo te, io sono un vigliacco?”

Ma di cosa vai blaterando?”

Chiese sinceramente stupito. L’altro continuava a fissare dritto davanti a sé e dopo qualche istante di silenzio rispose, la voce intristita trasmessa attraverso il microfono posto nell’elmetto trasmessa al ricevitore del mentore.

“Due settimane fa ho visto la televisione. Sai, era parecchio che non mi capitava, con tutte le missioni e le emergenze a susseguirsi come un folle carosello non ne avevo il tempo. Mi è capitato di sedermi in un momento di quiete, mentre Avenger dormiva e tu meditavi nelle tue stanze, mettendomi a vedere un programma musicale. Sai, c’erano i the Soft machine, un gruppo inglese forte, di quelli che piacciono a me e che tu dici di non capire molto. Ho cambiato canale perché ad un certo punto c’erano delle interferenze, così… così l’ho visto. Era un servizio sul Vietnam. Sai quanti dei nostri ci hanno perso la vita? Sai cosa sta succedendo in quel lembo di terra?”

“Si.”

Rispose semplicemente, anche lui improvvisamente invaso dallo stesso struggimento dell’allievo.

“So che il governo ti ha chiesto di non intervenire nella questione Vietnam. So che tu hai il compito di difendere il paese dalle spie dei commise, occupandoti solo di emergenze interne. Però tu puoi pensarci da solo, senza il mio aiuto che a dire la verità è meno determinante di quanto tu non voglia ammettere. Pensa invece a cosa potrei fare con le capacità di cui tu mi hai fornito salvandomi la vita laggiùindico un punto vago e indeterminato oltre l’orizzonte. Tu mi hai strappato dalla morte quando ero su quella zattera, donandomi una nuova esistenza, ed io potrei salvare tante vite utilizzandoli lì. Ti immagini quanti ragazzi potrebbero far ritorno a casa?”

“Ragazzo, non sottovalutare l’utilità della tua missione qui o dell’aiuto che mi fornisci. Per un istante fu sul punto di dire tutta la verità a quello che ormai considerava quasi fosse un figlio suo ma ci ripensò all’ultimo, decidendo che quello non era il momento giusto. Ora concentriamoci sulla missione, del Vietnam ne riparleremo in un altro momento, magari tornati a casa.

“Birdman…”

Si Birdboy?”

“Davvero ti sono utile?”

“Sei il più coraggioso dei compagni che avrei mai potuto desiderare ed un giorno, quando sarà il momento, il mondo potrà contare su di un Birdman migliore di quanto io non sia mai stato.”

“Questo è impossibile: il migliore sei tu!”

Per un istante, si fissarono, scambiandosi un sorriso di intesa ed affetto e poi tornarono a concentrarsi sull’obbiettivo ormai in vista.

Il sole li bagnava con la sua luce ristoratrice, facendone risplendere di aurei riflessi il profilo e la figura, proiettandone sul mondo sottostante le ombre di moderni semidei. Volarono più velocemente, incontro al loro futuro che pareva così splendente.

 

 

New York City, Harlem – Diversi anni dopo. Ore 1.00 a.m.

 

 

Lo scontro tra bande infuriava con violenza e in terra c’erano almeno una decina di morti. Contò rapidamente quanti erano rimasti: otto o nove feriti apparentemente gravi, almeno quindici persone tra tutte e due i gruppi che continuavano a spararsi contro imperterriti. Lo scenario non era un angusto e male illuminato vicolo, bensì la strada che da tempo le due gang si contendevano, una strada su cui c’erano diversi complessi abitativi e la scuola Bextor Lewis: una vera miniera d’oro per il traffico e lo spaccio di droga. Le armi continuavano a ruggire rabbiose, lampi rossastri ed odore di cordite, mentre i proiettili fischiavano attraverso l’aria e le persone stavano chiuse in casa, tremando, pregando.

Doveva stare attento, altrimenti sarebbe stato colpito perché, per quanto veloce fosse, non poteva schivare tutta quella pioggia di metallo e di certo non ne era immune. Era rimasto nascosto per non perdere l’effetto sorpresa e per quanto avrebbe voluto intervenire subito, sapeva di dover pazientare per evitare di metterli in allarme e peggiorare la situazione: non poteva colpirli dall’alto, perché avrebbero alzato il tiro, correndo il rischio di colpire qualche appartamento, perciò nonostante il rischio, doveva portare l’attacco dal basso. Si lanciò all’indietro volando lungo la facciata vecchia e piena di crepe del palazzo, agganciò un pennone con una tela cambiando verso al suo volo e con una serie di lanci a cornicioni e terrazzini, si portò dall’altra parte dell’edificio, tenendosi quanto più vicino possibile alla strada arrivando a prendere i così detti Tigers of Harlem alle spalle. Cercò di essere il più rapido possibile ed effettivamente tutto durò pochi secondi. Colpì con decisione, attento comunque a non eccedere nell’uso della forza: per quanto fosse pieno di rabbia nei confronti di quegli assassini irresponsabili, non voleva di certo ucciderli. Prese una mano, disarmandola e gli ruppe un paio di dita, voltandosi in tempo per bloccare con un po’ di fluido la canna di una pistola che tirò verso di sé lasciando il grosso nero sorpreso e balbettante. Saltò più volte, portandosi sempre in modo da colpirli a distanza ravvicinata. Purtroppo i Leopard of New York non si fecero per nulla atterrire dalla sua apparizione, anzi, ne approfittarono per tentare di finire gli avversari. Schivò solo per un soffio un proiettile che uccise un ragazzo che aveva appena finito di inchiodare al muro. Urlò rabbioso:

“Assassini!”

Attraversò la strada con rapidità disumana, prendendo con un filo un cassonetto delle immondizie il cui contenuto fu rovesciato con un lancio addosso ai teppisti. Questi, momentaneamente accecati, non poterono opporre nessuna resistenza al suo assalto.

“Ecco, ora siete sistemati! Non nuocerete più a nessuno.”

Gli disse sprezzante dopo averli immobilizzati.

“Brutto rotto in culo di un bianco! Prima o poi te la faremo pagare!”

Lo minacciò uno che aveva l’aria particolarmente cattiva e dei grotteschi denti larghi.

“Chi ti dice che io sia bianco?”

“Lo sanno tutti! Spiderman è un chiappe pallide stronzone! E prima o poi ti rimetteranno al tuo posto!”

“Io?! Io dovrei stare al mio posto! Stasera avete ucciso delle persone ed io dovrei stare al mio…”

La macchina della polizia inchiodò con un gran rumore, alzando una nuvoletta di polvere e ne vennero fuori due agenti, evidentemente parecchio nervosi, armi sfoderate e puntate contro il vigilante.

“Salve agenti, potrei cons…”

“Zitto! Mani sulla testa e giù in terra, altrimenti apriamo il fuoco!”

“Ma che cosa diavolo state…”

“C’è un mandato di cattura sulla testa! E hai ucciso un poliziotto, quindi non sperare che useremo i guanti di velluto con te. Ringrazia il cielo che sono un poliziotto onesto, altrimenti adesso aprirei il fuoco contro di facendoti secco ora!”

Ahahaha! Spiderman è un ammazzasbirri! Ammazza i chiappe pallide come lui!”

“Zitto tu, negro!”

Intimò l’altro agente ad un ragazzo di quindici anni con indosso una ridicola cavezza di finto oro.

“Ok, calmiamoci tutti un attimo. Disse in tono calmo Spiderman, temendo che quelli potessero per errore aprire il fuoco e ferire qualcuno. Doveva aspettare il momento giusto per darsela a gambe, altrimenti sarebbero stati guai: non poteva atterrare un paio di poliziotti, non senza aggravare la sua posizione. Ascoltate, so che c’è un mandato su di me, però io non ho ucciso George Stacey. Era una brava persona e lo rispettavo davvero molto. E’ morto cercando di salvare un bambino, però non sono stato io quello che ne ha provocato la morte. So che la mia posizione è ambigua perché ho rifiutato di farmi interrogare ma mettetevi nei miei panni.

“Di che cosa vai blaterando mostro?! E poi ti ho detto di metterti in ginocchio!”

Spiderman rimase in piedi ma con le mani alzate e bene in vista, in modo da non allarmarli.

“Mi sono fatto troppi nemici e se andassi alla polizia, rivelando la mia identità, prima o poi potrebbero venirne a conoscenza. Avete mai provato a riflettere su che cosa questo comporterebbe per me?”

“Magari non lo fai perché sotto quella maschera sei un mostro… magari sei uno di quei mutanti!”

“Il Bugle! Che bel cumulo di immondizia che pubblica. Tanto per iniziare, i mutanti sono esseri umani come voi, non mostri come li dipinge l’opinione pubblica e anche se fossi uno di loro questo non cambierebbe un bel niente: se ho un identità segreta, ci sarà un buon motivo e venire allo scoperto per me potrebbe significare rischiare parecchio.”

Per qualche istante sperò che la cosa si potesse risolvere tranquillamente, i due sembravano disorientati, come se stessero riflettendo sulle sue parole. Se non lo avessero visto come un mostro, si sarebbero calmati e avrebbe potuto tentare di ragionarci: non era lui quello che volevano ma i criminali che aveva catturato per loro. Proprio in quel momento sentirono levarsi un urlo straziante dietro le proprie spalle e fuori da un portone ne venne una donna in lacrime, i capelli in disordine, vestita con una vestaglia rosa piuttosto lisa, i piedi nudi, gli occhi fuori dalle orbite, il volto deformato dal dolore e dalla folle disperazione. Tra le braccia una bimba, non più di cinque anni, un piccolo angelo che pareva dormire quietamente in un curioso contrasto con l’agitazione e la tensione tutte intorno, quasi che nulla la potesse turbare o toccare. Ci volle qualche istante a Spiderman per mettere a fuoco il particolare della macchia rossa sulla veste di lei che andava allargandosi sempre più mentre in terra gocciava un po’ di quella sostanza scarlatta.

“Oddio! No!”

Fu l’unica cosa che riuscì a dire con un sussurro strozzato. Gli corse contro e solo grazie all’istinto guidato dai sensi di ragno che ruotò su sé stesso evitando di essere colpito.

Ma siete impazziti!”

Urlò incredulo all’indirizzo dell’agente che aveva aperto il fuoco.

“Aiuto! Per Dio aiutatemi!!! La mia bambina! La mia bambina non mi risponde!!!

Gridava tra i singhiozzi la donna.

“Non… non volevo… ti ho visto che…”

Cercò di giustificarsi il giovane poliziotto, scioccato dall’apparizione improvvisa.

“Metti via quell’arma! Mettila via ora!”

Purtroppo la situazione continuò a degenerare quando fuori dalle palazzine si riversarono altre persone, una folla esasperata che si cominciò ad accalcare intorno a loro.

“Bastardi! Io li riconosco quei due sbirri! Non vengono mai qui! Hanno paura di entrare nel nostro quartiere! Li avevo chiamati mezz’ora fa! Sicuramente sono arrivati solo quando hanno sentito che non sparavano più!”

Fece uno.

“Avete visto cosa hanno fatto?! Hanno sparato un colpo a vuoto! Come se non si fosse sparato già abbastanza oggi! Ma che teste di culo avete?”

“Vi prego, manteniamo la calma gente, la signora ha bisogno di…”

Spiderman si sentì morire la voce in gola, il senso di ragno che cominciava ad urlare avvertendolo del serio rischio che stava correndo, la sua coscienza concentrata su quel piccolo corpicino che ora la madre, inginocchiata in terra, teneva stretto a sé con tutte le proprie forze.

“E’ morta…”

Si limitò a constatare tristemente un uomo che aveva provato a sentire il polso alla bambina.

“E’ tutta colpa loro!!!

Non capì chi lo aveva gridato, però dopo si scatenò l’inferno.

Urla, strepitii, e ovunque calci e pugni da cui salvò solo per un soffio gli agenti. Purtroppo, in seguito, seppe che i criminali che aveva bloccato, se ne erano fuggiti approfittando della calca e della generale confusione.

I telegiornali parlarono per un po’ della sommossa di Harlem e di come Spiderman fosse stato sospettato di averla in qualche modo alimentata.

Peter Parker, tornò a casa solo alle prime luci dell’alba e svestiti i panni del suo alter ego, si infilò sotto il letto, piangendo il suo dolore e la sua frustrazione. Finse con zia May che tutto andasse bene, andò al campus, cercò di studiare, di fingere anche con sé stesso ma non funzionò.

Quella sera, quando rincasò, trovò l’amata zia che stava facendo un po’ di pulizie.

“Oh Peter, caro! Guarda cos’ho trovato qui, non ci crederai mai.

Tutto quell’entusiasmo, per un istante, un solo istante, lo irritò profondamente ma subito se ne pentì, consapevole che lei non poteva certo sapere che cosa gli si stesse agitando dentro da tutta una giornata: ogni volta che si fermava a riflettere, continuava a vedere quella macchia rossa che inzuppava il tessuto di lana grezza e si allargava a poco a poco.

Che cos’è?”

Chiese cercando di sembrare curioso e interessato.

La zia era china su un grande scatolone che aveva effettivamente un aria familiare, e poi identifico essere quello in cui aveva, diversi anni prima, messo molte delle cose che adorava prima di divenire un adolescente: i suoi fumetti, alcuni libri, dei giocattoli e alcuni dei suoi poster preferiti. Quella vista, il ricordo di quei tempi, lenirono per alcuni istanti il dolore che lo stava lacerando.

“Oh cielo! Non ci posso credere! Il mio poster di Captain America! Guardalo qui! E’ come nuovo e… oh cielo! Birdman!!! Guarda, il poster di Birdman con la sua aquila Avenger! E qui ci sono Birdman e Birdboy!”

Zia May provò un grande sollievo nel vedere la genuina espressione di felicità sul volto dell’amato nipote, dopo che nei giorni passati gli era sembrato così impensierito e cupo.

“Mi ricordo ancora quando tuo zio te li portò. Ben diceva che ogni ragazzo ha bisogno di eroi positivi a cui ispirarsi, e diceva che Cap e Birdman erano i più grandi, senza ombra di dubbio.”

“Lo ricordo anche io! Accidenti, li tolsi dal muro quando facemmo quei lavori di ripittura e mi ripromisi di attaccarli di nuovo quando avessimo finito… ed invece, tra una cosa e l’altra me ne dimenticai. Sai, ora che li ho qui davanti agli occhi, mi sento un po’ colpevole, quasi mi fossi dimenticato di un vecchio amico. Quando mi sentivo giù, spesso mi mettevo davanti a loro, e pensavo a che cosa avrebbero fatto al mio posto.

Dentro, nella sua mente, si chiese cosa avrebbe fatto la scorsa notte Birdman al suo posto e, con costernazione, si ritrovò ad ammettere che sicuramente avrebbe fatto di meglio. Forse, con Birdman in circolazione, George Stacy non sarebbe morto, Gwen non avrebbe odiato Spiderman e… zio Ben magari sarebbe ancora con loro. Senza dubbio era davvero un campione della giustizia, non un giustiziere da quattro soldi ed inetto come lui.

Sospirò, e poi, i suoi occhi scorsero la scritta che stava alla base del poster di Birdman:

Eroe di ieri, eroe del domani.

 

 

Alcuni anni dopo. New Caledon Group Labs, New York State, Siracuse. Ore 2.00 a.m.

 

 

Il dottor Nathan Orbach tentò di mantenere la calma mentre con tutti gli altri si stava dirigendo alla più vicina stanza anti assalto. Gli uomini della scurezza erano stati mobilitati così come i sofisticatissimi aneroidi da sorveglianza Mark III – B della Stark. Aveva paura, una paura intensa, raggelante, di quelle che lasciano senza fiato e a giudicare dalle urla e dai rumori che giungevano dalle sue spalle ne aveva ben donde. Da quando l’allarme aveva iniziato a suonare, un quarto d’ora prima, non aveva mai smesso con il suo grido insistente ed assordante, un ascia tagliente che gli affettava il cervello, riducendo in brandelli il suo autocontrollo.

“Presto! Sbrigatevi, per di qua!”

L’uomo in uniforme fece un gesto perentorio al gruppo di tecnici e scienziati, indicandogli un corridoio. Nathan non avevo certo intenzione di farselo ripetere due volte, imboccando la direzione indicatagli, mentre dietro veniva allestita una linea difensiva per bloccare l’avanzata di quel mostro. Mostro: l’unico termine che gli veniva in mente per descrivere la terrificante cosa che li aveva attaccati con la devastante forza di una folgore e che avanzava dispensando morte tutto intorno a sé, quasi fosse il messaggero in persona della tetra signora.

Colpitelo! Colpitelo, svelti! Fate accorrere altri Mark, ne abbiamo bisogno! Eccolo! Eccolo! Oh Cristo!!! Non si ferma! Non si…”

Quello che udì era un suono penoso e raccapricciante, come di un animale in preda al delirio che seguiva al terrore, il puro e semplice terrore.

Con gratitudine vide l’ingresso della stanza e fu una gara di spinte per assicurarsene un posto. Assestò una gomitata tra le costole di una collega, sentì bruciare il viso mentre qualcuno gli graffiava il volto facendolo sanguinare, cadde una volta all’interno, pregando il signore affinché la pesante porta corazzata si chiudesse rapidamente. Per poco non venne calpestato da quelli che aveva alle spalle ma a parte un dito, uscì miracolosamente indenne da quella carica di bestie in preda alla paura e, per un solo istante, prima che il rifugio si chiudesse, lo vide:

era l’immagine vivente della Morte, un tetro spirito vomitato da un inferno senza nome il cui unico scopo era portare rovina e distruzione.

 

Fissò il portale con altero divertimento. Che fossero così sciocchi da pensare che quello potesse rappresentare un ostacolo alla sua avanzata? Rise. Una risata da prima sommessa, discreta, poi sempre più forte, sino a divenire sguaiata, fragorosa, isterica persino, carica di malsana crudeltà.

“Ti ho visto. Ti ho visto Nathan. Ti ho visto demonietto dispettoso. Ti ho visto. Sei dietro quella grande e spessa porta. Io lo so, perché ti ho visto. Ti ho visto tremare di paura nel vedermi. Ti ho visto impallidire mentre venivo verso di te. Ti ho visto. Ti ho visto. Ti ho visto ed ora vengo a prenderti.”

Fece un passo in direzione della lastra corazzata, il passo di un assassino compiaciuto della propria feroce freddezza, pregustando mentalmente la scena di sé stesso qualche minuto nel futuro, all’interno di quello spazio carico di corpi caldi e di vita, come un mietitore divino che sceglieva chi colpire e chi no, con tutti che urlavano contorcendosi, supplicando per non essere falciati via.

Per sua fortuna gli uomini della guardia privata assunti dalla Caledon non erano così silenziosi come i Mark, eliminati subito proprio per evitare una situazione come quella. Purtroppo non fu facile abbatterli: aveva perso l’elemento sorpresa e questi erano molto più preparati.

“Oh, beh, poco male! Posticiperò questa parte del piano e ne anticiperò la seconda: cambiando l’ordine, il risultato non cambia.”

 

Nathan stava piangendo senza alcun ritegno, come un bimbetto abbandonato al buio. Singhiozzava senza alcun controllo, così come molti suoi colleghi. Si accorse, con grande umiliazione che si era bagnato. Strinse i denti, sgranando gli occhi nel constatare che la pozza di orina si era formata proprio sotto di lui e si rese conto in quel momento della sensazione di calore provocatagli dall’orina che colava lungo la gamba destra.

“Signori, signore. L’assalitore se ne è andato e tra qualche minuto saremo in grado di far rientrare l’emergenza. Fino ad allora sarà meglio che restiate dove siete. Vi chiediamo di pazientare, presto tutto si risolverà per il meglio.

La voce filtrata dai diffusori statici cercava di ostentare un tono tranquillo, autorevole, tipico di chi è sicuro di sé. Invece celava a malapena l’ansia, l’orrore, lo smarrimento di quell’uomo che doveva aver visto il mattatoio in cui quell’essere aveva trasformato il laboratorio. Sapeva bene che non era finita. Sarebbe tornato.

 

 

Forest Hill, Queens, N.Y.C., casa dei coniugi Parker.

 

 

May cercò di evitare il placcaggio del padre che finì in terra nell’estremo tentativo di bloccare la sua corsa verso la meta risolutiva. Peter eseguì un paio di spettacolari capriole, ritrovandosi a gambe all’aria provocando nella piccola un forte scoppio di risa. Suo padre ne approfittò tornando subito alla carica e, presa in contropiede, la piccola si vide portare via la palla.

“Nooo! Non vale! Non vale!”

Protestò trillando la bambina.

“Come non vale? Certo che vale! Guarda qui, ora faccio anche meta.”

Lanciò la palla con una gran pantomima e poi si mise ad eseguire il balletto che di solito facevano i giocatori dopo aver segnato. May gli corse contro, percuotendo scherzosamente il suo stomaco. Lui si chinò un attimo, la prese e la tirò su, in alto, provocandone altri urletti.

“Allora, chi ha vinto? I Dallas Cowboy o i Chicago Bulls?”

Chiese Mary Jane che li stava osservando appoggiata alla porta, braccia incrociate al petto.

“Hanno vinto i Dallas, però hanno barato!”

Esclamò con aria indispettita la bimbetta dopo aver scoccato un occhiata carica di disapprovazione al papà che intanto aveva assunto una posa da angioletto dei cartoni animati e un aria da santarello da antologia.

I Dallas hanno giocato al meglio delle proprie possibilità, ed hanno vinto lealmente.”

Affermò con assoluto candore Peter, procurandosi un altro festoso assalto della figlia.

 

Mary Jane aveva messo la piccola a dormire, e questa, dopo il racconto dettagliato della giornata della mamma e una bella favola, si era decisa ad abbandonarsi al sonno, stringendo forte a sé il gatto di pezza che amava tanto.

La bella attrice scese le scale e trovò il marito seduto sulla poltrona che gli aveva regalato per il compleanno, gli occhi fissi sul televisore, l’aria cupa.

Non gli piaceva affatto quell’espressione perché sapeva a che cosa preludeva.

“Peter? Che cosa sta succedendo?”

Lui non rispose, limitandosi ad indicare con il capo.

Il notiziario stava dando la notizia di uno spettacolare e sanguinoso attacco ai Caledon Labs, a Siracuse. Le immagini erano terribili, e nelle espressioni dei sopravvissuti si coglieva la misura della paura che dovevano aver provato, la disperazione con cui avevano cercato di sottrarsi ad un destino di morte toccato a molti altri. Capì ancora meglio l’interesse e la preoccupazione di Peter per quella notizia quando sentì le parole dello speacker:

“… Adrian Toomes. Non ci sarebbero possibilità d’errore. Si tratterebbe proprio dell’ex inventore, titolare di un importante azienda di elettronica fallita diversi anni fa e da tempo dedito ad imprese criminali con il nome di Volture. Volture si avvale di una speciale tuta di sua invenzione che gli consente il volo grazie ad un particolare sistema propulsivo magnetico di tipo sperimentale. Tale sistema, potenzia anche la forza dell’uomo che lo indossa, così da renderlo una creatura veramente pericolosa. Volture si è dimostrato capace di azioni spietate e crudeli, macchiandosi a più riprese di efferati delitti. Secondo gli esperti, un azione così sanguinaria non sarebbe affatto fuori dal suo modus operandi e, a questo punto, c’è da chiedersi cosa volesse prendere all’interno dei Caledon Labs. Qui, lo ricordiamo, sono stati sviluppati diversi prototipi di…”

Mary Jane cercò la mano dell’uomo che amava e questi la prese, stringendola con dolcezza, quasi con disperazione.

“Lo hai sentito?”

“Si…”

“Adrian, sempre Adrian! Ha ragione, sai? Non ha mai avuto nessun tipo di scrupolo. Ricordo quando durante il nostro primo incontro quasi uccise un ragazzino nel tentativo di abbattermi. Inoltre ha ucciso con le sue mani tanta di quella gente, compreso l’inquilino di zia May, Lubensky. Ha sempre odiato tutto e tutti, provando solo disprezzo per il prossimo, convinto che altri dovessero pagare per quanto aveva subito dalla vita. E’ come tutti gli altri: un totale egoista, convinto che il mondo intero sia in debito con lui e che abbia il diritto di fare quello che più gli aggrada. E’ un pazzo, un assassino feroce e spietato. Da quando usa quel maledetto apparecchio, il rejuvenatur, ha sviluppato una dipendenza patologica dall’assorbimento di energia vitale sottratta agli esseri umani, cosa che lo ha reso ancora più folle ed instabile, cancellandogli ogni residuo di umanità. Ormai è solo una macchina di morte e questa ne è l’ulteriore dimostrazione?”

E tu devi fermarlo?”

“Lo sai benissimo: è mio preciso dovere farlo. Devo mettermi in caccia. Sono sicuro che tornerà a casa sua, qui a New York. Comincerò a battere tutti i suoi ex nascondigli, quelli che erano i suoi contatti nella criminalità della città.”

“Ti senti in colpa, vero? Pensi che avresti dovuto fare qualcosa, qualcosa di più definitivo vero? Non mentirmi, ti conosco.”

“Non voglio uccidere. Mi sono ripromesso più volte di non farlo, di non assumermi tale responsabilità. Durante la mia vita mi è capitato che alcuni miei avversari rimanessero uccisi per cause accidentali, e una volta a Berlino, senza volerlo, colpii un innocente. Non lo scorderò mai. Non scorderò mai che ho ucciso lo Scorpione quando impazzì.

“Era fuori di se, non c’era più Gargan in lui ma solo l’istinto di un predatore. Ne abbiamo discusso più volte.”

Si, ne sono consapevole. Anche se si trattò di difesa, anche se fu inevitabile, non riesco a dimenticarlo. Non voglio essere costretto a farlo mai più ma, mi chiedo, se mi trovassi di nuovo nella stessa situazione, che cosa farei?”

“Non è detto che tu ti debba trovare nella stessa situazione.

“Lo spero.”

“Amore mio, lo sai che sono con te e che ho fiducia in te. Sono sicura che sceglierai per il meglio.

“Me lo auguro M.J., me lo auguro.”

 

Entrò per un attimo nella camera della figlia, per darle un bacio sulla fronte e assicurarsi che fosse addormentata serenamente.

“E’ lo spettacolo più bello del mondo, non credi?”

Chiese sottovoce la moglie che gli stringeva il braccio al petto.

“E’ lo spettacolo più bello del mondo.”

Confermò in un sospiro.

Erano a letto, sdraiati uno di fianco all’altro, poi Peter notò la scatola appoggiata sull’armadio.

Che cose?”

La osservò, trovandoci qualcosa di familiare.

“Non la riconosci? E’ lì che abbiamo sistemato le tue cose quando abbiamo portato la tua roba da casa dei tuoi zii a qui.

“La mia roba?”

“Non tutta, buona parte.”

Un sorriso si allargò sul viso di Peter. Si alzò, la andò a prendere posandola sul lettone.

Quasi a colpo sicuro ne estrasse il poster  che sperava di trovarvi all’interno.

Mary Jane lo guardò sorridendo per via dell’espressione vagamente infantile dipinta sul suo volto.

“Birdman piaceva molto anche a me quando ero piccola.

Commentò mentre il marito osservava il poster che teneva tra le mani.

“Davvero? Non me lo avevi mai detto.”

“Aveva un fascino tutto suo. Sai, l’eroe tutto d’un pezzo, il sorriso da attore d’altri tempi e poi era considerato il simbolo della verità e della giustizia.

“Quando ero un bambino, pensavo fosse il più grande insieme a Cap. Tante volte giocavo ad essere lui e mi immaginavo a volare in cielo con la mia amica Avenger al fianco, tra le nubi. Ho sempre pensato che mi avesse ispirato anche lui nella creazione del mio personaggio, anche se penso sia più simile a Woody Allen che non a lui! Chissà che cosa avrebbe fatto lui al mio posto, dico con Volture.”

“Avrebbe fatto quello che farai tu: la migliore scelta possibile.

“Lo spero… lo spero davvero.”

 

 

Richmond, N.Y.C. – Ore 12.39 a.m.

 

 

I suoi occhi ebbero un guizzo di lussuria nell’osservare la camicetta alzarsi e abbassarsi pesantemente, segno inequivocabile dell’angoscia e della paura che ora erano le crudeli padrone della ragazza. L’aveva scelta bene, così si diceva, sulla trentina, un viso piacevolmente regolare, con un bel profilo, lineamenti non troppo marcati, un ampia fronte e un sorriso luminoso. Era bionda, non naturale anche se la tinta era stata fatta piuttosto bene, sfoggiava un taglio corto molto glamour, aveva due labbra piccole a cuore, carnose, di quelle che in gioventù amava tanto baciare, sentendole premute contro le sue. Grandi occhi azzurri, luminosi come una giornata estiva che ora erano pieni di lacrime, resi vagamente grotteschi dal trucco sciolto che colava lungo le guance. Non era molto alta, e aveva un corpo perfettamente modellato, forse da anni di palestre o da qualche intervento chirurgico. Avanzò verso di lei e questa emise un gemito strozzato, premendo con più forza la propria schiena contro il muro dietro in un vano e penoso tentativo di fuggire dal destino inevitabile. Era piena di vita ed esuberanza e sapeva, intuiva, presto le sarebbero state strappate entrambe. Lui non riuscì a trattenersi e si passò voluttuoso la lingua sulle labbra, pregustando già il momento in cui quella forza tanto bramata sarebbe stata la sua. L’uomo che l’accompagnava, ad onor del vero aveva tentato di difenderla ed era morto. Era lui la sua prima scelta, però una volta smesso di respirare aveva perso ogni utilità. Doveva imparare a controllarsi, regolare le proprie azioni ed invece… ultimamente si lasciava troppo prendere dalla collera, specie quando si sentiva squarciare il ventre, quando le convulsioni lo colpivano all’improvviso togliendogli ogni possibilità di pensare razionalmente. Era divenuto volubile e facilmente irritabile, più di quanto non fosse mai stato e questo a causa del bisogno che sentiva di strappare la vita agli altri.

Ogni volta durava sempre meno, doveva prendere più vittime nella sua trappola, ed ogni volta odiava sempre più vedere quel riflesso nello specchio: un volto avvizzito, scavato, tutto rughe ed amarezza; quello era il volto dell’uomo che era stato così imbecille da farsi portare via tutto quello per cui aveva sacrificato un’intera gioventù scegliendo invece una vita di sacrifici e privazioni. Quello era il volto in cui non si era mai voluto riconoscere, il volto di Adrian Toomes. Indossare quel costume, quei colori, inizialmente era stato un modo per evadere dalla sua vera identità, e la nuova capacità acquisita mediante l’uso del rejuvenator, era stato un ulteriore passo nella sua evoluzione: la capacità di strapparsi di dosso il vecchio Adrian, di essere realmente Volture. Osservò più attentamente la scollatura della camicetta bianca, e provò un fremito di voglia, pensando che prima di ridurla ad una vecchia balbettante sarebbe stato bello affondare un po’ tra quelle cosce tornite, stringersi contro quel corpo desiderabile, sentire da vicino il profumo di quelle carni. Lei quasi ringhiò quando lui le afferrò il polso, incapace ormai di immaginare cosa quella caricatura malvagia d’uomo potesse farle.

 

Il lampo rosato arrivò improvviso e inatteso, si che fece un balzo all’indietro assumendo una posa difensiva che aveva qualcosa di buffo e minaccioso al tempo stesso. Il muro colpito si era sbriciolato in pochi secondi, quasi la malta che teneva insieme i mattoni si fosse consumata nell’arco di istanti e questi stessi fossero divenuti friabili come biscotti.

“Chi sei?! Come osi?!”

“Chi sono, come oso. Gli individui si pongono sempre domande del tipo, chi sono? Cosa sono? Dove sto andando? E’ piacevole sentire ogni tanto qualcuno che si discosta dal cliché. Ti vedo un po’ alterato. Forse è perché ho interrotto il tuo incontro galante?”

La figura ammantata dalle ombre indicò con il dito la ragazza ormai ridotta ad un pietoso stato di shock, singhiozzante e tremante, del tutto incapace di percepire la realtà circostante.

“Hai cercato di uccidermi!!! Hai cercato di uccidere il Signore dei Cieli!!!! Non avresti mai…”

Tentando di prendere in contropiede il misterioso individuo, lo aveva assalito all’improvviso spinto da una cieca furia. Invece questi non si era scomposto assolutamente, limitandosi a bloccarlo con una presa alla gola. Il suo indice premeva con decisione e Volture tossì pesantemente un paio di volte senza potersi muovere perché ad ogni piccolo segno di ribellione, la pressione aumentava provocandogli un bruciante dolore.

“E’ un trucco molto divertente. Se aumento leggermente la pressione, ti romperò la laringe e tu dovrai parlare per il resto della tua vita con un sussurro. Sono molto bravo con questo tipo di cose, è tutta una vita che mi ci esercito, lo sai? Non voglio farti del male, altrimenti saresti già morto. Sono venuto qui per cercare la tua collaborazione, perché tu hai qualcosa che io cerco da parecchio tempo. Certo, ora che ti guardo bene da vicino, rimango molto deluso. Il signore dei cieli? Titolo altisonante per un vecchietto tremante, ridotto a comportarsi come un vampiro da operetta per rimanere in vita. Per un attimo rise, una risata sardonica, insinuante, priva di allegria, fredda, cattiva. Adrian, Adrian, e dire che ai tempi eri una promessa del mondo della scienza.

Nella mente di Volture, lo stupore si sostituì alla frustrazione e alla paura che si erano imposte e riuscì a balbettare, non senza difficoltà.

“Questa voce… questa voce io la conosco! Ti ho già incontrato… anni fa… oh Dio! Non è possibile!!! Strizzò di più gli occhi per penetrare l’oscurità, e la bizzarra sagoma assunse un suo inquietante significato. Non tu! Tu eri morto!”

“E quante volte sei stato dato per morto tu? Rispondimi. Quante volte hai ingannato la morte, rimandando il momento della tua dipartita. Ricordo quando Drago ti derubò dei paramenti e del potere, ricordo quando il cancro sembrava averti tolto tutto. Ogni volta l’hai fatta franca, per un soffio, per una scappatoia. Non ti illudere di essere il solo a saper giocare a questo gioco, perché anche io l’ho fatto e sono piuttosto bravo, sai? Eccomi qui, ancora vivo, e vero Signore dei Cieli, vero latore di morte e sofferenza, non come te: patetica caricatura del predatore che vorresti tanto essere. Mi chiedo come abbiano fatto a scambiarmi per te, sai? Mi chiedo come gli sia saltato in mente! Possibile che nessuno si ricordi più di me, della mia leggenda, del mio nome?!”

Quelle ultime parole furono percorse da una scarica d’odio puro, di rabbia celata per anni e quasi subito si tradussero in un altro lampo rosato, stavolta diretto verso la ragazza. I suoi organi smisero di funzionare praticamente all’istante, cotti dall’interno, la pelle che colava in tanti filamenti sull’asfalto, ormai irriconoscibile. L’odore nauseò persino Toomes che ebbe un potente conato. L’altro lo lasciò, e questi si accasciò in terra, cercando di vincere il bisogno di vomitare.

“Però ho bisogno di te, nonostante come tu ti sia ridotto. Voglio la tua collaborazione, la tua incondizionata collaborazione. Voglio che tu faccia quanto di chiederò, perché altrimenti rimpiangerai di essere ancora vivo. Stai con me Toomes, e volerai in alto, più in alto di quanto tu non abbia mai fatto. Stai contro di me e ti affosserò nel più profondo dell’inferno. Perché è bene che chi mi teme mi segua, altrimenti, ci sarà solo rovina.

Toomes non riusciva a parlare, balbettava solo qualche sillaba sconnessa, gli occhi fissi in quelli di brace dell’altro, poi, come a tentare di riprendere il controllo di sé stesso, un'unica parola, un nome che nessuno pronunciava più da anni:

“Vultro!”

 

 

Pensione Burbank,Lydonville, New Jersey - Ore 9.00 a.m.

 

 

“Vultro...”

Aveva quasi sussurrato quel nome, come una parola segreta o proibita che non va mai ripetuta in presenza di altri se non in rari e gravi casi.

“Vultro…”

Ripeté come per convincersi che esistesse veramente.

Nick Fury attendeva in silenzio, guardando l’arredo della pulita ed ordinata stanza: sembrava venuta fuori da un altro decennio, quando le porte venivano lasciate aperte e la gente chiacchierava lungo i viali, con un prevalere di colori legno scuro e gialli.

L’aveva trovato sotto il porticato della casa, alle otto e trenta, intento in una partita di scacchi che andava avanti da mesi con il signor Red Jackson, un ex sergente dell’esercito degli Stati Uniti che durante la Corea comandava una squadra interamente formata da afro americani. Lo aveva salutato con grande rispetto e lui non si era scomposto più di tanto, presentandolo all’altro come un amico e invitandolo a salire in camera sua.

Comunque, qui non c’è scritto nulla che già non sappia.”

Si limitò a commentare così il contenuto della busta che aveva aperto e che ora se ne stava su di un curioso mobiletto ottagonale di foggia indiana.

“Pensavamo fosse dovuto condividere le nostre informazioni con lei, visto il rapporto che intercorreva tra lei e…”

“Fury, tagli corto, lei sa benissimo perché siete venuti da me: volete assicurarvi che io mi occupi della faccenda.”

E lo farà?”

“Si. Però la cosa che vi preoccupa è che io lo faccia secondo le vostre regole, senza divulgare quanto so.”

“Lei è pur sempre tenuto al segreto Ray, è stato un nostro agente per anni.

“No, sono stato un collaboratore e la collaborazione è finita anni addietro.

Nick storse la bocca, schioccandogli un occhiata penetrante con l’unico occhio che gli rimaneva.

“Il Governo non la vede così.”

“Il Governo vede solo quello che vuole vedere, però questo non mi interessa. Tra l’altro, non mi chiami Ray, per lei sono il signor Randall.

“Signor Randall, io faccio appello all’amicizia che la legava all’agente speciale Falcon 7. Lui avrebbe voluto…”

“Falcon 7 non era mio amico, quindi si risparmi questo patetico tentativo di far leva sui miei sentimenti. Falcon 7 ed io collaboravamo ecco tutto, e una volta finita la collaborazione non è rimasto altro. La prego di terminare questa sceneggiata, i suoi modi finto cortesi sono solo una perdita di tempo. Volete che io faccia il lavoro sporco per voi, quello che non avete voluto fare voi.”

“Pensavamo fosse morto, per tutti questi anni…”

“Non mi prenda per il naso. Non mi ci provi. Sapevate benissimo che era ancora vivo e che sarebbe tornato: è questo che lui fa, lo fa sempre, torna continuamente; per tutti questi anni vi ha tenuto in scacco perché era più furbo di voi tutti messi insieme e non potevate rischiare di mettere in atto operazioni di cattura su più larga scala nel timore che prima o poi vuotasse tutto il sacco sui rapporti che l’hanno legato ai vostri amici. Fury, sa benissimo che nel momento in cui avessi saputo del suo ritorno avrei fatto qualcosa, però non pretenda né lei, né le alte sfere di venirmi a dire quello che devo fare o come farlo.”

“Ho capito, signor Randall, però questo non piacerà ai miei superiori.

“Non mi è mai interessato molto quello che piaceva ai quei vecchi tromboni, ed ora se vuole essere gentile, ho da sistemare alcune cose.

Prima di uscire dalla stanza, non poté far a meno di dare un ultimo sguardo al curioso oggetto che faceva bella mostra di sé su un alto mobile.

“Mi tolga una curiosità, signor Randall: come mai l’ha tenuta?”

“Le sembra tanto strano? Pensava fosse più giusto che la cedessi ad un museo di storia naturale, o a qualche laboratorio di ricerca? Ho seguito l’antico rituale egizio nel prepararla all’ultimo viaggio e quanto ne rimane ho voluto tenermelo vicino, a perenne ricordo di un compagno fedele e coraggioso.

Nick Fury annuì e se ne uscì dopo aver salutato.

Ray si rivolse al vecchio amico con tono carico di nostalgia e rimpianti:

“Devo farlo, vecchio mio, anche se facendo così farò i loro interessi. Lui è tornato, ed io devo combatterlo, come ho sempre fatto: è l’unica cosa che so fare.

Per un istante gli sembrò che gli occhi da tempo morti di Avenger fossero percossi da un lampo.

 

“Allora, come è andata?”

Chiese Dum Dum al Colonnello Fury, appena entrato nella macchina.

“E’ come un pezzo di cuoio indurito. Ormai è solo un vecchio amareggiato, non sembra neanche più l’eroe che era un tempo.

“Allora perché l’hai voluto contattare a tutti i costi? Perché dargli quel fascicolo?”

“Ha visto i telegiornali. Sapeva benissimo che non era Volture quello che ha assaltato il laboratorio. Si sarebbe attivato per conto suo.”

“Volevi evitare che venendo a contatto con qualcuno, rivelasse troppo?”

“Non parlerà, non diffonderà al pubblico le notizie riservate. Può dire quello che vuole, però conosce il valore del segreto. No, l’ho fatto perché quel vecchio merita del rispetto, per tutto quello che ha fatto per questo paese, per tutto quello che ha sacrificato. E poi Falcon 7 me lo fece promettere, poco prima di morire nel suo letto, ucciso dalla malattia.

“Il buon vecchio Falcon aveva un grande ascendente su di te.

“Era un brava persona, nonostante il lavoro che faceva era riuscito a rimanere integro e pulito. Gliela dovevo quella promessa e forse l’avrei fatto comunque.”

Voltò la testa verso la finestra di Ray Randall, verso quel piccolo e tranquillo pensionato costruito in stile coloniale, con le colonne del porticato dipinte di bianco e l’erba del prato ben falciata.

 

Salutò la signora Koenig con un lungo e forte abbraccio, e accettò con gratitudine l’improvvisata festicciola che gli altri pensionati gli avevano organizzato, per dargli l’arrivederci prima del suo lungo viaggio in Florida per andare a trovare un nipote che non vedeva da tempo. Che scusa banale, pensava dentro di sé, e come vi avevano subito creduto. Uscì, prendendo il taxi che avevano chiamato e durante la via gli disse di fare una fermata alla banca della cittadina.

“Salve, signorina Rubenstein.”

Salutò cordialmente la giovane cassiera.

“Salve, signor Randall. Non è un po’ troppo presto per il suo solito prelievo?”

“Oh, no, veramente devo chiudere il conto.

“Come mai?”

Chiese stupita.

“Sa, mi trasferisco, in Florida, e aprirò un conto direttamente lì.

La cassiera chiamò il vice direttore, un uomo che Ray conosceva da anni ormai. Al parco, quando andava a leggere il giornale, giocava sempre con il figlio più piccolo, facendogli dei lanci con la palla da baseball.

L’uomo si sincerò che l’altro fosse sicuro di quanto stava facendo, e Ray si limitò a sorridere e a confermare le sue intenzioni.

Prima di uscire, controllo che nel sacchetto che stava nella cassetta di sicurezza ci fosse ancora l’oggetto più importante di tutti.

 

Il taxi lo portò sino a New York City e salutò l’autista dandogli una lauta mancia oltre a quanto dovuto per la tratta. Prese il treno che l’avrebbe portato sino a Manatthan e si trovò in mezzo alla gente, nuovamente solo, immerso nei suoi pensieri. Ray Randall, settantacinque anni suonati, un metro e settanta nove, un tempo un metro e ottanta due, occhi grigio azzurri, capelli bianchi, tagliati corti e pettinati all’indietro, radi sulle tempie, mascella squadrata, fronte larga, naso leggermente aquilino rotto, il volto coperto da profondi solchi comparsi da tanti anni, spalle larghe, una pancia piuttosto vistosa, il portamento ancora fiero ed eretto.

Non era più l’uomo di una volta, si diceva tristemente. Era ingrassato, era amareggiato, era stato sconfitto dalla vita e dal tempo, dalla solitudine. Non aveva i riflessi di una volta né la stessa forza o presenza di spirito. Cominciò a sospettare che quella caccia fosse completamente inutile, però era tutto quello che poteva fare: tutto quello che gli rimaneva. Fu scosso da un fremito quando, dall’abisso della memoria richiamò la sua figura, il suo volto, quel sorriso innocente e spensierato, come di chi ha ancora tutta una vita davanti a sé. Ricordò anche il contrasto con il corpo accasciato, svuotato, esangue ai piedi di quel mostro sghignazzante. Strinse i denti. Fu rapido quando afferrò il polso, lo tirò fuori dalla tasca del soprabito di lana grigia, lo torse e ne prese il mignolo, tirandolo in dietro fino quasi a romperlo.

Hey!!! Per Dio!!! Fermati nonno!!!”

Strillò in preda al dolore il giovane che aveva cercato di sottrargli il portafoglio. I newyorkesi intorno continuarono ad occuparsi dei propri fatti, abituati a fingere indifferenza e non guardare ciò che non li riguardava.

“Non sono tuo nonno, ragazzino, e tu sei un ladro meno bravo di quello che credi. Il prossimo che cerchi di derubare potrebbe ammazzarti.

Teneva le spalle in direzione delle porte, per avere la schiena protetta e continuava a guardarsi intorno con la coda dell’occhio, così vide subito i complici del ladruncolo che si avvicinavano. Erano molto giovani anche loro, sembravano di origini portoricane, e uno dei due teneva la giacca in mano: sotto aveva sicuramente un coltello a serramanico.

“Vi piace il gioco pesante, eh?”

Gli sussurrò con un ghigno sul viso all’orecchio.

Continuò a tenerlo tra sé e gli altri due, poi, senza preavviso, lo lanciò contro quello che era armato, facendoli finire a terra. Si spinse avanti usando la gamba più arretrata, tenendosi di fianco in modo da offrire il minor bersaglio possibile, sentì una fitta al fianco mentre colpiva con un diretto alla mascella ma era abituato al dolore e riuscì ad ignorarlo. Il bersaglio cadde giù come un sacco di patate, poi si voltò e corse a dare un paio di colpi al volto del ragazzo con il coltello che stava ancora sotto il compagno. Stavolta la gente non poté far finta di nulla ed applaudì impressionata dalla prestazione di quel vecchietto.

“Devo andarci calmo, o morirò d’infarto prima di arrivare a destinazione.”

Si disse tra sé e sé, e poi aggiunse, non senza un po’ di selvaggia soddisfazione:

“Forse non sono poi così malandato.”

 

La cima del grattacielo era battuta da un leggero vento e il sole la illuminava inondandola di una calda luce dorata. Non c’era nessuno ed arrivarci era stato relativamente semplice: nessuno si da la briga di controllare un distinto signore di una certa età che si aggira per i corridoi.

Dette uno sguardo panoramico alla città che si espandeva tutta in torno.

New York City l’aveva sempre tanto attratto quanto respinto. Una moderna babilonia con enormi torri di vetro e acciaio ad ergersi dalla terra verso i cieli, quasi a rappresentare una sfida dei mortali al potere degli dei superi.

“La lezione della Torre di Babele non è mai stata imparata…”

Mormorò a bassa voce.

Lasciò cadere il soprabito, poi la giacca, sciolse il nodo della cravatta e aprì i primi due bottoni della camicia di tessuto Oxford. Prese dalla tasca dei pantaloni il sacchetto di velluto e ne trasse il gioiello.

Lo sollevò lentamente in alto, in direzione del sole e dischiuse il palmo.

“So che tanti anni fa, pochi istanti per te invero ma una vita per me, sciolsi il nostro patto. Però tu sai che il mio cuore è sincero nel dirti che ti fui sempre fedele, ottemperando sempre con zelo ai miei doveri. Una volta, mi dicesti che avrei avuto diritto ad una ricompensa ed ora sono qui per riscuoterla: chiedo vendetta; voglio di nuovo il potere, il potere di prendermi la rivincita.”

Chiuse per un istante gli occhi, prendendo un respiro quasi fosse l’ultimo della sua vita. Tornò di nuovo a fissare il mondo e alzò la testa al cielo e cominciò a cantilenare in antico egizio:

Oh tu che sorgesti dal caos delle acque del Nun, che per te scegliesti il nome di AtumRa e che con uno schizzo del tuo fallo generasti il mondo così come noi oggi lo conosciamo, a te, o possente supplico in dono forza e potere. Alla tua progenie, Nut che sempre copulava con Ged fino al giorno della separazione, chiedo protezione e guida, ad Osiride e al figlio Horus i favori e l’amicizia. Ti supplico, non lasciare che la mia richiesta sia vana, ti supplico nel nome di Amon e Amanuet, di Kek e Hehet, di Het e Hanhet, di Nun e Nanhet!

Proseguì in una lingua che ormai era nota solo alle divinità che stava invocando, ripetendo in un continuo salire e scendere di accenti il mantra a cui alla fine i superni risposero.

Il gioiello cominciò ad illuminarsi, da prima timidamente, poi sembrò bruciare, avvampando di un fuoco d’oro che danzava e crepitava , inglobandogli la mano. Sentì il famigliare calore che non avvertiva più da anni passargli attraverso il braccio, su, fino al petto e al cervello, al fegato, agli occhi, nelle reni, nella bocca. Il grasso accumulato veniva sciolto, le otturazioni nei denti saltarono e i quelli finti vennero espulsi mentre nuovi crescevano prendendone il posto, la pelle tornava ad essere elastica e resistente, i muscoli e i tendini acquistavano  il vigore perso e sentì la perduta sensazione sulle spalle. Allargò le braccia, stese le ali piumate in saluto a Geb che da tempo non lo vedeva. Indossò l’elmetto comparso tra le sue mani, l’aria che tremolava tutta intorno ancora carica di mistica energia.

“Grazie, Ra… Vultro… eccomi, sono tornato, per l’ultima volta.

 

Un bambino passeggiava pigramente con la madre, intenta a parlare con il suo videofonino con quello che gli aveva detto sarebbe stato il suo nuovo papà.

A lui non piaceva, non piaceva assolutamente. Alzò lo sguardo al cielo, perché li gli avevano detto che abitava Dio e voleva chiedere a lui di farlo sparire. Lui Dio se lo era sempre immaginato come un angelo, ricoperto da una luce dorata, bello e forte come di solito erano gli eroi che vedeva sui posters.

“Mamma! Mamma! Guarda la lassù!!!

“Ragazzino, quante volte ti ho detto di non disturbarmi quando sto videochiamando?”

Ma mamma! Guarda! La su, c’è Dio!”

“Giovanotto! Che storia è questa?! Accidenti, Harry ha ragione, devo toglierti da quella scuola cattolica! Non dovevo dare retta a tua nonna! Non mi piace né che tu dica le bugie, né che tu scherzi su queste cose.”

Il ragazzino non insistette, perché aveva capito da tempo che gli adulti sono aridi dentro, prosciugati dal passare del tempo e poco disposti a credere a tutto quello che esisteva a più di due palmi di distanza dal proprio naso. Sua madre era persino peggio degli altri, del tutto incapace di alzare anche per un solo istante lo sguardo verso il cielo, per vedere se le sue certezze avessero o meno ragione d’essere.

Lui invece sorrise, sorrise a quella figura alata che ora fendeva l’aria e si allontanava dall’alto grattacielo dalla quale sembrava aver spiccato il volo.

 

 

 

 

Jacqueline Kennedy Onassis Riserve. N.Y.C. – Ore 1.30. a.m.

 

 

Volture aveva diversi rifugi segreti sparsi per la città: Lexington, Park Avenue, Wall Street, persino uno nel Rockfeller Plaza, almeno fino all’anno scorso.

Quello nei pressi del lago J.K.O. era l’ultimo della serie. Si era alzato un vento gelido che fischiava attraverso i rami degli alberi, sollevando le foglie cadute e facendo increspare le acque. L’aveva sistemato in quella che doveva essere una casetta dove si sarebbero date feste e si sarebbero potuti osservare gli uccelli, una deliziosa costruzione in legno immersa nel verde. Toomes amava trattarsi bene e con l’avanzare dell’età questa caratteristica si era accentuata sempre di più. Stava su di un ginepro, in silenziosa osservazione: sapeva che l’avrebbe trovato lì, il suo informatore non sbagliava mai. Si strinse nelle spalle per via del freddo, e si chiese se in quel momento stesse dormendo oppure no, se stesse o meno sognando e se si, che cosa potesse sognare un essere come quello. Aveva visto alcune foto scattate dal sistema di sicurezza interno del Caledon ed era rimasto sorpreso: l’uniforme che indossava era diversa dalla solita, con un elmetto simile a quello che utilizzava Drago nel periodo in cui aveva preso il suo posto ma ancora più terrificante con la sua foggia da testa d’avvoltoio urlante. Il volto era coperto da una maschera nera, costruita in un qualche materiale rigido, le lenti a protezione degli occhi scintillanti. Le ali erano stata spostate sulla schiena e anche i colori sembravano diversi (anche se con il fumo era difficile distinguerli), sicuramente più scuri del solito verde. Forse non era Volture, forse si trattava di un emulo. Da quando aveva avuto il tempo di pensarci sopra un po’ più lucidamente, si era reso conto di aver dato troppo per scontato alcune cose. Non sarebbe certo stata la prima volta che un emulo di Volture tentasse di farsi passare per lui ma non poteva neanche escludere che si trattasse proprio di lui. Era sua responsabilità cercare di capirlo e comunque assicurarlo alla giustizia.

Doveva ancora stabilire una linea d’azione, per certo sapeva solo che come ogni suo rifugio dovesse essere ben sorvegliato e che un assalto frontale sarebbe servito solo ad allarmarlo e permettergli la fuga, senza contare che doveva star attento al rejuvenator: avrebbe anche potuto tentare di sottrargli nuovamente la gioventù, come già successo in passato.

“Perché di solito tutti i miei nemici tendono a ripetere sempre lo stesso copione? Dovrebbero assumere un consulente esperto in piani malvagi.

Disse scherzando tra sé e sé, per sdrammatizzare la tensione del momento. Cominciò ad avvicinarsi, passando da un albero all’altro, silenzioso come un soffio di vento, ombra tra le ombre. Si portò ad una quarantina di metri dal rifugio, quando improvvisamente il suo senso di ragno cominciò ad urlare. Che avesse inavvertitamente attivato qualche sensore o sistema d’allarme? Non ebbe modo o tempo di capirlo, perché qualcosa, pochi istanti dopo, gli fu addosso.

“Guarda, guarda! Io mi aspettavo tutt’altra visita ed invece. Ho sempre desiderato incontrarti di persona e finalmente ci sono riuscito.

Quella voce era sgradevole, stridula e acuto persino più di quella di Adrian e Spiderman ne era sicuro: quello non era Adrian. Aveva un costume molto simile ed era venuto fuori dal suo rifugio ma chiunque fosse, non era Vulture.

“Adesso ci faremo un bel giro, tanto per vedere quanto siamo resistenti, che ne dici?”

Aggiunse in tono canzonatorio.

Chiunque fosse, c’era qualcosa di sinistro e detestabile nella sua apparizione e, subito, ebbe la sensazione che potesse essere qualcuno di persino peggiore rispetto ad Adrian.

 

Fine dell’episodio.