cronache hyboriane

di Giuseppe Felici rossointoccabile

03

Un villaggio è pur sempre un villaggio

 

Corinthia può essere un posto ancor più scomodo di Nemedia, per un ricercato.

L'uomo a cavallo che stava scappando dal villaggio, mentre le guardie correvano ai loro destrieri per inseguirlo pensava sicuramente questo.

Prima che i suoi inseguitori potessero partire aveva già guadagnato un grande vantaggio, un vantaggio da amministrare.

Presto si trovò ad avanzare nell'erba alta, dove più difficile è seguire le tracce. Ma i suoi inseguitori erano sempre in vista e il tramonto ancora troppo lontano per sperare nel buio.

Il guerriero spronò il cavallo, così da tenersi, almeno, fuori dalla portata delle balestre.

Un buon tiratore fra quegli spregevoli tagliagole sarebbe stato sufficiente a troncare la sua fuga.

Giunse in una stretta vallata. Pensò ai prati lussureggianti brulicanti di vipere. Pensò è forse dir troppo, era tutto preso dalla fuga, nulla d'altro importava.

Si inoltrò sempre più nella gola, tenendosi rasente ad una parete, sperando di tenersi così, almeno un poco fuori vista.

Guadagnava terreno, non molto ma inesorabilmente la sua volontà di restar libero prevaleva sulla scarsa motivazione delle guardie ad allontanarsi troppo dal villaggio per inoltrarsi in territori sconosciuti, cioè a pochi chilometri dalle loro comode case. Capanne o baracche, in realtà, data la magra paga di un soldato.

Era già pomeriggio inoltrato quando si avventurò nel bosco e li perse di vista. Gli alberi, seppur radi, lo costrinsero ad un'andatura più prudente, ma lo stesso accadde ai suoi inseguitori, tant'è che presto smise di sentire il rumore delle loro cavalcature. Il suono si propaga meno facilmente nel folto degli alberi.

Continuò la sua fuga a lungo, il bosco era più esteso di quanto si aspettasse.

Quando ne uscì il sole era basso sull'orizzonte, in lontananza vide un villaggetto, poche abitazioni, sufficienti ad ospitare non più di una settantina di abitanti, forse meno.

Al centro una grande costruzione, l'unica in pietra di tutto l'abitato.

Il guerriero indirizzò la sua cavalcatura in quella direzione. Il posto era troppo piccolo per avere una guarnigione, ma abbastanza grande da costituire un buon riparo per la notte e un nascondiglio.

Sempre che gli abitanti preferissero evitare la minaccia della sua spada e amassero poco le guardie.

Entrambe cose molto probabili.

Entrò nel villaggio con circospezione ma gli abitanti non sembravano prestargli attenzione.

C'era una piccola locanda, ma non si diresse subito in quella direzione. Doveva prima accertarsi che i suoi inseguitori avessero rinunciato all'inseguimento, o che proseguissero oltre senza trovarlo.

Portò il suo cavallo verso il recinto pubblico. Era pieno di cavalcature, anche di buona razza. Rifletté sul valore di quel bottino e su cosa ci facessero li tanti cavalli. Una stazione di posta, forse, anche se la cosa sembrava improbabile. Non seppe darsi, però, altra risposta.

Rassicurato sul fatto che poteva sicuramente trovare una cavalcatura in quel villaggio, se necessario,  lascio il suo cavallo al custode, che iniziò subito ad accudirlo, spronato da una generosa mancia e da  una velata minaccia.

Girò per un po' per le stradine fino a quando trovò un buon punto di osservazione, seduto sotto un albero secolare.

Da li era in grado di scrutare tutta l'ampia vallata, che digradava fino al villaggio. Nessuno poteva avvicinarsi senza essere scorto.

Il buio era ormai spesso quando, rassicurato dal fatto che i suoi inseguitori non avrebbero continuato la loro caccia in quelle condizioni, si diresse verso la locanda.

Quando entrò tutti si voltarono ad osservarlo, ma abbassarono presto lo sguardo sui loro boccali.

Il locale era semivuoto. Si diresse verso l'oste, contrattò un pagliericcio per la notte poi si accomodò ad un tavolo. Dava le spalle al muro. Alla sua destra la porta dell cucina, che, si era accertato prima di entrare, aveva una sua uscita indipendente. Davanti agli occhi la porta principale.

Aveva ordinato del vino.

L'oste arrivò in fretta, con la brocca, una ciotola contenete una abbondante porzione di stufato e una grande forma di un pane nero.

Sistemò tutto sul tavolo, biascicando qualcosa sul fatto che il vino era molto resinoso.

Il guerriero mangiò con gusto, chiedendo presto una nuova brocca. Il contenuto della prima sembrava essersi volatilizzato in fretta per scacciare la polvere di un'intera giornata di fuga.

Dopo aver mangiato, bevve più lentamente.

Scrutava gli altri avventori, contadini o allevatori.

Apparentemente per nulla pericolosi ne in possesso di nulla di un qualche interesse per lui. Così decise di soddisfare la stanchezza che sembrava attanagliargli le membra, ora che si era rilassato un poco e si diresse verso il piano rialzato, dove si trovava la sua camera.

Si gettò sul pagliericcio e si preparò a dormire con un occhio solo, così come era abituato a fare tutte le notti da molto tempo.

 

Il risveglio non fu altrettanto piacevole.

Uscì da un sonno pesante e agitato da incubi in cui i soldati della guardia lo inseguivano in territori sempre più inquietanti.

Qualcuno era entrato nella piccola camera.

Non gli riuscì di svegliarsi fino in fondo. Forse il vino bevuto poche ore prima era troppo forte, più di quando si aspettasse.

Nella stanza c'era una donna, piuttosto attraente.

Gli faceva cenno di tacere, il dito davanti a bocca e naso.

Si avvicinò si soppiatto. Quando gli fu accanto parlo, a voce bassissima.

- Sono appena arrivati dei soldati, che cercano un fuggitivo. Sono nella casa del capovillaggio. Sbrigati, devi nasconderti. -

- Perché dovrei fidarmi? Perché mai dovreste aiutare qualcuno che fugge dai soldati? -

- Non li conosci abbastanza, straniero. Se non ti trovano qui saranno troppo preoccupati di inseguirti per fermarsi. Ma se ti prendono inizieranno a pretendere vitto e alloggio, con la scusa di riposarsi dalla caccia e pretenderanno le attenzioni delle nostre donne. Se ci rifiutassimo inizierebbero a fare illazioni sul fatto che abbiamo dato ospitalità ad un ricercato e il nostro destino sarebbe peggiore del tuo.

Credimi, straniero. Una cattura è un rischio ancor più grande, per un villaggio piccolo e povero come il nostro. -

Il guerriero la seguì, dubbioso, giù per le scale, la spada sguainata, pronto a vendere cara la pelle.

Strisciarono lungo i muri della locanda, lungo i brevi vicoli fino ad una baracca, a fianco della costruzione in muratura.

Mentre camminavano vide, attraverso un vicolo, una trentina di cavalli fermi al fianco di una casa.

Più avanti un fuggevole sguardo alla piazza principale. Una decina di uomini stavano montando tavoli e panche per un banchetto.

La ragazza si affaccendò attorno al pesante lucchetto che chiudeva la porta della baracca.

Questo cedette improvvisamente con un suono secco e metallico che sembrò risuonare nella notte come un gong.

Il guerriero scattò sul chi vive, lo sguardo in direzione dei cavalli, ora fuori vista.

*Sei troppo teso* pensò, ancora intontito dal vino.

Seguì la donna nella baracca, pur chiedendosi a cosa sarebbe servito infilarsi in quel buco.

Lei accostò la porta, dopo essersi guardata attorno con circospezione.

Corse subito a spostare dei barili, addossati alle pareti.

Lanciò uno sguardo significativo al guerriero, che si sbrigò a darle una mano. Dopo aver spostato tutti i barili, la donna si accucciò e spazzò con le mani la terra, fino a portare alla luce un pesante anello di ferro.

Iniziò subito a tirarlo, apparentemente senza esito alcuno.

La scansò, con una gentilezza che sorprese lui per primo.

Pensò al vino che gli ottenebrava la mente, ma anche a quanto tempo era passato da che qualcuno gli aveva prestato il benché minimo aiuto.

Il sottile strato di terra cedette quasi subito, mentre i suoi muscoli possenti si tendevano per lo sforzo e la botola si aprì.

Sotto, alla luce della luna che filtrava tra le fessure delle tavole inchiodate alla belle e meglio, si intravedevano i primi pioli di una scala.

La ragazza scese per prima. Dopo pochi metri la scala finì. Alla loro destra percepì un vuoto tenebroso. Li sotto non giungeva la minima luce.

- Da qui in poi dovrai proseguire da solo. -

Il guerriero provò per un attimo un moto di ribellione, per questo repentino abbandono.

- È meglio che io resti a nascondere la botola. Fra non molto inizieranno a perquisire il villaggio. Se la trovano la tua fuga sarebbe breve e la rappresaglia su di noi tremenda.

Il tunnel alla tua destra è lungo una decina di metri, la porta in fondo ad esso è aperta. Immette in una stanza, non molto grande, in cui troverai delle torce e l'occorrente per il fuoco.

Prima di accendere la prima torcia abbi cura di chiudere la porta. Io aspetterò un poco, prima di chiudere la botola, nel caso tu dovessi, per qualsiasi ragione, tornare indietro e non vorrei che filtrasse, in qualche modo, della luce fin qui.

Sul lato opposto della camera troverai un'altra porta. Essa immette in un tunnel che porta fuori dai confini del villaggio, alle propaggini del bosco.

Li troverai un cavallo. Ora va. -

Si avviò tentoni lungo il tunnel, il cammino fu breve.

Avanzò nel buio, la spada avanti a saggiare la consistenza degli ostacoli e la mano lungo la parete, così da avanzare più sicuro. Arrivò alla porta. Il metallo cozzò contro il metallo. La porta era accostata. A tentoni la spinse, essa cedette obbediente.

Quasi inciampò nelle torce e scoprì un braciere.

I carboni rossi erano abbaglianti, dopo tanta tenebra.

Bastarono a rassicuralo.

Raccolse una torcia, il forte odore di pece raggiunse le sue narici. Si accese subito, bastò accostarla ai carboni e soffiare.

Nella piccola sfera di luce che la torcia generò attorno a lui, riuscì a malapena a vedere la parete di fronte, al centro della quale si stagliava, chiaramente, la sagoma di una porta, leggermente più grande di quella da qui era venuto.

Si ricordò dell'avvertimento della donna e fece per chiudere la porta, ma un po' della diffidenza che gli veniva naturale riemerse, ora che era lontano dalla voce convincente della ragazza.

Lasciò la porta aperta, accostandola appena un poco e camminò verso la parete opposta.

Quella porta sembrava di pietra, vedeva chiaramente i contorni e il pesante anello di ferro che serviva ad aprirla.

Lo afferrò e tirò con decisione, dopo aver rinfoderato la spada per liberare la mano destra.

La porta non si mosse di un millimetro.

Mentre appoggiava la torcia a terra, per poter meglio far forza con entrambe le mani, percepì un rumore alle sue spalle. Si girò di scatto, la mano alla spada.

Ma nella fioca luce che la torcia proiettava attraverso la sala, vide solo il volto della donna che lo aveva accompagnato. Il volto bianco spiccava nello spiraglio della porta che aveva lasciata aperta.

Intravvide la sua espressione, una maschera di famelica malvagità, prima che la porta si chiudesse con un tonfo e uno scatto.

Vi si avventò contro, ma senza risultati.

Si diresse allora alla porta di pietra e tirò con tutte le sue forze.

Non si mosse di un millimetro.

La osservò meglio. Le scanalature poco profonde la denunciavano per la trappola che era.

Si maledisse per la sua stupidità e si gettò seduto a terra, sconfitto.

Sentiva che la testa, sotto la spinta dell'adrenalina, si andava schiarendo e sospettò che lo avessero drogato.

Questo, per lo meno, avrebbe spiegato la sua innaturale arrendevolezza e la strana fiducia che aveva provato nei confronti di quella donna sconosciuta.

Si alzò, nella stanza che, ora lo notava, era innaturalmente calda e corse ancora alla porta metallica.

Infilò il pugnale nella fessura e provò a forzare.

Nulla, aumentò la pressione e la lama si spezzò con uno schianto secco.

Iniziò pazientemente a lavorare con mozzicone metallico sui cardini, scavando le pareti di pietra, sempre più bollenti.

Il lavoro procedeva a rilento ed i risultati erano deludenti.

Picchiò sulla porta con i pugni, poi le diede un calcio.

La stanza era sempre più calda, calda come un ...

Ripensò ai tavoli montati per il banchetto.

Mentre cadeva a terra, un attimo prima di svenire per il calore opprimente, maledisse il destino che lo aveva cacciato in quella situazione e si rammaricò per il fatto di non avere con se nulla con cui avvelenare le sue carni.