Numero 4

ECHI DAL PASSATO - Parte 3:
LA LISTA


di Andrea Garagiola

Rovine di una base segreta sotterranea nazista. Da qualche parte a sud-ovest del Belgio. 1953.
Erano passati molti anni da quando il corpo immerso nel liquido amniotico sintetico si era risvegliato in seguito ai danni causati dal crollo della base. Nove anni, per la precisione. Gli americani passarono non molto tempo dopo la sua seconda nascita, ma lui non lo seppe mai. La squadra speciale statunitense non riuscì a raggiungere quell'ala della struttura. La schermatura che serviva a proteggere lui e i suoi fratelli mai nati li aveva resi invisibili ai loro scanner.
I primi volti che vide furono quattro, indossavano delle tute speciali di colore nero o forse grigio scuro, non avevano simboli o segni distintivi, i loro volti erano coperti da maschere e i loro movimenti erano precisi ed essenziali, sapevano cosa fare ed erano lì per lui. Uno del gruppo armeggiò alle sue spalle, dove al cilindro che lo ospitava si attaccavano dei grossi cavi e tubi, poi per lui fu solo il buio [1].

Elivelivolo S.H.I.E.L.D. In volo sopra New York City, New York, USA. Oggi.
Lo guardavo davanti a me e non ci potevo credere. Ok, avrei dovuto essere abituato a gente che resuscitava, LMD e altre bizzarrie che da sempre contraddistinguevano la mia vita e il mio mondo, ma, accidenti, avere davanti Jonathan “Junior” Juniper invecchiato solo di qualche anno, seduto in una delle stanze dell'elivelivolo, che sorseggiava un caffè caldo e mi guardava dritto negli occhi, era proprio un bel colpo da ricevere l'ennesima sera priva di anche solo qualche misera ora di sonno.
- Ovviamente non sono il vero Juniper, colonnello Fury... - Fece un lungo sorso di caffè, quella brodaglia che servivano in sala mensa era peggio dell'olio usato nei motori che ci facevano restare in aria, ma lui sembrava apprezzarla. Dedussi che non aveva mai bevuto del vero caffè. - Sono solo un suo clone... -
- Nick. Nick andrà benissimo... - Anche se non era il vero Juniper non riuscivo a sentire dalle sue labbra “colonnello Fury”. - Conviene che parti dall'inizio, vorrei vederci chiaro su parecchie cose. -
- Certamente, colon... Nick. Sono stato io ad attaccare i vostri uffici, mi spiace, ma è stato l'unico modo per scoprire chi sono... E quale sarebbe stato il mio compito... -
- Soffermiamoci su questo punto, bello... - Dum Dum lo interruppe bruscamente, avvicinandoglisi minaccioso. - Hai danneggiato due nostri edifici e messo in pericolo la vita di decine di agenti! -
- Era tutto calcolato, non ho fatto del male a nessuno. Non avevo altra scelta, ve l'ho detto... Era l'unico modo... -
- Non mi interessa se hai il faccino di Juniper, io te lo spacco lo stesso! - Dum Dum fece la voce grossa ed era giunto il momento che anche io aprissi bocca.
- Basta, Dum Dum! Non ci sono state vittime e i danni rientrano ancora nell'ordinaria amministrazione dello S.H.I.E.L.D.. Di questo ce ne occuperemo dopo, promesso. Ora voglio sapere il perché è stato necessario compiere quegli attacchi e perché mi stavi cercando. - Ero stato troppo buono con lui e Dum Dum non avrebbe mancato di farmelo notare.
- Ti stai rammollendo, Nick. Sei troppo sentimentale e ti stai facendo ingannare dalla sua faccia. - Dum Dum mi si avvicinò, era alterato, lo avevo deluso. La mia forza era la sua e vedermi così aggrappato ai ricordi gli tolse la terra da sotto i piedi. - Lui non è Juniper, Nick. Juniper è morto. Vado a compilare il rapporto, ti lascio in compagnia del nostro impostore... - Se ne andò sbattendo la porta. Avrebbe capito e gli sarebbe passata.
- Scusa. Continua pure... - Mi sedetti davanti a lui e accesi il mio sigaro. - Non ti dà fastidio, vero? Cioè, ricordo che a Jonathan non dava fastidio... -
- Nessun fastidio, Nick e... Sono io che devo chiedere scusa a voi per quello che ho fatto, ma dovevo sapere chi ero... Chi sono e, sopratutto, dovevo trovarti... - Finì il suo caffè e fece un grosso sospiro, si stava preparando per un lungo monologo. - Il mio primo ricordo è quello di essermi svegliato all'interno di un cilindro trasparente in un laboratorio sotterraneo. Credo di essere stato creato artificialmente, un clone di colui che conoscevi come Juniper. Quando mi svegliai tutto il laboratorio stava crollando, c'erano fumo e scintille ovunque. Intorno a me vidi altri cilindri come il mio, con figure al loro interno, ma per tutto il tempo che rimasi cosciente, nessuna di esse si mosse. - Fece una breve e impercettibile pausa, intravidi un bagliore nei suoi occhi e questo mi fece capire che qualunque cosa fosse, era umano o perlomeno ce la metteva tutta per sembrarlo. - Passai del tempo, troppo tempo, immerso in un liquido che mi assicurava il sostentamento e la sopravvivenza, finché non venni trovato da una squadra speciale di agenti dell'esercito russo che presero me e i miei... i miei fratelli e ci portarono nella loro patria per rinchiuderci in un nuovo laboratorio, solo più moderno e... intatto. - Mi fece un sorriso stirando leggermente gli angoli della bocca. Lo ricambiai. - Scoprii solo in seguito che erano passati nove anni da quando il mio cervello si era riattivato durante il crollo. Mi studiarono a lungo in quel laboratorio, fecero esperimenti sia a me che ai miei fratelli, che vennero riattivati anche loro. Ne crearono altri come noi, a decine, forse di più, e ci inserirono nel cervello dei piani e delle informazioni, informazioni riguardanti il nostro utilizzo... Il nostro scopo. Qualcosa in me non andava, io mi ero riattivato da solo per qualche malfunzionamento o altro, non lo so, ma quando io e i miei fratelli venivamo disattivati, la mia mente era cosciente e pensava... Analizzavo i dati che avevo in memoria e cercavo di capire cosa significavano e quello che loro, l'esercito russo, voleva che facessi... Sapevo che il mio scopo era legato a voi, allo S.H.I.E.L.D. e sapevo di conoscere l'ubicazione di diverse vostre basi... Ma non ne conoscevo il motivo. Decisi che dovevo scoprirlo. Durante uno degli innumerevoli test, fuggii dalla struttura, scoprii con mia grande sorpresa di essere un ottimo combattente e riuscii ad allontanarmi da quei maledetti laboratori. Raggiunsi gli Stati Uniti sempre con quei bastardi alle costole e decisi di ricostruire il mio passato e la tua identità rubando dai vostri database... Mi spiace, forse c'era un'altra soluzione, ma ero braccato e spaventato, dovevo scoprire tutto e dovevo farlo in fretta. I russi hanno stretto il cerchio intorno a me e ti dovevo trovare prima che loro riuscissero a mettere le mani su di me. - Era sinceramente dispiaciuto e non riuscii a essere duro come Dum Dum avrebbe voluto.
- Non preoccuparti... Perché io? Perché cercavi me? - Sapevo che il passato di Juniper era inevitabilmente e indissolubilmente legato al mio, ma non riuscivo a immaginarmi quale fosse il mio scopo in tutto questo.
- Perché avevo bisogno di qualcuno di cui fidarmi. Qualcuno a cui avrei potuto raccontare tutto quello che so... Il piano dei russi. Loro mi vogliono perché ho qualcosa che, se finisse nelle mani dello S.H.I.E.L.D., nelle tue mani, sarebbe la loro rovina. - Prese fiato, una normale pausa di una persona che stava parlando ininterrottamente da tempo, ma quella pausa mi sembrò eterna. - Ho una lista. Ho una lista nel cervello... E dobbiamo fermarli! -

Aeronave HYDRA, in volo da qualche parte nei cieli del Nordamerica. Invisibile ai radar.
La figura del barone Von Strucker si avvicinò con passo deciso verso la consolle di comando sul ponte della nave. Ad attenderlo, sul gigantesco schermo, c'era un ufficiale dell'HYDRA pronto a esaudire qualsiasi richiesta del suo signore.
- Ci siamo approssimati all'obiettivo, Barone... La squadra è già pronta per entrare in azione. Restiamo in attesa di un suo ordine per convergere sul bersaglio. -
- Eccellente, avete fatto un ottimo lavoro. - Il Barone Von Strucker fece un ghigno che accentuò le già evidenti cicatrici che percorrevano il suo volto. - Sarò da voi a breve. Procedete con l'attacco... Non fallite! -
- Sarà fatto, signore... Hail Hydra! -
- Hail Hydra! - Il ghigno di Strucker durò ancora qualche istante dopo che lo schermo divenne nero, poi lentamente si spense mentre fissava l'orizzonte davanti a sé, dalla plancia di comando, pregustando il momento in cui avrebbe messo le mani sul suo obiettivo.

Interstatale 195 W, in direzione Trenton, New Jersey.
- Tra quindici, venti minuti al massimo, saremo a destinazione, Nick. - La voce di Dum Dum che arrivava dal comunicatore posto sul cruscotto dell'autoblindo su cui viaggiavo con Juniper e un paio di altri agenti mi parve decisamente più tranquilla di quando eravamo partiti, questo mi risollevò un po' il morale. - Sono certo che questa volta filerà tutto liscio. -
- Non ripeterlo, Dum Dum, quante volte ti sei dovuto pentire dopo una frase del genere? - Avevo una strana sensazione da quando eravamo partiti. Le informazioni nella testa del finto Juniper scottavano. Se sulla lista ci fossero stati i nomi che pensavo, avrei avuto per le mani una bella patata bollente, cosa che non avrei saputo maneggiare con la giusta cura e prontezza. - Valentina, tutto regolare lì dietro con gli scanner? Hai individuato qualcosa di sospetto? - Mi agganciai alla frequenza del mezzo di Valentina che viaggiava in coda alla carovana. Eravamo quattro blindi, con quattro agenti per veicolo, Dum Dum in testa, il nostro e un altro in mezzo e Valentina a chiudere la fila.
- Quante paranoie oggi, Nick... Me lo hai chiesto meno di cinque minuti fa e la risposta è sempre la medesima: tutto tranquillo e regolare... Rilassati, se individuiamo qualcosa che non va, sarai il primo a saperlo... Promesso! -
- Grazie, Val... - Eppure sentivo nelle mie vecchie articolazioni che l'aria intorno a me si stava facendo tesa e densa di pericolo. Forse la mancanza di sonno stava incentivando la mia paranoia a instillarmi un tarlo nel cervello che puntava proprio lì, dove ero solito immagazzinare gli istinti collezionati in tutti quegli anni durante le troppe guerre a cui presi parte. Guardai Juniper negli occhi, lui continuava a guardare la strada davanti a sé e sembrava tranquillo. Voleva arrivare ai nostri laboratori segreti a Trenton e disfarsi di quel bagaglio troppo pesante che si portava nel cervello da tempo. - Tra poco siamo arrivati... Nei laboratori di Trenton siamo in grado di connetterci senza rischi alla memoria all'interno del tuo cervello ed estrarne i dati senza compromettere i tuoi ricordi... - Cercai di tranquillizzarlo, ma lo feci più per me che per lui. Juniper non sembrava averne bisogno. - Sarà questione di poco, Junior... Jonathan, scusa... È solo che lo chiamavo così e non ci ho pensato... -
- Junior, va bene... Nick. Anche se mi hanno ricreato più vecchio dell'originale, sono sempre Junior... O meglio, una sua copia... - Mi guardò e mi sorrise. Per un attimo vidi nei suoi occhi un velo di preoccupazione, forse anche il suo magazzino era stato violato da quell'odioso tarlo e la sensazione di essere braccato stava iniziando a pervaderlo. Questo mi rassicurò, non ero l'unico con un retrogusto sul palato di brutta situazione imminente, e quel sapore era difficile da mandar via, non ci sarebbe riuscito nemmeno un buon sigaro.
Le mie preoccupazioni si concretizzarono con un boato e uno scoppio. Un classico. Pezzi di asfalto ci investirono. L'autoblindo di Dum Dum passò attraverso le fiamme, zigzagando per evitare il cratere e i detriti lasciati dall'esplosione. Il suo mezzo aveva una fiancata abbrustolita, ma nulla di irreparabile. Per il momento.
Uno stormo di killer in tute volanti altamente corazzate si piazzò dietro al nostro culo. Erano neri cromati e visibilmente incazzati, non avrebbero mollato la presa facilmente. Mentre i proiettili dei loro fucili d'assalto rimodellavano la nostra carrozzeria, per un attimo fui sollevato per quell'attacco, voleva dire che il mio istinto funzionava ancora alla grande e non c'era nessun tarlo nel mio vecchio cranio ammuffito. La sensazione di piacere svanì non appena strinsi tra le mani la cloche di comando della torretta posta sulla sommità dell'autoblindo, la trasformai in rabbia. Mi serviva per mirare meglio.
- Chi sono? I Russi? O è l'HYDRA che è venuta per vendicarsi del piccolo scherzetto che hai tirato loro? - La tensione di Junior che avevo scorto attraverso i suoi occhi era esplosa insieme al colpo di mortaio che ci avevano sparato contro.
- Non saprei... Non sembrano vestitini dell'HYDRA, quei bastardi amano tanto quell'improbabile combinazione di verde e giallo che non ce li vedo lasciarsi andare ad un così sobrio nero. - Presi la mira con l'occhio buono, avevo nello schermo il viso di uno dei nostri assalitori, incorniciato nel mirino elettronico. Uno degli altri alle spalle venne colpito in pieno petto dalla torretta di Valentina che lo fece cadere a terra come un uccello con la testa rotta dopo lo scontro con una finestra. Decisi di farlo raggiungere in fretta dal suo amico e premetti il grilletto. La scena si ripeté solo che il mio aveva l'elmo in mille pezzi.
- Dieci punti in più per me, Valentina... Sono vecchio e guercio, ma ho una mira migliore... -
- Non sapevo fosse una gara... Buono a sapersi. -
- Val, quanti ne vedi sul tuo radar? -
- Ancora dodici... Aspetta, undici, un altro è a terra! Le nostre vetture sembrano reggere... Solo che non mi è chiaro quale di questi maledetti ci abbia sparato contro un colpo di mort... - Valentina si interruppe. Sentii in lontananza nella cuffia una serie prolungata di “bip”, la ragazza stava armeggiando con i suoi scanner. - Adesso mi è tutto chiaro... Nick, due grossi blindati si stanno avvicinando velocemente alla nostra posizione! -
- Possibile che non hai rilevato nulla fino ad adesso? - Già lo sapevo, mi avrebbe detto qualcosa del tipo “potente schermatura” o “invisibilità ai radar”. Dannata tecnologia, ai miei tempi tutto era più facile. Me la presi con il primo piccione d'assalto che passò davanti al mio mirino, trasformandolo in un'altra macchia nera sull'asfalto che tracciava la scia del nostro percorso.
- I radar li hanno captati solo ora... Devono avere qualche tipo di schermatura che li rende invisibili dalle lunghe distanze. - Non avrei potuto essere più profetico.
- Ok, Val... Vediamo se sono schermati anche contro il caro vecchio piombo. - Ora i moscerini che ci ronzavano sopra la testa non mi preoccupavano più, quei due bestioni blindati si erano guadagnati la mia completa attenzione. - Dum Dum, tutto ok lì davanti? Quanto manca al centro abitato? -
- Meno di dieci chilometri, Nick... -
- Maledizione... - Il grugnito che mi uscì fece cadere a terra il sigaro. - Dobbiamo fermarli. E in fretta! -
Mentre Dum Dum abbatteva l'ultimo dei passerotti, uno dei due blindati puntò il cannone verso le nostre chiappe. E fece fuoco. Una vampata di fuoco bruciò il culo del mezzo, ma non fece danni. Dall'esplosione vidi sbucare il mezzo di Valentina che rotolava lungo la carreggiata come una sfera infuocata. Era conciato male e sarebbe stato un miracolo tirar fuori ancora qualcuno intero da quelle lamiere.
- Val! State bene lì dentro? - Nessuna risposta, maledizione. - Val... Val! Cazzo, rispondi, è un ordine. - L'altro dei blindati puntò il quarto dei nostri, lo colpì al fianco destro, disintegrandolo. Il pilota, sapendo che ormai la sua fine era giunta, fece un ultimo atto eroico. Continuò la sua corsa mentre frenava lentamente e, quando il blindato di quei bastardi gli fu quasi di fianco, sterzò di colpo mettendosi di traverso e quei maledetti non poterono fare altro che schiantarglisi addosso. Il nostro blindato fu scagliato lontano con all'interno quattro valorosi agenti ormai privi di vita, ma il loro pilota perse il controllo del mezzo e finì fuori strada, sfondando un cavalcavia e sfracellandosi qualche metro più sotto contro delle rocce ancora più dure della loro pellaccia metallica.
- Nick... Che cazzo succede? C'è un sacco di fumo, non vediamo nulla. State bene? Val e gli altri? -
- Noi stiamo bene, Dum Dum... Gli altri due mezzi sono andati. Non rispondono... Val e gli altri non rispondo. - Perché cazzo non rispondeva? - Dobbiamo... Dobbiamo proseguire... -
- Nick... - Dum Dum non sapeva che dire. Come me avrebbe voluto fermarsi e cercare di soccorrere quanti più dei nostri possibile, ma eravamo soldati, avevamo una missione e dovevamo portarla a termine.
- Sto bene... - Una flebile voce femminile si districò tra le interferenze e arrivò fino i nostri altoparlanti. - Cioè... Sono viva. Gli altri non ce l'hanno fatta. - Fanculo, Valentina era viva.
- Val, adesso veniamo a tirarti fuori di lì... - Sentire che era viva mi fece dimenticare che ero un soldato con una missione e ragionai come un semplice uomo con dei sentimenti.
- Dannazione, vecchio! - Fortuna che Valentina si ricordava bene la sua natura. - Porta Juniper e il tuo culo raggrinzito a destinazione e non fermarti. Qui ci penso io. - La ragazza, un po' ammaccata ma ancora in forze, uscì dai rottami con in spalla il lanciarazzi in dotazione sui nostri mezzi che miracolosamente, e fortunatamente, si era salvato dall'incidente.
- Grazie, Val... - Mentre ci allontanavamo vidi il secondo blindo esplodere in una colonna di fiamme e rottami. - Buona fortuna. - Dio, quanto la adoravo.

Il palazzo S.H.I.E.L.D. nella periferia di Trenton era stranamente silenzioso e deserto. Tra una boccata di sigaro e l'altra aspirai parecchia puzza di guai. Qualcuno ci aveva preceduti, probabilmente era una seconda squadra di quei bastardi che ci avevano attaccati poco prima. Se la prima fosse stata abbattuta, questa seconda squadra ci avrebbe impedito di raggiungere la sala con i computer e scaricare la lista. Russi. Si trattava certamente dei russi che erano sulle tracce di Juniper. Niente stemmi o simboli distintivi sui loro mezzi e armature. Quei bastardi avranno pur avuto l'accento della madre patria, ma da questo a collegarli al governo e all'esercito russo ce ne sarebbe voluta. Noi avevamo diversi agenti uccisi e loro se la sarebbero cavata scaricando la colpa su anonimi mercenari russi al soldo di qualche misterioso terrorista.
- Non mi piace, Nick... - Juniper poggiò la mano sulla mia spalla e si sporse anche lui dal muro dietro cui eravamo nascosti per analizzare la situazione davanti all'ingresso del palazzo.
- Su qualcosa io e il clone siamo d'accordo. - Dum Dum rimarcò la palese situazione.
- Dobbiamo agire, ragazzi. Dobbiamo penetrare all'interno. - Eravamo in otto, loro, per prendere possesso del palazzo, come minimo avrebbero dovuto essere il quintuplo di noi. Avevamo affrontato di peggio. - Jeff, chiama subito i rinforzi! - Mi rivolsi all'agente Jeff Lurkin che si affrettò a contattare il comando per farci raggiungere dalle squadre di supporto. - Non possiamo aspettare il loro arrivo, se riescono a penetrare nella sala del computer principale possiamo dire addio alla possibilità di tirar fuori le informazioni dalla sua testa. E l'altro nostro computer più vicino è nel nord dell'Iowa. -
Da una scansione della hall di ingresso individuammo solo quattro guardie. Dei colpi di precisione le misero fuori gioco. Per penetrare avevano disattivato i sistemi di sicurezza dell'entrata e la distruzione delle vetrate da parte dei nostri proiettili non avrebbe avvertito i loro compagni della nostra presenza. Probabilmente, in quell'istante, uno di loro stava trafficando con i computer del pian terreno per riattivarlo nella vana speranza di avvisare i suoi compagni del nostro arrivo. Mi spiace, amico, eri in ritardo.
Appena dentro l'edificio trovammo lo smanettone ancora con le braghe calate, immerso nei terminali a digitare forsennatamente. Il tempo di alzare la testa dalla tastiera e il suo petto si trasformò in un vulcano di sangue e brandelli di giubbotto antiproiettile. Ci voleva ben altro per fermare il fucile di Dum Dum. Se il tizio era ancora impegnato a lavorare sul sistema di sicurezza, probabilmente non erano lì da molto e forse eravamo ancora in tempo per salvare il computer.
- Libero, colonnello Fury! La hall è sgombra. - Lurkin mi aggiornò sulla situazione mentre gli altri agenti prendevano possesso degli ascensori.
- Bene. Andiamo, ragazzi. - Ci fiondammo nei grossi ascensori. Lurkin si assicurò che il loro azionamento non potesse essere individuato dai nostri amici ai piani superiori. Non era molto, ma avere un minimo di effetto sorpresa dalla nostra non sarebbe stato male.
I numeri sul display correvano veloci, in pochi secondi sarebbe scoppiato l'inferno. I computer erano al tredicesimo piano. Decimo. Dum Dum era alla mia sinistra, si sistemò la bombetta e mi sorrise. Undicesimo. Guardai Juniper, alla mia destra, era teso, lo sguardo fisso davanti a sé. Strinse la presa sull'impugnatura della sua pistola. Dodicesimo. Feci lo stesso con il mio MP5. C'eravamo quasi. Tredicesimo. Bing.
Le porte non si erano ancora aperte del tutto che intravidi nella fessura una mezza dozzina di ostili che si giravano nella nostra direzione, fucili d'assalto in pugno. Poi tutto divenne rumoroso, caotico e veloce. Dannatamente veloce. Quei bastardi crivellarono di colpi l'ascensore. Mi gettai a terra sparando, anche gli altri miei compagni fecero lo stesso, ma due agenti non furono abbastanza veloci e i proiettili incollarono le loro schiene allo specchio che occupava la parete di fondo dell'ascensore. Rimanevamo solo in sei contro un esercito. Trovammo riparo dietro delle colonne, appena mi appoggiai venni investito da una fitta alla ferita alla spalla di qualche ora prima che mi ricordava che ero ancora un essere umano nonostante i miei continui sforzi per dimenticarlo. Dalla nostra copertura bersagliavamo i russi che facevano altrettanto da dietro altre colonne. In breve tempo ne rimase solo uno, un bastardo coriaceo che non voleva saperne di piazzarsi nella traiettoria dei nostri proiettili. Coriaceo e impavido. Era solo contro sei e decise di tentare il tutto per tutto: una granata. La lanciò in mezzo al corridoio e scappò con la consapevolezza che noi eravamo troppo impegnati a salvare la nostra pellaccia per preoccuparci di lui. Ma non considerò che Dum Dum era ancora più impavido di lui, o forse solo più stupido, ma fatto sta che il mio baffuto compare decise di non gettarsi subito al riparo, ma preferì sparare al bastardo che se la stava dando a gambe, lasciandolo a terra stecchito. Fortuna che l'irlandese non era così facile da far fuori ed era ancora abbastanza intero da potergli dare dell'imbecille per il gesto avventato che aveva appena compiuto.
Dal corridoio alla nostra sinistra stavano sopraggiungendo i rinforzi, un numero decisamente superiore del gruppo appena fatto fuori.
- Vai, Nick! - Dum Dum si stava rialzando, era coperto di detriti e fango, ma nel complesso sembrava star bene. - Raggiungi il computer con Juniper. Ci pensiamo io e gli altri agenti a fermarli! - Ci facemmo un cenno a vicenda, dopo tanti anni passati a combattere insieme anche un semplice movimento del capo voleva dire molto per l'altro, “buona fortuna, amico” oppure “non farti ammazzare che mi devi ancora una birra”, “puoi contare su di me” o anche “vedi di tornare intero che sono troppo vecchio per scolarmi una bottiglia di scotch da solo”. - Ora corri, Nick. Vai! -
Alle nostre spalle era scoppiato un violento scontro a fuoco. Io e Juniper correvamo per il corridoio distrutto dall'esplosione e cercavo di non pensare a Dum Dum e gli altri, sarei stato troppo in pensiero e non avrei dato il massimo in quanto stavamo per fare.
Il nostro ingresso non era passato di certo inosservato e ora erano tutti pronti a scattare a ogni minimo movimento. Non sarebbe stato facile. Raggiungemmo velocemente il corridoio che portava alla sala del computer principale. Notai con piacere che stavano ancora cercando di penetrare i molteplici strati della porta blindata, erano a buon punto, se avessimo tardato anche solo di dieci minuti forse sarebbero stati già all'interno. Con meno piacere, invece, notai che c'erano parecchi russi ben armati e quattro di essi indossavano le tute da combattimento come quelli che ci avevano attaccato sull'interstatale. Uno di loro quattro sembrava essere il capo.
Indicai a Juniper i visori che portavamo alla cintura, ce li infilammo e presi una granata fumogena. Juniper impugnò le sue due pistole. La lancia in mezzo al gruppo. Sicuramente ai quattro in armatura non avrebbe causato il minimo fastidio, ma almeno così avremmo riequilibrato un po' i numeri che ci davano pesantemente in inferiorità.
Come previsto i tre in armatura ci individuarono al volo e iniziarono a scaricare i loro caricatori nella nostra direzione. Il quarto, il capo, cercava invano di convincere i suoi compagni a non smettere di trafficare con la porta blindata, ma non mi sembrava che i suoi ordini sortissero alcun effetto. E questo contribuì a creare un po' di confusione che giocava a nostro favore.
I proiettili rimbalzavano sulle loro spesse armature. Loro avevano addestrato il clone di Juniper e lo avevano fatto dannatamente bene, e ora tutto lo zelo che avevano usato per farlo si stava rivoltando contro di loro. I colpi del biondino raggiunsero precisamente tutte le giunture dell'esoscheletro e la maggior parte di quei proiettili riuscì a farsi strada fino a raggiungere la carne. Presi spunto dal mio compagno e li bersagliai nei punti strategici. Non avevo certo la sua precisione, ma riuscimmo comunque nel nostro intento senza beccarci nessuna pallottola.
Quando i suoi tre energumeni in armatura erano immobili a terra, il capo decise di concentrarsi su di noi. Su di me in particolare. Mi muovevo per tutta la stanza e la punta del suo fucile continuava a seguirmi e frantumava ogni cosa dietro cui cercavo di trovare riparo. Era preciso e riusciva a tenermi a distanza. Una mia raffica di mitragliatore lo ferì alla spalla sinistra, mi diede tre secondi di tregua dal suo fuoco, ma non lo fermò. Un proiettile di rimbalzo mi colpì il polpaccio destro, solo un colpo di striscio, ma fu abbastanza per farmi rovinare a terra. Appena alzai lo sguardo, trovai la possente armatura nera che incombeva su di me, stava per spararmi. Poi qualcosa lo fermò.
- Juniper... - Precisamente era stata una calibro dodici che gli si era insinuata nello spazio dove le spalline incontravano il casco. Era Juniper. - Ho sbagliato a concentrarmi su Fury, dovevo aspettarmelo da te... - Il tizio fece cadere l'arma a terra, dai gesti sembrava volesse arrendersi. - Mi avevi già fregato una volta, quando sei scappato dai laboratori... Eri sotto la mia custodia, ti avevo addestrato... Ti avevo trattato con rispetto... - Ma la voce lo tradiva.
- Kulikovskij... - Juniper esitò per un attimo e abbassò l'arma. Non era mai facile uccidere qualcuno a sangue freddo.
- Ma non farò nuovamente questo errore... - Qualcosa si attivò sul suo avambraccio, una lama cromata scattò fuori mentre Kulikovskij compva un veloce giro di 180° puntando dritto il collo di Juniper. Intorno ai 120° fermai la sua rotazione con una raffica di colpi ravvicinati che gli fecero saltare il casco e lo spedirono a fare compagnia ai suoi commilitoni appena trapassati.
La visibilità tornò accettabile e i rinforzi chiamati da Lurkin avevano già fatto irruzione. Tutti gli ostili ancora in vita erano stati catturati dagli agenti di supporto.
- Dum Dum, tutto ok? - Lo contattai con il comunicatore da polso.
- Alla grande, Nick... Peccato solo che i rinforzi siano arrivati sul più bello e mi abbiano tolto il divertimento di farne fuori ancora un po'. -
- Sei sempre il solito sbruffone... E io che speravo che quella granata ti avesse rintronato e fosse riuscita a cambiarti e trasformarti in un essere umano civile... - Ovviamente mentivo.
- Mi spiace per te, amico, ma dovrai accontentarti di questo Dum Dum! - Fece una pausa, poi la sua voce tornò. - Lurkin mi comunica che Valentina ha confermato di essere tornata alla base e sta bene, un po' ammaccata, ma è ancora tra noi... -
- Grazie... Ora entriamo nella sala del computer e vediamo cosa contiene la testa di Juniper. Raggiungici in fretta, non vorrai perderti lo spettacolo in diretta! -

Laboratori segreti del colonnello generale Fyodr Shelkov. Nordamerica.
Il generale Shelkov attendeva impaziente una chiamata dall'agente Kulikovskij mentre osservava il suo volto riflesso e deformato dal cilindro di vetro e metallo che attendeva solo di accogliere al suo interno il corpo sintetico della copia di Jonathan Juniper. Ma quella chiamata non sarebbe mai arrivata. Era solo nella stanza, solo insieme alle decine di corpi in animazione sospesa all'interno dei loro uteri tecnologici. L'orologio segnava ormai le 12:17, Kulikovskij era in ritardo. Juniper non sarebbe tornato tra le sue mani. Incanalò la rabbia del fallimento e della sconfitta nell'ideazione di una punizione esemplare per l'inetto agente che aveva messo al comando, ma questo non lo aiutò.
Dalla porta alle sue spalle giunse una serie di rumori acuti e Shelkov trasalì. Per qualche istante pensò che fosse una chiamata da parte di Kulikovskij, ma poi capì che era la porta idraulica della stanza che era stata aperta.
- Non vi aspettavo... - Shelkov osservò con la coda dell'occhio la figura sulla soglia, ma non si voltò. Stava cercando di dare il massimo della dignità agli ultimi momenti della sua vita. - Pensavo che aveste abbandonato da tempo la ricerca di questi cloni... - La figura avanzò mentre estraeva una pistola dalla fondina che portava al fianco. Una mezza dozzina dei suoi uomini si disposero a semicerchio davanti alla porta. - Avreste dovuto immaginare che ci fosse un qualche tipo di... assicurazione su questi laboratori, siete stati imprudenti... - Shelkov infilò una mano in una piccola tasca interna della sua giacca pluridecorata, afferrò il telecomandino al suo interno e premette il pulsante. Ma il rumore che sentì non era il “click” che si aspettava, ma bensì il “click” del proiettile che entrava nella canna di una vecchia, ma ben funzionante, Luger che si era appena appoggiata contro la sua nuca.
- Mi spiace, generale, ma il nostro uomo che lavora... o meglio dire lavorava per voi ha fatto davvero un ottimo lavoro disabilitando i sistemi di sicurezza e sopratutto l'autodistruzione che volevate così coraggiosamente attivare. - La voce dietro la Luger era compiaciuta. - Finalmente i tuoi giocattolini tornano in mano ai loro legittimi proprietari. Addio Shelkov, non posso dire che sia stato un piacere. - Poi il Barone Von Strucker fece fuoco.


[ CONTINUA SU NICK FURY – AGENTE DELLO S.H.I.E.L.D. 5 ]


NOTE:
[1] - Evento che accade in seguito a quanto descritto in Soldiers #6 - Di prossima pubblicazione su MarvelIT