MarvelIT Presenta:
L' ULTIMA STORIA DI DEATHLOK
Parte 1

 

Caro Diario,
fa caldo. Come al solito. Mio papà mi dice che è così da molti anni, più di dieci ormai, e che le cose non sembrano destinate a cambiare. La cosa mi rende triste: non posso uscire fuori a giocare con altri bambini della mia età, anche se in giro non ne ho mai visti molti, diciamo pure nessuno. Non posso divertirmi. Non posso fare molto, in definitiva, se non starmene seduta in casa mia a fissare le mura della mia casa ormai sempre più piene di crepe. Non so quanto resisterà ancora questa casa, se crollerà non so dove andremo io e mio papà. Mi sento sola. Sono triste. Qualcuno ha detto che sta per arrivare un nuovo secolo, un nuovo millennio: ma per me queste parole non significano nulla. Sono vuote come vuota è la mia voglia di andare avanti.

Caro Diario,
oggi papà è morto. È accaduto tutto così all’ improvviso che ho pianto solo dopo molti minuti che me ne ero resa conto. Era tornato a casa, ogni giorno va in cerca di un po’ di cibo per me e per lui, ed era molto stanco. Mi sono spaventata perché papà è un uomo forte, che non si stanca mai. Ma lui mi diceva che andava tutto bene. Poi, dopo un paio d’ ore, è crollato sul pavimento, premendosi la mano sul petto. C’è stato qualche lamento da parte sua, poi più nulla. Io mi ero spaventata ancor di più e mi ero fatta indietro, poi timidamente mi sono avvicinata a lui. L’ ho scosso ma non è servito a niente, non diceva più niente. Mia mamma è morta quando avevo un anno, non ho nessun ricordo di lei. Mio papà era tutto per me, non so cosa potrò fare senza di lui. Credo che, dovunque si trovi adesso, lo raggiungerò molto presto.

Caro Diario,
è accaduto un fatto molto strano oggi. Avevo deciso di uscire, per vedere se riuscivo a catturare qualcosa da mangiare. Mi ero diretta in un piccolo boschetto che, come per miracolo, ancora sopravvive nonostante questo caldo inumano. Ma una volta arrivata lì ero stanca, ornai la fame stava avendo la meglio su di me: stavo per tornare indietro quando… l’ ho notato. All’ inizio era solo qualcosa che luccicava e pensavo fosse un qualche oggetto gettato lì chissà quanto tempo fa. Poi, spinta dalla curiosità, mi sono avvicinata. E ho visto lui. Un tizio molto strano: il lato sinistro del suo volto era apparentemente umano, quello destro era ricoperto da una sorta di placca con un occhio rosso. Anche le sue braccia non erano umane, ma metalliche. Aveva uno sgargiante vestito rosso, con una fondina ed una pistola. Ai miei occhi appariva come un mostro. Il suo aspetto mi ha terrorizzata ed ho urlato, non so dove ho trovato le forze per farlo. Ma non poteva farmi niente, era adagiato sul terreno e perdeva uno strano liquido, forse il suo insolito sangue. Era ferito. Ad un tratto ha aperto gli occhi e d’ improvviso si è alzato: ma io non avevo più le forze per gridare. Per la paura e la stanchezza sempre più pressante, ho perso i sensi.
Quando mi sono svegliata, ero in casa mia. E quello strano essere era a pochi metri da me, appoggiato ad un muro. Ha alzato per pochi secondi lo sguardo, come per vedere se stessi bene, poi ha di nuovo chinato il capo. Non ho provato a parlargli, mi faceva e mi fa ancora paura. Non se n’è andato, rimane ancora qui. Non so cosa fare. Vorrei tanto ci fosse qui il mio papà.

Caro Diario,
sono cambiate molte cose dall’ ultima volta che ti ho scritto e non come pensavo io. Ti confesso che la notte in cui incontrai quello strano essere non chiusi occhio per la paura che potesse assalirmi o farmi del male. Immagina dunque la mia sorpresa quando la luce dell’ alba mi rivelò che non era più in casa mia! Mi ero forse liberato di lui? Alcuni minuti dopo ottenni la risposta e fu no. L’ essere rientrò in casa, portando tuttavia con sé qualcos’altro: della selvaggina, da lui cacciata e cotta con un fuoco di fortuna. Erano due giorni che non mangiavo. Divorai avidamente quelle carni semicrude come se fossero una benedizione, e per me lo erano. Ma il mio sguardo non abbandonava mai lo strano essere, che mi guardava a sua volta come se fossi io la persona strana.
Così, quando finii il mio pranzo, mi chiese il mio nome.
C’era qualcosa, nel tono della sua voce e nel come aveva fatto questa semplice domanda, che mi spinse a dirgli il vero. Oltretutto a cosa serviva mentirgli? “Lucy” fu la mia risposta.
“Quanti anni hai?” mi chiese poi.
“Nove”.
Si guardò intorno, poi disse ancora:”Appartiene a tuo padre il corpo che c’è nell’ altra stanza?”.
L’ essere riportata alla brusca realtà mi scosse profondamente: ovviamente non avevo potuto seppellire mio padre, non avevo le forze, e nessuno nelle vicinanze era venuto a trovarmi (a ben pensare nessuno lo fa da quasi un anno, ormai). Man mano che i giorni passavano, un terribile odore aumentava: ma io non potevo fare nulla.
Troppe cose da sopportare e non ce la feci: scoppiai a piangere davanti a quello strano essere. Lui mi mise una mano su una spalla, era il suo primo contatto:”Tranquilla, ora ci penso io a dargli una degna sepoltura. Tu, però, vai nella stanza accanto: non voglio che tu veda”. Non provai a replicare e feci quanto mi chiese. Non so quanto tempo ci volle, ma alla fine ritornò da me e disse che aveva finito.
“Dove?” chiesi.
“Non so se…”.
“Voglio dargli un ultimo saluto”.
Lui non aggiunse altro e mi portò fuori, ad un centinaio di metri circa da casa mia, dove il terreno era stato recentemente scavato. Mi inginocchiai e dissi qualche preghiera, anche se le parole erano ormai confuse nella mia mente: era una cosa che non avevo mai fatto.
“Dobbiamo andare” disse infine lo strano essere “Le radiazioni possono farti male, possono procurarti dei tumori”.
Tornati in casa, gli posi la stessa domanda che lui mi aveva fatto poco prima. “Come ti chiami?”.
“Luther”.
“Chi ti ha conciato così, Luther?”.
Mi pentii subito di averglielo chiesto, ma ormai era fatta. Lui però parve non prendersela e si limitò a rispondere:”Dei tizi molto, molto cattivi”. Il suo tono appariva triste, come se avesse sofferto molto ma nemmeno lui ne capisse il motivo. Tutti noi soffriamo, spesso ingiustamente. Forse Luther più degli altri.

Caro Diario,
man mano che i giorni passano faccio maggiormente conoscenza con Luther. Non so se sia diventato un mio amico, ma di certo ora non mi fa più paura e so di poter contare su di lui. Mi procura da mangiare, mi sta sempre accanto quando ne ho bisogno e non mi fa sentire troppo la mancanza di mio padre.
Inoltre sono anche riuscita a penetrare maggiormente in quella corazza che ha al posto del cuore. Ed ho capito che non è più uno strano essere, come l’ avevo definito la prima volta che l’ avevo visto. Ma un uomo, come mio padre. Come tutti noi. Il suo nome completo è Luther Manning ed ha fatto parte dell’ esercito americano, io non sapevo nemmeno che ce ne fosse stato uno. Un giorno, durante una esercitazione, una mina gli esplose in faccia portandolo vicino alla morte. E qui intervennero i tizi molto cattivi di cui mi aveva parlato: due fratelli, il primo un militare anch’egli, il secondo uno scienziato. Recuperarono il corpo di Luther ed impiantarono il suo cervello in una macchina da guerra vivente. Deathlok il nome in codice. Ma lui ormai preferisce essere chiamato solamente Luther.
A volte suscita ancora la mia curiosità, soprattutto quando accenna ad un altro mondo che avrebbe visitato. Un mondo dove non fa così tanto caldo, dove ci sono a suo dire tante persone con dei costumi colorati: mi piacerebbe vivere in questo mondo. Deve essere perfetto. Poi la sua voce si fa triste quando ricorda i pochi amici che ha avuto, amici che ha perso. È rimasto solo al mondo, come me.

Caro Diario,
penso di volere molto bene al mio amico Luther. Gioca con me, mi fa le coccole, mi fa divertire. Proprio come mio padre. Sembra che anche lui si stia lasciando alle spalle tutto il dolore che lo ha accompagnato in questi anni, a volte mi pare quasi che sorrida. E lui dice di non sorridere mai, sin da quando ha capito che non riotterrà mai la sua umanità perduta. Mi ha raccontato che una volta c’era andato molto vicino, ma poi ha perso tutto. È stato allora che è cominciata la sua discesa all’ Inferno. A quanto pare la mia mano tesa lo ha aiutato ad uscire. Voglio farlo sorridere, voglio farlo ridere. Voglio che diventiamo una famiglia, nonostante tutto.

Caro Diario,
oggi Luther mi ha fatto una proposta, che mi ha colto totalmente di sorpresa. “Andiamocene via, Lucy”.
“Andare via? E dove?”.
“In un qualche posto dove non ci sia da combattere, dove non ci sia dolore. Dovrà pur esisterne uno a questo mondo, magari nel suo angolo più sperduto, ma ci sarà. Io voglio andarci insieme a te”.
“Qui non va bene?”.
“Qui rischio di essere un bersaglio per colpa di quei tizi molto cattivi. E voglio che non ti succeda nulla di male, perché… ti voglio bene. Sei la cosa più bella che mi sia capitata da quando sono rinchiuso all’ interno di questa dannata corazza”.
Io esitai, imbarazzata. Il mio mondo fino a quel momento era largo pochi chilometri, non mi ero mai spinta oltre quei boschi che si trovano poco più davanti. Per me il concetto di ignoto era praticamente qualcosa di infinito. E la cosa mi faceva paura: perché nella mia casa mi sentivo al sicuro, come se fosse un rifugio in cui nessuno avrebbe osato penetrare o farmi del male. Però questi erano pensieri che facevo quando c’era mio padre, il mio eroe d’ infanzia. Avrebbe dato la vita per salvarmi dal male che era tutt’intorno a noi. Sono certa che anche Luther voglia fare la stessa cosa, solo che sa che qui non è totalmente in grado di farlo.
“Lasciami il tempo di pensare, Luther” risposi alla fine “Non è una domanda a cui posso rispondere su due piedi”.
“Certamente, Lucy. Ma non indugiare troppo” concluse lui.
Io allora mi ritirai nella mia stanza a riflettere. Lo sto ancora facendo.

Caro Diario,
penso che alla fine accetterò la proposta di Luther. Gli voglio bene ed andrei dovunque vada lui. Se dice che questo posto non è più sicuro, io gli credo. Mi dispiace solo per il fatto che non potrò più andare a trovare il mio papà, a volte mi era di conforto.

Caro Diario,
Luther è tornato a spaventarmi. Stavo andando da lui per dirgli che ero pronta ad accettare la sua proposta di fuggire via quando improvvisamente è crollato riverso sul pavimento, iniziando ad agitarsi in modo convulso. Per un attimo è stato come se il volto di mio padre di sovrapponesse al suo: allora mi sono lanciata su di lui e l’ ho esortato:”No, Luther! Non puoi abbandonarmi anche tu, non lasciarmi sola!”. Già lacrime scorrevano sulle mie guance. Di nuovo uno strano liquido usciva da lui, nero. Sangue nero.
Poi tutto, come per magia, si fermò. E dopo qualche secondo, Luther si era già rialzato. “Scusa, Lucy, non intendevo spaventarti”.
“Cosa ti succede?”.
“Nulla, nulla”.
“Non mentirmi, si vede che ti è successo qualcosa. Se vuoi che io ti segua, devi concedermi almeno un po’ di fiducia”.
Luther alzò il capo, come se contemplasse qualcosa visibile solamente a lui, poi mi fissò dritto negli occhi. “Vedi, Lucy, ti ho già parlato di quei tizi cattivi che mi danno la caccia. Ecco, poco prima di incontrarti avevo avuto uno scontro con dei loro… diciamo delle macchine al loro servizio. Le avevo sconfitte abbastanza facilmente, ma non ho potuto impedire che una di esse mi infilasse un qualcosa nel mio organismo cibernetico. Temo sia quello che in gergo viene definito un virus altamente sofisticato: mi sta divorando dall’ interno”.
Avevo capito solo metà del suo discorso, ma mi lasciò comunque terrorizzata. “Stai molto male? Ce la farai?”.
“Mi hai detto di non mentirti e non lo farò. Sono conciato malissimo e devo trovare al più presto una cura da questo mio male. E ce le farò perché ho un qualcosa di importante per cui lottare, la tua salvezza ed il tuo benessere”.
“Te ne devi andare dunque?”.
“Sì, ma solo per pochi giorni. Quando ritornerò io e te ce ne andremo via da qui, da questo mondo malato. Mi aspetterai?”.
“Certo che lo farò” risposi con occhi pieni di lacrime “Ed al tuo ritorno ce ne andremo in quel posto sicuro dove non si deve combattere di cui mi hai parlato”.
Lui mi accarezzò una guancia ed un minuto dopo se n’era già andato.

Caro Diario,
sono passati due giorni e Luther ancora non è tornato. Spero stia bene.

Caro Diario,
spesso sogno della mia vita futura, penso ad un mondo nuovo, quel mondo di cui Luther mi ha raccontato, pieno di uomini con sgargianti costumi, senza radiazioni solari. Forse è lì che intende portarmi. Non vedo l’ ora di andarci. Voglio bene a Luther, lo seguirei dovunque vada. Sono andata anche a salutare il mio papà, a dirgli addio: ma non lo dimenticherò mai.

Caro Diario,
quattro giorni ed ancora nessun segno di Luther. Comincio a preoccuparmi: che gli sia forse accaduto qualcosa? Che quegli uomini cattivi… No, non devo pensarci, nemmeno per un secondo. Lui è una persona forte, capace di superare ogni difficoltà. Ritornerà.

Caro Diario,
sento dei rumori in lontananza. Deve essere lui, Luther, deve aver preso qualche mezzo di trasporto ed ora sta venendo a prendermi, a portarmi via. Quanto ho atteso questo momento: la prospettiva di una nuova vita mi fa paura, ma mi affascina anche. Non vedo l’ ora che cominci. Sono felice, sono felice, sono davvero fe…

Deathlok si riprende, flash dell’ ultima battaglia che ha combattuto che a volte passano rapidi nella sua mente. Poi vede la casa a pezzi, ridotta in macerie, e corre come un pazzo. Nonostante il dolore che sente scava per minuti, per ore. Fino a quando lo trova: il corpo esanime della piccola Lucy, la bambina che gli aveva fatto intravedere una nuova speranza di innocenza. Ora perduta per sempre. È ridotta malissimo, il suo volto è quasi irriconoscibile: ed il tutto per colpa sua che ha trascinato il suo assassino qui! Stava cercando una cura al male che l’ attanaglia, ma gli sgherri robotici dei fratelli Ryker lo stavano attendendo: inizialmente l’ hanno inseguito, poi hanno cambiato bruscamente direzione. Deathlok sapeva benissimo per dove: a quanto pare l’ avevano tenuto d’ occhio nelle ultime settimane. Li ha rincorsi con quanto fiato aveva in corpo, ma quando infine li aveva raggiunti era già troppo tardi. Uno di loro aveva lanciato un missile, che aveva raso al suolo la casa dove si trovava Lucy. Poi Deathlok ricorda poco dei minuti successivi: l’ ira l’ aveva sopraffatto, una rabbia cieca l’ aveva guidato per distruggere tutte le infami creazioni dei fratelli Ryker.
Il guerriero china il capo e porta la bambina presso il luogo dove è sepolto suo padre. Pochi minuti dopo un’ altra tomba di fortuna è terminata. Luther Manning si inginocchia: pur non essendo credente giunge le mani come ha visto fare a Lucy. Infine pianta una croce costruita con due paletti di legno incrociati.
Inizia a camminare, senza una meta precisa. Ed è così per svariati chilometri. Poi alza lo sguardo al cielo e grida:”Hellinger! Questa te la farò pagare fosse l’ ultima cosa che faccio!”.
La discesa all' Inferno di Luther Manning comincia qui.

CONTINUA...

Note dell' Autore: Il titolo non è altisonante, non si sono usate parole false: questa è veramente l' ultima storia del guerriero del futuro non più tale noto come Deathlok. Del primo Deathlok, Luther Manning, non del secondo, Michael Collins, che compare su Vendicatori. Nonostante le premesse siano chiare, vi invito comunque a leggere tutta la saga: ci saranno delle spero piacevoli sorprese lungo la via.