CAPITAN AMERICA

#12 - Inferno2 (2a parte):

Inferni personali

 
 Storia: C. Monni e G. Scoto "Eriugena"
 Supervisione: Tobia Brunello
 Copertina: Francesco Siena
 Colori cover: Francesco Siena
 Impaginazione: F. Graziano e F. Strozzi
 Editor-In-Chief: Carlo Monni

Inferno2 creato da Fabio Volino

 
 

 

MARVELIT - https://www.comicus.it/marvelit

 
 
 

PROLOGO

 

 

         Centro Ospedaliero dello S.H.I.EL.D. Ore 8 del mattino. Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. Nick Fury si avvicina ad un medico in piedi vicino ad un lettino.

-Come sta dottore?-

-È difficile dare una risposta, Colonnello. Fisicamente, ha solo ferite non molto gravi, da cui guarirà in breve tempo, ma psicologicamente, beh è tutto un altro discorso.-

-Lo immagino, dottore- ribatte Nick –Io c’ero quando l’abbiamo trovata.-

         Con gli occhi della mente, il Direttore dello S.H.I.E.L.D. rivede il momento in cui, a capo di una forza d’intervento, è entrato nel Quartier Generale dell’Agenzia, ormai invaso dai demoni. È stata una battaglia dura, considerato anche che parecchi dei suoi uomini sono caduti vittime di quello strano incantesimo che ha fatto venire a galla il loro lato più oscuro. Nick stesso si è sorpreso, in seguito, di essere stato capace di resistere. Forse, ha pensato, è perché lui non ha, ormai, alcun lato oscuro da reprimere? Il pensiero continua a terrorizzarlo. Liberato il palazzo dai demoni, l’hanno trovata in un angolo, rannicchiata in posizione fetale. Della sua uniforme rimanevano solo pochi brandelli di stoffa, la sua schiena era coperta di lacerazioni su cui il sangue si era ormai seccato e, quando l’avevano sollevata, erano rimasti inorriditi dalla quantità di sangue intorno alla zona pelvica. Non avevano avuto bisogno di conferme mediche, che erano, comunque, arrivate poco dopo. Era stata stuprata selvaggiamente più e più volte, con una violenza notevole. Opera dei demoni, senza dubbio. Le lacerazioni vaginali erano impressionanti, ma sarebbero guarite abbastanza rapidamente, le ferite dell’anima, però, sono ben altra cosa e non si rimargineranno facilmente. Mentre lei giace sdraiata, coperta dalle bianche lenzuola, con gli occhi puntati verso il soffitto, senza realmente vedere o sentire nulla di ciò che la circonda, l’anima di Sharon Carter continua a gridare.

 

         Ospedale Navale di Bethesda, Maryland. Ore 9 del mattino. Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. Il Capitano dei Marines Elizabeth Mary Mace misura a grandi passi il pavimento dell’anticamera. Non riesce a credere a quanto sta succedendo: suo padre ricoverato nella stanza di fronte a lei per una ferita d’arma da fuoco procuratagli proprio da sua madre, che, in questo momento è ricoverata, sotto sedativi, nel reparto psichiatrico di quello stesso ospedale. Per fortuna la ferita non è mortale, ma resta il fatto che uno dei suoi genitori è stato ferito dall’altro a cui, improvvisamente, ha dato di volta il cervello. Come se non bastasse, sua sorella Roberta è dispersa da due giorni e suo fratello gioca a fare l’eroe a Manhattan. A completare il quadro, il suo processo è andato in fumo quando gli unici due imputati erano fuggiti dall’aula del Tribunale Federale, aiutati dalla misteriosa Baronessa.[1]

         Lizzie ricordava di averli visti saltare sull’aeronave della Baronessa, (A dir la verità, la Tigre Volante, il suo cosiddetto assistito, portava con in spalla una svenuta Dallas Riordan, la presunta Incappucciata, che non sembrava proprio entusiasta della fuga ed era stata stordita dalla sua stessa aspirante liberatrice.) proprio mentre era cominciata l’invasione dei demoni. Aveva visto il veicolo sfrecciare via, poi, tutti si erano concentrati sulla propria sopravvivenza. Lizzie poteva ringraziare, tra l’altro il suo addestramento nei Marines per essersela saputa cavare, ma quello era stato solo l’inizio di due giorni da incubo e non è affatto sicura che il peggio sia finito.

 

         Brooklyn Heights, Brooklyn, New York. Ore 10:30 del mattino. Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. L’uomo di nome Steve Rogers guarda il panorama infernale fuori dalla finestra. Anche questa crisi passerà, pensa, deve passare. Il male, alla fine non potrà prevalere. La sua fede incrollabile nel trionfo finale della giustizia l’ha sempre sorretto sin dai giorni in cui indossava un costume per essere il simbolo dei valori in cui crede e, forse, ha impedito che lui stesso cadesse preda della follia imperante. Ora quei giorni sono dietro le sue spalle, un altro incarna i valori del Sogno ed è giusto così, il mondo appartiene sempre alle giovani generazioni. Eppure, non occorre indossare un costume speciale per essere un eroe, basta solo fare il proprio dovere, agire in nome di ciò che è giusto. Questo è ciò che lui ha sempre fatto e non smetterà mai.

 

 

1.

 

 

Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero: Le avventure del razzo umano”

            Salve, mi chiamo Richard Rider, sono uno studente del college e lavoro part-time al Marvel Burger, una catena poco nota di fast food. Vi chiederete cosa abbia a che fare io con Capitan America? Bella domanda!

            Beh, la storia è un po’ complessa ma cercherò di farla breve. Mmm… ma da dove comincio? Ah già, un motto giornalistico sintetizza il tutto in quattro parole: chi, deve, come, quando!

            Chi sono ve l’ho già detto, anche se mi sono scordato di fare una precisazione importante la mia vita non è solo quella studentesca, attualmente coltivo un hobby piuttosto particolare… faccio il supereroe. E’ un hobby che richiede molte energie, ma per un primo centurione di Xandar[2] non è poi così difficile, tuttavia, pur bazzicando nell’ambiente per un bel po’ di tempo, non come i veterani certo, ma comunque, per un bel po’ di tempo - non sono ancora riuscito a sfondare. Il mio nome di battaglia? Ebbene si, anch’io ho un nome di battaglia…

Nova.

Certo è un hobby direte voi, però alla fine spesso gli hobby ricalcano precisamente cosa si vorrebbe da fare nella vita, beh, almeno questo è il mio caso. Ma sto divagando e non è un bene. Dove ero rimasto?

Ah già: chi, e lo abbiamo chiarito, quindi è meglio passare al dove… Nei cieli di New York, più precisamente Manhattan. E qui me la sono cavata in maniera rapida.

Come? E qui è il grosso del problema, vediamo di riassumere: io ero appena uscito da uno scontro con una cosa che, solo dopo, scoprirò essere un demone, uno dei peggiori a dirla tutta! Ma allora ero piuttosto frastornato e confuso. Lo scontro mi aveva proprio scombussolato soprattutto perché il demone aveva giocato sporco, molto sporco, ma questa è un'altra storia.[3] Io in ogni modo sfrecciavo per i cieli di New York mentre una nuvola oscura stava coprendo l’intera città, stavo ancora cercando di capire in cosa mi ero imbattuto quando lo vedo.

Impavido e temerario, ora lo posso dire senza problemi, ma allora era difficile ammetterlo a me stesso. Certo lui non ha bisogno della mia ammirazione, non ha mai avuto bisogno dell’ammirazione di nessuno, in fin dei conti, lui era Capitan America.

Tuttavia, all’epoca io ero giovane ed invidioso, oltre che particolarmente insicuro. Lo sono tutti i ragazzi, ma anche questo era una cosa che solo il tempo e tanti sbagli mi avrebbe insegnato. Io comunque lo vidi e feci la cosa più stupida che uno stupido ragazzino poteva fare… peccare di presunzione! Ma continuo a tergiversare, colpa dell’età, suppongo. Vediamo cosa mi manca ancora… ah sì.

Quando? Le cronache lo ricordano in tanti modi differenti, i giornalisti ci sono andati a nozze col caos di quel breve, ma intenso, evento; i più ora lo ricordano con un nome semplice, quasi uno slogan, Inferno2. Un brutto momento quello, l’intero mondo in subbuglio e non per una qualche invasione di alieni, ne per qualche folle piano di conquistare il mondo. No, in quella occasione ci trovammo ad affrontare il Male con la M maiuscola. Ma anche questa storia esula dal mio racconto. L’unico vero motivo che, dopo tanti anni, mi spingere a ripercorrere quell’età d’oro è il peso che quel particolare incontro ha avuto per me: una lezione di stupidità e coraggio, di invidia e di valore. Ora basta però, questo vecchio ha veramente esagerato è ora di raccontarvi tutto, basta divagazioni o interruzioni. Questo è l’incontro di due eroi, molto diversi eppure assai simili.

 

New York. Ore 12 Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. Il tuo nome è Capitan America e la tua sanità mentale è stata messa a dura prova negli ultimi due giorni. Sotto la maschera del simbolo del Sogno Americano, non c’è il veterano guerriero temprato dal fuoco della Seconda Guerra Mondiale, ma solo un ragazzo ancora ai primi passi e che dubita sempre più di essere all’altezza di coloro che credono in lui. Quel ragazzo sei tu: Jeff Mace. Tuo nonno paterno ed il tuo prozio materno sono stati Capitan America prima di te, nei lontani anni 40 e ti hanno trasmesso una tradizione a cui tu non sei certo di saper rendere onore. Ciononostante, non ti sei tirato indietro, anzi, ti sei battuto contro i demoni che infestano la città e, probabilmente, l’intero, dannato mondo, senza cedere di un millimetro. Ora, finalmente, ti appresti a dare il tuo contributo alla battaglia finale. Hai messo da parte le preoccupazioni per tuo padre ferito; per tua madre, che, a quanto pare, non ha retto alla pressione di questi tempi cupi; per una sorella scomparsa e ti appresti a compiere sino in fondo il tuo dovere. Sei spaventato, non puoi negarlo, ma, come direbbe Steve Rogers: “La sola cosa di cui bisogna realmente avere paura è la paura stessa” e, così, fai quello che devi fare. Questo, almeno sino all’arrivo di un’imprevista interruzione.

 

Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero: Le avventure del razzo umano”

            Lo vedo sbucare da un vicolo a piedi. Ho passato tre giorni di follia per le strade di New York. Ormai la situazione mi è chiara, un qualche tipo di follia sta dilagando per le strade di New York, entrambi ci stiamo dirigendo verso l’unico posto dove è possibile organizzare una difesa per la città, il posto dove tutti gli eroi con un po’ di buon senso si possono dirigere ora come ora: il quartier generale dei Vendicatori. Convinto di ciò, agisco fulmineamente e, senza pensarci un attimo, mi butto in picchiata per afferrare Cap e dargli un passaggio espresso verso la base dei Vendicatori.

Un grave errore in una situazione simile, ma come al solito me ne riesco a capacitare solo in ritardo. Pur volando io ad alta velocità, i sensi di Cap avvertono il mio repentino arrivo e lui, mosso dall’istinto, appronta un’appropriata accoglienza. Non faccio in tempo ad afferrarlo e a sollevarlo da terra che lui ha già lanciato il suo scudo in aria. Lo scudo, quasi avesse una vita propria, compie un ampio semicerchio e mi colpisce violentemente alle costole. Teoricamente dovrei resistere a simili sconti, tuttavia la precisione del lancio e la complessità della manovra che stavo effettuando mi fanno perdere la presa su Cap. La forza dell’urto mi scaraventa contro il muro di mattoni di un palazzo, tuttavia Cap piomba nel vuoto e mentre lo vedo precipitare penso inorridito, ma anche con una punta di soddisfazione che non aveva poi calcolato così bene il suo colpo.

 

 

2.

 

 

New York. Ore 12.01 Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno.

Il tuo nome è Capitan America, sei il simbolo del sogno americano, ma ora come ora desidereresti essere un’altra persona e soprattutto in un altro posto.

Ti sei ritrovato improvvisamente a decine di metri dal suolo ed ora implacabilmente stai cadendo verso terra. Potresti darti per vinto, ma hai fatto tuo un nome importante e, nel bene e nel male, devi portargli fede…

 

Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero: Le avventure del razzo umano”

Capitan America è spacciato! Ed è colpa mia!!! Neanche viaggiando alla massima velocità che mi è consentita potrei acciuffarlo prima che si schianti a terra o che la brusca decelerazione lo uccida.

Tuttavia, contrariamente a quanto ho pensato, quest’ultimo mi sorprende. Invece di lasciarsi prendere dal panico Capitan America esegue una manovra spettacolare! Si posiziona in maniera tale da avere un profilo tale da aumentare il suo attrito con l’aria, con una manovra simile a quella che fanno i paracadutisti durante la discesa in caduta libera. Approfittando dell’altezza a cui l’ho portato compie una specie di planata, sembra quasi nuotare nell’aria. E si lancia in un vicolo formato da vari palazzi popolari. Io lo inseguo a massima velocità, ben conscio però di non essere in grado di arrivare in tempo per salvarlo, tuttavia, riesco ad assistere al suo incredibile atterraggio. Volutamente si è gettato dentro il vicolo. Una selva di fili per stendere la biancheria è stesa tra le due pareti degli edifici popolari. Ne afferra uno ed il filo si spezza sotto l’enorme forza che esercita a causa della velocità di caduta, ma immediatamente Cap ne afferra un altro che a sua volta si rompe. E così vari fili si spezzano, mentre lui perde velocità, ma è ancora troppo veloce ed il suolo è ormai a pochi metri, quasi non ho la forza di tenere gli occhi aperti e guardare. Ma Capitan America non si da per vinto! Con una torsione del busto ruota su se stesso e scalcia contro una parete con la forza di un toro. La sua caduta improvvisamente si interrompe e Cap schizza dentro una finestra che va in frantumi. Sento il rumore del corpo di Cap che rotola per la stanza all’interno dell’edificio.

Poi il silenzio.

Mi sporgo per vedere la situazione dentro. La stanza, in cui si è catapultato Cap, è un campo di battaglia. Il vecchio soldato è ancora vivo e sta già cercando di rimettersi in piedi. Lo lascio riprendersi con calma e vado a recuperare il suo scudo, qualche isolato più in là. Mi riaffaccio alla finestra poco dopo Capitan America è nuovamente in piedi, mi guarda torvo. Io, da vero idiota, gli porgo lo scudo a stelle e strisce, lui lo afferra e…

 

Un posto segreto da qualche parte negli Stati Uniti, probabilmente.  Ore 12:10 Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno.  La donna indossa una versione particolare di quello che è il tradizionale costume del Barone Zemo. Di fatto è una specie di guepiere violetta con guanti e stivali neri ed una cintura gialla in vita. La metà superiore del volto è coperta da una maschera simile a quella solitamente indossata da Zemo, ma lascia scoperte le labbra, piegate in un crudele sorriso. Si fa chiamare la Baronessa, ma se dietro quella maschera ci sia o no Heike, moglie di Helmut XIII Barone Zemo, questo è ancora un segreto ben custodito. Entra in quella che è chiaramente una cella dove, legata ad una parete, con manette di solido acciaio che le stringono i polsi e le caviglie, sta una giovane donna dai lunghi capelli rossi ed occhi azzurri, che fissano la Baronessa come se volessero fulminarla.

-Buongiorno Miss Riordan.- dice la Baronessa, con tono irridente –Spero che abbia gradito la mia ospitalità.-

-Non sono stata molto in grado di apprezzarla...- replica Dallas Riordan -… ma, se fossi libera, potrei manifestare meglio il mio apprezzamento.-

            La Baronessa fa un risolino divertito:

-Se è solo questo …- dice –… possiamo rimediare anche subito.-

            Così dicendo, aziona un comando sulla parete accanto a lei e le manette si aprono. Mentre si massaggia i polsi intorpiditi, Dallas si chiede a che gioco stia giocando la sua carceriera. Se davvero è chi sospetta che sia, quali sono i suoi scopi?

-Su, attaccami, donna, che aspetti?- incalza la Baronessa.

            Dallas non se lo fa ripetere e scatta verso l’altra donna vibrandole un colpo di karate, che l’altra riesce a parare facilmente.

-Non male, le dice, ma puoi fare di meglio, lo so, dimostramelo!-

            E comincia uno scontro fatto di agilità, di finte, di parate, di calci e pugni e colpi di taglio, che le due donne si scambiano senza esclusione di colpi. Dallas Riordan dimostra un’abilità guerriera, decisamente insolita in chi, prima di cadere in disgrazia in seguito alla rivelazione che gli osannati Thunderbolts erano, in realtà i Signori del Male ed il loro capo non era il nipote dell’Originale Citizen V, ma il Barone Zemo, figlio di uno dei più pericolosi criminali nazisti,[4] era la quieta Addetta Stampa del Sindaco di New York. La rossa ex funzionaria dimostra una capacità nel combattimento corpo a corpo, che rivela un addestramento professionale in tale campo. A quanto pare, ciò non sorprende affatto la misteriosa Baronessa, che, anzi, sembra sapere molti segreti della sua avversaria. Alla fine, che sia perché le capacità della Baronessa sono obiettivamente superiori alle sue, o perché lei è stanca e provata dalla prigionia, ma è Dallas Riordan a perdere ed a ritrovarsi a terra, con le ginocchia della sua avversaria contro il petto e la sua mano destra sulla gola.

-Come vedi, stupida cagna, ti sono superiore, come, del resto, era indubbio.- le dice, con tono sprezzante la Baronessa

-Se vuoi uccidermi, fallo, dunque…- ribatte Dallas -…ma risparmiami i tuoi sproloqui da cattiva da pulp!-

-Ancora arrogante? Molto bene, sarà un piacere ancora maggiore spezzarti. Ucciderti, dicevi? Oh no, se avessi voluto farlo, l’avrei fatto in occasione del nostro primo incontro. No, Dallas Riordan, tu vivrai per vedere il tuo nome sprofondare nel fango e solo allora, potrò decidere di ucciderti, ma tutto a suo tempo, tutto a suo tempo. La pazienza è una virtù che porta sempre buoni frutti.-

            Mentre le guardie della Baronessa la rimettono in piedi, per riammanettarla alla parete, Dallas pensa alle parole della sua avversaria. Dunque, aveva ragione sull’identità della Baronessa e crede anche di capire, sia pure solo in parte, le sue motivazioni, il perché l’ha così platealmente liberata dalla prigione. Accada quel che accada, il suo problema è uscire da lì, possibilmente viva ed in buona salute Non può sperare di ricevere aiuto, o si? Forse suo… il suo avvocato, John Watkins potrà aiutarlo. Per quanto disprezzi quell’uomo per ciò che a fatto a lei ed alla sua famiglia, lui ed il suo gruppo sono l’unica sua possibilità, ora, sempre che siano in grado di rintracciarla, il che, a pensarci bene, non è affatto certo.

 

            Harlem, New York. Ore 12:20 Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. Negli ultimi due giorni, Sam Wilson, alias Falcon ha dimostrato un’attitudine sempre più violenta ed egoista. Ha oscillato tra il pensare solo a se stesso, infischiandosene di quanto avveniva nella città e lo sfogare tutta la rabbia repressa in anni di frustranti lotte a criminali, che riuscivano sempre a passare tra le maglie di una giustizia inefficiente e di altrettanto frustranti scontri quotidiani con le inefficienze del sistema di sicurezza sociale. Poveri i criminali ed i demoni che gli hanno attraversato la strada, perché lui non ha avuto pietà.. Falcon sa bene cosa sta succedendogli: sta ritornando la personalità di “Snap”, il piccolo delinquente che divenne quando, dopo la morte violenta della madre, decise di voltare le spalle ai valori che i suoi genitori gli avevano insegnato, lasciò anche l’Università e saltò dall’altra parte della barricata.[5] Fu solo qualche anno dopo che, grazie al bizzarro concorso delle macchinazioni del Teschio Rosso e l’incontro con l’originale Capitan America,[6] il vero Sam Wilson tornò a galla e si rifece una vita come supereroe e come assistente sociale. Si, Falcon sa che “Snap” è tornato, ma non potrebbe importargliene di meno. Eccolo di fronte al portone di un Night Club di Harlem, un posto come tanti, sembra, ma lui sa che, in realtà, è il quartier generale dell’uomo che tiene in mano il racket dello spaccio di droga, del gioco d’azzardo e della prostituzione nel quartiere nero: Paul Hadley Morgan Jr. Falcon non ha mandati od altre garanzie legali, mentre abbatte a calci la porta, ma se ne infischia e si sbarazza dei due scagnozzi mandati a fermarlo, per poi dirigersi verso l’ufficio privato dell’uomo che cerca. Morgan Jr. è fisicamente diverso dal padre, che era basso e grasso, lui, invece, è un uomo alto e snello, con una vaga rassomiglianza con l’attore afroamericano Eriq LaSalle

-Falcon!- esclama –Che cosa vuoi?-

-Una cosa molto semplice.- risponde l’altro –Farti a pezzi, come ti meriti.-

-Dovresti fare come gli altri eroi e combattere quei demoni che infestano la città e tutto il dannato mondo.- ribatte Morgan Jr. –Io non conto molto ora, anche i miei affari stanno andando a rotoli.-

            Falcon lo afferra per il bavero e replica con tono rabbioso:

-Che gli altri facciano pure gli eroi, non m’interessa; io penso ai miei affari e quando ti avrò fatto mordere la polvere, tutti gli altri vermi sapranno che non si scherza con me.-

            Così dicendo, lo trascina fuori dal locale e, quindi, spicca il volo portandoselo dietro.

 

            New York. Ore 12:30 Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno.

Il tuo nome è Capitan America, dovresti essere l’incarnazione degli ideali americani, un esempio per una nazione che, per molti versi è alla deriva tuttavia…

Tuttavia sei riuscito miracolosamente a salvarti da un salto nel vuoto e, poco dopo esserti ripreso, ti ritrovi davanti l’idiota causa di tutto. L’idiota è così Idiota, che, con aria ebete, ti porge il tuo fidato scudo, che si deve essere premurato di recuperare.

Non sai chi è quel tipo o perché ti abbia attaccato poco fa, ma sai bene cosa devi fare in questi casi: non appena quello ti passa lo scudo, gli sferri un potente diretto, che lo sbilancia, mandandolo a finire sul pavimento.

A volte ti stupisci di come gesti così semplici siano così liberatori!

-Ehi, ma che diavolo…- esclama quello e tu non gli dai tregua. Da quanto hai visto, è in grado di volare come se fosse una specie di razzo umano e, di certo, ha qualche genere di superforza. Se è così, devi, a tutti costi, approfittare del vantaggio di operare in un ambiente chiuso, dove lui non ha grandi spazi di manovra, così, usi il tuo scudo facendolo rimbalzare per tutta la stanza e colpendolo ripetutamente, impedendogli di reagire efficacemente.

-Un momento Cap.- cerca di dire il tuo avversario –Non so cosa ti sei messo in testa, ma io sono Nova e,… -

            Nova? Adesso ricordi dove l’avevi già visto prima. È un supereroe anche lui, uno di quelli meno noti, un membro fondatore dei New Warriors. Forse hai fatto la figura dello stupido stavolta.

            Nova sottoscriverebbe quel pensi, a parte il passaggio sull’essere un supereroe poco noto, ma, in questo momento ciò che conta per lui sono solo la sua rabbia e la sua frustrazione, l’amarezza, il senso d’inadeguatezza che l’hanno sempre accompagnato anche dopo aver ricevuto i suoi straordinari poteri e, così, decide di sfogare la sua rabbia sull’oggetto più vicino: tu.

-Adesso basta!- grida –Sono stufo di cercare di fare del bene e prenderle in continuazione, adesso ti darò una lezione che non dimenticherai facilmente!-

            Si getta verso di a tutta carica e tu riesci solo ad alzare lo scudo a tua protezione. Smorzi l’impatto nei tuoi confronti, ma l’energia cinetica vi spinge entrambi oltre la finestra, nel vuoto sottostante.

-Oh no!- esclama Nova –Non ancora!-

            Magnifico, pensi tu, dov’è uno come Falcon quando servirebbe?

 

 

3.

 

 

            Harlem, New York. Ore 12:35 Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. Falcon ha trascinato Morgan Jr. in strada ed ha preso a picchiarlo in maniera selvaggia

-Tu e quelli come te credete di tenere in pugno la città, vero?- esclama rabbioso –Beh, ora ti mostrerò che comanda veramente qui. Io sono migliore di voi, mi senti, sono il più in gamba di tutti e tu sei solo feccia per me, mi hai capito? Mi senti rifiuto umano?-

-Non può sentirti Sam, è svenuto ormai, lo sta ammazzando di botte.-

            A parlare è stata una donna e Sam Wilson la riconosce subito: è sua sorella Sarah, con suo figlio Jody Casper e, accanto a loro, con sul viso e gli abiti i segni di scontri fisici, ma su cui spicca un colletto da prete, il Reverendo Garcia, colui che ha sostituito da anni il padre di Falcon alla guida spirituale della comunità.

-Non t’impicciare Sarah.- ribatte, con voce dura, Falcon –Questo verme si merita di peggio ed io glielo sto dando. Quanto a te, prete, non pensare di potermi fare uno dei tuoi noiosi sermoni sul bene ed il male. Conosco già la differenza.-

-Davvero Sam?- interviene Sarah -È per questo che da due giorni ci hai abbandonato? Che torni a casa solo per riposarti? Per questo batti le strade picchiando chiunque non ti piaccia? Cosa pensi che direbbe nostro padre?-

-NON…NOMINARLO MAI PIÙ!- urla Falcon –Lui è morto porgendo l’altra guancia, beh, io non sarò così stupido.-

-Ma sentiti.- incalza la sorella –A quanto pare, è davvero impossibile ragionare con te, “Snap”.-

            Al suono del suo vecchio nomignolo, Falcon si ammutolisce. È davvero questo che è? Ma certo che è così, sta di nuovo percorrendo i vecchi sentieri e quanto tempo passerà prima che pensi che picchiare i criminali non è abbastanza soddisfacente, quando passerà all’omicidio? Quanto ci vorrà prima che comprenda che è più redditizio usare i suoi poteri per fare soldi, piuttosto che per raddrizzare torti? Maledizione! Lui non è “Snap”, non lo è mai stato, “Snap” era solo una maschera che aveva indossato per sfuggire a se stesso, per non pensare ai sogni che aveva infranto. Se percorrerà ancora quel sentiero insudicerà la memoria di suo padre e deluderà i suoi familiari e Steve, il primo ad avere ancora fiducia in lui.

 Vuole davvero farlo? No che non vuole e lo sa.-

            Si sfila la maschera e guarda negli occhi i tre davanti a se.

-Io non sono “Snap”- proclama –Sono Sam Wilson, l’avevo dimenticato, ma non lo scorderò ancora.-

-Oh Sam, grazie al cielo.- esclama Sarah e lo abbraccia –Non sai che incubo sono stati questi due giorni, anch’io mi sono sentita come se la sanità mentale mi stesse sfuggendo.-

-Ma hai resistito meglio di me, noi Wilson siamo dei veri duri.- risponde Sam abbozzando un sorriso,

-Mi secca interromperti, ragazzo.- interviene il reverendo Garcia -…ma l’emergenza non è ancora finita e sembra che molti eroi in costume si stiano radunando per affrontarla.-

-Ho capito.- replica Falcon infilandosi, di nuovo, la maschera –Vado a fare il mio dovere allora.- Si volge verso i familiari. Non occorrono parole per capirsi. L’eroe dispiega le ali e spicca il volo.

            Sulla strada sta, ancora svenuto, un uomo che non dimenticherà tanto presto questo giorno e le conseguenze si vedranno presto.

 

Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero: Le avventure del razzo umano

            Penso che uno dei miei peggiori difetti sia quello di essere troppo impulsivo.

            Intontito ed incalzato dai colpi di Cap, riesco unicamente a fare una cosa: contrattaccare a testa bassa.

E qui, concedetemi una piccola parentesi. I tempi sono cambiati e, forse, i lettori più giovani non ne saranno a conoscenza, ma, nel cosiddetto mondo dei supereroi, scene simili sono tristemente all’ordine del giorno. Soprattutto in situazioni di caos generale. Gli eroi si incontrano ed invece di collaborare, come, in fondo, ci si dovrebbe aspettare si  mettono a darsele di santa ragione.

            In gergo tecnico vengono definite: scazzottate tra eroi.

La situazione totalmente irrazionale per un osservatore esterno, ma quasi scontata per tutti gli “operatori del settore”, ha destato tanto stupore che è stata oggetto di studi scientifici. In fondo, non c’è da stupirsene: i fenomeni strani ed improbabili attraggono gli scienziati come il miele con le api. So di sfociare quasi nell’aneddotico, ma ricordo ancora con quale stupore ricevetti la notizia che uno scienziato si era adoperato per studiare il raccapricciante fenomeno dei pilucchi che si formano all’interno dell’ombelico! Ad onore di questo esimio studioso bisogna dire che la sua ricerca ha dato i suoi frutti, infatti riuscì a dimostrare come la struttura dei peli intorno all’ombelico umano sembra convogliare tutti i piccoli rimasugli di pelle e le fibre dei vestiti proprio verso l’ombelico, creando proprio lì un agglomerato sempre più grosso.

            Tornando a noi, dopo anni di studi un’equipe di studiosi, di non so quale università ha stabilito più o meno quanto segue. Abitualmente il “supereroe” è un solitario e non è predisposto mentalmente alla collaborazione. Ogni intromissione nel proprio spazio personale viene considerato dal subconscio come una minaccia; il supereroe, infatti, è sempre sul chi vive, pronto ad affrontare un avversario. In tale situazione, l’ingresso di un soggetto non ostile, ma potenzialmente tale, fa scattare il meccanismo di autodifesa.. ed ecco la rissa!

            Io, personalmente, mi sono fatto una mia teoria ritengo che, in un mondo di eroi prevalentemente maschile la “scazzottata” sia il nostro primitivo mezzo di stringere un saldo rapporto di fiducia reciproca. Abitudine rozza, certamente, ma, per quanto mi riguarda, è stata fonte di ottime amicizie che sono perdurate nel tempo.

            Ma lasciamo stare la dietrologia! L’unico fatto che conta, in fin dei conti, è che la scazzottata era iniziata ed ormai nulla poteva interromperla fino a che non si fosse arrivati al giusto epilogo.

 

 

4.

 

 

New York. Ore 12:45 Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. Un'altra caduta ed un altro salvataggio in extremis, sta diventando un’abitudine, sembra . Ti afferri all’asta di una bandiera, fai una capriola e, mentre ti prepari per affrontare nuovamente il tuo avversario, senti un grido.

            Senza neanche pensarci, ti metti a correre nella direzione da dove è pervenuto lo strillo. La scena oramai ti è familiare: varie persone possedute, “demonizzate”, stanno inseguendo una famiglia di orientali. Lanci lo scudo davanti a te, tagliando la strada al gruppo degli inseguitori e, così facendo, riesci ad ottenere la loro completa attenzione. Questo permette alla famiglia di guadagnare terreno ma tu ti ritrovi circondato da una dozzina di “demoni”. Ti attaccano all’unisono, tu ti divincoli, ne atterri due, schivi l’attacco di altri tre e, nel mentre, riesci ad afferrare lo scudo che, come un boomerang, è tornato a te. Lo scontro è impari, ma la tua tecnica ed i tuoi lunghi allenamenti ti permettono di affrontarli comodamente. Tuttavia non sei ancora in grado di trovarti in due posti contemporaneamente. Infatti, mentre stendi, con un colpo dello scudo, un nuovo attaccante, con la coda dell’occhio vedi in lontananza la famiglia nuovamente circondata. Meni fendenti rabbiosi, e atterri più avversari, ma non riesci a liberarti dal loro accerchiamento. Ciò nonostante, ti sforzi di fare il miracolo, ma dentro di te sai che non hai il dono dell’ubiquità. Tutto sembra perso quando…

 

Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero: Le avventure del razzo umano

            Sento il grido un attimo prima di buttarmi nella mischia tra Capitan America e gli indemoniati e capisco subito perché Cap sta lottando come un forsennato. La famiglia di orientali è pericolosamente minacciata da un nuovo gruppo degli indemoniati.

Ma quanti ce ne sono a New York?

Anch’io tuttavia sono troppo lontano da loro per evitare il peggio. Poi l’illuminazione… a situazione estreme, estremi rimedi! In una frazione di secondo accelero ad una velocità supersonica. Il bang supersonico provoca un’onda d’urto tremenda. I vetri di tutte le finestre dell’isolato esplodono all’unisono. Ma è un altro effetto collaterale che mi permette di salvare la situazione. L’onda d’urto provoca un tale contraccolpo nell’aria, che lo shock ai timpani provoca lo svenimento di tutti i presenti.

La famiglia orientale forse non mi ringrazierà al suo risveglio,ma sono riuscito ad evitare il loro linciaggio. Per sicurezza, comunque, la trasporto su di un tetto vicino. Da lì vedo con stupore che, per la strada, il Capitano, ancora in piedi a fatica, sta legando gli indemoniati con mezzi di fortuna.

Ed è proprio lì, su di un anonimo tetto di Manhattan, mentre guardo ammirato Capitan America continuare nella sua opera, capisco il vero significato della parola eroe,

Il Capitano non è come molti di noi, dotati di poteri eccezionali. Lui non può volare, non può sparare raggi dagli occhi o sollevare un palazzo come fosse una piuma. Tuttavia non si tira indietro, fa il suo dovere seguendo il suo codice morale. Lui non gioca a fare l’eroe, è un eroe… diversamente da me.

Ormai da troppo tempo il mio scopo primario non era quello di fare del bene per il prossimo, ma semplicemente essere un eroe. Ho cercato in tutte le maniere la stima ed il rispetto degli altri, ma la cosa in se non aveva valore. Volevo essere un Vendicatore e solo ora, guardando un uomo vestito come una bandiera, un uomo che aveva già tutto quello che io volevo avere, mi sono reso conto che a lui non interessava affatto. Non gli era mai importato e non gli sarebbe mai importato.

A volte si imparano le importanti lezioni semplicemente guardando gli altri, a volte facendo con loro a cazzotti!

 

 

New York. Ore 12:40 Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. Ogni passo è una sofferenza, ogni tuo gesto minaccia di farti perdere l’equilibrio precario. Eppure, inaspettatamente, la famiglia orientale è salva e nessuno si è fatto male seriamente.

La tattica di Nova è stata estrema, ti fischieranno le orecchie per un bel po’, ma degli innocenti sono stati salvati e questo, in fin dei conti, è l’unica cosa importante.

Stretto l’ultimo nodo, utilizzi una scala antincendio per salire sul tetto, dove, come avevi già visto, Nova ti sta aspettando. Alzi la mano in segno di pace.

-Che ne dici di una tregua?- chiedi

-Ok! Fa lui, gli scontri tra supereroi sono così demodé.-

            Sorridi e rispondi:

-Scusami se non ti ho riconosciuto subito, ma sono ancora nuovo dell’ambiente.-

-Oh beh…- replica Nova -…nemmeno io sono stato molto sveglio. Avevo completamente dimenticato che tu sei un rimpiaz… cioè… voglio dire… scusami, a volte dico delle sciocchezze, beh mio padre direbbe che le dico spesso.-

-Non importa, davvero. Anche io mi sento un rimpiazzo non all’altezza dell’originale.  E… non sei l’unico con un padre esigente, fidati.-

            Nova ride, sfogando finalmente la tensione fin ora accumulata. Si massaggia il mento e replica:.-

-Beh, se può consolarti, hai un destro mica male e con quello scudo sei un drago. Ho conosciuto l’altro Cap e, credimi, tu sei un degno sostituto.-

-Grazie.- dici ringalluzzito, poi ti viene in mente una cosa. –Adesso che ci siamo chiariti, cosa facciamo?-

-Beh, quando ti ho visto, prima, avevo pensato che ti stessi dirigendo al QG dei Vendicatori per il raduno degli eroi.- risponde Nova

            Raduno degli eroi? In effetti ci avevi pensato, ma sarebbe giusto presentarsi dai Vendicatori? Non sei certo sicuro di essere alla loro altezza, anche se indossi il costume di Capitan America e come ti accoglieranno? Vorresti sentirti davvero sicuro, ma in cuor tuo sai che non hai scelta. Hai optato per la via del dovere e devi percorrerla sino in fondo.

-Ehi gente, piacere di vedervi. -

            È Falcon, che plana sul tetto ad aver parlato. I saluti e le spiegazioni prendono pochi minuti e poi è l’eroe di Harlem a prendere in mano le redini della situazione.

-Mi sembra chiaro che il centro della crisi sia a Greenwich Village e non possiamo starcene qui a non far niente, è arrivato il momento di fare la nostra parte.-

            Tu vorresti dire qualcosa, ma, improvvisamente i tuoi lineamenti assumono un espressione a metà tra lo stupito e l’intimorito, mentre una voce alle spalle dei tuoi compagni esclama con voce vagamente metallica, filtrata da un microfono:

-Falcon! Nova!- 

È Iron Man e tu senti che la tua carriera di leggenda vivente è arrivata ad una svolta.-[7]

 

 

6.

 

 

Ospedale Navale di Bethesda, Maryland. Ore 13:05 del mattino. Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. Jeffrey William Mace Sr., detto familiarmente Will, ha avuto giorni migliori. Non capita molto spesso di rientrare a casa e di vedersi sparare dalla propria moglie completamente fuori di testa. Per sua fortuna, Dorothy non è mai stata brava con le armi e non l’ha ferito gravemente, dandogli il tempo di disarmarla e stordirla, chiamando aiuto prima di svenire. Il suo alto grado di funzionario del Dipartimento di Stato e di ex ufficiale dei Marines gli ha consentito di avere una stanza privata sia per lui, che per la moglie con molta discrezione, Non male, considerata la pazzia che regna sovrana ultimamente. Quando questa follia finirà, e deve finire, spera che sua moglie torni alla normalità. Purtroppo non è la sua unica preoccupazione. Dalle poche notizie che arrivano, il mondo è nel caos e gli eroi fanno la loro parte, tra quegli eroi, c’è anche suo figlio, Capitan America, e lui non può non sentirsi preoccupato per lui, per non parlare del resto della famiglia, come sua figlia Lizzie, ora di fronte a lei

-Sono contenta di vederti meglio, papà.- sta dicendo lei

-Noi Mace siamo di pelle dura, lo sai.- replica lui, cercando di sembrare indifferente

-Lo so, lo so.-

-Notizie da…fuori?-

-Se parli di Jeff, beh lui fa quello per cui l’avete addestrato l’eroe ed il simbolo vivente.-

-La scelta è stata sua Lizzie, tu sai…-

-Lo so.- replica lei con voce indurita –Un Capitan America donna è impensabile, l’hai sempre detto. E perché poi? Io sono più in gamba e più motivata di lui. La verità è che tu sei fissato con questa storia del figlio maschio e...-

-Lizzie, ti prego…-

            La ragazza si ferma, Che sto dicendo? Pensa, mio padre sta male ed io sfogo i mie meschini rancori, che razza di donna sono?

-Io…non so che mi ha preso, scusa. È quest’atmosfera, quest’oscurità incombente, sembra tirar fuori il peggio di noi.-

-Non devi scusarti. Sai? Forse hai ragione ed io sono solo un ostinato retrogrado.-

            Lizzie sorride e gli prende la mano

-Forse, ma sei il mio ostinato retrogrado e ti voglio bene.-

            Rimangono silenziosi, per un po’, poi lei dice:

-Vado a sentire come sta la mamma.

            Esce nel corridoio e, contravvenendo ai regolamenti, accende il cellulare e compone un numero che conosce a memoria. Non ha parlato a suo padre della scomparsa della sua sorella minore, ma deve confessare a se stessa di essere veramente preoccupata. Dall’apparecchio vengono solo squilli e nessuna risposta. Lizzie lo sente: a Roberta è successo qualcosa, ma cosa? E dov’è adesso?

 

New York. Ore 13:10 Ora della Costa Orientale.  Terzo giorno dell’Inferno. Sono stati due giorni duri per tutti, ma John Watkins li ha passati pensando ad una giovane donna dai capelli rossi. A qualunque costo, troverò Dallas Riordan e la salverà. Glielo deve. Per anni ha ignorato i suoi doveri nei confronti di quella ragazza, ma, quando l’attuale crisi sarà finita, niente gli impedirà si rimediare ai suoi errori e sa anche a chi chiedere aiuto, per questo.

 

 

EPILOGO

 

 

Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero: Le avventure del razzo umano

            E questo è tutto. Penso di aver imparato molte cose da quell’incontro scontro, ma la storia continua ed a volte in modi imprevedibili… però, per ripetere le immortali parole di non ricordo bene chi: “Questa è un’altra storia.”[8]

 

Estratto col permesso dell’autore e dell’editore da “Memorie di un eroe – ovvero- Le avventure del razzo umano” di Marv Wolfman. Il presente volume è basato sulle registrazioni effettuate da Richard Rider durante la sua esperienza di “super eroe”.

Finito di stampare nel mese di gennaio 2022

presso MARVEL Associated Press

Printed in Canada

 

 

 

FINE SECONDA PARTE

  

NOTE

 
 

Beh ragazzi, per parte mia, posso assicurare che mi sono divertito a collaborare con lo scatenato Eriugena in questo folle episodio e spero vi sia piaciuto. Speriamo di avervi descritto al meglio il carattere dei nostri personaggi. Ora, prima di lasciare la parola al mio valente coscrittore, una comunicazione di servizio.

             

 

Carlo

 

 

“Io, da parte mia, ringrazio Carlo per l’ospitata e vi rimando, se avete gradito la storia, ai prossimi episodi della serie regolare di Nova che, spero, partirà a fine Febbraio. Nel mentre, prima di salutare, vi ricordo che Rich Rider apparirà anche in uno story arc dei Vendicatori di Fabio Volino.”

 

 

Eriugena


[i] Non credeteci sulla parola, controllate nell’ultimo episodio.
[ii] Richard Rider ha ricevuto i suoi poteri dal Centurione Primo del pianeta Xandar ottenendone a sua volta il rango.
[iii] Come vi è stato narrato in Nova n.0, legato sempre al crossover Inferno2
[iv] Come drammaticamente rivelato in Thunderbolts #10 (Albi dei Supereroi, MITA, #1)
[v] Come, magistralmente narrato in Capitan America, Vol 1° #276/278 (Capitan America & I Vendicatori #19/21)
[vi] Nel lontano Capitan America, Vol 1°, #117 (Capitan America, Corno, #33)
[vii] Per il resoconto di quest’incontro , vi rimando a Vendicatori, MIT, #21
[viii] E voi la leggerete su INFERNO² #3
 
 

ANTEPRIMA

 
 

Nel prossimo episodio: mentre Jeff Mace parte per un servizio giornalistico all’estero i guai non cessano di perseguitarlo. In più: vedremo la reazione di Sharon al suo trauma e nuovi particolari sui misteri di Dallas Riordan, la Baronessa e la scomparsa di Roberta Mace, Alla prossima.