03

 

di Giuseppe Felici rossointoccabile

 

Doppleganger. Una necessità?

 

Notte. Certe cose, a quanto pare, non cambiano mai.

Altre si, sono nel sud est asiatico (sempre che i poli di questo mondo siano orientati come nel mio e negli altri in cui mi sono trovato ultimamente) approssimativamente nell’ultimo trentennio del XX secolo del calendario cristiano, all’inizio, se non sbaglio.

Se ho capito qualcosa dei miei viaggi da queste parti, nei mondi di questo settore del continuum, c’è una guerra (che novità, direte voi, dove non c’era una guerra in quel periodo?).

Dovrò darmi da fare per non rimanerci invischiato, ciò non toglie che da queste parti c’è anche un bel numero di maghi, a saperli trovare ed io ne ho estremo bisogno.

Via libera alle cimici.

 

Ho la visione globale di quasi un chilometro quadrato, apparentemente non c’è nessuno. A volte, però, mi sembra di scorgere un movimento ai margini del campo visivo. Vorrei avere più cimici e coprire meglio il territorio, ma la produzione procede a rilento e ne ho lasciate molte durante la jacquerie, ci vorranno ore a ricreare le scorte.

È l’unico sistema che funziona adeguatamente, non ho affatto intenzione di sforzarlo, quindi restringo il campo d’esplorazione così da coprirlo meglio, lasciando al di fuori solo qualche esploratore per ogni direzione, di quelli incaricati di trovare una meta.

Dopo poco più di venti minuti quelli proiettati verso l’alto percepiscono la luce degli spari di armi pesanti. Non so se è saggio avviarmi in quella direzione ma ho il vantaggio della sorpresa, spero, quindi mi avvio.

 

Nella foresta le distanze diventano ingannevoli, ma credevo di dover camminare molto meno. Sta albeggiando e non sono ancora arrivato all’accampamento. Forse le armi non erano così pesanti da necessitare di una postazione stabile e si sono gia mossi. Stupidamente, nella fretta, non ho marcato le coordinate.

L’unica cosa che mi salva è il riflesso della luce sulla vernice dorata.

Mi getto a terra ed evito lo scudo. Il rimbalzo è impreciso e mi manca di pochi millimetri.

Questa è l’unica cosa che mi fa dubitare, per pochi istanti, dell’identità del mio avversario.

Alto, imponente e maestoso come un dio che si staglia contro gli alberi. (In realtà io sono più alto, ovviamente, ma non credo che qualcuno la penserebbe così, se non mettendoci affiancati)

Biondo, come si intuisce dalle sopracciglia che sbucano dai buchi per gli occhi nella maschera bianco-blu.

Il resto è in stile, la cotta di maglia, le righe bianco-rosse sulla pancia, guanti e stivali alla piratesca, rossi.

E lo scudo. Un tondo perfetto, chiaramente metallico. L’oggetto che ho evitato. Sulla sua superficie cerchi concentrici biancorossoeblu e l’aquila dorata.

Chiaramente non ho la minima possibilità contro Capitan America. Sono forse più forte e veloce, vantaggio genetico, ma di poco, ma il suo addestramento è di gran lunga superiore al mio.

Non mi resta che provare a parlarci, non so cosa stia facendo in Vietnam, ma certamente nulla in cui possa dargli fastidio.

 

Così imparo a fidarmi, non ho fatto neppure in tempo ad alzare le mani che mi ha colpito alla base del collo.

Sono fortunato se poi non mi ha ucciso (Capitan america non uccide, tranne quando lo fa).

Ora mi ritrovo nudo e legato come un salame in una baracca puzzolente. Cazzo, è la seconda volta che mi legano negli ultimi tre salti, di questo passo posso abbonarmici.

Non che sia importante. Il pudore è un limite che il mio popolo ha abbandonato da tempo, la temperatura è tutt’altro che rigida ed io sono fuggito da situazioni di gran lunga peggiori.

Forzo le corde e scivolo fuori, con la mia forza e agilità sarebbe uno scherzo anche senza addestramento.

Le mie cimici sono attive, mi giungono informazioni dall’esterno.

Questo è uno degli, chiamiamolo così, edifici più robusti del campo. Il resto è per lo più costituito di tende.

Fuori non ci sono guardiani, segno che la mia ingenuità li porta a sottovalutarmi (almeno spero).

Purtroppo non faccio in tempo a crogiolarmi. Da una tenda grande escono il fottuto capitano e due ufficiali dell’esercito.

Potrei sciogliermi in pochi minuti, ma non sono sicuro che sarebbe saggio farlo ora, mi limito a forzare le corde così da allentarle un poco.

Non scorrono molto, nodi ben fatti, ma per lo meno ora non mi bloccano la circolazione.

Come temevo entrano nella mia prigione.

Queste divise hanno un qualcosa di inquietante, ma non so veramente dire cosa.

- Bene, bastardo, vedremo ora se sei un lurido comunista, un mutante subumano o un alieno. –

Parole che sulla bocca di uno Steve Rogers mi sorprendono, lo ammetto. Mi era giunta voce di un Rogers nazi in un mondo dominato dal Teschio Rosso. Ma era in seguito all’uso del Cubo Cosmico e comunque era un caso.

Ma girare in giro per il tempo fa imparare presto che tutto, o quasi, è possibile e quindi non mi lascio sopraffare dalla sorpresa. Mi riprendo in fretta e mi accingo a rispondere.

Mi colpisce con il bordo dello scudo. – Non provare neppure a parlare, ci credi così ingenui da credere alle tue parole spontanee? –

Uno degli ufficiali (ha una piccola croce rossa sulle mostrine, noto ora) estrae un astuccio metallico dal quale tira fuori una siringa di vetro e una fiala. Rompe il cappuccio della fiala e riempie la siringa, poi mi fa un’iniezione con la delicatezza di un carro armato in un negozio di cristalleria.

Pentotal, droga primitiva alla quale sono addestrato a resistere. Non che ce ne sia bisogno, ma non si sa mai. Aspettano che la droga faccia effetto, poi iniziano con le domande.

- Vengo da un’altra linea temporale, mi sono perso. Non cerco guai ne ho intenzione di schierarmi da nessuna parte, voglio solo riposare un po’ in attesa di ripartire. No, non ho il controllo dei miei viaggi, che non avvengono tramite una apparecchiatura in mio possesso, ma questo non è il mio mondo e non c’è ragione di rimanerci. No, non vi sto prendendo in giro, che ragioni ne avrei. Esatto, tutto ciò che voglio è andarmene e tornare a casa. Macché comunista, nel mio mondo non esistono neanche più. Non ho opinioni sul Presidente McCarthy - Ahi, si mette male – vengo da un mondo 800 anni più avanti di questo, per noi è comunque storia lontana. In effetti non avete ragione di credermi, ma non posso farci nulla, questa è la verità. Del resto mi avete drogato, no? Quest’euforia che sento deve essere un qualche siero della verità. Ma quale addestramento, se fossi un militare sarei per lo meno armato, non trovate? Spia? Ma se non so neppure dove mi trovo. Vietnam? Durante la guerra? Certo che lo so, è successo quasi ovunque. –

- Non sembra che stia fingendo, eppure le rilevazioni sono tutte sballate. Non che questo mi sorprenda, visto che il suo organismo è quasi totalmente non umano. Temo che dovremo rimandare l’interrogatorio a dopo. Devo resettare tutti gli strumenti sul suo organismo. –

Mr. Fantastic, almeno a giudicare dalla voce. Merda, non mi va per nulla di avere contro un Richards. Devo togliermi di torno il prima possibile. Una seggiola entra, apparentemente spinta dal nulla, nel mio campo visivo e si ferma davanti a me e un umano chiuso in una tuta gialla con disegni irregolari rossi vi si siede. Utrecht? Armeggia per un po’ con degli strumenti verso il mio corpo. – No. – sentire questa voce provenire da questo corpo mi blocca il fiato. – Dovremo aspettare che il suo organismo smaltisca la droga e torni alla normalità. – Si alza e la sua voce assume un tono più duro. – Dobbiamo alla sua impazienza e mancanza di autocontrollo questo ritardo, Capitano. Stia sicuro che verrà registrato nella sua scheda personale. – La sedia si allontana da lui, che esce con passo sicuro. – Come vuole lei Dottor Richards. – Sibila tra i denti questo inusuale Capitan America. Che non sia Rogers? – Andiamo Rogers, non aggravi la sua situazione. – Dice uno degli ufficiali girandosi verso di me per un attimo prima di uscire. E capisco perché trovavo inquietanti queste divise. L’aquila rappresentata su di esse. Le sue ali sono tese, gli artigli che stringono le frecce sono appoggiati sullo scudo a stelle e strisce, rotondo. Può anche non significare nulla.

Cionondimeno è il caso che mi tolga alla svelta di qui. Non appena sono usciti attivo le nanomacchine del mio sistema che avevo disattivato, così che si affrettino a ripulire il mio sangue dalla droga. Intanto forzo le corde e scivolo fuori da esse.

Neutralizzare le due guardie è semplice. Sfilo pantaloni e armi a uno di loro, le sole munizioni all’altro e mi inoltro nella giungla. Bestemmio per il necessario adattamento degli occhi all’oscurità. Dopo aver corso per un buon quarto d’ora, ed aver schivato svariate trappole, mi fermo un po’ a riprendere fiato e infilarmi i pantaloni. Non che mi importi più di tanto di andare in giro nudo, ma i vestiti mi faciliteranno sicuramente gli incontri. Mi assicuro il cinturone con la pistola e il pugnale alla vita e controllo il mitra. Poi mi inoltro ancora più a fondo nella giungla, rimpiangendo la mia perduta borsa. Per contenere le perdite ho inviato delle cimici a recuperare le nanomacchine nei vestiti, ma non posso certo recuperare degli oggetti così grandi. La mia sola speranza è che, non capendo di cosa si tratta se ne sbarazzino prima che io me ne vada. Altrimenti addio abiti, borsa, arsenale e oggetti magici.

 

Mi sorprende, quasi, mentre inizio a sentirmi al sicuro. – Mortale, credevi di ingannarci in cotal maniera? La tua audacia mi lascia indifferente, ma ho ricevuto l’ordine di ricondurti al campo e non mancherò. -

Scarico tutto il caricatore del mio M16 sul suo corpo, forse uno o due proiettili non vanno a segno, ma ne dubito, è così grande che non potrei mancarlo, non a questa distanza. Rimbalzano tutti, posso quasi vederli, non si accorge neppure del mio tentativo di difesa. Non che questo lo renda, neppure di un pochino, meno pericoloso. Mi attacca, massa imponente. Schivo per miracolo la sua enorme arma. Sarebbe quasi comico essere attaccato con il lancio di un’arma così antica, se questa, in particolare, non fosse perfettamente in grado di distruggere un camion senza neppure riportare dei graffi. L’agilità è il mio solo vantaggio, salto qua e la, interponendo alberi tra me e il mio avversario nel tentativo di sganciarmi. La sua arma li falcia, quasi fossero grano. Ma un po’ lo rallenta. Non abbastanza, comunque.

Un martello, enorme, lo centra in pieno volto. Accusa il colpo, ma si rialza immediatamente, pronto a combattere il nuovo, più pericoloso avversario.

- Ho udito i guerrieri di Asgard fare il tuo nome con timore e rispetto. Invero le tue azioni sconfessano quei racconti. –

Sento una mano toccare gentilmente la mia spalla, mi volto veloce, pronto a contrattaccare se dell’occorrenza.

Davanti a me una figura imponente, non come le due che si affrontano con enorme fragore, a pochi passi da noi. Di un’imponenza più profonda. Un po’ come cap ma con qualcosa di più.

- Non so chi tu sia, ma credo che sia prudente se ci togliamo di mezzo. Non è mai prudente stare nelle vicinanze quando due asgardiani si scontrano. –

Lo guardo un attimo.

Costume azzurro, mantellina dorata e uno scudo nero con una grossa A rossa dipinta sopra. La maschera lascia libero uno svolazzo di capelli biondissimi.

- Andiamo. – Dico

 

continua