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07

 

cardare, forse

seconda parte

 

di rossointoccabile

 

 

Non so per quanto tempo continuo a gridare.

Quando riprendo il controllo non dovrebbero essere passati più di 10 minuti di tempo soggettivo.

Ma non so quanto sia significativo. Non credo che in questo regno il concetto di spazio-tempo così come lo concepiamo noi abbia un qualche significato.

Credo che questo diario sia l'unica cosa che mi permette di mantenere la sanità mentale.

Registro su di esso direttamente i miei pensieri. Pensare “ad alta voce” mi aiuta a focalizzare le idee.

Non che il suono si propaghi in maniera riconoscibile, in questo mezzo. Esso, però, mi permette di respirare. Questo può essere un dato interessante.

Insomma. Facciamo il punto.

Sono precipitato in una sacca dell'abbondanza che non è tale. In realtà, a quanto dice il mio maestro è un portale aperto.

Un portale verso dove? Il fatto che chiudere gli occhi non mi consente di tagliare fuori questo caos vorticante che mi circonda è un altro segno.

Un segno di cosa? Che sto sragionando?

Mi servirebbe qualcosa di più. Cosa diceva Agnolo? “La forma vera del reale” “un piccolo tratto di infinito” “virtualmente infinita”.

La prima cosa che mi viene in mente, con gli strumenti interpretativi di cui dispongo, che sono per lo più scientifici, è una sorta di iper-spazio n-dimensionale.

Ora, se questo fosse vero, ogni singolo movimento può essere devastante ed allontanarmi chissà quanto dal portale aperto. Portale che non sono in grado di vedere, i miei sensi sono tarati sulla quadri-dimensionalità.

Però per utilizzare le macchine del tempo impariamo una disciplina che ci permette di concettualizzare un'altra dimensione temporale, poiché le nostre macchine non si limitano a risalire il flusso ma saltano al di fuori di esso, in una sorta di iper-tempo.

Questo è un “luogo” solo quantitativamente diverso (anche se a questo livello della realtà spesso la quantità è un elemento qualitativo).

Beh, non ho nulla da perdere. Se il vincolo fosse ancora valido il maestro mi avrebbe recuperato già da tempo. Restare qui non può che farmi del male. Vediamo se un po' di giusta meditazione riesce a sintonizzarmi con un'uscita, possibilmente con quella da cui provengo che, con un po' di fortuna dovrebbe comunque essere ancora la più vicina.

Mi concentro. In mezzo a questo caos multicolore è piuttosto difficile. C'è sempre qualcosa che mi distrae. Ai margini del campo visivo mi sembra di intravedere, di tanto in tanto, delle forme. È probabile che si tratti della fugace percezione di una sezione quadri-dimensionale di questo “luogo”. Questo vorrebbe dire che sto ruotando, come un corpo perso nello spazio. O, per lo meno, che mi sto muovendo.

Che cosa straordinaria sarebbe fare questo viaggio con gli strumenti di rilevazione adeguati.

Comunque, malgrado le difficoltà, mi sembra di individuare delle perturbazioni in questo unicum caotico.

Una è sotto di me, relativamente stabile. Forse non sto ruotando, questo è già consolante. Si allontana, impercettibilmente. L'altra alla mia destra. Più vicina.

Se non sto ruotando, se non mi sono mosso in maniera irrazionale durante il panico di prima, ragione vorrebbe che quella sotto di me fosse la porta da cui provengo.

L'altra, però, mi attrae in maniera inspiegabile.

Beh, non credo di avere il tempo e il modo di risolvere questa questione.

Non so neppure se sono in grado di muovermi coscientemente. Faccio una prova. Cerco di “cadere” verso la perturbazione che si trova sotto i miei piedi. Muoversi in una dimensione soltanto sarà, spero, più semplice.

Senza alcun punto di appoggio riconoscibile la mia azione rimane del tutto inefficace.

Resto in attesa per quelli che ritengo essere una decina di minuti.

Mi sto ancora allontanando con la stessa velocità.

Certo. Non so mica volare e questo vale in ogni tipo di spazio materiale.

Bene. Altro dato. Questo è uno spazio materiale. Presumibilmente. Per lo meno, questa regola dello spazio materiale gli si applica.

Apparentemente non modifica leggi fisiche esistenti nel mio mondo.

Probabilmente ne aggiunge.

Proviamo con la magia. Visto che non sembro avere vincoli gravitazionali, anche il debole incantesimo di levitazione che sono in grado di produrre dovrebbe essere sufficiente.

Se fossi un vero mago la levitazione dovrebbe essere il frutto di una disciplina mentale. Mi accontenterò.

La diffusione del suono, in questo “spazio” è qualcosa di inquietante. Spero non influisca in maniera eccessiva sull'incantesimo.

Sento la mia mente trovare un appoggio. È un'esperienza esaltante levitare in questo spazio.

Muoversi in una sola direzione è più facile che star fermi.

Soprattutto è un'esperienza quasi fisica. Precipito con facilità fino alla “finestra”che percepisco qui “sotto”.

Spero che, per una volta, la fortuna mi assista.

 

Dovrei mordermi la lingua, prima di esprimere un qualsiasi scongiuro.

Mi trovo su un mondo essenziale.

Affilati spuntoni di roccia, quasi giganteschi cristalli. Neri, oppure molto scuri. È difficile giudicare con questa luce.

Il cielo è un brulicare di nembi, dietro i quali si intravede una luce di un profondo viola.

No, ora spunta un tramonto, mi correggo un'alba, tra le nubi. Un sole tra il rubino e il porpora che sorge brillante.

Improvvisamente sento come uno sguardo che penetra fin dentro l'anima.

Mi volto e vedo che incombono su di me i volti dei signori di questo luogo.

Uno ha una testa da artropode. Più o meno come quella di una formica con occhi da ragno.

La bocca zannuta non ricorda nulla che io abbia già visto.

Al centro una donna. Foglie invece che peluria e occhi dalla luce intensissima, ma non abbagliante.

All'altro lato un'imponente testa felina.

Oshtur, la dea primigenia, suo figlio Agamotto e l'enigmatico Hoggoth.

I Vishanti, un pantheon di tre entità mistiche tra le più potenti. Persino io sono in grado di riconoscerli.

- Come ha potuto un novizio par tuo penetrare il nostro mondo? - la voce dell'insetto è molto insettosa eppure la sento nella mente più che col corpo.

- C'è in lui più di quanto appare, magie potenti e oggetti di potere ancor più rilevanti. - La tigre (o quel che è) sembra saper molto. Più di quanto io stesso sappia.

- Dovremmo bandirlo, ma non è qui per restare. È qui per imparare. A questo serve il suo viaggio. - La signora della verità mi fa ben sperare. Io, per me, sono ancor convinto di essermi perduto. Ancor più perduto di quanto non fossi prima di questa esperienza.

Eppure trovarmi davanti ad esseri di tale potenza può essere la mia occasione per liberarmi di questa maledizione.

Avrò l'ardire di chiederlo? Impegnarmi con entità di questo tipo senza conoscerli veramente?

I Vishanti sono considerati quasi unanimemente entità benevole. Ma sono in grado di comprendere il piano di simili esseri?

Vincolarmi a loro?

Fino a questo punto della mia istruzione magica non ho accumulato altri vincoli che quelli impliciti in alcuni incantesimi non particolarmente complessi.

- Non toglieremo questo vincolo da te, mortale. Sappiamo che la tua riconoscenza, per questa opportunità, sarà totale. -

Non capisco, ma non ho altro da fare qui, se non andarmene.

Provo a muovermi nella direzione da cui sono venuto, ma non vi è più alcuna traccia del portale.

Poi rifletto, un portale esiste.

Prendo la sacca e scruto al suo interno. La vertigine è quasi intollerabile.

Fuggo da loro ancor più confuso. Mi hanno lasciato nella merda sostenendo che gli sarò grato di questo.

Tremendo.

Grato di essere perso in un nulla multiforme, in questo vortice di omniverso, costretto a cercare a caso la possibile uscita.

Ma c'è un'uscita, così come sono uscito dalla dimensione del Vishanti. Almeno, provare non costa nulla.

Certamente è più costruttivo che vagare in un iperspazio parlando con un registratore.

Apro di nuovo la sacca e guardo al suo interno, mi lascio andare sperando di non ritrovarmi in una sorta di iperspazio più ampio.

Finisco nella casa del mio maestro. La mia caviglia è ancora assicurata dalla cordicella e lui non da segni di aver notato la mia assenza.

- Sei mancato per circa 15 minuti. Ti avrei tirato fuori a venti, ma dovevo darti la possibilità di cavartela con le tue sole forze. Altrimenti non imparerai mai nulla. Ora continua i tuoi esercizi e cerca di non perderti un'altra volta. NON GUARDARE DENTRO LA BORSA. Ci vuole tanto a capirlo? -

Il resto non è molto interessante.

Mi sto allenando, ma non riesco a pescare nulla in quel caos vorticante.

A volte avverto come la presenza di qualcosa, accanto alla mia mano, ma non sono ancora riuscito ad afferrarla.

Sto sfogliando, di tanto in tanto, i testi che Agnolo mi lascia consultare. Immagino che la conoscenza aiuti, ma alla fin fine è tutta una disciplina.

Se imparassi ad usare la sacca forse potrei anche usare il suo portale.

 

Siamo a pranzo quando irrompe il gruppo.

Sono cardatori, concitati.

Ne riconosco alcuni con i quali mi sono soffermato a discutere.

- Ci serve la petizione, l'incontro è per domani. -

Vedo Guasparre che fa un colossale sforzo per trattenersi.

Tambo (non so come si chiama veramente. Se i miei banchi di memoria fossero intatti potrei per lo meno ricordarlo) lo guarda tesissimo.

Ma l'assistente tace. Il maestro mi guarda. Sa che anche io sto per dire qualcosa. Credo sospetti cosa.

Oltre che un “signore” che simpatizza per i rivoltosi è il mago supremo della terra.

Io, invece, oltre che un suo momentaneo allievo, sono un'entità intrusiva nel suo universo.

- Vado a continuare i miei esercizi. Fate attenzione. -

Ho detto fin troppo, mi accorgo che lui lo pensa.

 

Beh. Sono nella mia stanza.

Andranno in Santa Maria Novella, scriveranno la petizione. Domani mattina i più coraggiosi di loro la consegneranno.

Potrei fuggire ora.

Ho qualche pugnale, arco frecce e un po' di armi da fuoco.

Come convincerli, però?

Se solo...

Infilo la mano nella mia sacca ed estraggo qualcosa.

Lo provo.

Se solo lo specchio desse un riflesso...

 

Conosco la strada, non è stato difficile appostarsi nel punto giusto.

Il rito si compie.

Cammino al suo fianco.

Non sono molti coloro che hanno avuto il coraggio.

Tambo è fra loro, ovviamente.

Posso quasi sentire la sua mente. L'esaltazione. Giorni e giorni senza dormire o quasi. Ciò malgrado, la sensazione che tutto sia troppo facile non può essere sopita del tutto.

Anni, secoli. Il terrore dei potenti che generazioni e generazioni si sono portati dentro sciolti al sole.

Oddio, proprio sciolti al sole non proprio.

Comunque il cielo e le case gli sembreranno avere colori diversi con i nuovi occhi con cui li guarda.

Gli occhi di chi vuole cambiare il mondo, anche se non sa bene come farlo.

Prova quasi la sensazione di vedersi da fuori dal corpo, con gli occhi di un'altra persona, quasi come se Matteo, che lo sta accompagnando, lo guardasse e non fosse il suo lo sguardo sul mondo.

Ma sto sognando.

Più semplicemente starà osservando quello che lo circonda.

L'inseparabile Matteo.

Uomini e donne dei loro che si fermano, sbigottiti, quasi si scordano di salutare, schiacciati da ciò che stanno per fare.

Cosa stanno per fare, in fin dei conti? Consegnare una petizione ai potenti. Nulla che sconvolga il mondo.

Ma questo mondo è sconvolto, c'è come una sensazione di perturbazione dell'ordine cosmico.

Si è sparsa la voce di cosa vanno a fare a palazzo e questo li atterrisce. Ovviamente sono d'accordo. Le richieste, seppur rivoluzionarie, sarebbero considerate al disotto del minimo indispensabile, ai nostri giorni.

Se neppure quelli che avevano compilato la petizione se l'erano sentita di uscire da Santa Croce?

Ed erano i più convinti, i più coraggiosi.

Tambo sta avanzando solo, col suo amico Matteo. E con me. Ma non sanno della mia presenza.

Ho estratto un manto dell'invisibilità dalla sacca. Non chiedermi come l'ho fatto.

Il profondo desiderio di questo oggetto, una volta che sono riuscito a focalizzarlo.

Non so se riuscirò a replicare la cosa.

Insomma gli intrepidi tre, votati alla morte.

Ma di che dovrebbero aver paura? La città è ancora in mano loro. Di che dovrebbero aver paura se non di un colpo di mano?

Invece dalle facce si capisce.

Hanno paura di quei signori. Paura di guardarli in faccia, di chiedere loro ciò che gli è dovuto. Temono i loro sguardi, i loro abiti, il loro modo di rivolgere la parola. Hanno una sorta di rispetto che quaranta giorni di presa della città non sono riusciti ad incrinare.

Beh, la nostra sopravvivenza si basa sul fatto che l'ennesimo sgarro sia sufficiente, almeno momentaneamente.

C'è con noi il maestro, ma so che non basterà. Non può compromettersi fino al punto di salvarli (o forse si? Che sia inutile la mia azione in questa linea?)

Si fermano un attimo davanti alla porta del palazzo. Tambo si volta “Non basta essere nel giusto, vero notaio?”

Agnolo lo guarda, scuote la testa.

 

La mattinata è stata lunga e noiosa, vista dall'esterno. Ore e ore di discussioni, piccoli aggiustamenti, mezzi cedimenti e arretramenti subitanei.

Verso mezzogiorno, però, siamo... sono, arrivati a buon punto.

Non credevo ci volesse tanto. Magari in questo mondo le cose vanno in maniera completamente diversa.

Agnolo sta girando per gli scranni a raccogliere le firme. Quasi tutti i signori si sono detti disposti, arrivati a questo punto, a firmare la petizione.

Non li guarda più in faccia. Hanno ceduto ma i loro sguardi sono così carichi d'odio...

Matteo gira per i banchi assieme a lui, esterrefatto. Lui guarda questi signori che reprimono l'odio e firmano.

Tambo invece non ha pace e sta pressando ancora gli ultimi che non vogliono cedere.

Usa sia la persuasione che mezze minacce. Vuole all'unanimità.

Sta andando tutto bene.

Michele gli si avvicina, sembra dargli man forte.

Tambo si accorge della sua presenza e fa per girarsi. Michele ha già sollevato la spada che teneva celata sotto il mantello.

La freccia lo coglie in mezzo agli occhi.

L'arco incoccato per tutto questo tempo, l'attesa, tutto da i suoi frutti.

Tambo è sulla spada di Michele prima ancora che io abbia abbattuto i due balestrieri che stavano di guardia, stacca la testa al primo signore. - Eravate tutti d'accordo. - urla.

È un massacro. Il maestro sembra non partecipare, ma le porte sono inspiegabilmente chiuse. Lancio la balestra a Matteo e salto.