Numero 7

ULULATI DI GUERRA - Parte 3

di Andrea Garagiola

Sede della Sezione Americana dello S.H.I.E.L.D. a Washington DC. Ufficio di Jonathan Juniper.
Bridge non era convinto di usare proprio lei per questa missione, e non si risparmiò di farmelo notare urlando e sbattendo violentemente sulla scrivania tutto ciò che gli capitava a tiro. Prima di lasciare il mio ufficio chiudendosi furiosamente la porta dietro le spalle fece cadere a terra la tazza nelle quale tenevo le penne a sfera.
Il buon vecchio George Washington Bridge non voleva ammetterlo, ma a lui quella ragazza piaceva. Come a un padre, certo. Ma se non fosse stata l'unica soluzione non mi avrebbe mai permesso di metterla in una situazione tanto pericolosa. Ma lei era l'unica soluzione. Il colonnello Fury era soddisfatto dei nostri progressi, ma ci eravamo cacciati in un guaio molto più grosso di noi e l'unico modo per venirne a capo era quello di portare la fortuna dalla nostra parte. E devo dire che la ragazza ne aveva fatta parecchia, di fortuna. Anche se quello che aveva scoperto, in un certo senso, complicava ancora più le cose.
Vidi lampeggiare il mio comunicatore da polso, era giunta l'ora della mia missione. Una missione a cui non potevo sottrarmi. Presi tempo e raccolsi i cocci della tazza che Bridge aveva rotto, era spezzata in tre grosse parti. Presi due dei cocci e li feci combaciare, riformando la grossa scritta MY SUPERHERO stampata su di essi. Era un regalo di Valentina. Già, Valentina. Era giunto il momento di andare, ora toccava a me.

Incrocio tra la 33esima Strada e la Madison Avenue, New York City. Una settimana prima.
Le due grosse berline con i vetri oscurati sfrecciavano tra il traffico cittadino, tallonando la Harley Davidson nera che le precedeva sulla 33esima Strada. La moto superò l'incrocio e subito sui semafori della Madison Avenue scattò il verde. Le due auto inseguitrici non potevano permettersi di perdere la preda e tentarono la fortuna bruciando il rosso. Peccato che per una delle due auto la fortuna non girò e si andò a scontrare contro un grosso camion della nettezza urbana.
La seconda auto, non curandosi della compagna incidentata, riguadagnò il terreno che la separava dalla moto. Davanti a loro si estendeva l'impenetrabile muro di auto dell'ora di punta. La ragazza in sella era sicura della propria guida e lo dimostrò sfidando le leggi della fisica, oltre che quelle della strada, con una serie di manovre al limite, fece lo slalom tra alcune auto in coda e si gettò nel sottopassaggio della metropolitana. Mentre alcuni conducenti delle auto scesero dai loro mezzi per imprecare contro la ragazza che aveva lasciato un ricordo del proprio passaggio sfregando le ginocchiere sulle carrozzerie, la seconda berlina raggiunse l'altezza dell'entrata della metropolitana.
Tre energumeni in giacca e cravatta scesero dall'auto e si diressero di corsa, con le pistole in pugno, all'inseguimento della ragazza in moto. Quando il primo di loro appoggiò il piede sul primo gradino della scala che conduceva nel sottosuolo, l'ombra di un flyer sopra le loro teste li bloccò.
La ragazza a bordo della moto fece tutto ciò che era in suo potere per evitare di urtare i passanti urlanti, e ci riuscì. Del resto era stata scelta per l'incredibile portata del suo potere. Ma anche i migliori poteri non sempre possono fare miracoli. La moto sotto di lei si scompose letteralmente in centinaia di pezzi, facendola cadere a terra. La ragazza stava cercando di riprendersi dal tremendo impatto, era stordita, ma non si voleva arrendere. Fece scattare velocemente una mano per afferrare la pistola che teneva assicurata in vita, ma, prima di riuscire a raggiungere il bersaglio, il suo polso venne arpionato da una mano possente che la sollevò da terra, facendola penzolare a qualche centimetro dal pavimento. Davanti a lei c'erano l'energumeno che la stava sollevando e un ometto rugoso con la mano avvolta da delle luci bluastre, sicuramente il tizio che aveva scomposto la sua moto. Anche loro vestivano un completo elegante, erano sicuramente compagni dei suoi inseguitori. Calibri decisamente più grossi dei precedenti.
- Corsa finita, ragazza... - Quello rugoso le sorrise meschinamente. - Non sei poi così fortunata come dicono... -
La ragazza si stava riprendendo, sollevò lo sguardo verso l'uomo che le aveva appena rivolto la parola e lo vide cadere a terra con una smorfia di dolore che si intravedeva tra le mille rughe del suo volto. Dietro ai due uomini c'era qualcuno, ma non riusciva a riconoscere chi potesse essere. L'energumeno si voltò per capire cos'era accaduto al suo compagno, ma la sua disattenzione gli fu fatale. La ragazza, ormai ripresa dal duro colpo, sferrò una serie di agili calci alla base del collo del gigante, finché questo non cadde con un tremendo tonfo.
- Signorina Domino, presto... - La figura dietro ai due uomini era quella di Jonathan Juniper e stringeva in mano una pistola stordente - Sono venuto per portarla fuori da questo pasticcio... Se avessi saputo che si è messa a fare affari con il Maggia per assassinare dei capi famiglia rivali, avrei scelto qualcun altro da reclutare... -
- Reclutare!? Si può sapere chi diavolo sei...? - Domino si bloccò per un istante. - Ehi, aspetta... Io non sto lavorando per il Maggia! Glielo sto solo facendo credere per colpirli dall'inter... Ascolta, non so chi tu sia, ma non ti devo nessuna spiegazione! -
- Di questo ne parleremo dopo... - Juniper sistemò la pistola nella fondina e poi mostrò a Domino il corridoio alle sue spalle. - Hai fatto un bel casino in strada e una mia collega con poca tolleranza per il genere maschile ha dato una bella lezione ai tuoi amici di sopra, la polizia sarà qui a breve... Per non parlare di due superumani mafiosi stesi qui sotto in metropolitana, c'è il rischio che ci faccia un saltino anche lo S.H.I.E.L.D.... Forse è meglio se mi segui... Che ne dici? -

Sede della Sezione Americana dello S.H.I.E.L.D. a Washington DC.
Ormai mi ero integrato così bene nello S.H.I.E.L.D. che già mi ero ritrovato alla guida di una squadra segreta e tramavo alle sue spalle. Mi ero integrato così bene che a volte mi scordavo di non essere il vero Jonathan Juniper, ma solo un suo clone. Eppure ero stato programmato per pensare come lui e provare le sue emozioni. I suoi sentimenti. Chissà se il vero me stesso in questa situazione avrebbe agito come avevo fatto io. O se avrebbe fatto del scelte differenti. Forse migliori?
Fatto stava che il vero Juniper non c'era e toccava a me fare quello che andava fatto. Quello che Domino aveva scoperto durante la sua missione ci aveva obbligati a cambiare programmi, ad agire in fretta e accelerare i tempi. Il nemico da combattere si era rivelato un altro, ed era estremamente più pericoloso.

Consolato Generale Russo, New York City. Due giorni prima.
La dottoressa Kovaleva camminava con passo deciso per i corridoi del consolato generale russo tenendo in mano una cartellina colma di documenti, gli occhi dei soldati le restarono incollati per tutto il tragitto, cercando di immaginare le curve nascoste sotto al casto camice da laboratorio. I soldati russi erano ben disciplinati e ligi al dovere, ma anche per loro era difficile resistere al fascino di quella donna della quale non avevano mai capito perché, anziché intraprendere la carriera di modella, avesse scelto di chiudersi in laboratori sotterranei russi e lavorare a chissà quali strani progetti segreti.
La guardia davanti alla porta dell'ufficio del colonnello generale Shelkov salutò la dottoressa Kovaleva con un cenno del capo e le aprì la porta, invitandola a entrare. Il generale l'attendeva seduto sulla poltrona della sua scrivania, aspettò che la donna fosse nella stanza e poi con un rapido cenno della mano indicò alla guardia di richiudere la porta.
< Ecco i documenti che ha richiesto, generale... > [1] La dottoressa poggiò la cartelletta sulla scrivania.
< Come mai volevate vedermi di persona, dottoressa Kovaleva...? > Il generale si mise comodo sulla poltrona e poggiò i gomiti sui braccioli. < Potevate tranquillamente mandarmeli per posta elettronica. >
< Ci sono alcuni dati che vorrei vedere con lei... > La dottoressa fece una piccola pausa, come se formulando la frase stesse ascoltando qualcosa che, per un attimo, aveva attirato la sua attenzione. Fu una pausa molto breve, ma il generale sembrò essersene accorto. < Dati che richiedono una sua visione urgente... >
< State bene, signorina? > Il generale fissò negli occhi la dottoressa Kovaleva con uno sguardo privo di espressione.
< Sì, generale... Tutto bene, non è stato nulla. >
< Bene. Prego, allora... >
< Vede... > La dottoressa aprì la cartellina davanti al generale e iniziò a sfogliare i documenti, si fermò su un foglio a circa metà del plico. < Questi sono i risultati di cui le parlavo al telefono poco fa... > La donna si girò un paio di volte verso il generale forse perché sentiva i suoi occhi puntati su di lei o forse perché in quella pausa che fece aveva scoperto qualcosa che non si aspettava.
< Molto bello! > Il generale continuava a fissarla, senza degnare di uno sguardo i documenti.
< Cosa...!? > La dottoressa si voltò nuovamente verso Shelkov stupita.
< Questo... > Il generale poggiò delicatamente la mano sull'elegante orologio che la donna portava al polso destro. < L'orologio. È molto bello... È nuovo? Non gliel'ho mai visto addosso... >
< Sì, è un regalo... > La dottoressa tornò a concentrarsi sui documenti con la speranza di distogliere l'attenzione del generale dal suo accessorio.
< Posso? > Il generale strinse la mano sull'oggetto e glielo strappò violentemente. La figura della dottoressa Kovaleva si increspò e poi si dissolse, rivelando la figura estremamente sorpresa e preoccupata di Domino. < Lasciatemi indovinare, signorina... Tecnologia S.H.I.E.L.D.? >

Sede della Sezione Americana dello S.H.I.E.L.D. a Washington DC.
Avevo un ricordo che mi assillava da sempre, dal giorno in cui nacqui in quel maledetto laboratorio russo. Non era un mio ricordo, era uno del vero Juniper. Eravamo a Berlino, durante la guerra, e c'era Manelli, uno dei vecchi Howling Commandos, che urlava qualcosa. Ma non ricordavo cosa dicesse, i rumori degli spari e delle esplosioni dei tedeschi coprivano la sua voce, o forse ero troppo impegnato a tenermi le viscere al loro posto per ascoltarlo. Ricordavo però il suo viso, aveva un'espressione disperata, sicuramente non stava urlando ai nostri compagni che ce l'avrei fatta a sopravvivere.
Manelli mi trascinò a fatica per diversi metri, schivando miracolosamente le mitragliatrici dei nazisti, e mi portò dal sergente Fury. Nick mi strinse la mano mentre lentamente la vita scivolava via dal mio corpo. Non disse nulla, ma il suo sguardo fraterno mi rese fiero di essere caduto in battaglia guidato da quell'uomo. Poi il buio mi avvolse. [2]
Quel ricordo mi assillava fin dall'inizio della mia nuova vita. Sapevo che non era mio, che era il ricordo di un'altra persona di cui io avevo solamente preso il posto. Ma ogni volta che quei fotogrammi mi investivano, non potevo fare a meno di ritornare con la mente a quel momento, riprovare tutto il dolore e le emozioni di quel giorno. Di quell'uomo che io non ero.
Vivevo dei ricordi non miei e non sapevo se potevo definirmi un vero essere umano o meno. Non l'avevo mai chiesto ai dottori che mi avevano plasmato, non mi ero mai posto il problema finché non avevo cercato di farmi dei nuovi ricordi. Una nuova vita. Nick mi trattava sempre come se fossi un normale essere umano, ma gli ricordavo troppo il suo piccolo Junior perché fosse davvero onesto con se stesso. E con me. Io non sapevo come definirmi, non sapevo se parlare di me come un essere umano, una macchina o, semplicemente, un'aberrazione genetica. Sapevo solo che avevo iniziato a provare dei dannati sentimenti e che quei dannati sentimenti mi avrebbero fatto parecchio male.

Consolato Generale Russo, New York City. Due giorni prima.
Il generale Shelkov afferrò il polso di Domino e lo torse, la ragazza rispose con una smorfia di dolore, ma non si diede per vinta. La sua missione doveva essere un semplice recupero di informazioni, sotto copertura, perciò ora si trovava sprovvista delle sue amate armi da fuoco, difficili da nascondere negli abitini della dottoressa Kovaleva, ma non per questo sarebbe stata meno letale.
Domino sfruttò la presa del generale per torcere a sua volta il braccio dell'uomo e portarsi alle sue spalle, afferrandolo con una ferrea stretta al collo. Shelkov cercò di afferrare il cassetto della scrivania nel quale era nascosta la sua pistola, ma il tacco a spillo delle eleganti decolleté di Domino gli arpionò il dorso della mano. L'uomo non fece in tempo a urlare per il dolore che la donna gli aveva conficcato nella gola un tagliacarte placcato in oro che Shelkov sfoggiava sulla propria scrivania.
- Merda... - Il generale si afflosciò senza vita sulla sedia mentre Domino osservava le sue mani e il camice che indossava sporchi di sangue. - Merda... -
Domino prese un dispositivo di memoria dalla tasca del camice e lo inserì nel terminale sulla scrivania di Shelkov. I dati contenuti nei server della struttura iniziarono a essere trasferiti e, mentre scorrevano velocemente sullo schermo, Domino iniziò a capire che forse c'era sotto più di quanto le avevano detto. - Merda! -
- Domino!? - La voce di Juniper proveniente dall'auricolare del comunicatore della donna era sorpresa e alterata. - È mai possibile che nessuno riesca a rispettare il silenzio radio? Qual è la situazione? -
- Sono stata scoperta... - La voce di Domino era distante, troppo concentrata su quanto stava leggendo sullo schermo. - Shelkov mi ha scoperta! -
- Non è possibile che abbiano trovato la vera dottoressa Kovaleva. L'ho spedita personalmente in una delle esclusive “vacanze” dello S.H.I.E.L.D.... Si può sapere cosa accidenti è successo? -
- Ora è tutto a posto, tranquillo... Devo solo trovare un modo semplice per non lasciarci le penne e rischiare un qualche incidente internazionale... Ti sto inviando i dati del generale sul nostro server segreto... -
- E Shelkov...? -
- L'ho ammazzato! - Domino era troppo concentrata sul monitor del computer per dare alla frase il tono adeguato.
- Cosa diavolo...!? Gli ordini erano chiari: nessuno sarebbe dovuto morire, a meno che non fosse nella lista di cloni... -
- Shelkov ha sospettato di me quando il tuo dannato rilevatore mi ha avvisato dell'esito della scansione sul generale... -
- Ha funzionato...? -
- Già. E indovina un po'? Anche il nostro Shelkov era un clone! -
- Com'è possibile? Shelkov dovrebbe essere il capo del nuovo programma di sfruttamento dei cloni, perché dovrebbe... ? -
- Non lo so, accidenti! Tu mi hai detto che questi dannati cloni dovrebbero essere così perfetti da essere identici all'originale al novantanove virgola nove e rotti percento e che solo il rilevatore calibrato sulla tua struttura genetica è in grado di rilevare quello zero virgola uno scarso percento che manca... Bene, il tuo dannato rilevatore mi ha fatto “bip bip” nell'orecchio e io ho fatto quello per cui mi hai reclutata, ok? -
- Io non intendevo... - Juniper fece una pausa, quasi come se fosse indeciso su come continuare la frase. - Domino, i dati che hai recuperato sono al sicuro sul nostro server. Missione compiuta. Ora vedi di uscire di lì sana e salva! -
- Ottimo! Ma non cantare vittoria prima di aver dato uno sguardo a quei dati... La tua lista andrà aggiornata... - Anche Domino fece una pausa, ma non perché fosse indecisa su cosa dire, ma perché non sapeva come dirla. Scelse il metodo diretto, alla fine lei era stata reclutata perché aveva il potere di alterare la fortuna a suo vantaggio e perché era dannatamente letale, non certo per le buone maniere e la diplomazia. - E mentre l'aggiorni, siediti, perché ci troverai un nome che non ti piacerà! -

Luogo sconosciuto a 23 miglia dalla Sezione Americana dello S.H.I.E.L.D. a Washington DC.
Parcheggiai la vettura come stabilito. La zona era deserta, nascosta alla vista delle auto che transitavano sulla statale e poco coperta dai segnali della maggior parte delle compagnie telefoniche. Prima di scendere dall'auto attivai il distorsore di segnale dal mio palmare, per il mondo intero io non dovevo essere lì.
Ovviamente Domino si salvò, per il rotto della cuffia, certo, come sempre, ma tornò a casa sana e salva. Non osai immaginare cosa sarebbe successo se i russi avessero catturato un mercenario americano che aveva appena assassinato a sangue freddo uno dei loro generali all'interno del loro consolato. E tanto meno osai immaginare cosa mi avrebbe fatto Bridge.

Consolato Generale Russo, New York City. Due giorni prima.
- Non ti muovere da lì! - Domino corrucciò la fronte sorpresa sentendo quell'ordine di Juniper dal comunicatore. - Resta in quell'ufficio ancora per qualche istante... -
- Senti, non so se forse ti è sfuggito qualche passaggio, ma sono nell'ufficio di Shelkov, di fianco al suo cadavere e sporca del suo sangue, forse... Aspetta, due secondi fa mi hai detto di andarmene da qui e ora mi dici di restare? Il tuo piano sta iniziando a fare acqua da tutte le parti o sbaglio? -
- Abbi pazienza... - Juniper dall'altro capo del comunicatore sembrava calmo, ma l'istante di esitazione che ebbe rivelò tutta l'agitazione per l'attesa di un qualcosa che non sapeva se sarebbe realmente arrivato. - Il distorsore d'immagini è ancora funzionante, vero? -
- Sì... Credo di sì... - Domino prese l'oggetto dalla scrivania del generale e se lo infilò al polso, la chiusura si era rotta, ma il dispositivo era ancora funzionante. - Funziona! -
< Generale... > Dall'esterno dell'ufficio, la voce allarmata della giovane guardia fece trasalire Domino. < Generale! >
- E ora che acc...!? - Domino fulminò con lo sguardo la porta dell'ufficio.
< Generale, dovrebbe venire con noi, abbiamo appena indiv...! > La voce fu interrotta da una raffica di colpi anticarro che si abbatterono su tutto l'edificio, sventrando l'ufficio del generale Shelkov e la guardia al di là della porta.
Appena Domino percepì la presenza di un elicottero da combattimento all'altezza della finestra della stanza in cui si trovava, l'istinto la fece correre a gettarsi dietro un riparo di fortuna. Poi le mitragliatrici del velivolo fecero fuoco.
- E questo sarebbe il tuo piano per farmi uscire da qui? - Domino cercò di urlare tutta la sua rabbia nel comunicatore stando ben attenta a evitare i proiettili che intanto stavano divorando il mobilio e le pareti dell'ufficio. - Stai perdendo parecchi punti, Juniper... -
- Shelkov era un clone. E come tale, i suoi parametri vitali erano monitorati da suoi controllori... Era presumibile che, vista la morte prematura del generale, avrebbero mandato qualcuno a controllare... O a distruggere tutto, come in questo caso... -
- “Presumibile”, eh? -
- Non fare storie. Questo è il miglior diversivo che avresti potuto desiderare... Ora i russi saranno impegnati con quell'elicottero e tu potrai fuggire urlante e spaventata nei panni della bella dottoressa Kovaleva. Vorresti di meglio...? -

Luogo sconosciuto a 23 miglia dalla Sezione Americana dello S.H.I.E.L.D. a Washington DC.
Digitai il codice di sicurezza sullo schermo del palmare e dall'auto venne irrimediabilmente cancellata ogni traccia e collegamento con il sottoscritto. Poi, a piedi, costeggiai la statale per 1,3 miglia e attesi. ZAP. Dopo pochi minuti udii alle mie spalle il suono che mi avvertiva che il quarto membro della mia squadra segreta era appena giunto a prendermi.

SECRET HOWLING COMMANDOS:
Operazione Madre Russia completata con successo.
Soldato semplice Jonathan "Howling Wolf" Juniper

[ CONTINUA SU NICK FURY – AGENTE DELLO S.H.I.E.L.D. 8 ]


NOTE:
[1] - Tradotto dal russo
[2] - Vedi Il Sergente Fury e i suoi Commandos #4 - Casa Editrice Le Maschere