di Alessandro Vicenzi

#6 - DEMONI

 

“Tieni più alta la guardia, figliolo”

“Sì padre”

“Attento, non esporti così nell’affondo, hai lasciato scoperto il fianco. Ecco, sei morto”

Il ragazzo alzò gli occhi sul padre, che teneva la lama appoggiata sul suo fianco.

“Chiedo scusa, mi sono distratto”

Gli occhi dell’uomo si velarono di rabbia: “Non puoi distrarti mentre combatti! Non puoi pensare ad altro mentre rischi la tua vita! Guardami. Credi che se avessi permesso ad altri pensieri di occupare la mia mente in duello sarei qui ora?”

“No, padre”

“Il tuo avversario. Il campo di battaglia. Ecco a cosa devi pensare quando stringi la spada in pugno. Al resto penserai dopo, se sarai ancora vivo. E ora riprendiamo a esercitarci”

Si scagliarono di nuovo l’uno contro l’altro, nel cortile di una casa di campagna. L’acciaio che batteva contro l’acciaio era l’unico suono che rompeva la tranquillità del paesaggio. Sulla porta, una donna li fissava con tutto l’amore con cui una donna può guardare il suo uomo e il figlio del suo grembo.

D’un tratto, un rumore si aggiunse ai suoni dell’esercizio. Era come un rombo cupo, che diventava sempre più forte. Uomini a cavallo. L’uomo urlò alla moglie di chiudersi in casa, e al figlio di andare a prendere la spada che stava in casa. Il ragazzo tentennò: “Ma padre, quella spada?”

“Sì, Solomon, è giunta l’ora che sia tu ad impugnarla. Te la affido. Non deludermi.”

Kane corse in casa, mentre il rumore diventava sempre più forte, assordante. Scansò la madre, si gettò sulla cassapanca, gettò all’aria i panni, fino a che le sue mani non toccarono una forma lunga e affusolata, avvolta nella seta. La spada di suo padre. Acciaio di damasco, perfettamente bilanciata, con l’impugnatura percorsa da fili dorati. Un’arma praticamente perfetta, senza eguali, l'ultimo capolavoro di un anziano armaiolo spagnolo. La liberò dall’involucro, si fermò un secondo a fissarla, poi si alzò e fece per girarsi. Il rumore era ormai insopportabile, non si udiva più nulla, era come se mille cavalieri percorressero insieme le pianure, coperti da centinaia di libbre di acciaio.

Strabuzzò gli occhi. Davanti a sé aveva un infedele, un arabo dalla carnagione olivastra e la barba ispida, i cui occhi trasudavano malvagità. Era enorme. Sorrideva con una gioia perversa. Il ragazzo tentò un affondo con la spada ma il gigante, ridendo, afferrò con una mano la lama, senza che neanche una goccia di sangue la sporcasse. Poi, con uno strattone, liberò l’arma dalla mano di Solomon Kane. Un attimo dopo, era scomparso. Al suo posto, impalata su di una picca, c’era la testa del padre. Kane si gettò in ginocchio.

“Mi hai deluso, figlio. Mi hai deluso”

Era la testa che parlava. Kane urlò.

 

Solomon Kane si svegliò urlando in una lurida stanza di Algeri. Un incubo. Aveva avuto un incubo. Non gli capitava da anni. Di solito non si concedeva il lusso di cadere in un sonno tanto profondo, ma evidentemente gli avvenimenti delle ultime settimane lo avevano toccato profondamente.

Federigo. Al Kazim. I morti del mare. La strega. Domenico.

Federigo era morto. I morti del mare erano stati ridonati alla pace eterna, o così sperava. La strega bruciava nelle profondità dell’inferno. Domenico aveva deciso di sfidare l’esilio per riportare in patria le spoglie della cugina Elisa, uccisa in un orrido e blasfemo rituale, e forse sarebbe stato ucciso.

Al Kazim. Solo lui era ancora vivo. E non solo era ancora vivo, ma aveva ancora con sé la spada di Solomon Kane, quella spada che il padre gli aveva donato anni prima.

Si affacciò alla finestra e fissò il mare. La luna scintillava sul mare. Il suo nemico era là fuori da qualche parte, e presto sarebbe tornato a casa.

Il benvenuto sarebbe stato più che caloroso.

 

Al Kazim tornò ad Algeri pochi giorni più tardi, in una cassa di legno. La notizia si sparse per i vicoli della città rapida come una pestilenza, e giunse fino alle orecchie di Kane. A quanto si diceva, il corpo del pirata era stato ritrovato, da una nave di passaggio, mentre galleggiava in mare, al largo di un’isola che da secoli i marinai cercano se possibile di evitare. Non portava con sé armi o altro. La sua nave non compariva in porto da mesi.

Kane maledisse l’infedele. Si era lasciato uccidere, aveva perso la sua spada. Ora avrebbe dovuto strapparla non dalle sue mani ma dalle rocce di un’isola con una fama sinistra, dove nessuno avrebbe mai voluto condurlo. Trascorse qualche ora chiuso in un cupo silenzio, al tavolo di una taverna, mentre attorno a lui le storie sulla morte di Al Kazim si moltiplicavano e si trasformavano ad ogni passaggio. Ascoltando quello stupido accumularsi di superstizioni e voci, però Kane iniziò a capire.

Il Signore lo stava mettendo alla prova. Lo aveva gettato in un covo di infedeli superstiziosi, allontanando da lui il suo obiettivo. Stare seduto in quella taverna ad ascoltare ignoranti marinai raccontarsi favole per bambini non lo avrebbe aiutato a recuperare la spada. C’era una sola cosa da fare: alzarsi, e iniziare a cercare qualcuno che non avesse avuto paura di andare sull’isola tanto temuta.

Batté un pugno sul tavolo, balzando in piedi. Aveva del lavoro da fare.

 

Moad lo trovò quasi subito. Un berbero gigantesco, con il viso solcato da profonde cicatrici, sembrava non temere nulla. Aveva navigato per anni in quel tratto di mare, sapeva come portare una barca, conosceva gli scogli e le secche. La prospettiva di potere visitare un luogo circondato da un tale alone di leggenda lo aveva attirato ben più della possibilità di potere razziare il tesoro della nave di Al Kazim.

Creso era un giovane greco. Piccolo e svelto come un furetto, aveva dei roditori anche i tratti somatici. Era famoso nei vicoli del porto per la sua abilità con i pugnali, e per essere un tipo genericamente poco raccomandabile. Al contrario di Moad, aveva accettato di unirsi alla spedizione solo e unicamente per la possibilità di fare bottino.

Con i pochi soldi che Kane aveva in tasca (in larga parte un dono di Domenico), riuscirono ad acquistare un vecchio barcone da pesca, con una larga vela, più che sufficiente per navigare fino a dove era ritenuta ritrovarsi l’isola. Sarebbero riusciti a manovrarlo piuttosto agevolmente in tre, convennero. Erano tutti e tre marinai abbastanza esperti, anche se il più abile sembrava senza dubbio Moad.

La notte prima della partenza stavano cenando in una locanda del porto. Creso, tra un boccone e l’altro, non cessava mai di parlare e gesticolare, indicando di qua e di là con il pugnale. Sembrava essere una fonte inesauribile di leggende marinaresche e storie da osteria, e Moad pareva gradire molto; rideva sguaiatamente, battendo le mani sul tavolaccio di legno. Kane, invece, stava seduto in silenzio a mangiare il suo cibo. Ascoltava le storie del greco, ma senza prestarvi attenzione. Non era il genere di cose che lo interessavano, ma era lo stesso contento che Moad le gradisse così tanto: il gigante gli ricordava da vicino Federigo, e temeva che facesse la stessa fine. Avere di fianco qualcuno in grado di tenergli alto il morale anche in situazioni disperate non era un male, per quanto le storie di Creso offendessero spesso e volentieri le orecchie di un pio credente come Kane. Ma per quello ci sarebbe stato tempo.

“Siete voi quelli che vogliono vendicare Al Kazim?”

La voce era quella di una ragazza che si era avvicinata al tavolo in silenzio, e si rivolgeva a Kane e ai suoi due compagni.

“Anche se lo fossimo a te che importerebbe, ragazza?” fu la secca risposta di Kane. “Vattene,” aggiunse un secondo dopo, senza neppure guardarla in faccia.

“Ehm, un momento, inglese, non essere così precipitoso, magari la ragazza ha qualcosa di importante da dirci, non credi?” si intromise rapido Creso, cercando di sbirciare sotto il velo che la ragazza portava sulla parte inferiore del volto. Moad fu rapidissimo a sostenere l’amico:

“Giusto, non lo sai, Solomon Kane, che spesso le donne hanno le notizie migliori? Siediti con noi, ragazza, avanti!”

Il puritano fece cenno alla ragazza di sedersi. Era stato sconfitto, l’intesa tra i due compagni era davvero forte, e non sapeva se considerare questo un bene o un male. Preferì concentrarsi sulla giovane donna seduta con loro.

Aveva il capo coperto, e il velo copriva il suo volto, lasciando vedere solo due occhi verde scuro sormontati da due sopracciglia ben disegnate, né troppo folte né troppo sottili. Le spalle erano esili e aggraziate, e le mani dalle lunghe dita affusolate stavano tamburellando il tavolo gentilmente. Kane ebbe un breve sussulto, alla vista di quelle mani: sembravano abituate a muoversi troppo bene, secondo schemi troppo calcolati e aggraziati per essere casuali. Mani di quel tipo appartenevano raramente a donne di cui fidarsi.

“Allora, ragazza, cosa vuoi da noi? O cosa hai da offrirci?”, chiese Kane, senza troppi complimenti, fissando la ragazza con il suo sguardo inquisitore.

“Voglio venire con voi”

I tre uomini si guardarono tra loro, come se non avessero capito. Un istante dopo, Moad e Creso scoppiarono a ridere. Kane era rimasto in silenzio, mentre lo sguardo della ragazza rimaneva assolutamente determinato e rilassato; fece un cenno ai due per farli smettere di ridere, poi si rivolse alla ragazza.

“Noi non andiamo a vendicare Al Kazim. Il grosso berbero viene per amore dell’avventura. Il greco è attratto dalle ricchezze che la nave di Al Kazim trasportava. Per quanto riguarda me, sto cercando qualcosa che Al Kazim mi ha sottratto. Perché vorresti vendicare quel pirata?”

“Anni fa ebbi la vita salva per sua intercessione, e desidero ripagare il mio debito”

Kane ripensò alle frustate sulla nave. Anche lui era vivo per intercessione di Al Kazim, in un certo senso, e questo ricordo gli faceva forse ancora più male delle cicatrici sulla schiena.

Creso approfittò della distrazione di Kane per sottrargli l’attenzione della ragazza:

“E in che circostanza ti salvò la vita, giovane fanciulla?”

“Ero stata accusata di stregoneria”

“Ed era vero?”

“Ora basta!” urlò Kane, “questa farsa è durata fin troppo! Non ho intenzione di ascoltare ancora per molto questa donna. Partiremo solo noi tre, e nessun altro verrà con noi, tanto meno una donna in odore di stregoneria! Se Al Kazim le ha salvato la vita, e costei è davvero una strega, è solo un altro atto malvagio che quel diavolo ha compiuto! La sua anima ora starà bruciando all’inferno per i suoi misfatti, come è giusto che sia!”

Lo sguardo che la ragazza gettò su Kane lasciò l’inglese senza fiato. I suoi occhi, fino a quel momento sereni nella loro determinazione, si erano illuminati di una luce di fredda e lucida rabbia, che li aveva fatti diventare di un colore innaturale, forse nemmeno esistente in natura.

“Come tutti i seguaci degli dei del Libro, parli senza sapere nemmeno di cosa stai parlando! L’anima di Al Kazim in questo momento non sta bruciando all’inferno, e nemmeno ha lasciato questa terra! Si trova ancora sull’isola, con tutte le altre. Io le sento urlare.

La tua religione parla dei demoni che vivono nell’animo degli uomini, ma si dimentica di parlare di quelli che vivono sulla terra e camminano di fianco a noi. Quell’isola è il covo di creature che non dovrebbero esistere, al cui esistenza è un insulto per tutti gli esseri umani, qualunque dio essi venerino! Se voi pensate di andare là e trovare scogli insidiosi su cui si schiantano le navi o magari un covo di pirati, tagliatevi le vene dei polsi questa notte: morireste con meno sofferenza, e sprecando meno tempo. Quello non è solo un luogo terreno, ma è un punto di passaggio, un contatto tra mondi differenti, attraverso il quale creature che tu, inglese, definiresti ‘demoniache’ accomunando razze nemiche da millenni, cercano di tornare alla loro antica dimora, il nostro mondo.”

Creso e Moad deglutirono. La ragazza non sembrava parlare a vanvera, il greco si intendeva di raggiri e recitazione, e non era quello il caso. Qualunque cosa fosse quello di cui stava parlando, non mentiva. E stava parlando di qualcosa di davvero spaventoso, per quello che lui poteva capire.

Lo stesso Kane sembrava essere rimasto colpito dalle parole delle ragazza. Nella sua mente era tornata l’immagine della strega e dell’orribile creatura contro la quale lui e Domenico si erano battuti: esistevano altri orrori simili? Come era possibile che Dio ne tollerasse l’esistenza?

Moad, invece, sembrava sorridere, come un folle. Aveva dato la sua disponibilità per un’avventura tutto sommato banale, e ora una bella ragazza parlava di demoni e altri mondi: suonava come la più grande avventura in cui un uomo potesse imbattersi!

Solomon Kane guardò la ragazza, che non aveva distolto lo sguardo da lui per un solo secondo. Lei sapeva di averlo turbato, di aver toccato corde profonde nel suo animo. Aveva insultato lui e la sua religione, ma lo aveva anche messo davanti a uno scenario al quale non poteva restare indifferente.

“Come fai a sapere così tante cose su quel luogo, donna?”

“Perché voi spesso distruggete ciò che non riuscite a capire, e cercate di impedire agli altri di capirci qualcosa. Ho viaggiato a lungo, più di quanto tu possa immaginare. Ho studiato antichi testi trovati in città perdute da millenni, scomparse anche dalla memoria degli uomini, o costruite prima che l’Uomo calpestasse il Giardino dell’Eden. Ho parlato con chi ha dedicato la propria vita a combattere queste creature, e anche con chi le serve e venera. Sono stata più volte loro prigioniera, così come lo sono stata di servitori del dio dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani. Credo che se sono ancora viva oggi è perché combatto una battaglia giusta. Credo che tu diresti qualcosa di molto simile su di te, vero inglese?

Non ti chiedo di accettarmi, o di apprezzarmi, solo di permettermi di unirvi a voi e giungere fino a quell’isola. Poi, ognuno farà ciò che preferirà. Dispongo di soldi per pagarmi il passaggio, e ti assicuro di sapere badare a me stessa”

Kane guardò la donna, cercando di vincere la fierezza del suo sguardo. Ora i suoi occhi non erano più quelli di una ragazzina, ma quelli di una donna che aveva rischiato la sua vita in centinaia di occasioni, lottando contro orrori innominabili, di notte, sotto costellazioni sconosciute agli esseri umani, tra colonne di foggia mai vista prima. Lei lottava dalla sua stessa parte. Sì, questo raccontavano i suoi occhi, quegli occhi di un colore indefinibile che sembravano sapere così bene quello che Kane aveva vissuto, quello in cui credeva…

“Allora inglese, può venire con noi?”

La voce querula di Creso lo strappò ai suoi pensieri. Il greco e il berbero lo fissavano con occhi imploranti. Le labbra dello spadaccino si incresparono in quanto di più vicino a un sorriso fossero capaci di produrre: i due avevano lo sguardo di due uomini che sperano nella compagnia di una bella donna, ma nel loro animo avevano il terrore. Probabilmente non sarebbero nemmeno usciti da quella locanda senza la ragazza, figurarsi imbarcarsi in una pericolosa avventura.

Kane sospirò.

“Come ti chiami?”

“Eva,” disse la ragazza, con un sorriso, abbassando lo sguardo come se si vergognasse un po’.

“Un nome piuttosto importante, vero inglese? ” disse Moad.

“Dirò di più, seminale,”  aggiunse a fior di labbra Creso.

“Domattina al levar del sole al terzo molo, Eva,” concluse Kane, senza ascoltare le facezie dei suoi compagni.

 

“Il primo luogo dove devi combattere i demoni è nel profondo della tua anima, figlio mio”

“Sì madre”

“Molti demoni si agitano nel cuore degli uomini, Solomon, e cercano di prendere il controllo delle loro anime. Lussuria, ambizione, cupidigia. Trasformano gli uomini in bestie, li spingono gli uni contro gli altri, e tutti assieme verso l’inferno. Sono questi i veri demoni. Tutto il resto sono favole per spaventare i bambini e gli sciocchi. L’uomo saggio sa che cosa sono i veri demoni, dove vivono e di che cosa si nutrono, e come combatterli.

La tua spada ti sarà utile per difenderti dagli uomini già preda dei demoni, ma dovrai per prima cosa vigilare perché tu non diventi uno di loro. Hai capito?”

“Sì madre”

“Il cognome che ti ha dato tuo padre è il nome di colui che per primo cadde vittima dei demoni, Caino. Questo ti ricorderà ogni giorno della tua vita il rischio che la tua anima corre. Ma il nome che porti, piccolo mio, è quello del re più saggio che abbia mai regnato, e ti illuminerà la via anche nel momento più buio”

“Grazie madre.”

"Non dimenticarlo mai, figlio mio. Mai."

Un rumore improvviso. Il tetto della casa si aprì in un'esplosione di schegge di legno, rivelando un cielo rosso sangue, velato di nuvole nere. Ad un tratto Kane si trovò solo, in un paesaggio alieno e desolato. Tutto era scomparso. Tutto ciò che conosceva. C'era una figura in cielo. Una sagoma umana, con grandi ali da pipistrello. La osservò mentre volava a grandi cerchi sopra di lui, scendendo lenta ma inesorabile. Che poteva fare? Era disarmato, e poi era solo un bambino di undici anni, certamente più robusto dei suoi coetanei, ma sempre un bambino. Corse via, verso il nulla.

Fu inutile. Si sentì prendere e sollevare verso l'alto da due braccia robuste ma aggraziate, dalla pelle di un rivoltante colore grigiastro. Le mani terminavano con orribili artigli, affilati come rasoi. Cercò di lottare, di sfuggire alla presa del mostro, ma tutto ciò che riuscì a fare fu voltarsi e vedere in faccia il suo assalitore. Era Eva, che lo fissava con occhi da serpente colmi di lussuria e desiderio, passandosi una lingua orribilmente biforcuta sulle labbra socchiuse. Mentre con un braccio teneva stretto al suo corpo nudo la sua preda, con l'altra mano la creatura ne esplorava il corpo, accarezzandolo. Kane sentì le sue stesse mani iniziare a muoversi, contro la sua volontà, e scorrere su quell'orrida pelle, innaturalmente liscia, e accarezzare, stringere, palpare... Eva rideva, continuando a fissarlo negli occhi. Poi lei lasciò la presa.

Kane vide il suolo avvicinarsi a velocità spaventosa. Chiuse gli occhi, chiedendo perdono al Signore per essere stato così debole.

"Oh Dio Mio, cosa sei diventato?"

La voce della madre gli fece riaprire gli occhi. Era di nuovo, o ancora, in casa sua, ma la donna lo stava guardando con gli occhi carichi di terrore, balbettando confusa.

"Un demone, sei diventato un demone!"

Si guardò le mani. La sua pelle era diventata grigia. Orribili artigli, lunghi svariati pollici, stavano al posto delle sue unghie curate. Quando vide riflesso in uno specchio il suo volto diventato mostruoso urlò, spalancando le immonde fauci dentate.

 

Si risvegliò urlando. Il secondo incubo nel giro di pochi giorni. Era quasi l'alba e la luce del sole iniziava a diffondersi pigramente sulla città addormentata. Si lavò il viso con l'acqua di una bacinella, poi passò al resto del corpo.

Del sangue si mescolò all'acqua. Una delle ferite che si era procurato lottando con le misteriose braccia che erano comparse dal nulla sull'isola dei venti aveva ripreso a sanguinare, come se fosse stata fresca. Solomon Kane rabbrividì. Il discorso di Eva la sera precedente, quella creatura evanescente che aveva affrontato con Domenico... gli parve di scorgere come un disegno perverso e malvagio dietro a tutti questi fatti. E poi gli incubi. Non aveva mai avuto incubi, e neanche sogni così vividi e reali. Decise che non ci sarebbe stato nulla di male se avesse prolungato la sua preghiera della mattina. Gli altri avrebbero aspettato.

 

"Splendida giornata, non è vero piccoletto?"

"Già, l'ideale per andare a pescare e dormire in mezzo al mare sotto il sole tiepido. Anche il vento è quello giusto"

"Peccato che siano altri i motivi per cui prenderemo il mare, oggi. Ancora convinto di volere venire?"

"Certo! Per chi mi hai preso?"

"Credevo che le parole della ragazza ieri sera ti avessero turbato..."

"Ah, quelle? Favole, fantasticherie, fanfaluche! Ho girato il Mediterraneo in lungo e in largo per oltre dieci anni e posso dirti che se ci sono forze sovrannaturali che controllano la mia vita... beh, io non le ho viste!"

"Fai male a non credere ad altre realtà, mio piccolo compagno. Io credo alle parole della ragazza. E anche l'inglese ne è rimasto toccato. Dovresti avere più rispetto per ciò che non conosci e che non vedi."

"Usi parole sagge per uno che ha l'aria dell'avventuriero"

Era stata Eva a parlare. Era apparsa sul molo alle loro spalle, quasi all'improvviso, senza un rumore. Indossava una lunga tunica preziosamente ricamata, e portava ancora il velo sul volto e sui capelli. Dalla sua spalla destra pendeva una sacca di cuoio, piuttosto logora, dalla quale spuntava la rilegatura di un volume.

"Nelle mie terre rispettiamo gli spiriti e i demoni," rispose Moad, "e poiché farlo mi ha mantenuto vivo, mi sembra una tradizione da non abbandonare"

"Io invece sono un guitto senzadio," si schernì Creso, facendo passare una moneta sulle nocche delle dita. Un instante dopo la moneta era scomparsa.

"La mia vita dipende da me da quando ho sei anni," proseguì, "e quindi ho imparato a tenere gli occhi aperti ed essere sempre sveglio. Farlo mi ha mantenuto vivo, e questa mi pare una tradizione da non abbandonare..."

Eva sorrise, con un velo di amarezza. "Durante i miei viaggi conobbi un uomo che sosteneva che per quanto ci si alzi presto il proprio destino si è già alzato due ore prima"

"Ah sì? Allora è facile da individuare: è quello con la faccia stanca," celiò Creso, scambiandosi un'occhiata d’intesa con Moad.

"Sono felice che tu sia di buon umore, greco," fu la risposta di Eva, "avrai bisogno di tutto il tuo animo quando saremo su quell'isola. Dove è l'inglese? Non mi pare il tipo da arrivare in ritardo agli appuntamenti. Il sole è già sorto e lui non si vede."

Come se fosse stato evocato da quelle parole, da uno dei vicoli che davano sul porto emerse la sagoma di Solomon Kane. Era vestito di nero, sobriamente, con abiti comodi e resistenti: una camicia e un paio di pantaloni di tela spessa, e morbidi stivali privi di qualunque decorazione. La testa era coperta da un largo cappello, scuro anch'esso. Al suo fianco sinistro pendeva una spada lunga e diritta, mentre a sinistra portava un coltello lungo e resistente, l'ideale per parare i colpi. Infilate in una fascia di seta che portava in vita, un paio di pesanti pistole e una piccola sacca con polvere e pallottole. I lineamenti decisi del viso, il naso lungo e dritto e gli occhi gelidi sotto le sopracciglia nere denotavano quanto poco il suo animo fosse in quel momento, e in molti altri, disposto a perdere tempo in parole e scherzi. Vedendolo arrivare, sia Moad che Creso, sicuramente due dei migliori combattenti in quel momento ad Algeri, ringraziarono il fato che li aveva resi compagni e non avversari di un uomo che emanava una tale aura di pericolosità e determinazione. Non lo avevano mai visto combattere, ma erano entrambi abbastanza esperti per capire che il suo fisico era quello ideale per uno spadaccino, e che la freddezza che mostrava non era solo una maschera. Quell'uomo era nato per essere un guerriero, e lo sapeva, il che lo rendeva ancora più letale.

"Siete pronti?", chiese semplicemente Kane, mentre passando oltre ai tre si dirigeva verso la barca. Creso e Moad, raccogliendo i sacchi che contenevano il cibo e le loro armi, annuirono. Eva si limitò ad affiancare il puritano: "E tu sei pronto, Solomon Kane?"

Lui le gettò un'occhiata di ghiaccio, ma senza riuscire a impressionare quegli occhi che restavano sereni:

"Ho ritardato un poco per essere pronto del tutto. Se il Signore vorrà, usciremo vittoriosi da questo viaggio"

"Prega pure il tuo Dio, avremo bisogno di qualunque aiuto per uscire vivi da questo viaggio"

 

Salparono, e in pochi minuti veleggiavano già sospinti da un vento insolitamente sostenuto per quel periodo dell'anno.

"A questa velocità ci metteremo molto meno del previsto, Solomon Kane," urlò Moad all'inglese, cercando di coprire il rumore del vento che soffiava nelle loro orecchie.

"Già, molto meno del previsto," pensò tra sé Kane, notando che le altre navi sembravano andare molto più lente della loro. Guardò Eva, che stava parlando con Creso. Il greco stava cercando si sedurla, o così pareva a prima vista. Del resto, ora che senza velo sul volto, la sua bellezza si manifestava in tutto il suo splendore: aveva zigomi alti, labbra piene, un naso delicato e un mento aggraziato. Un osservatore attento quale era il puritano non poteva però non accorgersi che quello di Creso era tutto un diversivo per riuscire a sbirciare nella sacca di cuoio della ragazza, che lei teneva il più possibile chiusa. Creso cercava di abbracciare la ragazza, ma nel ritrarsi scostava un po' i lembi della borsa, poi la distraeva mostrandole una nuvola dalla forma particolare e dava un'occhiata dentro, e così di seguito. Non passò però molto prima che Eva si accorgesse di cosa stesse facendo veramente il greco, e allora, molto cortesemente, lo invitò a lasciarla in pace almeno per un po'. Dando le spalle alla ragazza, Creso mimò a Kane la forma di un libro; l'inglese fece cenno di avere capito e aggrottò la fronte. Un libro, in sé, è un oggetto. Il problema è cosa c'è scritto sopra.

 

La nebbia li avvolse senza preavviso, rendendo tutto grigio e silenzioso. Kane fu il primo ad accorgersi che qualcosa non andava:

"Questa non è nebbia! Sembra più che altro fumo o polvere, non c'è umidità, non fa freddo..."

"Sei acuto, inglese," rispose Eva, "e hai centrato il punto: questa non è nebbia, anche se le assomiglia. Siamo ormai vicini all'isola, e lontani da qualunque altro posto..."

"Cosa intendi dire, donna?"

"Quello che ti ho appena detto, Solomon Kane. Niente di diverso."

Il grido di Creso, improvviso:

"Guardate!"

Indicava con il dito una figura alata che volteggiava nella nebbia, sopra di loro.

Moad lo mirò con la sua pistola, ma Kane gli fece cenno di riporre l'arma, mentre l'apparizione si allontanava in un silenzio irreale.

"E' troppo lontano, faresti solo rumore inutilmente."

"Che cosa era?" chiese Creso.

"Non credo ti piacerebbe saperlo," fu la laconica risposta di Eva.

Kane si portò alla prua della nave, per riuscire a vedere meglio, ma la sua vista non poteva penetrare quel manto grigio, al punto che non riusciva più a vedere nemmeno l'acqua del mare, né ne poteva sentire il rumore. Si voltò a guardare i suoi compagni: i due uomini erano chiaramente inquieti, mentre Eva non pareva particolarmente stupita da ciò che stava accadendo. Cosa sapeva veramente quella ragazza? Chi era in realtà? All'improvviso, si sentì un colpo secco, come se la barca avesse toccato uno scoglio. Mentre Kane, Creso e Moad si guardavano intorno inquieti, Eva aveva una specie di leggero sorriso dipinto sulle labbra. La nebbia si diradò all'improvviso. Erano arenati in mezzo ad una pianura arida. Il cielo sopra di loro era rosso, e velato di nuvole nere. Sudore gelato iniziò a scorrere per la schiena di Solomon Kane.

Si voltò rabbioso verso Eva:

"Dove siamo? Rispondi chiaramente, o non vedrai sorgere un nuovo sole, strega!"

"Siamo esattamente dove volevi arrivare, Solomon Kane. Ti avevo avvisato, ieri sera, che non avresti trovato scogli pericolosi, o rifugi di pirati. Ora conviene iniziare a cercare la nave di Al Kazim," rispose saltando fuori della barca.

Kane e gli altri due uomini rimasero come paralizzati, guardandosi attorno.

"Ah," aggiunse la ragazza, "non prendetela come una minaccia, ma non so quanti di noi vedranno nuovamente sorgere il sole."

"Ma... come siamo arrivati qua? Voglio dire, non c'è traccia di mare, ma i fianchi della barca sono bagnati...", domandò Moad, raccogliendo la sua pesante spada ricurva e un piccolo zaino di cuoio. Prima ancora che Eva potesse rispondere, si intromise Creso, che era rimasto fino a quel momento silenzioso:

"Già, è molto strano come siamo giunti qui, come è strano che il vento abbia sospinto solo noi durante il viaggio. Che cosa c'è scritto nel libro che porti con te, fanciulla che sai molto più di quanto tu non dica?"

"Hai la mente sveglia e gli occhi acuti, greco... diciamo che quelli che volevano uccidermi come strega non avevano tutti i torti. Non si arriva in luoghi del genere solo viaggiando, se non si è invitati, e io ho fatto in modo che noi potessimo giungere qui. E prima che il nostro cupo amico si faccia venire idee strane, sarà bene che sappiate che solo io so come possiamo andarcene da qui. Soddisfatti della risposta?"

Kane scese rabbioso dall'imbarcazione:

"Per niente. Come ha fatto Al Kazim a giungere qui? E perché il suo corpo è stato restituito al mare? Ti ripeto, parla chiaramente, o morirai, anche a costo di passare il resto della mia vita in questo inferno!"

"Attento a come usi le parole, inglese, te 'ho già detto... la tua gente semplifica troppo certe situazioni. Comunque, le creature che dimorano in questi luoghi hanno bisogno dell'energia degli esseri umani per sopravvivere e attendere il momento in cui potranno tornare nel nostro mondo. Per questo, a volte attirano uomini nei loro covi, altrimenti inaccessibili. Evidentemente la nave di Al Kazim è passata da queste parti proprio mentre quest'isola aveva bisogno di nutrimento. In quanto a perché lui sia stato mandato indietro... non ne ho idea. Di solito nessun corpo viene rifiutato. Questo non so spiegarlo. Davvero."

Kane fece come un grugnito. "Sei stata chiara e convincente, nei limiti del possibile. Ora muoviamoci. Hai idea di quale direzione dobbiamo prendere?"

Eva socchiuse gli occhi, poi alzò il bastone. Restò immobile qualche secondo. Poi indicò un punto all'orizzonte.

"Muoviamoci," disse Kane.

 

Si resero conto in breve che qualcosa non andava. Il cielo, e il terreno, cambiavano colore in continuazione, assumendo spesso tonalità assolutamente irreali. Inoltre, non pareva esserci segno della presenza di alcuna forma di vita. Niente piante, niente insetti, niente uccelli, nulla. Solo un silenzio irreale, mentre marciavano su di una sostanza granulosa, simile alla sabbia. Non si vedeva in giro nemmeno una goccia d'acqua. Persero in breve il senso del tempo: non c'era il sole, semplicemente il cielo, se di cielo si trattava era molto luminoso, e le nuvole non impedivano il passaggio della luce.

Entrarono in una sorta di canyon, molto alto e piuttosto stretto.

Quando arrivarono in prossimità del primo relitto di nave, non riuscivano a credere ai loro occhi: lo scheletro di un grosso vascello si ergeva in mezzo alla desolazione, rovesciato su di un fianco. Non c'era traccia di cadaveri, solo sparpagliati qua e là oggetti, monete, armi, brandelli di vestiti. Il fasciame era rotto in più punti, come se creature gigantesche avessero ripetutamente colpito la nave, e talvolta anche morso il legno. Per quanto si sforzarono, non riuscirono a leggere il nome della nave, ma le monete erano tutte piuttosto recenti, coniate in Francia, a quanto pareva.

Si resero conto che erano entrati in una sorta di cimitero delle navi: c'erano relitti ovunque, navi di tutte le epoche e di tutte le provenienze. E nemmeno un cadavere. Solo oggetti. Creso rallentò di parecchio il suo passo, nonostante Kane avesse ordinato di non disperdersi per nessun motivo, cercando di raccogliere qua e là ciò che gli interessava. Moad si guardava in giro meravigliato: nessuno gli avrebbe mai creduto, pensava, quando avrebbe raccontato cosa aveva visto. Kane, invece, continuava a tenere d'occhio Eva, che li stava conducendo sicura attraverso quel grottesco cimitero senza corpi. Anche lui era stupefatto come Moad, ma cercava di non farlo vedere, preferendo concentrarsi sull'avvistare eventuali nemici in agguato.

Riconobbe subito la nave di Al Kazim, anche se era ancora molto lontana. L'albero maestro al quale era stato legato per la fustigazione era impossibile da dimenticare, per uno spirito fiero come il suo. Sentiva il sangue pulsargli nelle vene delle tempie, come un martello. "E' quella," disse sottovoce a Eva.

"Lo so," rispose lei, con una strana luce negli occhi, "prepariamioci. Potrebbero non avere ancora finito il banchetto."

Si avvicinarono lenti, con le armi in mano: Kane le pistole, Moad la sua gigantesca scimitarra, Creso una piccola balestra, Eva il suo bastone.

La nave di Al Kazim stava dritta sulla chiglia, non aveva avuto cedimenti. Dal lato dal quale si erano avvicinati, Kane poté notare che l'asse che aveva divelto non era stata riparata. Sparsi attorno, c'erano centinaia di oggetti, ma Kane non notò la spada di suo padre. Ne era certo, gli era bastato uno sguardo.

"Dobbiamo salire sul ponte, la spada non è qui," comunicò ai compagni. Creso tirò fuori dallo zaino una corda con attaccato in fondo un gancio.

"Nessun problema," disse, iniziando a roteare la corda per il lancio.

"Fermò!" gli intimò Moad, tremante, "Qualcosa si sta avvicinando!"

Si fermarono tutti, e sentirono un rumore che stava diventando sempre più forti, come di ali che sbattevano, e non solo.

"Arrivano," disse Eva. Non sembrava particolarmente sconvolta, solo registrava il fatto.

Il rumore veniva dalla loro destra. All'improvviso, in cima alla parete di roccia, comparve una creatura enorme, dotata di uno spaventoso paio di ali cartilaginose. Il suo corpo era grosso e tozzo, come quello di un verme, e non aveva un volto, solo un orribile foro dentato. A quanto pareva, non aveva nemmeno occhi o orecchie. Dietro di lui, si muovevano orribili ammassi informi di materia vivente, tutti dotati di viscide propaggini, che iniziarono a discendere per il canyon strisciando.

A Creso e a Moad il sangue gelò nelle vene. Cosa erano quelle aberrazioni? Non somigliavano a nulla che avessero mai visto in vita loro. Kane sentì qualcosa di strano: quelle mostruosità gli ricordavano ciò che aveva visto pochi giorni prima sull'isola dei venti, ma sentiva che non potevano appartenere alla stessa specie. Erano malvagi e un'offesa alla Creazione anche questi, ma in un modo differente, ancora più blasfemo e primordiale. Eva era l'unica che sembrava di sapere davanti a cosa si trovasse, e iniziò a salmodiare lentamente una cantilena in una lingua dagli strani suoni.

Poi, una strana voce risuonò nella mente di tutti:

"Alla fine sei giunta qui, mezzosangue"

Kane, Creso e Moad trasalirono: perché sentivano voci nella loro lingua natale?

"Non siete impazziti! Questa creatura immonda può comunicare con voi così, parlando alla vostra mente, e può leggere il vostro pensiero..." urlò Eva, interrompendo la recitazione del suo incantesimo.

La voce continuò:

"Per secoli sei stata una spina nel nostro fianco, Lilith, ma ora la tua vita è giunta al termine... sapevamo che non avresti resistito al desiderio di vendicare l'unico umano che ti abbia mai trattato bene. Ma ora, questa è la tua fine, e degli sciocchi che hai portato con te!"

"Non credere che sarà così facile, Krysh-Uytl! Non ho scelto a caso i miei compagni!", rispose Eva, e questa volta anche la sua voce risuonò nella mente dei suoi compagni.

Kane decise che non era il momento di porsi delle domande, ma di combattere. Se fossero sopravvissuti entrambi, avrebbe chiesto a Eva di dirgli tutta la verità. Ora, però, doveva occuparsi delle mostruosità informi che gli erano quasi addosso.

Sparò sulla più vicina con una pistola, e su quella immediatamente di fianco con l'altra. Il piombo rovente entrò con facilità dentro la carne viscida e grigiastra delle creature, causando la fuoriuscita di un nauseante liquame verdastro. Entrambe le creature smisero di muoversi.

Creso, nel frattempo, per quanto visibilmente terrorizzato, era riuscito a fermare un altro paio di mostri, ma tutti e tre si resero conto che era tutto inutile: dalla parete ne scendevano a decine, e presto li avrebbero circondati.
"Spalla a spalla!" gridò Moad, subito obbedito da Kane e Creso. Eva li guardò sorridendo, poi si liberò del velo che ancora portava sui capelli e stese le braccia in fuori. Dalla schiena le spuntarono due ali da pipistrello nere, e la sua pelle assunse una totalità grigiastra. Anche i lineamenti del volto cambiarono leggermente, diventando più affilati. Le unghie divennero artigli, i canini si mutarono in piccole zanne, gli occhi diventarono come quelli di un serpente, ora dai capelli spuntavano le punte delle orecchie, aguzze come quelle degli elfi delle fiabe che sentiva da bambino Kane. Con un gesto si liberò della tunica e rimase nuda, bellissima e terribile. Con un balzo si librò in volo, verso Krysh-Uytl.

"Lilith..." mormorò Kane. Eva era diventata lo stesso mostro che aveva sognato.

Non doveva pensarci. La sua mente doveva restare sgombra. La lama. I nemici. Il suo corpo. I compagni che lottavano con lui. Quello era il suo orizzonte. Quello e basta. Lottare. Sopravvivere. Qualunque cosa stesse accadendo, lui doveva vivere. Combattere. Al resto avrebbe pensato dopo, se sarebbe stato vivo. Non era questo che gli aveva insegnato suo padre, anni prima?

"Creso! Moad!" urlò, "Non guardatela! Combattete! Queste immonde creature sono il nostro nemico, ora! A lei penseremo dopo!"

La sua voce sembrò destare i due uomini dal torpore nel quale sembravano essere caduti: nei loro occhi tornò a scintillare la luce che distingue i veri combattenti dai normali uomini. Qualunque cosa fossero quegli ammassi di materia vivente che avevano davanti, li avrebbero fatti a pezzi, o sarebbero morti nel tentativo.

Fu un combattimento orripilante: da un lato l'acciaio luccicante e i muscoli allenati e guizzanti, dall'altro fetide propaggini carnose che terminavano in osceni artigli opachi. I mostri morivano facilmente, zampillando liquami verdastri e nauseabondi, ma per uno che cadeva due prendevano il suo posto. Sembravano non finire mai, e le braccia dei combattenti iniziavano a diventare stanche, mentre quelle creature non si fermavano un solo istante. In cielo, intanto, si combatteva un duello altrettanto impressionante tra Eva e Krysh-Uytl: il mostro cercava di colpire la donna con l'orrida lingua carnosa, che pareva usare come un tentacolo, mentre lei si gettava a mordere e lacerare quell'immondo corpo con zanne e artigli. Non era facile dire chi avesse la meglio, poiché quello fisico non pareva essere l'unico piano sul quale i due si stavano scontrando: di tanto in tanto uno dei due arretrava, senza essere stato toccato dall'altro.

"Dannazione inglese, sono troppi per tenerli a bada! Dobbiamo escogitare qualcosa!"

Creso aveva ragione: erano ampiamente circondati e sopraffatti per quanto riguardava il numero. A breve li avrebbero sommersi. Kane pensò in fretta a qualcosa. La strega. La strega e i suoi morti viventi. Guardò l'orrido demone che volava in cielo. Sorrise.

"Rompiamo l'accerchiamento! Dobbiamo fermare quella mostruosità, se vogliamo avere una speranza di farcela!"

"Ma come inglese? Come facciamo ad andarcene da qui?"

Moad rispose, questa volta:

"Lancia la tua corda sulla nave, piccoletto! Ci ripareremo lì!"

Creso si illuminò. "Copritemi," disse, e lanciò.

Il gancio si attaccò alla prima. Incurante degli artigli che lo colpivano, Creso controllò che la corda tenesse, poi spiccò un gran salto e si lasciò andare verso la nave. Sollevò i piedi e percorse appeso alla fune, radendo il suolo, il percorso che lo separava dal relitto. Ammortizzò con le gambe il colpo contro lo scafo e iniziò ad arrampicarsi. Alcune delle creature lo seguirono, mentre le altre continuavano ad accanirsi contro Kane e Moad, agitando le loro viscide propaggini verso di loro. Creso arrivò in fretta sul ponte della nave, tirò rapidamente su la corda e legò un peso all'altra estremità. "Arriva!" gridò, e la lanciò verso i suoi compagni.

Fu Moad ad afferrarla al volo. Kane gli diede un'occhiata, e il gigantesco berbero imitò i movimenti del greco. Creso lo guardò con il fiato sospeso giungere fino alla nave, e tremò, come tremò lo scafo, quando il corpo del guerriero si schiantò contro la fiancata. Moad parve rimanere intontito per un attimo, e una delle creature ne approfittò per aggiungere un altro taglio alla sua pelle coriacea, ma subito iniziò a scalare la nave. Doveva fare in fretta: Kane non avrebbe resistito ancora a lungo, per quanto Creso avesse iniziato ad aiutarlo da lontano con la sua balestra. Non solo. Le creature sembravano, seppure lentamente, in grado di arrampicarsi.

Kane si trovava invece nel genere di situazione che esalta gli animi come il suo. Solo, circondato dai nemici, sacrificatosi per il bene dei compagni. Le sue forze erano come moltiplicate da questo genere di avversità, e le sue braccia mulinavano fendenti potentissimi, disegnando archi d'acciaio nell'aria e nella carne dei demoni che aveva davanti. Il furore della battaglia si era impadronito quasi completamente di lui, e solo la voce di Moad lo strappò a quella sorta di delirio mistico: "Inglese!".

Vide arrivare la corda, la afferrò al volo e si fece trasportare da lei sopra quella massa di materia informe e ripugnante che tendeva verso di lui i suoi luridi artigli. Volava sopra di loro, ancorati alla terra, se terra era quella su cui strisciavano. Puntò le gambe contro il legno della nave e, tenendo la lama della spada tra i denti, si arrampicò rapido e silenzioso lungo la fiancata. Per un bizzarro scherzo del destino, si ritrovò a risalire sulla nave di Al Kazim dalla stessa apertura nel parapetto che lui stesso aveva praticato per fuggirne.

Guardò i suoi compagni, e immaginò se stesso: erano sporchi, graffiati e coperti di sangue e della sozzura dei mostri, probabilmente anche spaventati, nel profondo dei loro cuori, ma nei loro occhi ardeva ancora la fiamma della sopravvivenza. Avrebbero lottato fino all'ultimo.

"E ora che si fa?" chiese Moad.

"Dobbiamo abbattere quella cosa," rispose Kane, mentre cercava con lo sguardo la lama di suo padre sul ponte.

"E come?"

"Colpendola fino a che non smettere di muoversi. Solo il Signore non può morire, i demoni possono essere sconfitti, con la fede e l'acciaio"

Creso puntò la balestra contro il ventre gonfio e molliccio del verme volante e sparò un quadrello. Il colpo era facile, ma il corpo del demone si spostò all'ultimo istante, schivando il dardo. "Ma come?..." si chiese Creso.

"Risparmia i colpi," disse Kane, "ricordi cosa ha detto Eva? Può leggere la tua mente. Dobbiamo trovare un altro modo. O proteggere i nostri pensieri"

"E come?" chiese Moad

"Non ne ho idea, non ne ho idea, purtroppo."

Creso all'improvviso sembrò bloccarsi, mentre guardava verso l'alto, poi chiese:

"Inglese, la spada che cerchi ha per caso un'impugnatura percorsa da fili dorati?"

Kane restò un momento perplesso, poi alzò lo sguardo per vedere cosa stesse fissando Creso.

La spada di suo padre era conficcata sul dorso del demone, fino all'elsa. Qualcuno, impugnandola, era riuscito a fare quello.

Doveva trovare un modo per recuperarla. Doveva proteggere i suoi desideri, i suoi pensieri. Chiuse per un istante gli occhi, poi li riaprì. Aveva capito.

"Copritemi," disse semplicemente, mentre avanzava verso l'albero maestro della nave.

 

Era di nuovo nella casa dei suoi genitori. Non era su una nave sperduta all'inferno. Era al sicuro, tra robuste mura di pietra. Nessuna creatura poteva entrare. Suo padre era fuori, nei campi, sua madre era presso il focolare. Lui, solo, doveva andare nel granaio, e salire quella lunga scala, un piolo alla volta, piano piano. Gli piaceva pregare mentre lo faceva, salire come se stesse salendo verso il Signore. Perdere la cognizione di tutto ciò che aveva intorno, sentire solo rimbalzare in testa le parole bellissime e potenti delle preghiere e dei salmi, come se null'altro importasse, come se non ci fosse nient'altro al mondo. I demoni, i mostri, il male, tutti risucchiati all'interno dell'anima e là sconfitti dalla grandezza e dalla potenza della fede nel Signore che conduce gli eserciti e punisce i malvagi.

Era bello salire la scala del granaio, così simile a quella dell'albero maestro di certe navi che vedeva a volte al porto, e immaginare di essere sul grande mare, lontano mille miglia da qualunque costa, da qualunque luogo conosciuto, diretto verso l'ignoto.

 

Creso e Moad guardarono Kane salire l'albero maestro in silenzio, interrogandosi su cosa avesse in mente. Era disarmato, non aveva nulla con sé, sembrava quasi assente. L'unica a capire fu forse Lilith, che iniziò a spingere il suo nemico verso l'albero maestro.

Capirono solo quando Kane portò a compimento il proprio piano: giunto in cima, si rannicchiò e spiccò un balzo in avanti, verso la schiena di Krysh-Uytl. Lo videro restare sospeso in aria per un istante eterno, poi le sue mani si strinsero intorno all'elsa della spada piantata sulla schiena del demone. Fu allora che anche Krysh-Uytl capì, ma era ormai troppo tardi: Kane aveva iniziato a muovere la spada nella carne della bestia, causandone l'uscita di fluidi vitali. Approfittando dello smarrimento del suo nemico, Eva sferrò un violentissimo attacco alla sua ala destra, causandone il distacco. Il corpo dell'orrenda creatura, con Kane addosso, precipitò al suolo con un terribile fragore. Lo spadaccino non era stato ferito dalla caduta, ma il mostro sembrava incapace di muoversi: con lentezza, Solomon Kane estrasse l'arma dalla ferita, poi iniziò a colpire con violenza cieca il corpo di Krysh-Uytl, come se stesse macellando una bestia, cercando di stare lontano dall'orrida lingua con la quale cercava di ghermirlo. Perse la cognizione del tempo. Non capì per quanto infierì sulla carcassa, venne richiamato dalla voce di Eva:

"Solomon Kane..."

Si voltò con la spada in pugno, gli occhi infuocati di rabbia, le labbra compresse in una sorta di animalesca espressione di furia.

"Che cosa sei, immonda demonessa?" gridò alla ragazza, che nel frattempo aveva ripreso le sue fattezza umane.

"Non credo capiresti la mia storia, spadaccino. Io per te sono un demone, come ciò che abbiamo appena distrutto assieme, eppure quelli della sua razza hanno distrutto la mia razza, in un'altra epoca. Ho combattuto al tuo fianco, e ti ho permesso di recuperare l'oggetto al quale tieni maggiormente al mondo, e ancora mi consideri un nemico. Sei pronto ad uccidermi, vero?"

Kane sentiva la rabbia urlare dentro di sé, voleva che quella creatura smettesse di esistere, ma sentiva allo stesso modo che le sue parole erano ragionevoli. La lasciò proseguire.

"Io sono in parte in essere umano, e in parte no. Mia padre era quella che tu chiameresti una demone, e mio padre era figlio di un elfo e di un'umana. Vengo da un mondo lontano, oltre il velo del sonno, e sono stata esiliata su questo mondo, che voi chiamate Terra, da tempo immemorabile. Quando giunsi, gli uomini erano giovani, ed ebbero paura di me. Il mio nome, Lilith, divenne temuto, e odiato. Dovetti fuggire, nascondermi, rinunciare all'amore. Avevo perso tutto. Ero sola in un mondo straniero, sconosciuto, ma avevo tempo per imparare. Scoprii la guerra che era stata combattuta qui, come i miei simili erano stato distrutti da queste oscene creature, e come queste non erano state totalmente sconfitte dagli uomini. Mio padre mi aveva insegnato l'amore per i più deboli, e voi siete più deboli rispetto a me. La mia missione è diventata fermare questi immondi distruttori e i loro seguaci, ma per questo sono sempre stata chiamata strega, e ho rischiato la vita. Per difendervi. Per proteggervi, piccola, giovane e sciocca razza... Ora io ho avuto la mia vendetta verso chi ha ucciso l'unico uomo che abbia avuto un moto di pietà verso di me, e tu hai avuto ciò che cercavi. Perché mi odi ancora? Perché?"

Eva iniziò a piangere, cadendo in ginocchio. Kane non sapeva che cosa fare. Non aveva capito molto del suo discorso, ma sentiva che qualunque cosa fosse quella ragazza, meritava di vivere. Sentiva qualcosa dentro di sé che gli urlava di ucciderla, ma era una voce malvagia, distorta, rotta da un odio folle e insensato. Era stanco. Si rese conto che era tutto finito, che quella ragazza, qualunque fossero il suo nome e la sua natura, aveva lottato con lui, si era dimostrata fedele e leale. Non era più il tempo di combattere.

Non si avvicinò:

"Ragazza, alzati e asciuga le tue lacrime. Dobbiamo andare via di qua. Richiama i miei compagni e facci tornare ad Algeri. Qualunque cosa tu sia, pregherò Dio che illumini il tuo cuore e ponga fine alle tue sofferenze, in qualche modo. Se una maledizione pesa sul tuo capo, ti auguro che venga presto dissolta. Devi essere pazza, o forse questo luogo rende pazzi gli uomini, e fa vedere cose che non esistono. Andiamocene."

Eva si tirò su, e iniziò a chiamare Creso e Moad, che, vedendo che era nuda, accorsero ben felici al suo richiamo, trascinandosi dietro un pesante sacco dal quale traboccavano oggetti in oro e altri materiali preziosi.

 

Kane non ricordò mai esattamente come tornò nella sua stanza ad Algeri. Solo, con lui c'era nuovamente la spada del padre, e la vaga sensazione di avere sconfitto più di un solo demone, in quello strano e allucinante viaggio. Non rivide mai più Creso e Moad.

 

NOTE

 

Terza parte di una saga in due parti (!), questa storia chiude alcuni fili lasciati in sospeso dalla storia precedente. Sparsi qua e là ci sono un po' di omaggi a Lankhmar, Guerre Stellari, Lovecraft (ovviamente!) e al mio gruppo di AD&D di Genova.

Lilith è infatti la figlia mezzo-demone-un-quarto-umana-un-quarto-elfa del mio bardo mezz'elfo di quella campagna (e il suo nome, oltre che quello della prima moglie di Adamo - una succube! e lui l'ha rifiutata! ma siamo pazzi? Avete idea di che si nutrono le succubi?!? - è anche un'omaggio alla moglie di Tex Willer). In questa storia mi è piaciuto immaginare che sia finita in tempi remotissimi sulla Terra, dando origine alla leggenda sulla sua omonima, e che abbia assunto i panni di protettrice degli esseri umani dalle immonde creature alle quali faceva già riferimento negli episodi scorsi Azriel.

Il mostro volante alla fine è ripreso da un vecchio platform game, anche se là non aveva le ali. Qualcuno se ne ricorda?

Alla prossima!!!

(e questa volta sarà davvero prossima, cioè vicina…nel prossimo aggiornamento, riuscirà Solomon Kane a sconfiggere la minaccia del Gongoro? Un epico scontro, prossimamente su MarvelIT!)