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Ragno Nero#10.

 

Intrighi. 2

 

Di Yuri N. A. Lucia.

 

 

 

Nei pressi dei Mercury Labs, Richmond, New York City – Lunedì ore 9.00 a.m.

 

 

L’elegante e distinto signore con la giacca in tweed si aggirava come un’anima in pena di fronte agli operai, intenti a recuperare il possibile da quello che era stato un tempo un moderno ed efficente complesso di laboratori, ora ridotto ad un cumulo di macerie annerite.

Sostò vicino al suo segretario, senza dirgli nulla e questo preferì non parlare per primo, lasciandolo alle sue speculazioni.

Il giovane che l’aveva accompagnato gli si fece d’appresso, con passo svelto e un largo sorriso, commentando allegramente:

“E’ uno spettacolo desolante, nevvero?”

L’uomo, il cui volto si incupì ancora di più nell’udirlo, si voltò verso di lui e gli rispose in modo sgarbato:

“Falla finita! Smettila di fare il bambino e togliti quel sorrisetto idiota dalla faccia.

L’altro, che non dette a vedere se se ne era risentito oppure no, si limitò a muovere la mano destra, descrivendo un cerchio nell’aria, quasi a voler non dare importanza a quell’eccesso di rabbia di cui era stato oggetto.

“Qualcuno si è svegliato con il piede sbagliato stamattina! Con un cielo lindo e terso come questo, non è proprio possibile essere di cattivo umore, vero signor Freedland?”

Il segretario si sentì morire, non desiderava assolutamente essere chiamato in causa e tentò di fingere indifferenza.

“Parla con me, ragazzino! Non con i miei sottoposti.”

Era intervenuto quello più grande, sempre più irritato.

“E’ quello che vorrei fare, se solo smettessi di tenere questo atteggiamento negativo e poco producente.”

“Mi prendi in giro?”

“No, sono seririssimo: e da quando siamo arrivati a N.Y che sbraiti e ti lamenti; non credo tu ne abbia motivo, visto che a pagare le conseguenze in primis è stata proprio la Famiglia.”

Ma come ti permetti?! Cerca di moderare immediatamente il tono, oppure…”

Che cosa? Oppure che cosa farai? Nel suo sorriso, non c’era più divertimento, ma una gelida cattiveria sottolineata dall’aperto disprezzo che trapelava dagli occhi, fissi in quelli dell’altro. Forse non hai ben chiaro di come stiano veramente le cose, ma i tempi sono molto cambiati per te. Sei stato tu ad insistere per quel fondo fiduciario ai Thannhill e per anni hai continuato a far stanziare soldi per il tuo caro amico, e hai messo in mezzo molte delle nostre amicizie per coprire i suoi illeciti e adesso, adesso ci ritroviamo questo. Indicò davanti a sé descrivendo un arco con il braccio.

Ci fu una significativa pausa, durante il quale Freedland deglutì diverse volte. Non abbiamo nulla di veramente significativo in mano, perché dei brevetti della Mercury ne hanno beneficiato solo i fratelli Thannhill che poco si sono curati di restituire il danaro ricevuto, e questo per merito di chi? Ascolta, e fallo con molta attenzione: se sei ancora qui e non nella bocca della paluda a marcire, è solo perché sei uno di famiglia; questo non vuol dire che tutto ti sia stato perdonato e quello che hai fatto, dimenticato. Sono finiti i giorni d’oro, non godi più della fiducia degli Anziani, e ti è stato permesso di venire con me solo per salvarti la faccia davanti ai più giovani. Hai capito bene, ti è stato permesso di venire con me, perché è così e non il contrario come ti piace credere, e sono io che qui comando, che do gli ordini e che decido e visto come si sono messe le cose per te, farai bene ad abbassare la cresta e trattarmi tu con più rispetto. Sono stato sufficientemente chiaro?”

L’odio aveva trasfigurato il volto dell’uomo in una maschera grottesca, gli occhi ridotti a due fessure, le labbra tremanti, la pelle arrossata.

“Forse starò anche attraversando un brutto momento, ma non sottovalutarmi: non sono ancora morto!  Se sono qui, è perché la Famiglia mi ha dato una seconda possibilità, e tu potrai anche essere il mio controllore, e sono disposto ad accettarlo perché fa parte del prezzo del mio insuccesso, ma non sei di sicuro il mio padrone.

Tra me e te sei tu che devi abbassare la cresta, bamboccio! Quando ancora ti cagavi nelle mutande, io ero già un membro stimato del Consiglio e la mia parola, vale ancora più della tua! Non è la prima volta che cado, e mi rialzerò come tutte le volte e quando questo accadrà, mi ricorderò di quello che mi hai detto…”

Per nulla impressionato, e di nuovo divertito, l’altro incrociò le braccia al petto e rispose:

“Bravo! Ma che grinta! Lo ammetto, sei un uomo di spirito e non ti butti giù. Ma ricordati quello che ti ho detto: qui a comandare sono io.

Ora però basta, qui non c’è molto da vedere, ti lascio giocare a fare il capo, io vado a Manhattan: voglio vedere il Metropolitan, passare da Tiffany a prendere un regalo per la Grandmeré, pranzerò da Mario’s e me ne tornerò in albergo per un sonnellino.”

Si avviò verso la lussuosa Maybach, dove l’autista in livrea l’attendeva rispettosamente tenendo la portiera aperta, voltando le spalle e senza curarsi di salutare l’uomo in tweed, ma un attimo prima di salire, si girò di nuovo e parlando deliberatamente a voce alta per farsi sentire da tutto l’entourage di questi:

Ma ricordati! Non venire a cercarmi prima delle quattro! Non amo svegliarmi prima di quell’ora quando riposo, poi sono di cattivo umore tutto il giorno!” Rise senza nessun riguardo, e l’eco della risata sembrò risuonare anche quando l’auto si allontanò.

Le guardie del corpo e Freedland erano imbarazzati e fingevano di non aver sentito nulla.

L’uomo sibilò, inviperito: “Moccioso figlio di puttana… hai fatto il più grande sbaglio di tutta la tua vita…”

 

 

Un vicolo nei pressi della Hardy Investigation. – Lunedì ore 9.00 a.m.

 

 

Le vene pulsavano quasi fuori controllo, la saliva riempiva la bocca, i ghigni si allargavano sui volti, gli occhi erano iniettati di sangue.

Voglia di prendere quel delizioso frutto che li faceva impazzire di desiderio, mentre la ragazza tentava inutilmente di divincolarsi.

La grande mano dalle unghie sporche e dal dorso tatuato, venne premuta con più forza sulla bocca, e lei pensò di essere prossima a morire soffocata. Lacrime di dolore e paura scesero dagli occhi, mentre i suoi gemiti erano coperte dalle risate del branco, la cui fame di stupro era giunta al parossismo.

Ragno Nero calò dall’alto come un angelo nero precipitato dai cieli, ombra tra le ombre, principe della tenebra per diritto di nascita, erede di una millenaria stirpe di cacciatori, e solo lei lo vide, talmente era stato silenzioso nel suo apparire che gli altri non se ne accorsero.

Balzò senza sforzo alcuno sulle spalle dell’uomo che la teneva inchiodata al muro, e quello urlò sorpreso, lasciandola andare.

Ma porc…”

Non finì quelle parole, perché si sentì sollevare da terra e volare nell’aria in pochi istanti, finendo la sua corsa contro dei bidoni dell’immondizia carichi di buste di plastica che esplosero vomitando immondizia ovunque.

Il Ragno si era gettato all’indietro dandosi lo slancio con la potenza dei suoi dorsali, molle d’acciaio pronte a scattare ad ogni suo impulso, tenendo agganciata la preda grazie alle sue facoltà di adesione, tirandolo su senza sforzo, e lasciandolo andare quando la parabola descritta cominciò a discendere.

Occhi sbarrati si puntarono su quella figura il cui petto era adornato da un bianco ragno, quasi l’immagine del predatore primordiale troneggiante nella notte, e da quell’incubo materializzatosi davanti a loro, che li osservava con enormi occhi di specchio in cui si riflettevano i loro volti madidi di sudore, deformati dalla paura, si levò una voce: “Adesso basta.”

Non aggiunse altro, ma gli fu sufficiente a capire che potevano solo arrendersi, oppure tentare l’impossibile.

Due corsero contro Ragno Nero, armati di coltello a serramanico, e vibrarono dei fendenti, tentando di sorprenderlo con dei calci che sembravano non raggiungerlo per qualche misterioso incanto.

Lui si muoveva quasi non curandosene, guidato dall’esperienza di generazioni di ragni e da quella misteriosa vibrazione sua compagna da sempre.

Emisero degli strozzati gridi di dolore: il primo colpito al gomito mentre aveva il braccio disteso, costretto a lasciare l’arma per via di quel breve movimento contro natura compiuto dall’articolazione, la coscia paralizzata da un calcio, il viso frustrato da uno schiaffo, l’altro con il polso che era stato rapidamente torto, fino al limite del fratturamento, la caviglia in fiamme e lo zigomo rotto da un altro schiaffo. I movimenti di Kaine erano stati velocissimi e precisi, attento a usare solo una nocca e a sfiorarli con le mani e i piedi, quel tanto che bastava a rendere l’esperienza dolorosa ma non permanente, una furiosa tempesta di calci e pugni, scatenatasi improvvisamente e placatasi con altrettanta celerità.

Usò la ragnatela per bloccare la mano dell’ultimo rimasto che aveva tentato di prendere in ostaggio la ragazza con un cacciavite, e scavalcò gli aggressori svenuti dirigendosi verso di lui.

“Ehi! Ehi! Amico! Ti prego!!! Io non volevo, è stata un idea di Crash!!! Io non volevo… non volevo!!! Ehi!!! Perché non parli?! Cosa vuoi fare eh?! Vuoi spaventarmi, vero?! Vuoi spaventarmi per darmi una lezione?!! Lo so che non mi farai niente!!! Tu sei l’Uomo Ragno e…”

Shhh!” Gli fece cenno il Ragno Nero. “Non una parola. Rispondi solo quando te lo dico io. Non mi importa chi abbia avuto l’idea: non me ne frega un cazzo per la precisione; per me siete tutti e quattro sullo stesso piano, quattro pezzi di merda pronti a fare qualcosa di orribile solo per soddisfare i propri pruriti. Quando la polizia ti interrogherà, tu dirai tutto, non la tua versione, ma la verità.

Ricordati che è meglio per te rimanere dentro, perché fuori ci sono io: ed io non sono l’Uomo Ragno; io sono il suo gemello, quello cattivo.

Quello non riuscì a dire nulla, e svenne quando fu colpito da due dita cento volte più forti di quelle normali. Il capo gli cadde di lato, e fu trattenuto dalla tela attaccata al muro dal cadere in terra.

“Ora è tutto fintio. Disse Kaine con il tono addolcito dalla premura alla ragazza ancora tremante. Lei fece per dire qualcosa, ma venne costretta a terra all’improvviso proprio dal suo salvatore che impedì alla pallottola che aveva attraversato l’aria fischiando di colpirli.

Il tipo all’imbocco del vicolo, armato di un revolver, imprecò e bestemmiò impaurito, e tentò di prendere nuovamente la mira con la mano tremante, ma un attimo prima che Ragno Nero si muovesse, questa fu presa e intrappolata in una presa articolare, che la disarmò in pochi istanti.

Un pugno al fianco gli tolse il fiato e i sensi, e un ragazzo comparve in piedi, davanti al palo dei violentatori.

Jeanny!” Chiamò con la voce rotta dalla preoccupazione.

“Oddio amore!!! Sto bene… sto bene! Non preoccuparti!!! E’ stato lui! L’Uomo Ragno mi ha salvata…”

Lei corse incontro al nuovo venuto, abbracciandolo in lacrime, stringendosi a lui con tutta la forza che aveva. Il ragazzo disse, “Quando non ti ho visto al posto dell’appuntamento mi sono preoccupato, ho aspettato un po’ ma visto che non rispondevi al cellulare, sono venuto a cercarti…”

“Ero arrivata in anticipo e quei… quei bastardi mi hanno cominciato ad infastidire… e quando ho reagito… oddio.. mi hanno portata qui e se non fosse stato per lui io…”

“Grazie! Grazie per quello che hai fatto! Non ho parole per ringraziarti.

Ragno Nero si scosse, e rispose: “E’ solo il mio lavoro.

Bloccò con la tela i malviventi svenuti e prima di tornare di nuovo da quelle altezze che erano il suo dominio disse:

Chiamate la polizia, ditegli di sbrigarsi. Addio.”

 

ancora stretta al petto, lo vide allontanarsi pieno di ammirazione.

 

Kaine volò verso l’ufficio, passando sopra macchine, teste, vite e storie che scorrevano rapide sotto di sé, incapace di togliersi sotto la maschera, l’espressione di stupore che rifiutava tenacemente di abbandonarlo.

Darren! Esclamò mentalmente. Oddio, Darren!”

 

 

 

 

Ufficio di Terenzio Oliver Rucker – Lunedì ore 9.00 a.m.

 

 

 

Stephen Mansel e Walter Scott osservavano, mantenendo il più assoluto silenzio, il loro superiore passeggiare senza sosta avanti e indietro davanti al cartellone su cui erano appese le foto degli efferati delitti compiuti in quei giorni, osservandole con la perseveranza di un cane lanciato dietro una preda.

Era un ora che andava avanti così, e per quello che ne sapevano avrebbe potuto andare avanti per tutta la giornata, ma non osavano disturbarlo mentre stava riflettendo, o almeno volevano credere che stesse riflettendo, altrimenti avrebbero dovuto pensare che stesse impazzendo.

Si scambiarono un occhiata quasi volessero cercare una rassicurazione dall’altro, senza però ottenere null’altro che ulteriori preoccupazioni.

La porta si aprì, e sulla soglia comparve l’alta e dinoccolata figura di Chester Perkins, che fissò lo sguardo sul tenente, estraniato da tutto e tutti, e rimase lì, come se non sapesse se entrare oppure no.

Aveva in bocca una sigaretta, presa nel suo ufficio, ed era spenta, evidentemente indeciso anche su quello. Aveva promesso a sua moglie di non riprendere a fumare, ma tutto lo stress e le pressioni subite in quei giorni l’avevano portato sull’orlo del crollo: ma se avesse iniziato di nuovo e lei se ne fosse accorta sarebbe stato l’inferno; non ne aveva bisogno, visto che la città lo era già da diversi giorni.

Alla fine, prese una decisione: entrò ma procrastinò quella sulla sigaretta ad un altro momento; fece un cenno di saluto a Mansel e Scott che contraccambiarono, prese una sedia e vi si sedette stancamente sopra, sognando che fosse la comoda poltrona di casa sua.

L’ufficio era ampio e ben illuminato, con le due finestre che davano sulla strada quattro piani sotto, arredata con il mobilio standard, freddo e impersonale, ma curiosamente abbellita da vasi con piantine e fiori, in un tentativo di renderla un po’ più umana. L’aria era satura del fumo delle sigarette di Rucker, ed ovunque c’era un caos inarginabile, pile di documenti sparse ovunque, segnalibri, bicchieri di carta, foglietti carichi di scarabocchi e appunti indecifrabili. Era il sistema di archiviazione personale del poliziotto e per quanto paresse improbabile o incredibile, era capace di ritrovare qualsiasi cosa rapidamente tra di essi.

Si bloccò, e si voltò di scatto, quasi rispondendo ad un improvvisa illuminazione mandata da un ente divino, e i tre presenti, sperarono in una risposta illuminante.

“E’ certamente opera di persone diverse!”

Dopo l’iniziale sconcerto, Perkins scattò in piedi, la bocca spalancata, la sigaretta caduta in terra, ed esclamò:

“Sono persone diverse?! Sono persone diverse!?!?!?! E da Venerdì che ci stiamo ammazzando di lavoro e tutto quello che hai da dirmi è questo?!”

Rucker lo guardò con severità, lasciandolo momentaneamente spiazzato, poi strizzò un po’ gli occhi, come chi si sveglia dopo aver dormito per un bel po’ e deve adattarsi alla luce, e disse:

“Oh, salve capo! Anche lei qui?”

“Cristo Rucker!!! Non esasperarmi! Ti conosco troppo bene e so che te ne eri accorto e mi stavi ignorando di proposito, ma sono troppo stanco per incazzarmici  e tutto quello che voglio sono delle risposte!”

Ed una ne ha avuta, capo. Ribadì tranquillo il maturo tenente. Forse non è quella che si aspettava, ma è già un punto di partenza, e per arrivare da qualche parte è indispensabile averne uno. Ora posso dire che sono due casi diversi e che lei deve assolutamente parlare con le alte sfere e dirgli di decidersi a quale dobbiamo lavorare: ci sono i Jong, lo Scorpione e il suo coinvolgimento con la famiglia criminale, l’assalto ad un loro palazzo da parte di un killer misterioso, la presenza in città di quello che chiamano il Demone e che forse è la stessa persona, la morte di Scorpia ed ora questa storia del pane e dei pesci; siamo al collasso, e non posso chiedere uno sforzo ulteriore ai miei uomini altrimenti il prossimo omicidio sarà il mio.”

“Ah bene! Come se non avessi già abbastanza pensieri! Credi che non l’abbia già fatto presente alle teste d’uovo?! Lo sai che cosa mi hanno detto? Nulla! Si sono limitati a glissare e a dirmi che presto avrebbero fatto qualcosa… insomma mi hanno scaricato la patata e questo significa che dovremo andare tutti quanti avanti così fino a nuovo ordine.

“… o fine alla nostra morte.”

“Senti! Evita il sarcasmo e fai tutto quello che devi per venirne a capo! Chiedi l’aiuto a quel mostro che ti piace tanto, l’Uomo Ragno, ma fallo in modo discreto.

“Ma non era lei che odiava i vigilante?”

“Non provarci con me! So benissimo che ci hai già collaborato, conosco tutti i particolari della storia del bordello e sicuramente la cosa è andata avanti per un bel po’… non mi interessa se siete amici o Diosacosa… voglio dei risultati Rucker… mi interessa solo questo!”

Detto ciò, si voltò ed uscì rapidamente dalla stanza.

Rucker, braccia incrociate al petto, aria soddisfatta, si rivolse ai suoi sottoposti: “Ragazzi, avete sentito il grande capo? Non posso darvi quel permesso che mi avete chiesto, perciò fatevi forza: dobbiamo stringere i denti. Voglio una relazione completa riguardo tutti gli omicidi compiuti in città negli ultimi dieci anni analoghi a questi, cominciate con quelli irrisolti.

“Gli ultimi dieci anni?!”

Esclamarono contemporaneamente atterriti.

“Ultimi dieci! Ed ora al lavoro.”

I due uscirono, salutando rispettosamente, anche se quello che girava loro in testa era molto meno rispettoso.

Rucker si appoggiò alla scrivania, chiudendo gli occhi.

Gli sarebbe piaciuto poter chiedere l’aiuto di Peter, ma era ancora in Europa e non sapeva quando sarebbe tornato.

Kaine era un bravo ragazzo, e gli piacere quando Pete, anche se si era dimostrato più impulsivo ed imprevedibile, senza contare la storia di Fawcet, di per sé molto grave.

Sospirò, pensando che doveva ancora affrontare il peggio: suo figlio Dean.

 

 

 

Casa di Darren, Greenwich village, N.Y. – Lunedì ore 2.00 a.m.

 

 

“Si, diciamo che va bene ora: ha preso un sedativo prescrittole dal medico e sta dormendo un po’; per il momento quei merdosi sono dietro le sbarre, ma anche tu lo sai che usciranno presto! Dio, vorrei esplodere!!!

E’ stato l’Uomo Ragno… buffo vero? Ancora una volta siamo in debito con lui… sai, mi dispiace pensare che… no, no, non ti preoccupare: non ho cambiato idea, anzi, questo episodio mi ha reso ancora più deciso! E tu? Come va il lavoro? Ah, bene! Molto bene, devo inziare ancora a muovermi, ma sono convinto di poter fare molto velocemente, forse anche più di te! Ok, ok… ci vediamo stasera? Perfetto… a Jeanny farà piacere vederti. Un saluto.

Darren mise giù il telefono, rimanendo fermo a fissarlo, mentre ripensava a quello che stava per dirgli a proposito dell’Uomo Ragno.

Sospirò, e si diresse verso la stanza dove dormiva Jeanny.

Era adagiata sul letto, con indosso solo dei pantaloncini e una magliettina di cotone: sembrava serena ora, quasi le orribili immagini che l’avevano tormentata da quella mattina si fossero decise a darle tregua; dubitava che ne sarebbe durato a lungo e dovette far appello a tutte le sue forze per non colpire il muro con un pugno, ma non poté far nulla per impedire alle lacrime di scendere giù. Si coprì la bocca con la mano, soffocando i singhiozzi. Si sentiva uno sciocco, e si odiò per la sua debolezza.

Tornò in soggiorno e prese la foto di suo padre che stava su di un mobiletto.

“Guarda quanto è debole e stupido tuo figlio. Vedi, non riesco a smettere di lacrimare, e non posso smettere! Come potrò mantenere la promessa che ti feci se non posso dominarmi?”

Scivolò sul divanetto, abbracciando la foto, e chiuse gli occhi: Kaine.

Fu questo il primo pensiero che gli passò per la mente, e si disse che Kaine avrebbe riso di lui, rimproverandolo, dicendogli che un vero cacciatore deve essere saldo negli intenti, e determinato a portare avanti la caccia… a qualsiasi costo.

Si sentì tranquillizzato, come ogni volta che ne richiamava l’immagine alla mente e sussurrò:

“Grazie, maestro.”

 

 

 

Hardy Investigation – Lunedì ore 9.45 a.m.

 

 

Stava fissando con sguardo vacuo lo schermo piatto del suo pc, completamente immerso nei meandri della sua mente.

Darren

Il nome non faceva altro che risuonargli nel cranio, rimbombando amplificato dalla eco dei ricordi.

Darren… non ci posso credere…”

Non credeva che lo avrebbe rivisto, lo dava quasi per scontato, ed invece non era stato così, era tornato nella sua vita, anche se Darren non lo sapeva, ed ora era combattuto:

fare finta di nulla, oppure cercarlo per parlargli?

L’avrebbe riconosciuto? Non dubitava che nonostante la guarigione delle sue cicatrici lo avrebbe riconosciuto, ma era la sua mente, il suo spirito che erano cambiati radicalmente dall’ultima volta che si erano visti.

Provò un tuffo al cuore, ripensando agli insegnamenti impartitigli, all’affetto che li aveva legati: quasi come padre e figlio;

cosa aveva fatto? In cosa lo aveva trasformato? Sembrava del tutto normale, ma il modo in cui aveva colpito quel teppista… gli aveva bloccato il polso usando una delle sue prese.

Non ci aveva più pensato da quando era stato curato, forse perché il senso di colpa, la paura per le conseguenze dei suoi insegnamenti, lo avevano tormentato.

“Pazzo irresponsabile!” Si maledì, imprecando tra i denti. Non poteva far finta di nulla, doveva cercarlo e parlargli e cercare di spiegargli…

La sua attenzione venne richiamata dal rumore di qualcuno che busa dal rumore di qualcuno che bus

“Avanti.”

Invitò ad entrare e fece il suo ingresso un ragazzo sui venti anni, con in mano una busta.

“Il signor Abel Fitzpatrick?”

“Si, sono io…”

“Ho una busta da consegnare a lei.”

“A me?”

“Si, a proposito, mi scusi, lavoro per la CDC spedizioni.

Disse timidamente mentre mostrava il suo cartellino.

“Bene, ti ringrazio.”

Rispose Kaine, alzatosi per prendere la busta e dare qualche dollaro di mancia al ragazzo, che lo ringraziò.

Rimase vicino alla porta, incuriosito dal fatto che sulla busta mancasse il mittente, e la aprì.

 

Zellerman ci aveva pensato tutto il fine settimana: non gli piaceva proprio come si erano comportati Fawcet e Fitzpatrick; si era ripetuto più volte che l’avevano preso per una specie di pezza da piedi e questo a lui non stava assolutamente bene, perciò avrebbe risolto quanto prima la faccenda, affrontandoli a muso duro e ribadendogli che lui non era l’ultimo degli scemi.

Mentre si avviava alla macchina del caffè installata nel corridoio, vide la porta dell’ufficio di Abel aprirsi di scatto, un attimo dopo, comparve lui in persona, con gli occhi sgranati e i denti digrignati.

Sentì un sussulto al cuore, e l’idea di sottoporgli la questione in quel momento gli sembrò quanto meno opportuna.

 

C’era un ingresso defilato per accedere al tetto, un idea di Felicia, che permetteva ad entrambi di entrare ed uscire in modo discreto dall’agenzia. Kaine, imboccò le scalette nascoste dalla parete mobile, cambiandosi rapidamente mentre le saliva, senza preoccuparsi di raccogliere i vestiti che si stava togliendo. Aprì che si stava togliendo. Aprì  sussurrava la presenza di una minaccia, guardandosi intorno.

“Molto, molto comodo come accesso per l’ufficio. Devo dargliene atto: la Gatta Nera pensa davvero a tutto.

La voce veniva  dalla cabina in cui passavano i fili delle due parabole satellitari, ed era la stessa che aveva sentito diversi giorni addietro.

“Lurido bastardo!” Gli ringhiò Kaine.

Perché fai così? Tutto sommato te lo dovevi aspettare: te lo avevo detto che ci saremmo rivisti.

Ribatté il Demone.

 

 

 

Ufficio di Patricia – Lunedì ore 11.00 a.m.

 

 

“Sto morendo! Darei l’anima per anticipare almeno di una mezz’ora la pausa pranzo! Da quando è avvenuto questo maledetto riassetto, il lavoro è diventato un vero inferno, e quel Hiram Cook non ci rende certo le cose più semplici.”

Patricia rivolse un sorriso al suo amico, Jeff Feast, e gentilmente rispose:

Cook sarà anche un mastino, ma devi ammettere che prima in questa azienda c’era chi non faceva letteralmente niente, e neanche questo mi sembra giusto.”

“No, per carità di Dio, ma non mi pare giusto che ci si vada di mezzo noi! Uff! Senti, Disse cambiando improvvisamente il tono della voce, ora più basso, quasi da cospiratore come va con il tuo bel tenebroso?”

“Chi?”

“Dai! Non fare la gnorri con me! Ti ci ho vista insieme una settimana fa, da Bloom, stavate mangiando un piatto di spaghetti con le vongole e ridevate come due ragazzini. Non credevo ti piacesse quel tipo d’uomo, non che sia brutto, ma, beh, ha quell’aria molto Easy Rider scopre l’Heavy Metal.

Lei non riuscì a non arrossire e rispose:

“Si chiama Abel, è un ragazzo… molto dolce… ma adesso è finita.

E come mai?”

“Non… diciamo che il suo lavoro lo porta a non potermi dedicare molto tempo, e questo non lo riesco a sopportare… non in questo periodo.”

Jeff si sentì un verme quando vide che gli occhi di lei, per un attimo, si erano velati di lacrime, e subito le pose la mano sulla sua:

Scusami, non volevo farti ricordare.”

“Figurati, di certo non è colpa tua. Di sicuro neanche la sua, semplicemente che questo periodo è così.

“Posso chiederti di cosa si occupa?”

“Si, certo, fa il Detective.”

“Davvero? Vuoi dire tipo Sam Spade o Philip Marlow?!”

“Suppongo di si.”

“Ah! E dire che da bambino era il mio sogno! Sigh, la vita spesso ci delude come neanche ce lo aspettiamo.”

“Dai! Non dire così, in fondo non te la passi tanto male.

“Eh certo, come no: sono uno dei tanti sistemisti senza volto che lavora per questa azienda, e non ho prospettive di cambiare la situazione, non riesco a laurearmi in tempi umani perché devo lavorare come un mulo per mantenermi, e forse anche un po’ perché sono scemo, la mia ragazza mi ha mollato perché secondo lei non avevo ambizioni e, tanto per metterci sopra il carico, si è messa con il mio ex compagno di stanza, sai, ti ricordi quel buco dove vivo e…”

Fu Patricia in quel momento che gli prese la mano e la strinse dolcemente:

“So solo che sei un ragazzo buono e gentile, e credimi, qualità come le tue non si trovano facilmente in giro. E poi sei anche molto intelligente e vedrai che riuscirai ad aggiustare tutte quelle cosette nella tua vita che necessitano, diciamo così, di una piccola correzione di tiro.

Senti, siccome siamo tutti e due un po’ giù, che ne pensi di venire stasera a casa mia e mangiare insieme? Magari ci potremmo vedere un dvd.”

“Solo se si tratta della Pantera Rosa di Blake Edwards!”

“Vada per quello!”

Ok, allora tu ci metti la casa, la cena e il lettore, io penso al dvd, ai beveraggi e i pop corn!”

I due si strizzarono vicendevolmente l’occhio in segno di intesa e tornarono a dedegno di intesa e tornarono a ded

 

 

Base Operativa P.H.A.D.E. a New York. – Lunedì ore 11.00 a.m.

 

 

Daphne percorse il lungo corridoio tappezzato con carta da parati verde chiaro, il cui pavimento era coperto da un lungo tappeto color rosa chiaro, fino a giungere alla porta che dava al centro raccolta ed elaborazione.

L’enorme ambiente dalla pianta a croce latina, aveva il pavimento ricoperto da piastrelle bianche e nere, disposte a scacchiera, un alto soffitto a volta al cui centro c’era lo spazio concavo corrispondente ad una piccola cupola esterna, sei colonne scolpite nei muri a dare l’illusione di sorreggee l’illusione di sorreggei scrivanie su cui stavano i raccoglitori di dati.

“Allora A – 11, ci sono novità sul soggetto Sette?” Chiese ad uno di loro, intento a visionare i dati che scorrevano a mezz’aria.

“Si è trovato coinvolto negli incidenti di Calcagallo, in Italia, e attualmente si trova in Roma, apparentemente per continuare nella sua missione di cattura nei confronti di Quest.”

“Situazione ambientale?”

“Il previsto scontro tra Fazione Umanità e Nazion Mutante e ormai inevitabile, il Governo italiano sta discutendo sul decreto per la registrazione dei mutanti; qualsiasi sia l’esito, uno dei due gruppi attaccherà per primo.

“Splendido! I soggetti otto e nove?”

“Otto è ancora qui in città, attualmente è impegnato su diversi fronti: famiglia Jong, il nuovo vigilante chiamato Demone, mantiene i suoi contatti con il detective Terenzio Oliver Rucker, che continua a fare domande sulla nostra organizzazione, nove invece è a San Francisco, anche lui intento nelle sue solite attività di lotta al crimine.”

“Molto bene. Se ci sono novità significative, avvertitemi.”
Daphne uscì dalla sala, pensando che fosse ora di fare una visitina ad Otto.

 

 

 

Hardy Investigation – Lunedì ore 10.25 a.m.

 

 

 

Le braccia scattavano avanti, con accelerazione disumana, cercando varchi nella forza dell’altro, scivolando una sull’altra, respinte regolarmente da un efficace contromossa, pugno contro palmo, finger thrust spostato di lato, movimenti brevi ed eseguiti in modo da non lasciare mai il corpo scoperto o da permettere prese.

Kaine parò un calcio, grazie al senso di ragno, e piegò il gomito con cui sferrò un colpo preventivo al pugno del Demone, che, da dietro la maschera senza espressione, si lasciò sfuggire un gemito di dolore.

Tentò un attacco a sorpresa, facendo scattare l’arto piegato come se fosse un frusta, sapendo bene che l’altro l’avrebbe evitato, e sferrò con l’altro arto un colpo a sorpresa…ma la testa dell’altro si spostò di lato appena un secondo prima di essere colpita. Stavolta il Demone riuscì ad afferrargli il polso, senza però contrastare il suo tentativo di riportare in posizione difensiva il braccio, ma assecondandone il movimento e, ad un certo punto, cambiandone improvvisamente il verso all’esterno.

Ragno Nero era troppo avvezzo agli scontri corpo a corpo per cascare in quella trappola, e a sua volta non oppose resistenza, contando sulla superiore elasticità e resistenza delle proprie ossa, e usando di colpo la sua forza per sollevarlo in alto di diversi centimetri.

Anche Demone non era un novellino, e prima lo fece sbilanciare con un calcio diretto all’inguine, poi lo colpì con uno micidiale diretto al volto.

Una testa normale sarebbe stata staccata dal corpo, ma le ossa del cranio di Kaine erano tutt’altro che normali, anche se accusò un dolore micidiale e sentì scrocchiare il collo mentre aveva piegato indietro il capo.

Senza però fermarsi, si abbassò e colpì con entrambi i palmi delle mani usando la forza dei suoi dorsali, mandando il Demone oltre il bordo del tetto. Imprecò per quella sua mossa che aveva messo in pericolo la vita del nemico, ma prima che potesse agganciarlo con una tela, quello aveva già lanciato un sottile cavo trasparente terminante in un piccolo arpione che si conficcò nel muro alle spalle di Kaine. Si tirò indietro con la forza del braccio, sfruttando l’elasticità del materiale con cui era stato costruito, atterrando in posizione accucciata davanti a Ragno Nero.

Sapeva bene che se si fosse trovato un cm più avanti, anche assecondando il verso del colpo, lo stomaco si sarebbe ridotto in una zappetta disgustosa.

“Ah! Bene, bene! Come sospettavo, anche se ne possiedi una replica esatta dei poteri, e combatti con uno stile molto simile, sei diverso dall’Uomo Ragno: lui non ha tutta questa foga mentre combatte, perché di solito è troppo impegnato a non fare veramente male ai suoi nemici; è stato divertente combattere con te, così come con la tua amichetta, ms Felicia Hardy, alias la Gatta Nera, mooolto divertente. A proposito, ti ha parlato del nostro ultimo incontro? No? Strano… forse pensava che tu potessi essere geloso!”

Esasperato, l’altro gli saltò sopra, costringendolo a terra e, con voce roca e rotta dalla furia:

“Che cosa lei hai fatto?”

“Io? Niente, abbiamo solo…”

CHE CAZZO LE HAI FATTO?!”

“Ah, allora, come sospettavo, non è solo la tua datrice di lavoro, vero?”

Kaine sentiva che qualcosa dentro di sé era stato spezzato, strappato via lasciandolo lacerato, privo di certezze, in preda allo sconforto, ed era accaduto quando aveva letto il biglietto:

Ciao Abel, sono uno dei tuoi più fedeli ammiratori, e ti sto aspettando sul tetto. Vieni usando l’accesso privato tuo e della Gatta Nera, indossa il tuo meraviglioso costumino nero, io ti aspetterò impaziente.

Il suo respiro era irregolare, il battito cardiaco accelerato, sentiva il sudore scendergli in tanti rivoli sulla fronte, lungo il naso e le guance, gli occhi inumiditi, la disperazione a comandare la sua mente.

Pensò a tutto quello che quel messaggio gli aveva fatto perdere in un istante: la possibilità di un lavoro, l’idea di iscriversi all’università, le amicizie fatte, la sua storia con Patricia…; ma ancora di più quello che avrebbe potuto far perdere ai suoi cari.

Era dunque quello che provava Peter, ogni volta che uno psicopatico minacciava di smascherarlo? Era quello il suo mondo? Si chiese sentendosi terribilmente colpevole per non averlo mai capito prima, per non essergli potuto così essere d’aiuto per sostenere quel fardello.

“Chi sei?”

Chiese cercando di dominarsi.

“Chi sono? Sono solo un’ombra.”

“Non giocare con me, evita di farmi indovinelli e parla chiaro: cosa vuoi?”

Cosa voglio io? E tu, che cosa vuoi da te stesso? E’ questa la domanda che mi ossessiona: voglio sapere chi sei e soprattutto come sei; oh, certo, ora so che Abel Fitzpatrick è solo un identità fittizia, creata con l’aiuto della tua amichetta, ma cosa si nasconde dietro, beh, questo è un altro paio di maniche. Come vivi? Perché fai quello che fai? Cosa ti ha spinto a diventare un vigilante? Ecco, questi sono i segreti a cui anelo, per capire se Ragno è solo una maschera vuota, o un essere vero e vitale. I tuoi dati anagrafici, fini a sé stessi, non mi interessano.”

“Sei Fawcet!”

“Ah! Forse si, forse no...”

“Ti strapperò quella maschera dalla faccia, e vedrò immediatamente se è cos…”

Il senso di ragno esplose in una cacofonia di suoni striduli e accenti grevi che gli riempirono il cranio in un secondo, con tanta violenza che gli parve di sentire gli occhi uscirsene dalle orbite. Saltò all’indietro, incapace di governare gli antichi istinti che avevano preso il sopravvento, accovacciandosi su una cabina in cui erano contenuti i quadri di comando per l’elettricità, ma fu troppo tardi, la nuvola verdognola liberata dalle esplosioni avvenute simultaneamente, avvolse completamente il tetto della Hardy Investigations, e cominciò a filtrare all’interno del suo costume, facendogli bruciare la pelle e gli occhi. Tossì con forza, e sentì le forze che lo abbandonavano. Un dolore lacerante al volto, ancora dolore al fegato e al fianco, e poi sulla schiena. Rannicchiato al suolo, incapace di difendersi, piagnucolante come un bimbo, così come si era sentito quando aveva capito quello che era in realtà e tutte le volte che ci ripensava. Odiava sentirsi così, odiava essere così…

Etil cloruro…” Riuscì a dire in un sussurro.

“Ho scoperto che ha un effettaccio su di te, o meglio, sull’Uomo Ragno e ho appunto sperato che fosse anche il tuo punto debole. Sai, è un informazione che mi è costata parecchio! Dovresti sentirti onorato di valere parecchi soldi.

Ragno Nero tentò di rialzarsi in piedi, combattendo contro le fitte provocategli dai pugni e dai calci del Demone, riuscì solo a mettersi supino, a quattro zampe, la testa reclinata in avanti il mondo divenuto un indistinguibile vorticare senza senso, la nausea che minacciava di farlo vomitare nella sua stessa maschera.

“Chi… chi sei?”

“Forse sono davvero Fawcet, o forse no! Chi può dirlo? Io conosco il volto dell’uomo sotto la tua maschera, ma questo non mi dice molto! Non mi fermerò, non prima di aver capito, di aver conosciuto chi sei veramente tu. Oh, salutami Felicia e anche Prowler se lo vedi!”

Che cosa… che cosa centra lui?…”

“Chiediglielo! E’ il modo migliore per sapere, non ti pare?”

Kaine chiuse gli occhi, lasciandosi andare ad un sonno buio e privo di sogni, frastornato e debole, con quella risata a ribollirgli nelle orecchie e cancellare ogni possibilità di riposo o serenità.

 

 

 

 

Fine episodio.

 

 

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