GIRL POWER!
di AA.VV.
Introduzione
Stavolta i riflettori si concentrano su alcuni componenti femminili dei Vendicatori: forza e decisione riunite in una sola persona. Buona lettura!
Capitolo Primo: SONGBIRD
SCREAM IF YOU WANNA GO FASTER
di FABIO VOLINO
Palazzo dei Vendicatori. Stanza del combattimento simulato.
È circondata, braccata: Songbird, l' acquisto più recente dei Vendicatori, è in una situazione senza via di scampo. Piazzate tutt' intorno a lei vi sono sette sfere, pronte a far fuoco.
"Rimani concentrata, Songbird" le consiglia Scarlet dall' esterno "Ricorda le precedenti sessioni".
Poi, quasi all' unisono, le sfere iniziano a lanciare raffiche di energia: Songbird le evita e, con un grido sonoro manifestazione del suo potere, distrugge due dei suoi insoliti contendenti. Ma le altre cinque sfere, rapidissime, si piazzano dietro di lei e sparano ancora. Una raffica colpisce la donna alla spalla sinistra e la costringe ad atterrare.
"Terminare l' allenamento" dice Scarlet. Poi entra nella stanza e si avvicina a Melissa:"Ti sei deconcentrata subito, così non va".
"Io non capisco" ribatte Songbird "Il perchè di tutti questi allenamenti, sembri quasi avercela con me. Sono quella che ne ha sostenuti di più da quando sono entrata nel gruppo".
"È la tua inesperienza che ti rende un facile bersaglio" spiega Wanda Maximoff "I nemici che affrontiamo oggi non sono più quelli di un tempo: sono spietati e non esitano a minacciare le persone a noi care per raggiungere i loro scopi. Ciò che possiamo fare è precederli, intuire le loro mosse... e controbattere al momento giusto".
"D' accordo, ma deve ricadere tutto su di me il peso di questa responsabilità?" conclude Songbird, alzandosi e recandosi nella sua stanza, gentilmente messa a disposizione da Tony Stark.
È l' alloggio migliore che abbia mai avuto: non come i tuguri nei quali ha passato gran parte della sua vita insieme a suo padre e
a Angar l' Urlatore. Per la prima volta in vita sua Melissa Gold si sente a casa e spera ben presto di trovare anche una famiglia. Angar... David... da quanto tempo non pensava a lui. Sembra passata una eternità, eppure fino a pochi mesi fa stava ancora insieme a lui, rapinando banche e vivendo una esistenza a volte troppo banale. Fino ad una rapina finita in tragedia, all' arrivo del Barone Zemo e alla nascita dei Thunderbolts.
Melissa vuole togliersi di dosso tutto questo stress: si fa una lunga doccia, indossa un accappatoio e quando esce vi è ad attenderla Abner Jenkins.
"Da quanto tempo sei qui?" chiede Songbird.
"Sin da quando l' acqua ha iniziato a scrosciare" risponde Abe "Volevo parlarti".
"E di cosa? Occhio di Falco mi ha raccontato del diverbio che avete avuto. La gelosia ti ha accecato a tal punto?".
"Io tengo a te, Melissa".
"Allora dimostri il tuo affetto in modo alquanto strano, credevo fossi riuscita a farti capire che in molte cose posso e voglio cavarmela da sola. Non sono più una ragazzina impaurita".
"Volevo solo chiederti scusa, tutto qui: spero di poter meritare il tuo perdono".
Melissa allontana il suo sguardo:"Ci penserò, Abe. Come procedono le ricerche di Moonstone?" chiede poi, cambiando volutamente argomento.
"Ancora in alto mare: le tracce cronali di Kang sono difficili da rintracciare. Anzi, è meglio che ritorni al mio lavoro. A dopo".
Abner Jenkins esce, lasciando una Songbird alquanto pensierosa: tutto lo stress deve essere ancora scaricato. Forse un po' d' aria fresca le farà bene.
Qualche minuto dopo.
Songbird osserva dall' alto una città ancora sconvolta dalla recente invasione marziana, eppure già in forte ripresa: dalla devastazione stanno infatti rapidamente sorgendo nuovi edifici, mentre i monumenti storici della città si ergono ancora trionfanti. Anche se alcune zone vuote non potranno mai più essere colmate.
Songbird plana verso il basso, vuole sentire l' aria sferzarle il volto, mentre le ali rosa create dal suono della sua voce la fanno apparire simile ad una farfalla. Si sente libera, in pace... ma il tutto ha breve durata: ad un tratto il suono di un allarme richiama la sua attenzione e vi si dirige subito. Ma ormai è troppo tardi: la gente ha già subito i suoi attimi di panico ed ora sta provando a calmarsi, mentre le guardie di sicurezza della banca rapinata si consultano sull' accaduto.
"Cos'è successo?" chiede Songbird.
"E lei chi è?" ribatte sprezzante una guardia.
"Non la riconosci, Joe?" interviene un altro "È Songbird, dei Vendicatori. Ci aiuterà". Il fatto che sia stata riconosciuta e che sia stato chiesto il suo intervento è una strana sensazione per Melissa: chissà se si abituerà mai.
"Il rapinatore era uno solo" spiega la guardia "Ma è stato velocissimo: come è entrato si è subito capito quali
fossero le sue intenzioni. Ma lui ci ha preceduto. E in pochi secondi ci ha messi fuori gioco, ci siamo ripresi solo poco fa".
"E che arma ha usato?".
"Ecco, questo è l' aspetto più strano della vicenda: ha utilizzato la sua voce!".
Songbird rimane stupita:"Può ripetere, per favore?".
"È andata proprio così: era come se le sue grida fossero pugni, forti e decisi. E terribilmente solidi. Non avevo mai provato una sensazione simile".
"Ecco, signorina" dice facendosi avanti una guardia finora rimasta in disparte "Non sono certo un bravo disegnatore, ma ho realizzato uno schizzo del rapinatore".
Quasi tremando Songbird afferra il foglio e solo allora i suoi timori si tramutano in realtà: il rapinatore è Angar l' Urlatore!
Palazzo dei Vendicatori.
"Non è possibile, Abe, non può essere stato Angar!" esclama Songbird.
"Ne sei proprio certa?".
"È morto tra le mie braccia! Colpito a bruciapelo da un proiettile. Inoltre i suoi poteri sonici influivano sulle menti delle persone, non avevano consistenza fisica. Per questo all' epoca formammo una coppia: lui era la mente, io il braccio".
"Il problema" ribatte Abe "È che viviamo in un mondo dove persino gli eventi fatali non sono così definitivi. E dove cambiare poteri è all' ordine del giorno. Oppure è solo qualcuno che si finge Angar".
"I database dei Vendicatori potrebbero tornarci utili..." inizia Songbird.
"Ma dimentichi che solo poche persone possono accedervi e noi non siamo tra queste. Sfortunatamente Scarlet è uscita poco fa, ma potremmo chiamarla...".
In quel momento una radio approntata da Abe per essere sintonizzata sulla frequenza della polizia manda una interessante informazione:"A tutte le unità. Nelle vicinanze della Sesta Avenue è in corso una rapina alla First National Bank. Il rapinatore non è armato, ha capelli e baffi castani, età approssimativa...".
"Deve essere lui!" afferma Songbird scattando in piedi "È qui vicino, ci vado subito".
E prima che Abe Jenkins possa ribattere qualcosa, lei è già uscita. L' uomo si sente inutile, non vuole essere lasciato in disparte. Ma può fare qualcosa? Forse sì!
Sesta Avenue.
È giunta fin qui volando alla massima velocità, ma sembra sia arrivata in ritardo. Gli allarmi risuonano in modo assordante, ma di Angar nessuna traccia. Poi una donna la chiama e le indica la direzione in cui è fuggito il rapinatore. Songbird continua la sua rincorsa, nonostante un mal di testa improvviso che l' ha colta fin da quando è giunta sulla scena della rapina, finchè da lontano non intravede una figura familiare. Si getta a capofitto verso di lui, ma ad un tratto l' uomo svolta in un vicolo. Songbird, imperterrita, continua a seguirlo, ma come svolta anche lei si ritrova davanti un fantasma del suo passato: Angar l' Urlatore è ancora vivo!
"Da... Dave?" balbetta Melissa.
"Sapevo che un giorno o l' altro ci saremmo rivisti, bambina. Era inevitabile" ribatte Angar.
"Come... Come hai fatto a sopravvivere?".
"Non ha alcuna importanza: non sono io ad aver sbagliato nei tuoi confronti, non sono io ad averti abbandonato".
Il mal di testa di Melissa diviene sempre più forte:"Mi dispiace, Dave, non intendevo...".
"Ora basta!" grida Angar. Ed il suo urlo devasta la zona circostante, alzando le cartacce e la sporcizia che caratterizzano questo vicolo. Songbird costruisce uno scudo sonoro davanti a lei e riesce così a proteggersi, ma Angar approfitta della situazione per fuggire.
Terminata l' insolita tempesta Songbird capisce di essere stata ingannata: era tutta una illusione indotta dagli urli sonici di Angar, che hanno plasmato la sua mente facendole vedere cose non vere. L' eroina riprende così il suo inseguimento, fino a giungere in un complesso industriale abbandonato. Non è ben chiaro cosa si producesse in questo edifici, essendovi ora rimasta solo la desolazione e qualche cassa sparsa qua e là. Ed è proprio da una di queste casse che, veloce e improvviso, emerge Angar, che colpisce Songbird dietro la testa. L' eroina si accascia e Angar sta per sferrarle un altro colpo, forse fatale. Ma Melissa non ha affatto intenzione di arrendersi e, rotolando alla sua destra, lancia un urlo sonico contro il criminale, che viene colpito in pieno e scaraventato contro una cassa, che va in frantumi. E in quel preciso momento il mal di testa che perseguita Songbird da diversi minuti scompare. E davanti a lei c'è la spiegazione: l' uomo che ha affrontato non è Angar!
È quasi difficile da credere, ma questa persona è riuscita a convincerla di essere una persona morta per diverso tempo.
Il criminale, un uomo dai capelli neri sui 25 anni, si rialza, sfortunatamente l' urlo non gli ha fatto perdere i sensi:"E brava la mia ragazza, ero convinto di averti ormai sconfitto. Credo proprio di averti sottovalutato".
"Chi sei?" chiese Melissa con un tono misto di rabbia e curiosità.
"Non dirmi che speri che, come nella migliore delle tradizioni, ora io ti spieghi per filo e per segno le mie origini?".
"Sì, anche perchè sono certa che muori dal desiderio di raccontarle".
L' uomo sorride:"D' accordo, tesoro, vedrò di accontentarti. Mi chiamo Terry Lindgard, ma il mio nome in codice è Scream: molto cinematografico, non trovi? Sono un mutante, ma non sono interessato
né a dominare sull' homo sapiens né a instaurare una pacifica convivenza tra gli umani e i mutanti. Mi importa solo di me stesso. Quando ho scoperto di avere questi poteri inizialmente li ho nascosti, finchè sono venuto a conoscenza delle imprese di due criminali: Angar l' Urlatore e Mimi Spaventia. Ne rimasi profondamente affascinato: per alcuni gli idoli d' infanzia sono dei cantanti o degli attori, per me furono quei due criminali. Perchè? Perchè finalmente mi avevano fatto capire come usare al meglio le mie capacità. Grazie a loro due".
Songbird inorridisce nell' apprendere che la sua precedente identità, ora totalmente rinnegata, possa aver dato vita ad un criminale: è proprio vero che ogni azione che si compie può portare a conseguenze impensabili.
"Voi due eravate la mente ed il braccio. Io sono tutti e due: i miei poteri sonici possono infatti sia creare oggetti solidi che plasmare la mente delle persone. Quando venni a sapere dei Thunderbolts, a cui tu appartenevi, e del loro grande inganno perpetrato al mondo intero, mi chiesi come mai non vi fosse Angar tra loro. La risposta era facile: doveva essergli accaduto qualcosa di grave. Decisi allora di prendere il suo posto, coi miei poteri potevo farlo, di far continuare al mio ispiratore, al mio modello di vita, le sue leggendarie imprese. E così mi sono trasferito a New York, proprio mentre mi giungeva la notizia che eri entrata nei Vendicatori. La cosa mi affascinò ancor di più: desideravo avere uno scontro con te, perchè col tuo folle agire hai rinnegato la memoria di Angar l' Urlatore".
"Ti sbagli!" ribatte Songbird "Ho solo scelto quella che era la via giusta da seguire, la mia precedente vita era tutta sbagliata. Anche tu stai commettendo un errore, un grande errore".
"Sto solo seguendo le mie aspirazioni, cosa c'è di male? E ora sei pronta ad affrontarmi nuovamente?".
Un urlo dirompente prorompe da Scream e solo grazie alla sua prontezza di riflessi Songbird riesce a controbattere a sua volta con un altro urlo sonico.
È una battaglia di poteri e di volontà, entrambe equivalenti, in cui nessuno pare destinato a prevalere. Solo che uno di loro ha qualche asso in più nella manica e lo sfrutta al meglio.
"Melissa!".
Una voce familiare per l' eroina, che si volta:"P... Papà?".
"È così che butti via la tua vita? Mi hai deluso molto".
"No, non sei reale! Tutto ciò è solo una illusione!".
"Esatto" conferma Scream "Ma ti ha fatto abbassare la guardia. Proprio come volevo!". Un nuovo grido devastante fuoriesce dalla sua bocca e colpisce in pieno Songbird, che viene scagliata violentemente all' indietro, fino a sbattere contro un muro. L' impatto la lascia per un attimo senza fiato e rischia di farle perdere i sensi.
"L' allievo che supera il maestro, anzi, la maestra" commenta Scream "E che ora prenderà il suo posto". Ma qualcosa blocca il suo gesto, due piccoli missili che esplodono davanti a lui, costringendolo ad indietreggiare. Il criminale cerca il responsabile di questa azione e lo trova sopra di lui: un tizio in un' armatura bianca e blu. Abner Jenkins, alias Mach-1!
"Lasciala stare!" gli intima.
"Ma guarda, il prode cavaliere che accorre al salvataggio della sua bella. Come hai fatto a trovarci?".
"Le vostre voci delicate sono state una guida migliore dei miei sensori".
Songbird nel frattempo cerca a fatica di rialzarsi, ma il suo corpo non risponde: però deve farcela, ad ogni costo.
Scream lancia nuovi colpi sonici contro Mach-1, che però li evita agilmente. Solo che non riesce a trovare il tempo per contrattaccare.
"Hai del talento, lo riconosco" afferma Scream "Ma io ho molte altre frecce al mio arco".
Ad un tratto un forte mal di testa colpisce Mach-1 ed il mondo attorno a lui cambia: tutto diventa nero, c'è solo una luce in lontananza. E da quella luce avanza una persona, tristemente nota ad Abe Jenkins.
"Goulding!".
"Già, proprio io, l' uomo che hai ucciso senza pietà quando eri leader del Sinistro Sindacato. Con che diritto ti vanti di essere un eroe, tu che sei un assassino?".
"Ero... una persona molto diversa allora, una persona peggiore. E non credere che ti abbia scordato: il tuo volto mi ricorda ogni giorno ciò per cui sto combattendo".
"Ma peccati come questi non ti potranno mai essere perdonati".
Poi Goulding sparisce e viene sostituito dagli ex colleghi di lavoro di Abe, che iniziano a deriderlo:"Guardatelo, Jenkins. Crede di essere un eroe, così come credeva di essere un grande inventore. Che idiota!".
"State zitti, tutti quanti!" urla Abe. Ma grida al vuoto, sono tutti scomparsi. E il paesaggio attorno a lui cambia ancora, diventa di un bianco intenso. Poi qualcosa lo avvolge, qualcosa di appiccicoso: ragnatela!
"Ti piace, Scarabeo?" dice un Uomo Ragno deforme, il volto simile ad un mostro "La tua ennesima sconfitta: così è stato, così sempre sarà". E dietro a Spidey appaiono Devil, Capitan America, Occhio di Falco, il Barone Helmut Zemo, Octopus, il Sinistro Sindacato, Justin Hammer. Tutti uniti in un' unica, sola risata rivolta ad Abe.
"No, andatevene!" urla lui "Io sono cambiato, l' ho dimostrato in questo tempo. Non potete negarlo!".
"Ti perdono, Abe". Questa voce, così angelica, così familiare... Sì, è Melissa! Cosa ha detto? "Io ti perdono Abe, sei un uomo giusto e valoroso e lo meriti".
Sono queste parole, il fatto che una persona abbia dimostrato di credere in lui, che lo spingono a reagire: rialza la testa e osserva chi gli sta davanti. Uno di questi è il suo avversario. Ma quale? L' Uomo Ragno, sì, Scream si finge l' Uomo Ragno! Mach-1 non sa perchè, ma sa che è così. E in quel momento, come se un intero castello di carte crollasse fin dalla base, l' allucinazione di Scream ha termine e tutta la sua ardita impalcatura frana. E si ritrova solo, sotto tiro da parte di Mach-1, che gli lancia contro due missili che solo per miracolo il criminale riesce ad evitare. Poi Abe, prostrato da questo sforzo, si accascia al suolo.
"Non è possibile" esclama Scream "Come ha fatto a sfuggire alle mie allucinazioni? Ero quasi riuscito a farlo impazzire".
"Evidentemente hai sottovalutato anche lui". È stata Songbird a parlare, le sue gambe si reggono a malapena, sembra debba svenire da un momento all' altro. Ma non ha alcuna intenzione di cedere. Alla giovane eroina sono tornate in mente le parole di Scarlet:"I nostri nemici sono spietati, non esitano a minacciare le persone a noi care per raggiungere i loro scopi". Aveva ragione.
"Ma guardati" la canzona Scream "Non riesci nemmeno a reggerti in piedi, ti sconfiggerò in pochi secondi".
Ma il criminale non sa che Songbird ha ricordato un altro insegnamento di Scarlet:"Ciò che possiamo fare è precederli, intuire le loro mosse... e controbattere al momento giusto".
Melissa osserva attentamente il suo avversario: prima i loro poteri si eguagliavano, ma come Scream ha i suoi assi nella manica, anche Songbird li ha. E questo sancisce la sua vittoria. Scream lancia un grido sonico contro la donna, che però stavolta non controbatte. Si alza invece in volo, con le sue leggiadre ali da farfalla, e si lancia contro il criminale. Costui fa appena in tempo a stupirsi e ad ammirare la bellezza della giovane donna, prima di essere investito dalla potenza devastante dei poteri sonici di Songbird, nei quali si sono accumulati anche tutta la sua rabbia ed il suo risentimento. Scream non ha idea di quanto tempo duri il suo volo, sa solo di aver perso i sensi prima ancora di atterrare.
Songbird ha vinto, ma non può ancora permettersi di crollare, deve andare da Abe. Si avvicina e lo scuote, finchè lui riprende i sensi:"Hnnn... Che mal di testa. Cosa è successo, Melissa?".
"L' abbiamo sconfitto" risponde lei indicando il corpo svenuto di Scream.
"Abbiamo? Temo di non aver fatto molto".
"No, ti sbagli. Sei riuscito a resistere ai suoi poteri e mi hai dato il tempo di riprendermi. Senza di te me la sarei vista brutta".
"Ma non ho ancora capito come abbia fatto a indurmi a vedere quelle allucinazioni: sembravano così reali".
"I suoi poteri sonici agiscono sulla mente" spiega Songbird "E danno vita a tutti i nostri dubbi, le nostre incertezze, le nostre paure. Ma tu sei riuscito a sconfiggerle".
"Ma era davvero tua la voce che ho sentito? È stata quella a darmi la forza di reagire".
"Io ti avevo visto in difficoltà e volevo aiutarti. E, non so come, ci sono riuscita. Anzi no, forse lo so: i poteri di Scream non possono dividere, cancellare, quelli che sono i rapporti di... affetto tra noi due. Siamo rimasti uniti anche nelle avversità e per questo abbiamo vinto".
"Direi che hai imparato alla svelta e bene le lezioni dei Vendicatori" commenta Abe "E ora sanciamo in modo definitivo i nostri rapporti!".
Palazzo dei Vendicatori. Qualche ora dopo.
Dopo un pomeriggio passato a ballare Scarlet torna alla mansione, leggermente esausta, ma anche euforica. Ad accoglierla sulla soglia vi sono degli altrettanto sorridenti Songbird e Mach-1.
"E brava Scarlet" dice Melissa "Mentre tu ti divertivi, noi salvavamo la città". Wanda chiede spiegazioni e i due gliele danno.
"Pare proprio che abbiate avuto una giornata intensa" commenta alla fine Scarlet "E sono lieta che siate riusciti ad appianare le vostre divergenze".
"Già, ma non credere di cavartela così" aggiunge Melissa "Una sessione di allenamento ci aspetta e scommetto che riuscirò a batterti".
"Lo vedremo" ribatte Scarlet "Mach-1, che ne dici di aggregarti a noi?".
"Davvero? Anche se non faccio parte del gruppo?".
"Certo. E ricordati: i Vendicatori non sono solo una squadra, sono anche una famiglia".
"E così" conclude Songbird "È proprio così".
Note dell' Autore: Gli eventi di questo racconto hanno luogo prima di Vendicatori 12.
Capitolo Secondo: JULIA CARPENTER
CAMBIARE
di FABIO VOLINO
È un sogno ricorrente per Julia Carpenter: una donna la cui
bellezza è uguale solo alla sua rabbia, che si lancia contro di lei, la bocca
spalancata ad emettere un urlo che pare più simile ad un ruggito, e la colpisce
con una delle sue zampe, assorbendo il suo potere e lasciandola a terra,
immobile, inerme, impotente.
E come tutte le volte, Julia si risveglia
bruscamente, madida di sudore. E piena di tristezza nel ricordare che quel sogno
si è purtroppo verificato anche nella realtà*.
* V. Donna Ragno UE 1
Allontana subito questo pensiero e si dirige verso la camera di sua figlia Rachel: silenziosamente scivola nella stanza e la vede dormire placida, con una espressione di serenità dipinta sul volto. Basta questo a confortare Julia, le è sufficiente per ricordare che, anche se non è più una supereroina, ha comunque delle responsabilità da rispettare: deve mandare avanti una famiglia e ci riuscirà.
Denver.
Da quando si è ristabilita definitivamente in questa città, per
l' ex seconda Donna Ragno è come essere tornata indietro nel tempo: a quando era
una donna divorziata, che doveva mantenere con le sue sole forze sua figlia,
mentre il suo ex marito se la spassava con altre donne. Ciò fino a quando il
destino, nelle vesti di Valerie Cooper, la scelse per divenire il soggetto
predestinato- e non casuale come inizialmente le era stato fatto credere- per la
sperimentazione di un siero rivoluzionario ideato da un certo Dr. Napier. Un
siero che conteneva anche estratti di veleno di ragno e che la tramutarono in
una persona speciale. Una persona che affrontò le Guerre Segrete, collaborò con
numerosi altri supereroi, divenne un valoroso membro della Freedom Force, dei
Vendicatori della Costa Ovest e di Force Works. Una persona che oggi non è più
speciale, ma simile a tante altre.
"Mamma?" la chiama sua figlia,
strappandola al fiume dei ricordi.
"Sì, tesoro, dimmi".
"Sei felice,
mamma?". Rachel è una ragazza vivace ed intelligente, a cui non si può
nascondere nulla.
"Diciamo che sto provando a rimettere insieme i pezzi della
mia vita" risponde Julia "Ma non preoccuparti, non sono triste".
"Ce la
farai, mamma. Come sempre".
"Lo spero" pensa Julia, che poi dice:"Su, è ora
di andare a scuola".
Qualche minuto dopo.
Dopo aver accompagnato sua figlia davanti all' ingresso della
scuola ed averla salutata, Julia Carpenter inizia a dirigersi verso un
appuntamento. Julia è forse una donna troppo orgogliosa: da quando ha
abbandonato i Vendicatori ha deciso di rinunciare all' assegno mensile della
Fondazione Maria Stark. Questo vuol dire dunque una nuova vita, ed il denaro per
poterla affrontare. E tra le varie offerte di lavoro pubblicate sul giornale,
una in particolare ha attirato la sua attenzione.
Dopo pochi minuti, Julia
parcheggia l' auto in una zona della città né troppo lussuosa né troppo scarna.
Si dirige poi a piedi verso l' indirizzo scritto sul giornale, un indirizzo che
porta ad un palazzo di pochi piani. Julia si guarda intorno, ma non nota alcuna
targa, solo sul citofono trova una minuscola scritta che le conferma di essere
nel posto giusto:"FONDAZIONE FRATELLI JACKSON. ISTITUTO DI ASSISTENZA
SOCIALE".
Julia non si pente della sua scelta: per gran parte della sua vita
è stata una eroina che vendicava i torti subiti da persone che non conosceva.
Quel fuoco dentro di lei non si è mai spento, nemmeno dopo la perdita dei suoi
poteri, e dunque è fermamente decisa a divenire un differente tipo di eroina.
Ma ugualmente utile. Julia bussa al citofono e dopo pochi secondi entra nel
palazzo.
Ufficio di Herbert Jackson.
"Cosa l' ha portata qui, miss Carpenter?" chiede il
proprietario dell' ufficio.
Julia rimane per un attimo sorpresa dalla
domanda:"Beh, ho bisogno di un lavoro e...".
"Intendo dire che di solito si
cercano altre strade prima di arrivare qui. Quando uno pensa ad un lavoro non ha
certo in mente di fare l' assistente sociale. Lei, invece, mi è appare decisa in
questa sua scelta".
"Lo definisca un impulso" spiega la donna "Un impulso che
mi ha sussurrato che questa era la cosa giusta da fare. Un impulso che mi ha
portato qui".
"È stato decisamente un ottimo impulso" commenta Herbert
sorridendo "La avverto che la paga non è di quelle esorbitanti, disgraziatamente
il governo sa fare buoni proclami sul fatto che si debba aiutare la gente più
debole, ma quando dalle parole bisogna passare ai fatti ha più di una
esitazione. Mio padre e mio zio diedero vita a questa fondazione, tra grandi
sacrifici: io tento di seguire le loro orme, pur tra mille difficoltà. E non
intendo arrendermi".
A Julia Carpenter questo tipo decisamente piace:"Allora
sono la persona adatta per lei".
"Non ne ho mai dubitato" conclude Herbert.
Da qualche parte.
"Come procedono le trattative?" chiede un uomo avvolto nell'
ombra.
"Molto bene, capo" risponde un suo sottoposto "Non immaginavo che
Denver potesse essere un così fiorente centro del commercio d'
armi".
"Conosco bene questa città" risponde l' uomo "Così come ho ben
presente le potenzialità che può offrire. I grandi capi banda preferiscono
perlopiù concentrarsi sulle immense metropoli quali New York e Los Angeles,
tralasciando le altre. E noi allora ci occupiamo delle loro... dimenticanze. E
anche se qualcuno osasse contrastarci, abbiamo il nostro asso nella manica da
giocare. Eh sì, potrò anche essere stato allontanato dal Conclave, ma io, Mike
Clemson, rimango un uomo dalle mille risorse".
Per le strade di Denver.
Herbert non aveva decisamente perso tempo ed aveva voluto
subito mettere alla prova le capacità di Julia: le aveva detto che si sarebbero
recati in una zona dove quasi certamente si vendevano armi ai minorenni.
"È
incredibile dove possa giungere certe volte la malvagità umana" afferma ora Herbert, mentre è alla guida.
Julia annuisce, poi il suo sguardo si indirizza
verso un ripiano semi aperto davanti a lei: un giornale fa capolino e da esso il
volto di una donna tristemente nota a Julia. La donna afferra il giornale,
scoprendovi un' interessante novità.
A quanto pare la 'ladra di poteri' ha
deciso di giocare alla supereroina: Venom, i marziani... No, non è possibile:
quella è una folle, che non esita a fare del male alla gente. Julia lo sa, lo ha
sperimentato sulla sua pelle. Ed ora quest' essere viene venerata come una
eroina ed usa pure il suo ex nome di battaglia (anche Julia, preda dell' ira,
però ora non ricorda che a sua volta l' aveva sottratto a Jessica Drew)!
Dovrebbe fare qualcosa, ma cosa? Si sente così impotente ed affranta,
ultimamente.
Pochi minuti dopo l' auto si ferma in una zona in cui gli
edifici decadenti la fanno da padrone, di certo non è piacevole vivere da queste
parti. Dentro di sé, Julia si felicita del fatto di non essersi vestita in modo
elegante, le avrebbe certamente causato dei problemi.
Tuttavia l' arrivo dei
due estranei non passa inosservato: come se attraversassero muri invisibili,
improvvisamente davanti a Herbert e Julia appaiono quattro omoni. A riprova del
fatto che per certe questioni la discriminazione razziale non esiste, due sono
bianchi e due sono neri.
"Cosa volete?" chiede uno di loro con voce
profonda.
"C'è giunta voce che qui si facciano affari non proprio legali"
risponde in maniera decisa Herbert.
"Non sono cose che ti riguardano".
"Ci
riguardano e come se vengono coinvolti dei minori". La fermezza di Herbert è
qualcosa di straordinario.
"Siete agenti di polizia?" chiede un altro "Non mi
pare. E dunque, finchè non portate un mandato, vi impediamo di andare
avanti".
"Ehi, Sipowicz dei poveri" scatta Julia con spavalderia "Chi ti dà
il diritto di...".
Ma Herbert, mettendole una mano sul braccio, la
interrompe:"Come volete voi, grazie per il prezioso aiuto". Poi, senza andare
troppo di fretta, ritorna insieme a Julia nella sua auto e riparte.
"Hai
avuto fegato ad affrontarli" ammette l' uomo, dandole per la prima volta del tu
"Ma era meglio se lasciavi fare a me, forse si sarebbero sbottonati un po' di
più".
"Persone come quelle non rivelano niente" ribatte Julia "Ma abbiamo
ottenuto qualche risultato?".
"Abbastanza da convincere la polizia a dare un'
occhiata".
"Speriamo, ma ci credo poco" conclude la donna, che da quando,
preda della rabbia, si è scagliata contro quei tizi, prova una strana sensazione
dentro di lei: una sorta di continuo formicolio che percorre tutto il suo corpo.
Rifugio di Mike Clemson.
"Pare che degli scocciatori abbiano ficcato il naso in
questioni che non li riguardavano, capo".
"Fammi vedere" dice Clemson.
Il
suo lacchè gli porge delle foto scattate da una persona piazzata dietro la
finestra di un edificio.
"L' uomo si chiama Herbert Jackson" continua il
lacchè "Un assistente sociale di poca importanza, la donna non la conosciamo,
sarà una sua collaboratrice. Non credo possano darci problemi, gli assistenti
sociali non ce li hanno mai dati. Anche se la polizia desse loro credito,
sappiamo come evitare scomode perquisizioni".
Nemmeno Clemson sa come sia
riuscito a trattenere lo stupore di fronte all' immagine di quella donna a lui
decisamente nota: Julia Carpenter, la Donna Ragno. Dopo l' apparizione di un'
altra persona con lo stesso alias, Mike aveva perso le tracce di Julia,
ritenendo si fosse ritirata a vita privata. Ma evidentemente lei non lo aveva
dimenticato: è destino che le loro strade si incrocino ancora e che lei voglia
rovinare ciò che di buono lui ha costruito. Per questo sta ficcando il naso nei
suoi affari, questo è certo. Clemson è stato anche troppo magnanimo in passato,
è giunto il tempo di iniziare a fare sul serio.
"Non ti pago per credere o
darmi consigli" dice poi "Ma per agire: bisogna dare una severa lezione a
chiunque tenti di bloccare i nostri commerci, perchè sia d' esempio per altri
ficcanaso. Chiama il nostro agente speciale, scopriremo dove abita questa donna,
l' anello debole del gruppo, e faremo capire a lei, Jackson e ogni altro
assistente sociale che hanno sbagliato a mettersi contro di noi".
Ed un
sorriso maligno appare sul volto di Clemson: il sorriso di un uomo che sta per
pregustare una vendetta a lungo attesa.
Casa di Julia Carpenter.
Un nuovo giorno nella nuova vita di questa donna: un giorno
decisivo. Che inizia come tanti altri: con una sontuosa colazione. La mente
dell' ex eroina, tuttavia, pensa ancora alla giornata di ieri, vorrebbe tanto
avere il... potere di fare qualcosa.
Ad un tratto, come spinta da un impulso,
Julia si alza dalla tavola e si reca in soffitta. Lì l' aspetta un baule ancora
non ricoperto di polvere, un baule che negli ultimi tempi Julia ha aperto sempre
meno. Dentro vi è l' emblema significativo di ciò che è stata in passato: il suo
costume da Donna Ragno.
Ricordi sfuggenti passano nella sua mente, ricordi
bruscamente interrotti da un pesante tonfo, seguito subito dopo da un urlo di
paura emesso da sua figlia Rachel. Julia si precipita di sotto, dove diviene
testimone di uno spettacolo agghiacciante: sua figlia rintanata in un angolo
della stanza ed un omone dai capelli rossi con un costume verde e giallo a poca
distanza da lei.
"Fermo!" urla Julia.
L' uomo si volta, sorridendo per chi
ha di fronte: il suo obiettivo designato.
"Sono Powderkeg, Julia Carpenter, e
per ciò che hai visto devi pagare!".
"Decisamente sa come presentarsi" pensa
la donna, mentre evita un pugno del supercriminale per miracolo: oppure è stata
la sua prontezza di riflessi? Tuttavia quel colpo ha lasciato un ricordo: un
grande buco nel muro.
"Scappa, Rachel!" grida Julia.
La piccola sa che non
è il caso di discutere ed esegue prontamente, mentre Powderkeg non prova nemmeno
ad inseguirla.
"Hai fatto bene" commenta "Poteva esserci d' impiccio e del
resto non sono venuto per lei. Non ancora, almeno".
Poi riparte all' attacco:
Julia si allunga per prendere un coltello alla sua destra, ma Powderkeg è più
veloce e la abbranca alle mani, stringendole. Il dolore è molto forte, ma dal
dolore riemerge anche la rabbia della donna che riattiva quel formicolio che l'
aveva colta quando si era scagliata contro quei teppisti. Ed una sensazione
familiare torna a pervadere il suo corpo.
"Toccherà prima a te" dice il
criminale "Poi a tutti i tuoi cari, partendo dalla tua cara figlioletta".
L'
adrenalina arriva alle stelle, Julia non riesce e non vuole trattenerla e perciò
la scarica con un potente calcio al ventre che costringe Powderkeg ad
abbandonare la presa su di lei e ad arretrare boccheggiando.
"Ha sentito il
colpo, gli ho fatto male!" pensa la donna "Ma allora questa sensazione che sto
provando vuol dire che...".
Powderkeg si riprende e riparte all' attacco, ma
Julia è pronta: compie un grande balzo e lo colpisce con un altro calcio,
stavolta al volto. Un altro incredibile colpo, che nella sua condizione da
'donna di tutti i giorni' certo non avrebbe potuto compiere. Quando si volta un
rivolo di sangue fuoriesce dal naso del criminale.
"Ricordo molto bene una
cosa" pensa ancora Julia "Che il Manipolatore tentò di uccidermi iniettandomi
una variante della neuro-tossina che mi aveva donato i poteri di ragno. Il
risultato fu che le mie facoltà si incrementarono ad un livello incredibile,
troppo elevato perchè in poco tempo li si potesse assorbire. Sì, deve essere
così: l' attuale Donna Ragno non mi ha sottratto i poteri, li ha solo
temporaneamente inibiti. Fino ad ora. Devo approfittarne!".
Julia si lancia
all' attacco di un ancora intontito Powderkeg, tempestandolo di calci e pugni e
non dandogli il tempo di respirare.
Alla fine il criminale, ansimante, si
accascia sul pavimento, ma trova ancora la forza per dire:"Mi avevano detto che
saresti stata un bersaglio facile, ma si sbagliavano. Tuttavia, c'è un mio
potere che ancora non conosci...".
Julia sa che presto l' atmosfera diventerà
calda e dunque, a tutta velocità, sfonda il vetro della finestra a lei più
vicina e atterra sul giardino di casa, prima che dietro di lei avvenga un'
esplosione che devasta la cucina e la scaraventa ancora più avanti,
fortunatamente illesa.
Si rialza e nota un buco dove prima vi era il muro
della sua cucina, un buco da cui fuoriesce Powderkeg, barcollante ma ancora in
piedi:"Ora sai che trasudo nitroglicerina e la userò per uccidere te e tua
figlia".
Julia è preda di una profonda ira: si è stancata delle persone che
rovinano la sua vita, che mettono in pericolo la vita dei suoi cari, che
demoliscono ciò che lei con pazienza ha costruito. Basta essere passivi, è ora
di reagire: compie un potente balzo che la avvicina a Powderkeg e gli molla un
fortissimo calcio nel basso ventre, seguito a ruota da una gomitata dietro al
collo del criminale, che crolla esanime al suolo.
In quel momento Julia ode
le sirene della polizia in arrivo, evidentemente chiamate da un vicino: ha circa
un minuto per inventarsi una storia plausibile, ma prima deve recuperare un
oggetto dalla soffitta.
Quella notte.
Velocissima, imprendibile, fortissima. Questi i commenti dei
malcapitati delinquenti di fronte alla furia di un' ombra nera dai contorni
bianchi. Cinque secondi prima erano in quattro, ora solo Leon può osservare la
maschera, che cela oltre al volto anche una grande rabbia, di Julia
Carpenter.
"Dimmi chi c'è dietro al vostro traffico d' armi!" intima l'
eroina.
Leon soffre, la stretta è micidiale:"Coff... Scordate...lo, put...".
Un qualcosa gli blocca le parole. Cosa c'è sulla sua bocca, ragnatele?! Lo
stanno soffocando! Leon annuisce più volte per dimostrare la sua voglia di
collaborare. Julia lo lascia cadere ingloriosamente e dolorosamente al suolo,
poi Leon osserva il suo volto e vi nota la determinazione e la spietatezza.
E
le dice tutto.
Rifugio di Mike Clemson.
"Allora, notizie di Powderkeg?" chiede l' uomo.
"Non ancora"
risponde un suo lacchè "Ma siamo certi che novità non tarderanno ad
arrivare".
Giusto, in un certo senso, poichè in quel momento rumori di lotta
iniziano a provenire da fuori, rumori in cui la parte principale spetta alle
urla della gente al servizio di Clemson. Poi le grida cessano ed un secondo dopo
la porta viene sfondata e compare...
"La Donna Ragno!" esclama
Clemson.
"Un tempo, forse" ribatte Julia stendendo il suo lacchè "Ora sono
molto di più: una donna decisa a fartela pagare".
"Già, avevo predisposto
tutto
così bene, ma riesci sempre a sorprendermi. Però dimentichi una cosa: che io
conosco la tua identità segreta, potrei renderla pubblica ed assistere allo
spettacolo di te, inerme, che soccombi davanti ai tuoi nemici".
Rapidissima,
Julia lo afferra al collo e stringe la presa:"Inerme? Definisci questo inerme?
Sai, Clemson, mi sono stancata della gente che tormenta la mia vita solo per ciò
che sono, sfruttando i miei cari e i miei affetti. Mi sono detta basta: basta
stare a guardare, è tempo di passare al contrattacco, anche se ciò comporta far
seriamente male al proprio nemico. Ma non mi preoccupo più di questo
ormai".
"S... Scherzi, vero?". Clemson osserva il suo volto, non scherza
affatto "No... non puoi dire questo! E la tua morale da Vendicatore?".
Julia
gli sferra un violento pugno allo stomaco:"Di fronte al benessere di mia figlia
passa in secondo piano. Allora, devo continuare o hai capito la lezione? Ci
lascerai in pace per sempre?".
Boccheggiando, Clemson annuisce. Julia allora
lo scaglia contro un muro:"Molto bene. Ma ricorda che se sgarri nulla ti potrà
più salvare".
Letale, spietata: Julia Carpenter. Non più Donna Ragno, quel
nome appartiene ad un' altra, una a cui forse un giorno andrà fatto un bel
discorsetto. E a ben vedere quel nome in codice a Julia non era mai piaciuto
troppo.
"Adotterò l' alias che avrei voluto usare fin dal principio" pensa l'
eroina "Un alias perso dalla donna che un tempo lo possedeva: il nome di colei
che sfidò una dea. E vinse. Da oggi in poi sarò Aracne.
Ufficio di Herbert Jackson. Il giorno dopo.
"Grandi novità, Julia" afferma Herbert.
"Quali?" chiede lei
fingendo curiosità.
"Quel traffico d' armi su cui stavamo indagando:
incredibilmente la polizia si è data da fare stavolta. E pensare che li avevo
contattati solo da poche ore, si vede che vi erano già indagini in corso. In
ogni caso questo ignobile commercio è stato debellato e i responsabili
catturati. Sembra anche che ci sia stato un aiuto... esterno, ma i criminali non
hanno voluto dire nulla".
"E bravo Clemson" pensa Julia, che poi dice:"Ma è
solo una piccola vittoria di una guerra molto più lunga, vero? Il primo di
chissà quanti passi".
"Sì, ma l' importante è che questa vittoria sia stata
conseguita, a volte non c'è nemmeno questa consolazione. Da essa ne partiranno
altre".
"Inoltre" pensa ancora Julia "Per le questioni più... spinose,
potremo sempre avere un aiuto aggiuntivo".
"Non preoccuparti per la tua casa"
afferma Herbert "Ha subito danni minimi e ti prometto che sarà come nuova entro
poche settimane. Infine, ehm..." il tono dell' uomo si fa più imbarazzato "Mi
chiedevo se, per caso, qualche sera, una cena tra noi... Senza alcuna pretesa,
sia chiaro".
Julia sorride: quest' uomo le piace proprio:"Nessun problema".
Anche Herbert allora sorride.
"E magari" conclude la donna "Un giorno ti
sottoporrò alla più terribile delle prove: l' esame da parte di mia figlia
Rachel. Se superi questo, nulla ti potrà più spaventare".
L' inizio di una
nuova era.
Capitolo Terzo: VEDOVA NERA
UNA VOLTA VENDICATORE...
di CARLO MONNI
Palazzo dei Vendicatori.
Non è certo la prima volta che si trova di fronte al
portone della sede del più grande Supergruppo della Terra, ma Natalia Alianovna
Romanova, o, se preferite la
versione anglicizzata del suo nome, Natasha Romanoff, meglio conosciuta come la
letale Vedova Nera continua a sentirsi un po’ a disagio. I suoi ultimi ricordi
di questo posto sono legati a quello che considera uno dei suoi peggiori
fallimenti, la sua inadeguatezza come leader dei Vendicatori in uno dei periodi
più discussi della loro storia, che culminò con la scomparsa di quasi tutti i
Vendicatori in carica in un mondo parallelo creato da Franklin Richards.
In molti le hanno detto che non fu colpa sua, ma lei non può sfuggire a questo
senso d’ inadeguatezza. È stata molte cose nella sua vita questa donna: voleva
essere una ballerina classica, finì per diventare una delle migliori spie
dell’ Unione Sovietica, una specie di Mata Hari dei tempi moderni, considerata
pericolosissima dai governi occidentali ed una benemerita della Patria dal suo.
Ironicamente, quando decise di scegliere l’ occidente, nella sua patria
d’ adozione la considerarono un’eroina, mentre per il suo paese divenne una
traditrice degna solo della pena di morte. Questo è il passato, però, altri
affari più urgenti la spingono qui quest’oggi e la portano a suonare il
campanello della sontuosa dimora d’ arenaria.
Come al solito è l’efficiente Jarvis ad aprire.
"Buongiorno, Madame Vedova Nera. Se posso permettermi, la trovo bene, a parte la mano".
Natasha si osserva la mano destra fasciata, le fa ancora male, ma non così tanto, in fondo. "Nulla di grave Jarvis, un infortunio sul lavoro
diciamo". Un sorriso e poi la domanda:"Ero venuta per chiedere un favore. C’è Wasp o qualcuno degli altri?".
"Sì, ci sono Miss Wasp ed anche Padron Occhio di Falco e qualche altro, venga, l’ accompagno".
"Non serve, conosco la strada".
"Certo, Miss Natasha".
Jarvis è un perfetto maggiordomo, segue Natasha stando due passi
indietro. La Vedova Nera cammina lungo il corridoio. All’ altezza della stanza
dei monitor vede Occhio di Falco seduto dinanzi allo schermo. Rivederlo le
riporta alla mente molti ricordi. L’ amava un tempo, e molto, anche. Fu per lui
che decise di defezionare dal suo paese, che decise di cambiare la sua vita.
Perché l’ha lasciato alla fine? Fu lei a deciderlo, una decisione ragionata,
presa a mente fredda. La strada che lei aveva scelto per sé era incompatibile
con quella di lui e così doveva lasciarselo alle spalle, semplice… sì,
semplice.
"Natasha, sei proprio tu?". Lui l’ha vista ed ora si alza e le si avvicina.
"Sì, Clint, sorpreso? Dopotutto dovrei esser ancora un Vendicatore, credo".
"Certo. Una volta Vendicatore, sempre Vendicatore. È il motto della casa,
ricordi?".
Natasha abbozza un sorriso, non è sempre sicura di esserlo stata
veramente.
"Come stai?" gli chiede.
"Bene… come può esserlo uno che ha da poco ricevuto un
messaggio dall’ aldilà dalla defunta moglie" risponde Occhio di Falco.
"Cosa?".
"Ricordi quel pasticcio di qualche mese fa a Central Park,
con i vendicatori morti fatti rivivere dal Sinistro Mietitore?
C’era anche Bobbi e mi lasciò un messaggio che solo di recente siamo riusciti a
decifrare".
Le racconta degli ultimi sviluppi e lei l’ ascolta con cortesia. Sa che
Bobbi era importante per Clint e che ci ha messo molto tempo a rimettersi dalla
sua morte. Strano, non ci aveva mai pensato, ma lei e Barbara Morse erano molto
simili per storia personale. Meglio non proseguire su questo linea di pensiero, però.
"Cosa ti porta qui, Natasha?" chiede lui riportandola alla realtà.
"Devo chiedervi un favore, ma proferirei parlarne alla presenza degli altri, se ci sono".
"Certo, vieni con me".
"Grazie".
"È bello rivederti, sai? Non dovremmo lasciar passare tanto tempo. Se ti va potremmo rivederci uno di questi giorni".
"Mi farebbe piacere, Clint".
In realtà non è sicura che sia una buona idea, certi fuochi è meglio lasciarli spenti.
Casa della Vedova Nera Park Avenue
Ivan Ivanovitch Petrovitch trattiene a stento una lacrima,
mentre sullo schermo compaiono i titoli di coda di “Casablanca”. Avrà visto quel
film almeno un centinaio di volte, ma che importa?
Non ne fanno più di film così e non esistono più attori
come Bogart, Cagney, Gable e Wayne, purtroppo. Per fortuna che esistono i
videoregistratori. Spegne il televisore e si reca in cucina e decide di farsi un
caffè. Uno vero, forte, come lo bevono i russi, non quell’ acqua sporca che gli
americani amano chiamare caffè e, magari, già che c’è potrebbe bersi anche una
vodka. Esce sulla terrazza e guarda la città dinanzi a lui. Non l’ amerà mai
come Stalingrado (strano a dirsi, la chiama sempre così anche se sono quasi cinquant’anni che si chiama di nuovo Volgograd) o Mosca, ma deve ammettere che è
una città quasi unica al mondo… e poi è la città che Natasha ha scelto per
viverci. Lui le vuol bene come se fosse davvero sua figlia, è stato così da
quando quella donna la gettò, ancora bambina, tra le sue braccia prima di
scomparire nell’ incendio che divorò la sua casa e come ogni padre è preoccupato
per lei, per la sua vita. Natasha è una donna forte, forse troppo forte per il
suo stesso bene. Maschera sin troppo bene una fragilità emotiva, che non le ha
mai permesso di aprirsi con nessun uomo, a parte Alexi, ma Alexi è morto da
tanto ormai e tutti gli uomini che ha avuto da allora…alcuni li ha usati, altri
l’hanno ferita anche profondamente. Ci sono cose di cui Natasha non parla mai,
ma ci soffre ancora ed Ivan lo sa, vorrebbe poterla aiutare, ma come? Vorrebbe
avere tutte le risposte, ma non ne ha neanche una, purtroppo.
Palazzo dei Vendicatori,
Wasp accoglie la Vedova Nera con decisa cordialità.
"Natasha cara, cosa posso fare per te?".
"Di recente sono stata sottoposta ad una specie di controllo mentale…*" risponde lei.
* V. Marvel Knights 11
"Ne sono uscita, ma voglio sottopormi ad uno
scanner approfondito, per essere sicura che non rimangano tracce, non vorrei
sorprese in futuro".
"Sì, ho letto di quel parapiglia all’ O.N.U. l’ altro giorno. Come va la mano?".
Natasha se la osserva:"Fa male solo quando la muovo" risponde sorridendo
"Scherzi a parte, la dottoressa Foster dice che in una settimana sarà a posto, i
tendini non sono stati lesi, grazie al cielo".
"Non mi sorprende, Paladin è un ottimo tiratore, colpisce sempre ciò che vuole colpire" commenta Wasp.
"Tu lo conosci bene, vero? Che tipo è? Mi ha mandato dei
fiori a casa il mattino dopo il caos all’O.N.U. e mi ha anche invitato a cena.
Confesso che non mi dispiacerebbe rivederlo".
"Abbiamo avuto una storia poco dopo il divorzio da Hank, poi le nostre strade si
sono divise. Si atteggia a misterioso, ancora adesso non sono sicura di
conoscere il suo vero nome. Si atteggia a cinico, interessato solo al denaro, ma
accettò di aiutare i Vendicatori completamente gratis una volta. È gentile,
spiritoso e sa far divertire una ragazza, se capisci quel che intendo…".
"Janet Van Dyne, mi farai arrossire" ribatte ridendo lei.
"Il giorno che troverò qualcosa che ti faccia arrossire nevicherà in agosto" replica Jan.
"Non è già successo?".
"Oh, diciamo che si scatenerà l’inferno in terra".
"Anche quello c’è stato o sbaglio?".
Wasp ride:"Facciamo quest’esame che è meglio" conclude.
"Poco dopo Natasha si rialza da lettino e…
"Il verdetto?".
"Direi che, a quanto sembra, non ci sono interferenze
nella tua mente al momento" risponde Iron Man, unico altro presente nel salone
insieme a Wasp "Sei completamente a posto, cosa che non faccio fatica a credere
guardandoti".
"Non cambi mai, vero? Beh grazie, comunque".
"Prima che te ne vada possiamo parlare un attimo, Natasha?".
"Certo. Di cosa?".
"Stasera c’è la sfilata della collezione moda
Primavera-Estate, sfileremo con i modelli disegnati da te e pensavo che ti
sarebbe piaciuto venirci visto che sei in città".
"Beh perché no? Una serata di relax mi ci vuole".
"Ci verrò anch’io" dice Iron Man "Dopotutto Tony Stark è
uno dei maggiori investitori delle Van Dyne Industries e sono interessato alla
riuscita dei suoi affari".
"Verrai con la tua nuova fiamma, quella Colleen Wing?".
"Glielo chiederò, sì, obiezioni, forse?".
"Non io" replica Natasha "Mai stata gelosa. Ci vedremo stasera allora".
"Chiedi a Paul se vuol venire anche lui".
"Paul? Oh, vuoi dire Paladin? Sì, potrei anche farlo".
E detto questo, se ne va.
Un attico di un palazzo a Las Vegas, Nevada
L’ uomo siede guardando le notizie su una serie di monitor, la W.G.B.S.
sta dando ancora il giusto risalto agli eventi dell’O.N.U. e getta un occhio ai
titoli dei giornali di New York: il Daily Bugle, il Daily Globe, il New York
Express, tutti si chiedono cosa sia veramente successo al Palazzo di Vetro. Il
volto dell’uomo è a noi ignoto, ma non il suo nome: Harold Howard, plurimiliardario
con l’ ossessione della privacy e l’ hobby del potere. In questo momento pensa al
fatto che la Vedova nera non sa che, se Paladin è intervenuto in suo soccorso, il
merito è suo, oltre che degli efficientissimi computer del Pensatore Pazzo. Di
sicuro Paladin non gliel’ha detto, il silenzio faceva parte dell’ accordo preso
ed il mercenario è uno che tiene fede agli accordi, Howard lo sa ed è su questo
che conta, almeno per ora è meglio che lei non sappia del suo
coinvolgimento.
Il rumore dell’interfono lo strappa ai suoi pensieri.
<<Mr. Howard, la California in linea>>
"Oh, grazie miss Wright".
Prende la telefonata e sorride pensando ancora a Natasha.
Da qualche parte a Manhattan
Un uomo ascolta le notizie che dicono che questa sera la Vedova Nera sarà al Rockefeller Center ospite ad una sfilata di moda e sogghigna:"Bene, pensa, anch’io ci sarò, con un contratto da onorare ed un debito da saldare.
Rockefeller Center. New York.
L’ evento non ha nulla di particolarmente eccezionale a New
York, un’ abituale serata dedicata alla presentazione delle collezioni
Primavera-Estate, non si può dire che sia considerato qualcosa di fuori
dall’ ordinario il fatto che la nuova collezione Van Dyne sia stata disegnata da
Natasha Romanov, la famosa Vedova Nera, ma naturalmente i cronisti mondani non
si lasciano sfuggire nessuna occasione e sono pronti a riferire ai loro avidi
lettori chi c’era e con chi. Ecco entrare l’ anfitrione della serata: Janet Van
Dyne, ma i media non conoscono l’ uomo biondo che l’ accompagna, sarebbero
sorpresi di sapere che lo sconosciuto Clint Barton è, in realtà, il superarciere
noto come Occhio di Falco, membro dei potenti Vendicatori. I paparazzi non
possono neanche perdersi Tony Stark con la sua ultima fiamma, ma l’ attenzione di
molti è concentrata su Natasha Romanov che entra in compagnia di ben due
uomini: uno è il suo padrino Ivan Petrovitch che da ampia mostra di sentirsi a
disagio e l’ altro è un atletico giovanotto dai capelli castani.
"Non sarei dovuto venire, zarina" sta dicendo Ivan "Non ho niente a che fare con queste scemenze mondane".
"Lo so che ti troveresti più a tuo agio in un laboratorio
o in un campo di battaglia, vecchio cosacco" replica Natasha, sorridendo "Ora zitto e goditi la sfilata".
Dopo l’ interessante spettacolo delle modelle che sfilano vestendo anche
gli abiti che Natasha stesa ha disegnato, gli ospiti si ritrovano a conversare
ed a sorseggiare drinks e piluccare il buffet. Natasha si ritrova a
chiacchierare con il suo accompagnatore che risponde al nome di Paul Denning,
alias Paladin. Per quanto non lo conosca molto deve ammettere che, oltre ad
essere attraente è davvero brillante e spiritoso. Sente gli sguardi di Clint e
Tony su di loro (attento Tony, potresti far ingelosire la tua donna) e capisce
cosa pensano: è affidabile l’ uomo che è con lei? A dir la verità, il mistero ed
il fatto che Paladin viva ed agisca ai margini della legalità lo rendono più
affascinante ai suoi occhi, lei stessa può definirsi una “cattiva ragazza” in
fondo.
Improvvisamente vede passare vicino a lei due persone che ben conosce:
una è la Contessa Valentina Allegro De La Fontaine, Vice Direttore dello
S.H.I.E.L.D. ed ex amante di Nick Fury, ma a sorprenderla è il suo accompagnatore,
un uomo che non vedeva da anni.
"Paul… Paul Hamilton" chiama prima di rendersene perfino conto.
"Ciao, Natasha, è un piacere rivederti".
Natasha non bada allo sguardo che Valentina e Paladin si fanno e continua:"Cosa fai qui?
È da tempo che non ti vedo".
"Dai tempi in cui aiutammo quei ragazzi portoricani. Poco
dopo tu ti trasferisti a San Francisco con Devil ed io partii per l’ estero.
"Sì". Natasha glissa su quel discorso "Ricordo bene quei
giorni. Rovinammo l’ elezione al Congresso del consigliere Scarola, ma anche se
ho sempre sospettato che fosse lui il Padrino che mi rapì e cercò di farmi
uccidere, non ne trovammo mai le prove".
"Ora le hanno trovate, sembra, è stato arrestato nella maxi
retata del mese scorso e speravo proprio di parlartene Natasha".
"Davvero? Come mai? Dimmi tutto".
I compagni dei due si guardano sconsolati, mentre Ivan sorride sotto i baffi. Hamilton prosegue:"Ho ricevuto una soffiata al giornale, secondo cui Anthony
Scarola ha deciso di chiudere i vecchi conti ed avrebbe pagato un sicario per eliminarti".
"Le minacce dei Vito Corleone di seconda categoria non mi
preoccupano. Parlami di te piuttosto… Credevo fossi in Afghanistan e da quando in
qua conosci i capoccioni dello S.H.I.E.L.D.?".
Lui guarda la sua compagna e risponde a bassa voce:"La Contessa? Le ho chiesto un’ intervista esclusiva ed ha
accettato ed anche un invito a cena. Sai che ho un debole per le donne volitive".
"Uhm, il tuo giornale hai detto. Sei di nuovo in pianta stabile a New York?".
"C’è qualcosa che non sai dunque. Sono il nuovo direttore
del New York Express, nominato dalla nuova proprietà".
"E sarebbero?".
"Un gruppo australiano: News Service Corporation".
"News Service…?".
Natasha si morde il labbro inferiore quasi automaticamente.
"Li conosci?".
"Io…".
"Natasha cara!" la voce di Wasp a distrarla, mentre si
avvicina accompagnata da una donna bionda più o meno dell’ età di Natasha,
fasciata da un abito rosso fuoco. "Ti devo presentare assolutamente il Capo dell’ Agenzia che
ci ha fornito le modelle" dice gioiosa Janet Van Dyne "La sola ed unica Millie Collins!".
"È un piacere, miss Collins" fa lei.
"Chiamami Millie" risponde l’ altra "Non ti stringo la mano perchè vedo che è ferita".
Paul Denning si fa avanti ed esegue un impeccabile baciamano:"Mi permette" dice "È un onore per me conoscere la modella più famosa di tutti i tempi".
"Grazie, ma credo che Claudia e Cindy avrebbero da ridire
su questo. Certo ero piuttosto famosa ai miei tempi, ma è stato anni fa ed ora
faccio l’ agente".
"Non sia modesta, lei è una vera leggenda Millie, posso chiamarla Millie vero?".
Buffone pensano all’ unisono gli altri presenti.
"Tesoro, con i complimenti che mi fai puoi chiamarmi come
ti pare. Leggende eh? Quando sei una leggenda sei ormai troppo vecchia per quasi tutto".
Natasha sta cominciando pensare che la situazione stia diventando troppo
ridicola, ci vorrebbe un diversivo, uno qualunque. Sta per essere accontentata,
ma potrebbe rammaricarsene.
Il primo ad accorgersi della sua presenza è Paladin. L’ uomo alto e
massiccio, calvo, con la barba ed il monocolo gli ricorda qualcuno, qualcuno di
cui ha letto qualcosa di poco carino, ci scommette, ma è Tony Stark a
riconoscerlo. È lo stesso uomo che cercò di ucciderlo per ordine del Conte
Nefaria e che Natasha affrontò, mentre lui veniva rapito dagli sgherri del
Mandarino. Il nome non lo ricorda, ma deve….
"Natasha, attenta!".
Lei ha percepito l’ arrivo dell’ uomo poco prima dell’ avvertimento di Tony,
non rimani vivo molto a lungo nel suo ramo di lavoro se non impari ad
accorgerti dei pericoli incombenti. Il suo assalitore colpisce, sferrando un
colpo di sinistro con un guanto crepitante e Natasha è pronta, dando uno
spintone ad Hamilton e saltando agilmente di lato.
"Hauptmann, che sorpresa!" esclama.
L’ uomo agita la mano sinistra in cui c’è un guanto metallico che crepita
d’ energia. Quasi tutti i presenti lo riconoscono, ma è Valentina Allegro De la
Fontaine a dirne il nome:"L’ artiglio di Satana!".
Una delle più pericolose armi da combattimento ravvicinato creata
dall’ A.I.M. per il Barone Strucker, capo dell’Hydra molto tempo fa
ed Hauptmann sa come usarla, è chiaro.
"Morirai, Vedova Nera, qui ed ora!" esclama Hauptmann,
mentre Natasha evita ancora una volta il suo micidiale colpo.
Dietro di lei Paladin, Clint Barton, Wasp, Val ed anche Ivan si sono
messi in posizione di combattimento, mentre Val estrae dalla borsetta una
pistola e Tony Stark si guarda attorno cercando un’ occasione per sgattaiolare
via ed infilarsi l’ armatura di Iron Man. Come se avesse sentito i loro pensieri,
e del resto sono chiarissimi anche senza essere un telepate, Natasha esclama:"No! Se non sono capace di sconfiggerlo con una mano sola,
non sono degna del nome di Vedova Nera, state da parte tutti ed intendo tutti".
Clint sogghigna ed Ivan prende la mano di Valentina Allegro De La Fontaine facendole abbassare l’ arma.
"La lasci fare… per ora".
"Hai la tua occasione, Natasha!" le risponde Janet.
Dietro di loro Stark e gli altri sperano di non aver preso la decisione sbagliata.
"Non te la caverai facilmente, Vedova!" proclama l’ altro "Hai rovinato la mia reputazione una volta e la pagherai".
Natasha saetta via con eleganza, per niente impacciata dall’ abito da sera.
"Finora eri stato l’ unico della tua famiglia a non
confonderti con pazzi dittatori ed aspiranti dominatori del mondo, dovevi
continuare così e ritirarti finché eri in vetta" dice all’ avversario "Perché
fare una sciocchezza come un attacco così teatrale?".
"Non ti riguarda, tu morirai e quello che accadrà a me non ha importanza!".
O ha le spalle coperte o non gli importa dell’ arresto, pensa Natasha, in
ogni caso deve proteggersi dall’ Artiglio di Satana, quel guanto è micidiale,
basterebbe un solo tocco e lei
sarebbe finita. Come l’ha avuto? È stata l’Hydra ad assoldarlo? Perché? Domande,
domande, la sua vita è, da sempre,
una sequenza di domande con poche risposte. A cominciare dal suo ruolo. Non è una supereroina, ci ha provato, per
Clint, per Matt, per dare un senso alla sua vita forse, ma in questo ha fallito.
È inutile che le dicano il contrario, lei sa di aver guidato i Vendicatori al
disastro, di aver preso le decisioni sbagliate. Ha fatto del suo meglio lo sa,
ma non è bastato, non a lei. Non sarà mai come Occhio di Falco, come Capitan
America, ci ha provato, non ha funzionato. Combatterà la giusta battaglia a
modo suo, con le sue regole.
Evita ancora una volta l’ Artiglio, non si sente minimamente frenata dal
non poter usare la destra, ha imparato ad usare benissimo anche la sinistra, le
secca non avere i bracciali del morso da Vedova, ah la mania del look, ma non
importa, non ne ha veramente bisogno. Ha atteso il momento adatto ed ora ha la
sua occasione, l’ unica, se sbaglia Hauptmann la friggerà letteralmente. Oh beh,
nessuno vive per sempre in fondo. Scatta con un grido e vibra un calcio al pomo
d’ Adamo di Hauptmann. Il colpo è riuscito, il tedesco barcolla e cade pesantemente a terra.
Tony Stark sospira, non ha sbagliato a fidarsi di Natasha.
La contessa si avvicina e tocca l’ Artiglio di Satana in un punto alla sua
base e lo spegne, poi lo sfila dalla mano dell’ uomo:"Questo lo confisco in nome dello S.H.I.E.L.D." dice.
"Ottimo colpo" è il commento di “Paul Denning” "Chi credi che l’ abbia mandato?".
"Lo scoprirà la Polizia" risponde la Vedova Nera "A me basta che abbia imparato la lezione".
"Se qualcuno ti vuole morta ci riproverà, lo sai".
"Ci provi se vuole, scoprirà che la Vedova Nera è difficile da uccidere!".
Alba di un nuovo giorno, attico della Vedova Nera.
Natasha è uscita sulla terrazza, il vento di novembre le scompiglia i
capelli e le fa svolazzare la veste. Un Paul Denning decisamente più vestito la raggiunge.
"Non senti freddo?".
Lei sorride:"Sono una russa" risponde "Questo non è freddo per me".
"Dimenticavo. Voi avete anche la Siberia. O è disabitata adesso che non esistono più i dissidenti politici?".
"Molto spiritoso, davvero".
"A cosa stavi pensando prima che arrivassi?".
Natasha corruga la fronte prima di rispondere:"Ho cominciato la giornata facendomi domande sul mio ruolo
di Vendicatore, chiedendomi se era stato un errore entrare in quel gruppo, se non ero adatta ai loro standard".
"E la risposta?".
"Sono persone che hanno a cuore il bene degli altri e
sentono di avere la responsabilità di usare le doti che hanno nel modo più
giusto. Io sono una solitaria ed i miei metodi sono molto diversi dai loro. Anni
fa, poco dopo la mia defezione dall’ occidente, li salvai da una minaccia aliena
minacciando di uccidere il leader dei nemici, così a sangue freddo.
Loro non l’ avrebbero mai fatto, ma io non bluffavo ed è questa la differenza.
Ho provato a giocare secondo le loro regole, non ha funzionato Ci sarò sempre se
avranno bisogno d’aiuto, ma ho la mia vita da vivere e la mai strada da seguire, a modo mio".
"Bel discorso, ma ora che ne dici di rientrare?".
Lei sorride maliziosa:"Beh perché no?" risponde.
E rientrano insieme.
Capitolo Quarto: TIGRA
EQUILIBRI
di VALERIO PASTORE
La Terra Interna, Limbo
In questo angolo d’ inferno, la vista di una città è, diciamolo, cosa inusuale. Una città dalle forme eleganti fatta di torri di pietra dorata interconnesse fra loro, in un gioco architettonico di cui Jules Verne sarebbe stato fiero.
Per i suoi abitanti, un tempo, questa era semplicemente Karkas. Quando ancora l’ intelligenza brillava con forza nelle loro menti, gli esiliati del Popolo Felino avevano deciso di costruire il proprio regno, avevano scelto la vita contro la disperazione. Nel frattempo, avrebbero fatto l’ impossibile per tentare di riguadagnare la libertà che i loro aguzzini umani avevano loro tolto.
Ma il tempo era stato loro nemico. Il tempo, e la prigionia in un luogo che, come un veleno, generazione dopo generazione, aveva trasformato i fieri uomini-gatto, nati dalle arti arcane di maghi medioevali, in demoni.
Karkas oggi era un monumento in rovina, una triste testimonianza di quello che fu e che mai più sarà. Coloro che ancora speravano di potere liberare il Popolo Felino erano, adesso, grati ai suoi carcerieri. Se l’ influenza della Cappa delle Ombre avesse raggiunto la Terra Interna, il mondo avrebbe conosciuto una nuova piaga, e ben letale –perché, anche in questo stato, il Popolo Felino era composto di guerrieri temibili, indistruttibili dalle forze naturali.
Neppure lei avrebbe però mai augurato un simile disastro a coloro che, in un certo senso, erano suoi parenti...
Lei era Greer Grant Nelson. Il mondo la conosceva ormai come Tigra.
All’ inizio, era stato come un gioco, per lei, nei panni della prima Gatta, quel titolo che poi sarebbe stato di Patricia Walker. Un gioco pericoloso, mortale, che quasi l’ aveva uccisa. C’era voluto l’ intervento della sua mentore, la Dott.ssa Tumolo, che in realtà era un membro di una branca del Popolo Felino sfuggita all’ esilio, per salvarla e trasformarla nella loro suprema guerriera, Tigra.
Ne erano successe di cose, da allora, per lei. Tanti cambiamenti, tanti amici e situazioni da sfidare la comprensione umana… Ma in mezzo a quel mare tormentato, lei aveva potuto contare su una famiglia –se così si poteva chiamarla: i Vendicatori. Anche se militare fra le loro fila richiedeva decisamente più impegno che fare la solitaria o l’ occasionale partner in affari di Jessica Drew, con loro la vita assumeva tinte e sapori nuovi… che le mancavano.
Ironicamente, si stava dirigendo verso la California, verso il QG della vecchia branca recentemente ristrutturata dei Vendicatori della Costa Ovest, quando aveva posato gli occhi sull’ annuncio che occupava un' intera pagina di un quotidiano a tiratura nazionale.
Ancora una volta, dal momento della decisione di aderire alla Justice, Inc., il tempo per sé stessa era stato minimo… Salvo rare, piacevoli eccezioni!
Ma il suo problema rimaneva lì. Il destino le aveva permesso di affrontarlo… Solo per scoprire che non poteva fare nulla per sé.
Tigra sospirò - stava crogiolandosi nell’ autocommiserazione, quando c’era, davanti a lei, chi stava davvero peggio.
Nello specifico, il maschio di nome Grigar. Lo aveva incontrato durante la sua militanza nei primi VCA, quando ancora la parte selvaggia di lei la rendeva alquanto ‘instabile’ nelle relazioni romantiche. Allora, Grigar era il Balkatar del Popolo Felino, il loro campione- l’ unico che avesse il diritto di uscire dalla Terra Interna quando evocato da un rituale mistico.
Anche se in preda ad una passione più forte di lei, Tigra aveva giaciuto con Grigar, ed aveva imparato a conoscerlo. Sapeva quanto dolore stesse passando per l’ animo di lui, alla vista delle mostruosità istupidite in cui si erano trasformati i suoi simili, che ora vagavano senza meta per la città in rovina, incuranti degli stranieri che fino a poco prima avevano cercato di uccidere. Grigar aveva tenuto duro per loro, per liberarli…e non poteva più farlo. Non senza condannarli a un destino peggiore della prigionia dove, paradossalmente, erano al sicuro…
“Grigar”. La voce era profonda, ma morbida nella sua gentilezza verso l’ uomo-gatto dall’ armatura di cuoio. La voce di un uomo-lupo bianco come la neve, vestito di un’ armatura smeraldo e oro. I suoi occhi d’ ambra erano pieni di comprensione per il dolore del suo compagno di squadra, ma ugualmente disse, “Devo andare, non posso rimandare ancora. Ascolta, non sei costretto a venire con noi,” dove ‘noi’ era riferito anche al grande dragone azzurro non distante, sdraiato come una sfinge. “Se vuoi, posso mandarti su Altro Regno…”.
Grigar, da che era in ginocchio, si alzò in piedi. “Io…Mi terreste con voi? Non so se…”.
John Jameson, Stargod, annuì, mettendogli una mano sulla spalla. Sorrideva, ma i suoi occhi erano seri come non mai. “Ti devo la vita, Grigar. Sarò felice ed onorato di averti fra i miei Cavalieri per la liberazione del mio mondo. Ora, però, è opportuno che tu riposi. Quello che sto per fare, sulla Terra, riguarda solo me”.
Grigar annuì, poi si voltò verso Tigra. “Sacra guerriera… Se posso osare chiederti un favore...?”.
Lei non seppe cosa dire lì per lì. Di sicuro, una simile remissività in quella fiera creatura la spiazzava.
Con lo sguardo, la donna-gatto interrogò il suo attuale amante, Jack Russell, Sabre, che era anche suo collega nella JI. Il mannaro dal pelo rossiccio se ne era stato in disparte, un pesce completamente fuor d’ acqua, e lo sapeva. Come sapeva benissimo che la loro relazione era qualcosa di puramente temporaneo –lei stessa lo aveva messo in chiaro fin dall’ inizio.
Sabre annuì. “Avvertirò il capo… tanto, conoscendola, non credo che si muoverà prima di avere pianificato tutto fino all’ ultimo dettaglio. Farai in tempo a tornare per il briefing”.
Lei sorrise, cercando di nascondere il disagio interiore –aveva un bisogno disperato di pensare, e sapeva cosa Grigar le avrebbe chiesto. Ancora una volta, era giunta a un bivio!
Sabre si avvicinò a Stargod. Questi concentrò la sua volontà sulla gemma scarlatta che brillava alla sua gola, la potentissima Godstone, e i due felini furono teleportati via.
Comparvero in mezzo al paradiso –almeno, tale si presentò ai sensi di Tigra, che dopo la sterile corruzione della Terra Interna, si trovò avvolta dal profumo di una foresta vergine e ricca. La fauna rivelava la sua presenza con una cacofonia che la donna non credeva si potesse più udire… Tutto, in quel posto, gridava VITA. “Questo è… Altro Regno..?”.
Grigar annuì. “L’uomo, qui, è una delle tre specie dominanti, insieme ai lupi ed ai draghi. La sovrappopolazione che piaga il nostro mondo, qui è assente... Anche se i problemi non mancano... Ma non voglio parlare di problemi, adesso”.
“Temo che dovremo farlo, invece...” Tigra scostò la zampona che già le stava scivolando lungo un fianco, e si mise seduta alla base di un albero. Si passò un artiglio sulla protezione metallica che la copriva dal collo allo sterno. “Per esempio, questa come devo considerarla? Come faccio a sapere che un bel giorno non mi coprirà completamente dalla testa ai piedi, come una specie di maledizione, o... o un virus..?”.
Grigar le rispose con uno sguardo perplesso. “Davvero la Tumolo non ti ha detto nulla?” Scosse la testa, e ridacchiò. “Già, altrimenti l’ avresti evocata da tempo...“.
“Quell’ armatura è uno dei doni che Flavius Primus e la sua consorte fecero alla prima Tigra: un costrutto mistico indistruttibile alle armi ed alle forze naturali. Anche se non ti copre totalmente, si materializza sulle porzioni del corpo a rischio di danno.
“I tuoi timori sono, in un certo senso, giustificati: l’ armatura può sfuggire al controllo, se non si impara a dominarla... Intendo dire che deve servire solo come estrema risorsa, quando tutte le altre opzioni sono esaurite. Il fatto che non sia apparsa fino ad ora depone a favore della tua bravura”.
Tigra soppesò quelle parole... e capì come mai adesso la portava. Si morse il labbro inferiore, sperando che il suo nervosismo non trasparisse eccessivamente Si alzò in piedi, e chiese, “È possibile che quest’armatura resti anche... contro la mia volontà?”.
Grigar scosse la coda. “È possibile. Purtroppo, non so nulla dell’ incantesimo con cui è stata forgiata. Le fonti sono andate perdute con la morte di Flavius ed Helena. So che un’ armatura simile a questa ha rivestito una sovrana del Limbo, ma...”.
Tigra sospirò. “Lascia perdere. È la storia della mia vita...” L’ attimo successivo, si trovò avvolta dalle potenti braccia di Grigar. Ebbe un attimo di rigidità, istintiva, memore del doppiogioco che lui non esitò a sfruttare per dominarla...
Ma la rigidità passò presto. Lei era in controllo di sé stessa, adesso, e lui non stava insistendo. Non c’era eccitazione, nell’ abbraccio che lei ricambiò, alla fine, con piacere. C’era solo l’ appoggiarsi l’un l’altro, l’ aprirsi, il comprendersi...
Grigar iniziò ad accarezzarle la criniera. “Resta qui,” le sussurrò. “Non posso prometterti la pace, ma posso offrirti la mia devozione. Ti sarò vicino, e questa volta non ci saranno agende segrete... Mi vergogno ancora di avere tentato di sfruttarti allora; dammi una...” fu interrotto da un dito posato sul naso.
“Ho passato una vita, Grigar, da una persona all’ altra, da un gruppo all’ altro...” Tigra si sciolse gentilmente dall’ abbraccio. “Sono divisa fra due identità... ho camminato una lunga strada e non sono arrivata da nessuna parte. Non posso e non voglio ripetere tutto daccapo.
“Grigar, non credo che resterò nella Justice Incorporated a lungo... Vorrei tornare fra i Vendicatori, fra coloro che mi hanno dato un affetto che nessun altro mi ha dato, ma so anche che, alla fine, sarebbe l’ ennesimo tentativo di avere un surrogato di famiglia”. Gli prese le mani fra le sue, sorprendendosi della placidità di questo maschio che aveva conosciuto solo per la sua arroganza. “Non ti conosco davvero, ma non voglio non pensare ad un futuro insieme, come i nostri antenati... Ti chiedo tempo... se me lo concederai”.
Grigar annuì, e prese ad accarezzarle la gola con un artiglio. “So che saprai scegliere bene. Sei una Tigra, in fondo...”.
Tigra stava praticamente facendo le fusa; in preda all’ eccitazione, la sua coda si agitava come una frusta. Dio, come voleva credere che non ci fosse solo il richiamo della specie di mezzo, adesso. Si sentiva così... protetta...
“Visto che hai deciso almeno di pensarci,” continuò lui, “Concediti un po’ di tempo, adesso, per esplorare questo mondo. Vuoi?”.
Lei sfoggiò un sorriso malizioso. “Sai come parlare ad una donna, guerriero. Va bene... Ma rendiamolo più interessante!” Detto ciò, saltò fra i rami. Come una saetta, sfrecciò aggraziatamente nel verde, scomparendo subito alla vista.
Le sensibili orecchie di Grigar, e la vista aguzza capace di scalare nell’ infrarosso, gli permisero di lasciarle un buon margine di vantaggio, un attimo prima di seguirla a ruota.
Sempre più in alto –era incredibile! Non sembrava esserci fine all’ altezza degli alberi.
Finalmente era nel suo elemento! Lì non aveva preoccupazioni, non c’era nessuno che potesse giudicarla. Solo la foresta sterminata e le prede...
Grigar era dietro di lei, sempre ad una manciata di metri. Era chiaro che stava assecondandola, faceva la sua parte nel gioco più antico... E a lei non dispiaceva affatto! Avevano entrambi un bisogno disperato di lasciarsi alle spalle gli orrori del Limbo, le miserie del mondo...
*Eep!*
Decisamente, a un passo dalla cima di una foresta che avrebbe fatto vergognare le più maestose sequoie, l’ ultima cosa che lei aspettava di trovarsi davanti era un tetto: una solida struttura di legno, frastagliata, fatta non di tronchi tagliati, bensì di rami saldamente intrecciati con tanto di foglie. Perfettamente mimetizzata.
In quel momento, il suo addestramento ed esperienza da Vendicatrice pagò, eccome! Un rovinoso impatto fu in un batter d’ occhio trasformato in un’ elegante manovra che la fece atterrare sulla cima del tetto. Grigar fu accanto a lei un attimo dopo. “Avrei dovuto immaginarlo,” disse lui, inaspettatamente.
“Immaginare cosa?”.
“Stargod non conosce a fondo questo mondo. Ci ha portato qui basandosi sui suoi ricordi... Siamo stati qui, di recente. Almeno, non ci ha portato a Kalgarn...”.
Improvvisamente, come per magia, decine e decine di frecce furono puntati su di loro, in modo da coprire ogni via di fuga.
“Non so che posto sia Kalgarn, ma se è meno amichevole di così...” commento lei.
Un secco comando echeggiò fra le fronde, e le frecce furono abbassate, anche se con la dovuta prudenza.
“Bentornato a Woodgard, Grigar il Balkatar,” disse una donna dalle orecchie a punta, che procedeva in mezzo ad un manipolo di arcieri e lancieri. I suoi capelli erano verde scuro, venate del rosso autunnale delle foglie. Il suo volto dagli ampi occhi color nocciola emanava al contempo gentilezza e fermezza. Solo poche rughe tradivano la sua età venerabile.
Grigar saltò di sotto, imitato da Tigra. “Lady Tajrra, sono onorato di vederla viva e in buona salute. Il suo braccio è guarito in fretta, vedo con piacere.”
Tigra osservò con curiosità aperta il braccio sinistro di lei: la mano non c’era più, sostituita da una specie di capsula di metallo. Se quello voleva dire ‘guarito’...
“Grigar intendeva questo,” disse Tajrra, sorridendo. Mostrò il braccio destro, costellato da una ragnatela di cicatrici. “Il Principe dei Tok in persona me lo distrusse, giorni addietro, così come mi tolse la mano. I guaritori hanno lavorato molto duramente, per sistemarlo”. E per provarlo, fletté ripetutamente la mano destra.
“Principe..?” Tigra non osava chiedere delucidazioni.
Tajrra rise di cuore. “E dire che pensavo che il vento stesso avesse trasportato la lieta novella in tutti gli angoli di Altro Regno! Grigar, devo dedurre che codesta femmina venga dal mondo chiamato degli altri Cavalieri, giusto?” si voltò, e si incamminò verso una delle tante capanne incastonate nei titanici alberi. “Ma venite. Siete pur sempre graditi ospiti, e le buone maniere non vanno messe da parte per alcuna ragione”.
Tigra guardò verso Grigar. “’Altri’ Cavalieri..?”.
Lui si tirava il colletto dell’ armatura come se ci stesse sudando dentro, mostrando una fila imbarazzata di zanne. “Ecco, io...”.
Cionondimeno, la coppia seguì l’ elfa sotto lo sguardo inquisitore del suo codazzo di guardie.
Non ci volle molto, a dire il vero. In tutta franchezza e fierezza, Tajrra aveva parlato delle mirabili imprese dei sei Cavalieri di Stargod, senza omettere alcun particolare, dalla liberazione di Kalgarn alle sconfitte inflitte agli invasori alieni rettiliani. Non ebbe bisogno di ricamare alcunché, eppure il suo resoconto fu come il capitolo di una saga epica. Riusciva difficile credere che di una simile compagine di eroi potesse fare parte il più che sinistro Diablo, o uno che si professava l’ erede del Seminatore di Morte...
Infatti, Tigra non ci credette. Credette solo di essere stata ingannata un’ altra volta da quel demone maledetto!
Schizzò via come una furia, talmente svelta che le guardie di Tajrra non ebbero nemmeno il tempo di prepararsi a fermarla, figurarsi ad inseguirla!
“TIGRA!” Balkatar corse al suo inseguimento non meno velocemente.
Tajrra uscì un attimo dopo. Aveva un’ espressione perplessa, mentre scuoteva la testa. “I giovani... Che creature strane...”.
Che le piacesse o no, lei era meno veloce di Grigar. E la sua agilità era compromessa dalla rabbia. Lui la raggiunse quasi senza sforzo, e le afferrò un braccio.
La sua voce era pura angoscia. “Ti prego! Ascoltami, stai sbagliando!”.
Con forza insospettata, lei riuscì a divincolarsi dalla presa del maschio. Il suo volto era pura ferocia. “Ma davvero? In fondo, Diablo è solo un supercriminale da molto prima che fossi nata! Ha ammazzato un sacco di gente, ha cercato di uccidere svariati super-eroi... ma per voi demoni è roba da mammolette, giusto? Come hai osato cercare di coinvolgermi con simili mostri?!” avrebbe voluto scappare via... Ma non ce la faceva.
Contrariamente a quanto si aspettava, Grigar non si mostrava offeso, o arrabbiato... Il suo dolore sembrava sincero. Sapeva di stare per perderla di nuovo, e lo mostrava apertamente...
“Ascoltami, se non riesci a fidarti di me... Fidati almeno di John Jameson. Lui ci guida e sa benissimo chi siamo... Ma non gli impedisce di fidarsi di noi”.
“Si sta sbagliando anche lui? Puoi dirlo e crederci?”.
Tigra si mise seduta sul ramo, la testa china in avanti –e dire che una cosa che si era ripromessa era di evitarsi le complicazioni!
John Jameson. Un brav’uomo, pilota dei Vendicatori, membro dello staff a terra. Occasionalmente noto come il selvaggio Man-Wolf... Forse tornare lupo lo aveva..?
Sospirò. Si stava prendendo in giro, e lo sapeva! Era la stessa cosa per le sue relazioni: era stato facile, dare la colpa allo spirito della sua ‘antenata’ che la possedeva... No, lei era fatta così. Incapace, da una vita, di decidersi su qualcosa. Una scusa qualunque le permetteva di mollare senza pensarci su due volte. E lo stava rifacendo, proprio adesso!
Non si fidava di sé stessa, questo era il suo guaio. John era un eroe, lo stesso Capitan America avrebbe giurato su una pila di Bibbie sulla sua integrità...
“Tigra..?”.
Lei riuscì ad esibire un timido sorriso. “Mi dispiace... È solo che mi sembra così assurdo uno come Diablo che... che...”.
“Se ti può consolare,” disse Tigra, dopo essere saltato sul ramo dove lei sedeva, “Nessuno fra noi pensa che Diablo sia un ‘eroe’ come lo intendi tu. È subdolo, e della sua fama sono bene informato. Lo stesso Stargod non abbassa la guardia con lui... Ma, come hai sentito da Tajrra, per ora combatte per questo mondo, e tanto mi basta. Se osasse minacciare la vita del Dio, lo ucciderò con le mie mani”.
In quel momento, Tigra seppe che non stava mentendo. Aveva visto la fiducia scorrere fra lui e l’ uomo-lupo, e non aveva ragione di credere che si trattasse di un inganno...
*!*
C’era qualcosa di comico, nel sobbalzare di entrambi nello stesso momento, seguito dal voltare le teste verso lo stesso punto nel cielo...
Grigar ringhiò terribilmente, alla vista di un dragone –un esemplare di almeno 15 metri, la cui carne sembrava essere fatta di roccia infuocata a placche. La sua cresta era puro fuoco sulfureo. Spunzoni di quarzite spuntavano all’ altezza delle articolazioni e lungo la coda.
Anche Tigra si sentì di condividere i timori del maschio. Quella creatura, il cui corpo emanava anche a quella distanza un calore ben percettibile, sembrava essere fatta per la distruzione. “Lo conosci?”.
“È il simile di un mostro di nome Satranius. Ma è più piccolo...” fu interrotto dalla voce mentale di Tajrra.
L’ elfa stava proprio davanti a loro, accovacciata su un ramo senza la minima difficoltà. “È un drago del fuoco, la razza più pericolosa su questo mondo. Ma è molto fuori dal suo territorio... Satranius deve avere percepito l’ assenza di Stargod, per osare mandare i suoi pulcini fin qui”.
“Vuoi dire che quello è un cucciolo?” Tigra non osava chiedere che dimensioni raggiungessero gli adulti!
Il dragone spalancò le fauci, e fece partire una mostruosa fiammata all’indirizzo di Woodgard! Le fitte cime degli alberi che circondavano il villaggio furono incenerite sull’ istante! Ci furono principi di incendio tutt’intorno a quella distruzione, ma la grande umidità delle piante ebbe la meglio, per ora, riducendoli a qualche scintilla avvizzita.
Grigar prese Tigra per mano. Non c’era tempo per la psicanalisi, adesso.
Entrambi scomparvero, e riapparvero esattamente a un passo dal collo della creatura; vista da così vicino, non c’era dubbio su quale ‘sangue’ corresse nelle sue vene.
Istantaneamente, la donna-gatto fu completamente avvolta dall’ armatura contro quel calore capace di fondere il ferro! Grigar ne era, per sua stessa natura, immune. Entrambi atterrarono sulle spalle del mostro. Grigar estrasse la sua nera ascia runica.
Il drago emise un verso sorpreso, e voltò la testa a fissare quelle strane pulci. Sobbalzò. E ora cosa faceva? Il Sire gli aveva detto che non avrebbe avuto nulla da temere, che il Dio ed i suoi seguaci migliori erano via da Altro Regno!
La decisione fu presa per suo conto da Tigra, che affondò gli artigli corazzati nella roccia. Questa cedette come burro, e il contatto col metallo mistico fece volare le scintille, oltre che un flusso di lava.
Il drago ruggì, e si dimenò, dimentico della sua preda. I due eroi si aggrapparono con le unghie, e anche così sembrava di cavalcare un terremoto! Almeno, si stava allontanando da Woodgard...
“Hai un’ idea di come sconfiggerlo?” chiese Tigra.
“Posso solo sperare *huff* che il suo corpo sia vulnerabile dall' interno. Non vinceremo mai, colpendolo a spicchi”.
“Credo di capire” disse lei. Era meglio che questo mostro si arrabbiasse al punto giusto adesso, prima che lo facesse in compagnia dei suoi simili…
La donna-gatto, a fatica contro il vento arroventato dal corpo della creatura, si mise su un ginocchio come un corridore pronto alla partenza… e partì! Sotto lo sguardo ammirato di Grigar, corse lungo il collo del drago, protetta dalle fiamme della cresta… Poi, poco prima del cranio, saltò.
Grigar si preparò, mettendosi a sua volta in ginocchio, l’ ascia brandita.
Tigra compì una doppia capriola in aria, per accumulare momento…e come un fulmine, atterrò alla base del collo rettiliano! I suoi artigli scavarono a fondo nella carne. Le lame curve alle ginocchia penetrarono saldamente, in una morsa, prevedibilmente, molto dolorosa!
Di nuovo il drago ruggì il suo dolore. Prima che esso potesse diventare insopportabile, fu lei stessa a lasciare la presa, lasciandosi gettare all’ indietro da uno scatto della testa –ancora una volta, ringraziò mentalmente Capitan America per i giorni spesi ad insegnarle quelle mosse!
Mentre Tigra atterrava sulla schiena, il drago voltò la testa, le fauci trasudanti fuoco liquido.
Il mostro spalancò la bocca.
Grigar lanciò la sua arma.
Il getto di fuoco partì. L’ ascia sparì dentro di esso, ma proseguì la sua corsa.
Grigar teleportò via sé stesso e Tigra un attimo prima di essere colpiti –decisamente, non era il caso di verificare fino a che punto le loro difese fossero tolleranti!
L’ ascia entrò. Il drago chiuse le fauci di riflesso. Ebbe giusto il tempo di mostrare un’ espressione di comico stupore… Prima che la sua testa esplodesse.
“Però,” commento lei, osservando il corpo senza vita precipitare in uno dei tanti laghi. L’ impatto generò una colonna di vapore titanica. Le venne improvvisamente un dubbio. “Grigar, quando combattemmo, nel tuo regno… Ti trattenesti?”. Domanda più che legittima, visto che lei, per un breve periodo, era ritornata umana, e contro quel guerriero indossava solo il suo costume da Gatta. Costume che lui aveva fatto a pezzi come delicata seta, e senza farle un graffio sotto…
La risposta era ovvia, ma aveva bisogno di sentirsela dire…
Lui annuì. “Dovevo combattere per il mio Re ed il mio popolo, ma non potevo ucciderti.
“Ti amavo allora, e ti amo ancora”.
Era stato detto, alla fine. Una frase che, nella vita di lei, era stata pronunciata così tante volte da essere diventato un accessorio quasi privo di valore.
Lui l’ amava. Un demone. Una creatura che non aveva nulla di umano… E che ora era più vulnerabile di qualunque bambino… Un demone che, per amore, aveva scelto di farsi umiliare davanti alla sua stessa gente, pronto a subire qualunque punizione il suo Re gli avesse inflitto…
Nuovamente si abbracciarono, di fronte a un cielo tinto dei primi colori del tramonto. “Solo un po’ di tempo,” mormorò lei, la testa poggiata al petto di lui. “Voglio stare con te. Dammi solo il tempo di non lasciarmi dietro affari in sospeso. Questo, almeno, ai miei amici, lo devo”.
Il dado era stato tratto…e quella decisione avrebbe presto aggiunto una nuova dimensione allo scontro per Altro Regno, nel bene e nel male, tanto per i Cavalieri quanto per i Vendicatori stessi…
Capitolo Quinto: MANTIS
di rossointoccabile
Non vivere su questa
terra
come un inquilino
oppure in
villeggiatura
nella natura
vivi in questo
mondo
come fosse la casa di tuo
padre
credi al grano al mare alla
terra
ma soprattutto
all’uomo.
Ama la nuvola la macchina il
libro
ma innanzitutto ama
l’uomo.
Senti la
tristezza
del ramo che si secca
del pianeta che si spegne
dell’ animale infermo
ma innanzi tutto la
tristezza dell’uomo.
Che tutti i beni
terrestri
ti diano gioia
che l’ombra e il
chiaro
ti diano gioia
che le quattro
stagioni
ti diano gioia
ma che soprattutto
l’uomo
ti dia gioia
Nazim
Hikmet
- Sono stata cresciuta per questo. Ora lo so. -
Il bocciolo cresce lentamente. I petali iniziano a differenziarsi dalle foglie che li contengono, il pistillo inizia a formarsi, poi tutto aumenta di dimensioni. È un processo molto lento. Giunto a maturazione il fiore inizia ad aprirsi. Tanto tempo, tanta pazienza per un attimo di fulgore. Una piccola creatura volante si avventa sul polline, attirato dai colori sfolgoranti, subito tutto il suo corpo viene ricoperto da una sottile polverina. Le “piume” delle ali, il ventre gonfio e le ghiandole destinate a produrre il nutrimento per i piccoli che stanno per nascere. I molti occhi sfaccettati. Striscia sul fiore e una parte della polvere cade a fecondarlo, il resto sarà destinato ad altri fiori o a perdersi. La creaturina riparte, sazia, per il momento.
Mantis ritrae la propria coscienza dal fiore che inizia ad appassire, mentre il pistillo già si ingrossa.
Si guarda intorno. Quei pochi ettari floridi sono una piccola oasi su questo mondo. Non l’unica. Potrebbero volerci anni, anche col suo aiuto. Poi abbastanza anidride carbonica si sarà trasformata in ossigeno e la temperatura scenderà. Ma per il momento il processo è invertito, se invece che anni ci vorranno secoli sarà possibile per più forme di vita adattarsi al nuovo mutamento. Tornerà, ovviamente, di tanto in tanto. Ma non è della natura il farsi prendere dalla fretta. Alza lo sguardo al cielo e proietta la sua coscienza. Un attimo dopo è su un altro mondo e il suo corpo inizia a crescere dalla vegetazione che la circonda.
Il viaggio è stato subitaneo, questo non smetterà mai di sorprenderla.
È un corpo forte, florido. Questo è un mondo in cui la vita brulica, in cui né razze tecnologiche né sconvolgimenti cosmici hanno portato la distruzione.
Il luogo giusto in cui ritemprarsi delle fatiche appena concluse, prima di proiettare la propria coscienza su un mondo meno fortunato.
Ma i paradisi sono per lo più ricchi di risorse e molte sono le culture attente al profitto e dedite alla caccia di materie prime. Mantis rinuncia all’ agognato riposo.
Fonde la sua coscienza con quella della sconfinata foresta che viene aggredita dalla colossale macchina per abbattere gli alberi.
Liane piccole ed insidiose si insinuano tra le fessure della pesante corrazzatura. Radici imponenti sfaldano il terreno e poi si ritirano. Sottili sbuffi di fumo sbucano da più parti, danni non gravissimi, la macchina inizia la riparazione. I pesanti cingoli affondano nel terreno pesantemente smosso, perdono la presa, il motore sbuffa, affaticato, non aiutato dalle piante che si precipitano a tappare gli sfiatatoi del raffreddamento. Il cingolo affonda sempre più, mentre il motore emettendo il suo ultimo rantolo, si spegne lentamente. La macchina, progettata per distruggere in ambienti ostili giace immobile, impotente.
Mantis, o meglio, la sua coscienza, sorride. Il tutto è avvenuto in breve tempo, limitando il danno al massimo e senza sfoggio di violenza.
Sorride per questa lezione, appresa più dai Vendicatori che dai Preti di Pama. Usare il minimo di violenza.
Ma dall’ orbita, i manovratori della macchina automatica non sono dello stesso avviso. Le piante reagiscono, è il momento di una dimostrazione di forza.
Mantis ritrae la sua consapevolezza dolorante, mentre dall’ orbita inizia a cadere una pesante pioggia di fuoco.
Proietta la sua mente ed è a bordo. All’ interno delle stentate culture idroponiche è debole, ma il suo potere è in grado di rafforzare anche queste piantine, sofferenti sotto questa luce artificiale, stimolate più per crescere in fretta che per crescere sane.
Il corpo è abbastanza forte da potersi muovere. Esce dalla vasca e si aggira per la serra, lasciando una scia della sostanza su cui le piante crescevano. Scia che presto si secca.
Presto trova una porta, non protetta da serrature. L’ apre e si aggira furtiva per la nave.
Deve far presto, non sa se il bombardamento prosegue, ma migliaia di vite si sono gia perse.
Trova in fretta ciò che cerca. La sala è sorvegliata, tre guardie, armate.
Il suo precedente sé era stata addestrata alle arti del corpo e della mente dai Preti di Pama, monaci guerrieri kree. Scatta, veloce. Il calcio volante stende il primo, mentre due pugni stordiscono gli altri due.
In un secondo ed è dentro.
La sala è angusta, poco illuminata e il suo corpo ne soffre. Ma è piena di tutti gli strumenti di navigazione, sicurezza ecc. Un duplicato perfetto, in piccolo, della sala comandi.
Dopo un po’ di studio crede di poterli padroneggiare quel poco che gli serve.
Isola la sala comandi e riduce al minimo il supporto vitale. Poi rinuncia ad un po’ della sua massa corporea, che insinua tra le piastre metalliche e plastiche che ricoprono gli strumenti. La massa cresce rapidamente, espandendo un sottile filamento in giro per tutta la nave, provocando di tanto in tanto qualche piccolo corto circuito. Per un attimo è tentata di aggravare i danni e rendere la nave irreparabile, ma i Vendicatori le hanno insegnato a non uccidere, così come i Preti.
Gli invasori saranno troppo impegnati a salvarsi per poter continuare il bombardamento. Spera che gli serva di lezione e non mandino altre navi.
Lascia il suo corpo e proietta la sua coscienza di nuovo sul mondo.
Le ferite nella sconfinata foresta si sentono. La nave ha compiuto un lavoro più che buono, gli ordigni hanno appiccato il fuoco in più di un punto. Le radici si agitano come serpenti impazziti mentre cercano di soffocare le fiamme coprendolo con la terra.
Alla fine il danno è ampio, ma non ci sono tracce radioattive, gli attaccanti non volevano rovinare la merce.
Un piccolo stimolo e presto le ferite si rimargineranno, nuova vegetazione a coprire le piante morte.
Mantis si assicura che la nave non sia più in orbita, poi proietta nuovamente la sua coscienza.
Un altro mondo ferito, forse in maniera irreparabile anche per lei.
Le poche piantine ancora in vita bruciano per le radiazioni, pochi mutanti sull’orlo della morte.
Muove a malapena il suo corpo pustoloso, poi lo abbandona, spandendosi per tutto il globo.
C’è vita, ma poca, sparuta.
Serve un trattamento radicale, forse tardivo e disperato.
Una macchia di stentati alberelli viene rapidamente mutata, si accartoccia e avvinghia attorno ad un nucleo centrale. Esso inizia a scacciare le radiazioni dal suo interno, fino ad avere un centro geneticamente puro. La buccia esterna, che ha accumulato anche minerali, lo protegge dalle radiazioni. Spore iniziano a svilupparsi, poi quando sono mature la pianta esplode, scagliandone una parte, consistente, nello spazio. Altre bruciano, rientrando nell’atmosfera, perché la spinta non bastava a farle fuggire. Altre ancora, le più pesanti, non si alzano molto e ricadono lontane.
Da esse germineranno altre piantine che tenteranno di salvare nello spazio il ricordo delle piante di questo mondo. Forse un giorno alcune cadranno su un mondo accogliente e potranno svilupparsi.
Lei passa subito oltre, nel tentativo di salvare questo di mondo.
Le piante iniziano a mutare, lentamente, all’inizio, poi sempre più velocemente.
Anch’esse iniziano a processare l’ intensa radioattività che permea tutto il pianeta, concentrandola, invece, verso l’interno. Sfere più grandi vengono sparate, sempre nello spazio. Questo processo farà perdere una parte della massa del pianeta, piccola, spera. Una parte, dopo orbite di millenni, tornerà a cadere sulla superficie, sotto forma di polvere bruciata nell’attrito del rientro.
Ma le piante, a contatto con le radiazioni così concentrate, muoiono in fretta. Riuscirà mai a stabilizzare il processo?
Dovrà tornare presto anche su questo mondo. Si protende un attimo e compie un altro salto.
Su questo mondo inquinato ci sono ancora gli inquinatori, per un attimo pensa a come porre rimedio alla cosa, poi salta nuovamente. Qualsiasi sua azione verrebbe vanificata intenzionalmente. Ma non è il tipo da sterminarli, sono gia bravi loro in questo. Lascerà che si salvino da soli, se ne sono capaci.
Il mondo successivo è florido, vivo, la vita animale è ricca di specie diverse, la specie intelligente vive a stretto contatto con la natura, senza per questo rinunciare a qualche agio tecnologico. Ma non portano distruzione.
Mantis sorride, un lieve tocco alle piante del mondo, quasi una raccomandazione. Salta.
Questo mondo attende la lenta morte del meriggio del suo sole, una enorme sfera rossiccia. L’ atmosfera è carica di anidride carbonica, malgrado la flora rigogliosa, che sta lentamente riempiendo tutte le nicchie ecologiche. L’ effetto serra serve a compensare la ridotta emissione del sole.
Ammira la capacità di adattamento di queste forme di vita e si chiede se è passata di li qualcuna come lei, chissà quanti millenni prima.
Si protende ed è in un altro luogo. Poche piante, per lo più in vasi, qualche parco. Nient’altro. Per un attimo crede di essere su un’astronave. Poi con raccapriccio si accorge che il mondo, l’ intero mondo, è stato edificato, ogni millimetro di terreno coperto da costruzioni, strade, piattaforme sul mare, coperte anch’esse di edifici. L’ intero pianeta tenuto in vita da complessi sistemi artificiali, ucciso e trasformato in un ambiente asettico e non autosufficiente.
Fugge terrorizzata, si ritrova su un mondo, non sa dove.
Attorno a lei foresta, fitta, per nulla antropizzata, eppure non disordinata nella crescita, come se le piante del sottobosco scegliessero di non soffocarsi l’una con l‘altra.
Sente il suo corpo, sorprendentemente vivo, costituito di vegetazione rigogliosa come non ne ha trovata in nessuno dei mondi fino a quel momento visitati.
Eppure percepisce qualcosa di diverso. C’è un di più.
- Salve figliola. - Una voce nella mente, una carezza familiare. Mantis si guarda intorno ed osserva meglio, tra gli alberi alieni uno è familiare, un Cotati.
- Dove siamo, sei solo qui? – Sente nella sua mente una risata, come un trillo di campanellini.
- Come potrei, figliola, non so muovermi, ricordi? – Dal folto spunta fuori un Cotati, della nuova generazione mobile.
Poi un altro, altri due, accompagnati da tre lucertoloni. Man mano, il gruppetto di Lucertoloni e Cotati mobili si ingrossa.
- Benvenuta, figliola, ti
presento i nostri nuovi alleati. Saremmo venuti presto a cercarti, ma per
fortuna ci hai raggiunti di tua spontanea volontà. C’è molto lavoro da fare.
–
FINE