HULK

Speciale Inferno2 - Io odio!

 
 Storia: Mr. T
 Supervisione: Tobia Brunello
 Copertina: Manuela Penna
 Disegno interno: Mike Deodato, Jr.
 Impaginazione: F. Graziano e F. Strozzi
 Editor-In-Chief: Carlo Monni

Inferno2 creato da Fabio Volino

 
 

 

MARVELIT - https://www.comicus.it/marvelit

 
 
 

Odio mio fratello.

Sin da piccolo è stata la mia palla al piede.

Gelosia tra fratelli, mi disse un giorno; ok, cos’è che ti rode, risposi io. Credetti che volesse alzare la testa, che si ribellasse, che provasse a riempirmi la faccia di botte.

Invece, niente.

Non c’era neanche rabbia nelle sue parole. Era una constatazione di fatto, aggiunse a conclusione del mio gesto di sfida. Predestinato a essere una vittima, dico io. Smidollato. Inetto.

Non si è mai saputo far valere. Né con me, né con gli altri. Mai!

Non ha mai avuto il coraggio di ribellarsi a nostro padre,

quando lo picchiava, con feroce follia, chiamandolo mostro,

quando le sue uniche attenzioni erano disgustose carezze di cupidigia viscidità.

Non ha mai osato urlare: “NO!”,  quando alle botte e alle umiliazioni verbali, gli arrivava addosso lo sputo e sentiva l’alito fetido d’alcol di una grottesco volto adulto alterato dall’abuso.

Un debole, ecco cos’è mio fratello. E io lo odio per questo.

Oh, e la colpa!

Non c’è che colpa nel suo cuore oggi, come allora, e in ogni momento della sua inutile vita.

E’ sempre stato il primo della classe; il bravo bambino, pulito, gentile, educato, ubbidiente e perfetto. Ma il suo intelletto geniale non gli è servito a un granché per aiutare un ragazzino di nove anni, se è giunto a pensare che se nostro padre si comportava così, allora doveva essere per colpa sua. Che si doveva meritare tutto quello che gli faceva.
Santo cielo, perché mai un padre dovrebbe comportarsi così, eh?!

Perché! Deve esserci sempre un perché, no? Ecco cosa serve essere un genio, a correre dietro a un perché e un altro! In cerca di risposte a domande impossibili da pensare, col finire per perdersi! O perdere la testa!

‘fanculo! Razza di stupido!

Anche nostra madre si meritava un simile trattamento?

Oh, lo so. Non ci vuole un QI di 250 per capire che ne era consapevole. E mi ricordo benissimo, quando, io, la misi al muro, a confessarmi la verità!

Se non aveva coraggio di urlare “NO!” per se stesso, almeno per nostra madre!

Perché si, c’ho dovuto pensare io.

Ero io quello che guardava fisso negli occhi nostro padre quando ci metteva le mani addosso,

era il mio volto una maschera di rabbia, quando nostra madre piangeva, a terra, battuta, il viso tumefatto.

Nostro padre col tempo, smise di toccarmi, incominciò ad avere paura di me. E lo avremmo sconfitto prima, molto prima di quella notte fredda e bagnata al cimitero, se mio fratello avesse fatto quello che gli dicevo, che gli sussurravo nell’orecchio ogni volta,

se fossimo stati uniti e forti, insieme…

E continuava a chiamarlo “Mostro”! Macché!

Debole! Colpevole!

Si nascondeva dietro la sua colpa e mi lasciava solo.

 

Odio mio fratello.

Perché non si è mai ripreso, perché non è mai cambiato. Non l’ha mai voluto o non ne ha mai avuta la forza. Non lo so, non me l’ha mai detto.

Ancora oggi si dà la colpa della morte di nostro padre. Per proteggermi, forse, o per proteggersi.

E’ questo il suo amore?

Mi fa schifo!

Amore! Passione!

Mio fratello non sa odiare, no sa dar voce ai suoi sentimenti, ai suoi pensieri! Vive all’ombra degli altri, mi chiedo come faccia ad amare, cosa ne sappia della passione.

Ho avuto molte donne, non tutte le ho amate.

Il destino ha voluto che io e mio fratello ci innamorassimo della stessa donna.

Ho sempre combattuto per ciò che volevo.

Tra me e mio fratello il risultato sarebbe stato scontato, come sempre anche in questo caso, se la scelta fosse dipesa interamente da noi due.

Ma Betty Ross aveva un debole per mio fratello.

Oh, sarei riuscito a conquistarla e a farle capire che in realtà sono il migliore. Ci sono stati momenti in cui i nostri sguardi si scambiavano comuni intenti. Non ha visto né debolezza, né freni, né timidezza, nessuna paura di perdere il controllo; lei sa che in me avrebbe trovato la passione che le manca.

Mio fratello l’ho sempre odiato, è vero, lui è tutto quello che non sono io e ciò che detesto negli uomini. Ma io capisco le persone, i loro sentimenti, la loro vera natura, molto meglio di lui, e non ho un QI oltre la media.

Per il semplice fatto che non ho paura di viverle, l’emozioni!!!

E l’amore l’avrebbe salvato, ne sono sicuro. L’avrebbe cambiato, l’avrebbe aiutato a prendere in mano la vita e motivato a combattere per qualcosa o per qualcuno.

Per Betty Ross, ad esempio. Era riuscita dove mio padre prima, la tragica perdita di nostra madre dopo e tutti gli altri durante l’intera nostra vita avevano fallito:

avvicinare me e mio fratello, come mai prima di allora.

 

Adesso Betty non c’è più, mio fratello me l’ha portata via.

Il dolore è straziante.

Ma anche nella morte, Betty ci ha riuniti.

Ero io quello che guardava fisso negli occhi nostro padre quando ci metteva le mani addosso, era il mio volto una maschera di rabbia, quando nostra madre piangeva, a terra, battuta, il viso tumefatto.

Nell’istante della sua morte, per la prima volta, mio fratello era me. Per la prima volta ho letto negli occhi di mio fratello un’emozione incommensurabile, ho visto un volto deformato in una smorfia di rabbia.

Mi ha guardato, la mia faccia riflessa nei suoi occhi e la sua nei miei, e gli ho letto nella mente:

un pensiero di rabbia nei miei confronti, un’accusa!

O una vista insostenibile, perché subito cancellata, schiacciata da una gran paura di perdere il controllo, repressa e ricacciata nel profondo.

Anche nel nostro giorno più nero, mi fratello mi ha deluso.

Non ha osato urlare: “No! Me l’hai portata via!”. Non ha saputo tenere duro il suo gesto di sfida.
Di nuovo, non è stato capace di prendersi cura di lei, né di difenderla. Ancora una volta il senso di colpa ha preso il sopravvento, l’ha fatto sprofondare nell’abisso.

Ho dovuto occuparmene io, come in passato e, come allora, sempre troppo tardi.

Ma Betty non c’è più e io non posso perdonarlo.

Io odio mio fratello.

 

Ti odio,

Banner…

 

…e ho deciso di ucciderti.

 

Di liberarmi di lui una volta per tutte! Di allontanarlo per sempre dalla mia vista e dai miei pensieri.

Distruggerò Banner e darò finalmente pace alla mia anima!

E’ giunto il momento di agire, di porre fine alla sofferenza e all’umiliazione che fino ad oggi ho dovuto sopportare. Lo farò! Adesso!

Grazie a questo libro che ho preso dalla biblioteca ricolma di antichi e impronunciabili tomi di quello strano dottore, I Segreti del Voodoo.

Sono curioso, a modo mio, come Banner. Attratto dal libro, nascosto nell’ombra tra altri, l’ho preso e ho iniziato a leggerlo.  Ciò che c’era scritto è vero, tutto vero! Io ho visto quello che è capace di fare il dottore, proprietario del libro. Non dubito di ciò che i miei sensi percepiscono. E so che egli custodisce reali oggetti magici, che la mortale mente comune non ha la più pallida idea esistere.

Subito non c’ho pensato, quando ho richiuso il libro. Ma poi ho capito.

Se il Voodoo esiste! Allora può uccidere!!!

Con il Voodoo questa sera ucciderò Banner!

Infine, l’ho finita! La Dagida!

Una bambolina, non più grande della mia mano. Le ho dato la forma di un piccolo uomo, piccolo e insignificante come te, Banner. Ho recuperato e cucito assieme dei laceri pezzi di stoffa delle sue camice, che non usa più e ha gettato via e rubandogli indumenti intimi, che crede ancora sepolti nella cesta da lavare. Ho usato alcuni dei suoi capelli, peli e pezzettini di unghie, trovati sul guanciale del suo letto e sulla spazzola con la quale si pettina. Ne ho incorporato la vita fluidica, estraendo saliva, sangue e sperma dallo spazzolino, dalla federa e dalle lenzuola usate.

Ho creato un inquietante simulacro di Banner. Questa Dagida è mio fratello!

Come è scritto la trafiggerò con uno spillone al centro del cuore, e insultandola e martoriandola la brucerò lentamente al calore di una fiamma.

Mi libererò di Banner per sempre!

Lo ucciderò nel sonno, adesso!

 

 

 

Dal diario del dottor Leonard Samson.

 

Il dottor Robert Bruce Banner è morto.

Insospettito dall'inconsueta assenza non giustificata di Bruce all'ultima seduta settimanale e dall'impossibilità di mettermi personalmente in contatto telefonico con lui, questa mattina mi sono recato all'albergo dove risiede, per sincerarmi della sua salute, già cagionevole.

Apertami la porta d'ingresso dal padrone dell'albergo, ho sorprendentemente trovato, accasciato a terra tra lenzuola strappate e assi del parquet divelte, il suo gigante corpo grigio senza vita.

Le mani strette al torace, sul volto un grido strozzato di acuta agonia, mantiene nella quiete della morte l'incredibile maschera della furia. Ma neanche la rabbia rivolta a se stesso l'ha salvato. Che vista tragica e orribile allo stesso tempo, caro Bruce, mi sei parso l'effige dell'angoscia.

Un attacco cardiaco, non ci sono dubbi. Il medico patologo dello S.H.I.E.L.D. esclude ogni altra complicazione, in virtù dell'assenza a prima di qualsivoglia lesione interna o esterna. Sono convinto che l'autopsia, tuttora in corso, confermerà la diagnosi.

Primo ad essere arrivato sul luogo, per primo ho notato un'orribile bambolina di pezza ai piedi del letto, spinta per metà sotto le coperte dall'inutile tentativo di Bruce di arrivare al telefono vicino alla porta d'entrata.

E' una bambola Voodoo, la riconosco con certezza.

Bruce, cosa volevi fare? Ucciderti con il Voodoo? O uccidere qualcun altro? Sapevi che Hulk ha sistematicamente impedito ogni tuo tentativo di suicidio.

Le circostanze della tua morte rimangono misteriose e temo che lo resteranno per sempre, solo Dio sa cosa è successo nella tua mente.

Pensavo ti fidassi di me. O forse avevi capito che probabilmente nessuno poteva aiutarti.

Povero Bruce, in tutta la mia esperienza psichiatrica, non ho mai incontrato nessuno che soffriva di una forma così grave di dissociazione multipla della personalità...
 
 

NOTE

 
 

Questo tie-in infernale è insolito, non si collega alla saga principale, ma scava nell’inferno di un’anima e di una mente di uno dei più complessi e affascinanti personaggi di Lee e Kirby.

Il mostro per eccellenza, la bestia che si cela, nascosta, nel lato oscuro e primordiale che si trova in ognuno di noi, il mister Hide, l’altra faccia della medaglia del mite dottor Jeckill.

La storia, che vede Hulk tentare di uccidere Banner (senza sapere di essere la stessa persona, come nei primissimi Hulk) e non viceversa, o come spesso abbiamo letto Bruce che tenta il suicidio, schifato da quello che ha fatto (vedi ultima storia di David o la mini di Azzarello/Corben) è il remake marvelliano di un racconto breve di Richard Matheson, Therese , medesima struttura narrativa per narrare l’omicidio/suicidio di una povera ragazza ammalata. Quando pensai ad un racconto di Inferno2 per Hulk, tra le altre idee, mi ricordai di questo perturbante racconto. Quale perfetta, hitchcokiana storia per Bruce Banner se non quella della sventurata Therese?

Mi auguro che questo adattamento MIT vi turbi e rapisca, almeno in parte quanto l’originale (che consiglio infernalmente a tutti di leggere, of corse), eh, sì, la storia è in continuity!

Come la più famosa ultima storia di Dylan Dog, considerate questo numero come quello che appare sempre a destra, o per ultima nella cronologia della serie, tuttora in corso su MIT ;)

Se vi siete mai chiesti come potrebbe morire Hulk, ebbene, almeno in MIT muore così…

prima o poi…

 
 

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