di Alessandro Vicenzi

#4 - PER SOLA GRAZIA (parte 2 di 2):

L’isola dei venti

 

Kane era stato legato all’albero maestro della nave, e Al Kazim stesso si aggirava alle sue spalle, con una frusta in mano. L’equipaggio, raccolto sul ponte della nave, rumoreggiava.

Gli uomini del pirata reclamavano la morte dell’infedele che aveva osato sfidare il padrone, mentre i compagni di remo tenevano lo sguardo basso, sentendosi complici e colpevoli dell’imminente distruzione di quell’uomo.

Il puritano non pensava.

Cercava di tenere la sua mente sgombra da qualunque emozione, attendeva l’esplosione del dolore sulla carne come una fortezza assediata attende l’impatto di un esercito contro le sue mura. Sarebbe morto, probabilmente, ma nessuno avrebbe sentito aprirsi le sue labbra, né per invocare pietà né per gemere di dolore. Sarebbe stato uomo di poche parole in morte come lo era stato in vita.

Trascorse un tempo indefinibile, poi Al Kazim, finalmente, parlò, levando la sua voce stentorea sopra il brusio del ponte:

“Cristiano, hai tradito la mia fiducia. Io ho dato a te e ai tuoi compagni la possibilità di affrontare la morte da uomini liberi. Avrei potuto lasciarvi incatenati al remo, e lasciare che i morti viventi vi divorassero la carne brano a brano, e non l’ho fatto. Vi ho slegati. Vi ho armati. Avete combattuto al fianco dei miei uomini. Ma tu hai cercato di uccidermi, dopo che io avevo fatto sì che tu avessi salva la vita. Per questo, la pena è la morte”

Ci fu un esplosione di gioia da parte della ciurma. Kane chiuse gli occhi e strinse i denti. Un boato alto e feroce percorse la nave, seguito da un incitamento ritmico. Qualcuno mise mano alla spada, sperando di potere essere lui il boia. Al Kazim rimase in silenzio, una pausa studiata mentre misurava a larghi passi il ponte, sorridendo appena sotto la barba. Dopo qualche istante, però, alzò un braccio reclamando il silenzio.

“Tuttavia,” proseguì “è altresì vero che dobbiamo la nostra vita a quest’uomo. Lui ha fermato i demoni. Ha messo in fuga la strega. Ha abbattuto con la sua lama un gran numero di mostri. Ha dato ai rematori la forza di combattere. Egli è un miscredente e un traditore, ma di grande valore, e come tale va rispettato. No, non sarà Muhammad Ibn Al Kazim a porre fine alla vita di quest’uomo. Sarà una vita da schiavo presso qualche padrone in Africa. La mia mano si limiterà a insegnargli l’umiltà  a nerbate. Il cuoio mangerà la pelle della sua schiena, fino a che questa non sarà una mappa di sangue. Così ho detto.”

Questa volta il boato fu meno forte. Gli uomini acclamarono lo stesso il loro capo, ma con meno convinzione. Avrebbero voluto vedere morto quell’uomo, sotto i cui colpi molti loro compagni erano caduti, pochi giorni prima. Kane, dal canto suo, quasi sorrideva. Il dolore non lo spaventava. Dalla schiavitù avrebbe trovato un modo per fuggire, se il Signore aveva così deciso per lui. Al Kazim avrebbe potuto piagare la sua carne, ma non avrebbe mai raggiunto il suo spirito.

La prima frustata arrivò improvvisa. Tutto il corpo del puritano si contorse in uno spasmo di dolore, ma nessun suono uscì dalle sue labbra, per quanto Al Kazim sembrava essere piuttosto abile nelle arti della tortura. La mente di Kane era però concentrata in altri luoghi, su altre vicende. Poteva avvertire il dolore come qualcosa che si fermava ai confini esterni del suo corpo, incapace di intaccare il suo io. Non avrebbe implorato pietà, non avrebbe urlato. Aveva cose ben più importanti di cui occuparsi. Stava progettando la fuga. Sapeva che non sarebbe sopravvissuto a una notte sulla nave. Aveva ucciso troppi dei compagni di quegli uomini per non aspettarsi una vendetta. Doveva fuggire, in qualche modo, scivolare in mare e sperare che le correnti lo trascinassero verso una qualche spiaggia o che una nave cristiana lo raccogliesse. Nel frattempo, i colpi continuavano a cadere sulla pelle dell’Inglese, disegnando una fitta ragnatela di sangue sulla schiena muscolosa. Allo schioccare della frusta si accompagnavano le voci dei marinai che lodavano Allah, e quella di Al Kazim che contava a voce alta.

Ma Kane taceva.

I suoi occhi, come le labbra, restavano serrati, i muscoli delle braccia erano contratti ad abbracciare l’albero maestro. Il dolore iniziava a diventare enorme, insopportabile. Resistere diventava ad ogni secondo più difficile. Iniziò a vedere, nel buio, immagini irreali. Demoni. Spettri. Morti viventi. Per un istante fu sul punto di urlare, poi una nuova visione, questa volta di Cristo flagellato, si compose davanti ai suoi occhi chiusi. Sorrise, impercettibilmente, e iniziò a recitare silenziosamente il Padre Nostro. Le parole furono come un balsamo. Lentamente, il dolore si stava trasformando in estasi mistica. Capiva. Aveva sbagliato. Aveva peccato di superbia. E stava venendo punito. Sopportò il resto del supplizio accompagnato dal conforto della preghiera. Quando Al Kazim smise di colpirlo – il pirata era coperto di sudore, e il braccio destro gli doleva per il grande sforzo - Kane lasciò andare tutti i muscoli, e rimase in piedi solo grazie alle corde che lo stringevano. A fior di labbra, sussurrò “Grazie Signore per avermi insegnato l’umiltà”.

Poi svenne.

 

Madra si risvegliò. Il corpo le doleva, aveva anche alcuni tagli. Aprì lentamente gli occhi, e vide che era tornata nel suo tempio, sulla sua isola, al sicuro. Gli spiriti del vento la avevano trascinata fin lì. In maniera piuttosto rude, certo, ma l’avevano salvata. Voleva dire che Azriel aveva ancora bisogno di lei. Si rialzò, a fatica. Lo spadaccino si era rivelato un avversario temibile. Un’anima pura e incorrotta dal Male, ma anche talmente forte da non farsi piegare né dalla prigionia né dalla visione dei morti viventi. Era riuscito ad abbattere i suoi servitori migliori. La sua cattura sarebbe stata una grande vittoria, per Madra. Sarebbe stata in grado di  distillare dalla sua anima abbastanza nutrimento per riportare Azriel sul piano dell’esistenza materiale…

La preda era sfuggita alla prima trappola, ma non avrebbe avuto scampo la volta seguente, si promise. Si incamminò verso l’interno del tempio, una costruzione sfarzosa che sorgeva su di un picco dell’isola, a strapiombo sul mare. Aveva ospiti, quella sera, e doveva ancora prepararsi a dovere.

 

Dolore. Ovunque. Ogni pollice della pelle di Kane urlava. Era stato slegato dall’albero, e gettato in un angolo del ponte. Attorno a lui, la nave aveva ripreso la sua normale attività. Nessuno si era curato di medicare le sue ferite. Sapeva che lo avrebbero fatto, ma non subito. La punizione consisteva anche in questo. Doveva sentire il dolore restare attaccato alla sua pelle come il fango, scavare sempre più in profondità nella carne, verso il cervello, verso il cuore, scorrere nelle vene come piombo fuso, come lava. Provò a muovere una mano, lentamente, alzare le dita. Nulla. Solo un improvvisa fitta. Al dolore si sommò il terrore. Forse quella era davvero la fine. Sapeva che se non fosse riuscito a fuggire in fretta, sarebbe morto, ucciso per vendetta. Ma come poteva fuggire se non poteva muoversi? Per il puritano, non c’è mai sicurezza della salvezza, della vita eterna della propria anima. Solo il Signore lo sa. L’uomo può solo limitarsi a cercare nella sua vita segni della predestinazione. Agire nel mondo per cercare barlumi della grazia, assegnata da Dio sin dalla nascita, ma non a tutti. I cattolici possono pure affannarsi per compiere azioni buone, o per compierne di cattive salvo poi pentirsi sul punto di morte, i protestanti no. Muoiono con al massimo una debole fiducia nella salvezza, poiché la vita ha risposto favorevolmente ai loro sforzi.

Rabbia. Sarebbe morto così? Con la gola tagliata da un cane cui aveva ucciso il compagno d’arme? Ucciso da un pirata, un senzadio, un infedele, su di una squallida nave pirata, dopo essere sopravvissuto a ben altri pericoli? Non poteva, non doveva essere. Uno sciacallo non può uccidere un leone. Un velo di lacrime gli si formò sugli occhi, poi si raccolse in due grosse gocce che scesero lungo le guance, bruciando sui tagli del viso, causati dallo sfregamento contro il legno dell’albero maestro.

Poi vide.

Una delle assi che formavano la fiancata del ponte era allentata. Sarebbe bastato poco per romperla e scivolare in mare, usando lo stesso legno come un galleggiante. Se lo avesse fatto durante la sera, quando i demoni avrebbero festeggiato con canti e balli, forse nessuno si sarebbe accorto del rumore. Forse c’era una speranza. Forse quello era un segno mandato dal Signore. Forse lui aveva ricevuto la Grazia. O comunque gli era concesso di vivere ancora.

Doveva solo dimostrare di esserne degno.

Tentò di nuovo di muovere la mano.

Dolore.

 

Dolore.

 

Dolore.

 

Movimento.

La mano si mosse, debolmente, ma si mosse. Kane stava lottando contro un nemico formidabile, ma sentiva di non essere da solo. Per gli uomini normali, la Fede è un mero rifugio, la speranza di una vita migliore dopo la morte, o la giustificazione divina di ciò che fanno e delle cariche che ricoprono. Per Kane era diverso. Per Kane la Fede era un pozzo da cui attingere nuove e inaspettate energie, inaccessibili ai più. Nelle sue vene sentiva ora tutto il sangue versato nei secoli per ribadire e divulgare la parola del Signore, lo sentiva cacciare via il dolore, la fatica, la rassegnazione. Non era più sul ponte di una nave, nel Mediterraneo. Era Sansone legato alle colonne del tempio. Era Giosuè che combatteva mentre Mosè teneva alto il braccio con il bastone di Dio. Era Cristo che rovesciava i banchi dei mercanti davanti al tempio. Era uno dei difensori di Munster, ed era tutti i martiri che il mondo aveva conosciuto nei secoli a venire.

Questo sforzo per riconquistare il proprio corpo durò fino a sera. I marinai vedevano solamente i prigioniero muoversi e contorcersi nel proprio sangue, in silenzio, e presero questo come un segno della sua pazzia e della sua imminente morte naturale. Al Kazim lo fissò a lungo. Da quando aveva riscoperto la fede aveva cambiato il suo giudizio su quell’uomo. Ora lo invidiava. Avrebbe voluto essere come lui. Puro e determinato. Forse lo avrebbe preso come suo schiavo, per apprendere dal suo esempio. Comunque, lo avrebbe sempre tenuto nella sua mente come esempio.

Quando arrivò la sera, dopo le preghiere, i festeggiamenti ebbero inizio. C’era musica, e cibo rispettoso del Libro; tutte le bevande alcoliche erano state bandite, e anzi gettate fuori bordo. Gli uomini festeggiavano la loro gioia di essere ancora vivi, Al Kazim la sua nuova vita sotto lo sguardo di Allah.

Anche Kane festeggiava. Il suo corpo, per quanto indolenzito e sanguinante, era di nuovo sotto il suo controllo. Iniziò ad avvicinarsi all’asse rotta, la tastò con una mano per saggiarne la resistenza, poi la divelse con un gesto rapido e secco. Dovette reprimere un grido per il dolore che lo sforzo gli aveva procurato, ma raggiunse il suo scopo: ora, sulla fiancata della nave c’era una finestra, larga e bassa, che dava sul mare. Era abbastanza spaziosa per farci passare attraverso il suo corpo magro e sottile, e il mare produceva abbastanza rumore da coprire il suo tuffo. Scivolò verso l’apertura, tenendo tra le mani l’asse divelta, e guardò giù. Trasse un gran respiro, e si lasciò cadere tra le onde.

 

Madra poteva dirsi soddisfatta. Il rito di quella notte si stava rivelando fruttuoso. Nel tempio, sui lussuosi tappeti stesi sul marmo, sulle panche di legno pregiato, contro i preziosi affreschi e i raffinati arazzi, ovunque, corpi nudi di uomini e donne si stringevano gli uni agli altri, riempiendo l’aria di gemiti e sussurri.

Non era stato difficile trovare un culto ad Azriel, in quelle terre. I mercanti di schiavi le avevano permesso l’acquisto di molte ragazze da iniziare, volenti o nolenti alla venerazione del demone, e i numerosi porti della zona fornivano uomini di mare più che desiderosi di praticare una simile forma di devozione religiosa. Con il tempo, poi, si era potuta permettere di selezionare più accuratamente la propria “clientela”, ora scelta tra capitani di navi, nobili, mercanti, e via discorrendo.Grazie alle larghe donazioni fatte da questi, aveva trovato il modo di abbellire il tempio e procurarsi oggetti di culto nei più disparati porti del mediterraneo. Aveva alle sue dipendenze bande di avventurieri incaricati di frugare tombe e rovine che lei indicava. Riuscire a riportare Azriel alla forma terrena era oramai solo questione di tempo, ne era convinta. Quella con lo spadaccino inglese era stata solo una disavventura temporanea…

“Soddisfatta dell’esito del rito, figlia mia?”. La voce la fece voltare di scatto. Era Azriel. Nel suo tempio, durante i riti, poteva comunicare con lei molto più facilmente. Era apparso come una figura intera, dal corpo scultoreo e il viso bellissimo e perverso.

Madra abbozzò un sorriso.

“Sai bene, mio adorato, che sarò soddisfatta solo quando il tuo corpo e i tuoi pieni poteri ti saranno restituiti, e questo giorno non è lontano.”

Gli occhi del demone si velarono di tristezza.

“Non ne sono più così sicuro. Quest’oggi quell’uomo che ci è sfuggito mi ha turbato. La sua forza e la sua fede sono un grande pericolo. Non è il genere d’uomo che abbandona una caccia, o che si rassegna a fare da preda. Lo temo, e temo per la tua vita, mia adorata.”

Tese le braccia come a volere stringere a sé Madra, ma tutto ciò che poté fare fu passarle attraverso. Si guardarono entrambi sconsolati. La sacerdotessa cercò di dire qualcosa, ma il demone la zittì.

“Sento che questa notte qualcosa si è messo in moto. Grandi emozioni sono in azione. La forza dell’animo umano mi ha sempre affascinato. Il vostro cuore è così simile al nostro… così carico di potere e di volontà. Niente a che vedere con gli immondi che hanno seguito la nostra autodistruzione, così freddi, capaci solo di distruggere e insozzare, carichi della loro fame meccanica, automatica.”

Madra sorrise, cercando di tranquillizzarlo.

“Non ti preoccupare, mio signore. Nulla può accadere questa notte. La spiaggia è sorvegliata da uomini armati, e un soldato come il barone De Roiz è il loro capitano. Nessuno si può avvicinare al tempio senza perire. Il rito si svolge nella più assoluta sicurezza.”

Una voce dalle spalle dei due interruppe quel dialogo:

Magistra! Uno dei vostri ospiti mi ha pregata di darvi questo”

A parlare era stata un’ancella, vestita di una corta e sottile tunica bianca. Reggeva in mano un medaglione, delle dimensioni di una grossa moneta, di metallo arrugginito. Sulla sua superficie erano incisi segni, come lettere di una alfabeto antico, simili forse al greco. Non sembrava avere un qualche valore, se non quello di essere antico. Madra prese l’oggetto dalle mani della ragazza e la congedò bruscamente. Rigirò tra le sue mani il dono un paio di volte, poi sorrise. Un altro importante pezzo era stato recuperato.

“E così il medaglione di Hef è tornato a casa,” sussurrò Azriel nelle sue orecchie. La sacerdotessa lo guardò con gli occhi che bruciavano di una gioia perversa.

“Sì mio signore. Il medaglione di Hef è di nuovo dove dovrebbe essere. E anche le stelle lo sono. Questa notte potremo già tentare il rito. Ho una vittima sacrificale adatta, nelle segrete.”

Alcuni applausi lenti e solitari fecero voltare i due. Da in fondo al corridoio si stava avvicinando un uomo, in abiti da viaggio, ma non privi di una certa eleganza, in particolare il largo cappello piumato. “Ma che scena commovente, mia signora. Mi inchino davanti a voi, signore delle tenebre,” disse, rivolgendosi prima a Madra e poi ad Azriel.

“Le Bouef! Dunque siete voi che avete ritrovato il medaglione!” disse Madra.

“Già. Spero di averlo ripulito dal sangue, non si è trattato di una transazione d’affari propriamente pulita. Ma mi sembra che nessuno qui abbia nulla contro l’uccidere dei religiosi,” rispose quello, sorridente. Aveva un viso piuttosto giovane per la sua età, e anche il suo corpo si era mantenuto robusto e scattante. Il suo vigore, unito a una totale mancanza di scrupoli lo aveva reso uno degli uomini di mare più temuti del suo tempo.

Fu Azriel a rispondergli:

“Sarai ricompensato per i tuoi servigi, non temere… solo attendi il tempo…”

Togliendosi il cappello, il pirata fece un profondo inchino a entrambi. “Con il vostro permesso, vado a godermi la ricompensa immediata, per i miei lunghi viaggi. Non vedo l’ora di togliermi di dosso questi abiti.”

   

Silenzio. Il mare di notte, lontano dalle coste. Silenzio. Non una voce. Kane era aggrappato da qualche ora ormai alla sua asse. L’acqua salata aveva lavato le sue ferite. Aveva fatto male, certo, ma solo all’inizio. Ora era solo, libero e solo, lontano da tutto e da tutti, e assaporava questo nuovo sentimento, a lui totalmente sconosciuto. Lentamente, il contatto con la natura aveva cancellato in lui ogni proposito di vendetta. E se fosse questo, si chiese per un attimo, il modo di essere? Se fosse questo abbandono, questa non curanza, questo lasciarsi trasportare? Era ritornato in sé in un attimo.

Il rumore, in lontananza, ma in avvicinamento, di remi che sbattevano in acqua. Voci. Una canzonaccia marinara, ma non musulmana. Cristiani. Forse era salvo. Si sbracciò, gridò. Le voci tacquero, poi chiaramente la barca venire verso di lui. Attese.

 

Più braccia sollevarono Kane dal mare, e lo issarono dentro una barca, una grossa barca da pesca, carica di uomini. La luce delle lanterne illuminava i loro volti, e non erano certamente i volti di pescatori, quanto piuttosto quelli di uomini d’arme, nei cui occhi brillava l’acciaio, avvinghiato alla morte. Visi di europei, di cristiani, comunque. Tra di loro spiccava colui che sedeva di fronte a Kane, il cui volto sembrava fatto apposta per ispirare fiducia e comandare uomini.

Fu il puritano il primo a parlare, usando la lingua franca in uso in quella porzione di Mediterraneo:

“Mi chiamo Solomon Kane, sono un inglese. A chi devo la mia vita?”

“A qualcuno che ti offre la possibilità di ricambiare il favore rischiando la tua vita questa notte stessa. Il mio nome è Domenico dei Fieschi, esule da Genova, ultimo rimasto della mia stirpe, caduta sotto la mannaia dei Doria. Siamo in armi, diretti verso l’isola dei venti, poco lontano da qui, per liberare da un’ignominiosa schiavitù la mia cugina, madonna Elisa, catturata mesi fa da pirati musulmani, e rivenduta alla signora di quell’isola.”

Il sangue di Kane ribollì nelle vene, e giunse ad infuocare di sete di vendetta i suoi occhi feroci.

“Se è così, il mio braccio è al tuo servizio, genovese. Le ferite che decorano il mio corpo sono state causate da sciacalli della stessa razza dei rapitori di tua cugina, dalle cui grinfie sono sfuggito questa notte stessa. Sarò onorato di combattere per rimediare al male da loro commesso.”

Il Fieschi rise, amaramente.

“Se le tue mani daranno lo stesso tormento ai nemici che i tuoi occhi promettono, la vittoria sarà senza dubbio nostra! Ma dimmi, che cosa ci fa un inglese in questi mari?”

Kane raccontò, per sommi capi, il suo esilio, le sue avventure, le ultime concitate settimane. Tralasciò di raccontare dei morti del mare e della strega che li comandava, per timore di non essere creduto, e poi si distese per riposare un poco, con il beneplacito di Domenico.

Si risvegliò dopo un tempo indefinito. Si sentiva stranamente riposato, ma allo stesso tempo eccitato. La possibilità di cogliere così rapidamente una qualche vendetta gli faceva scordare il dolore, sentiva il sangue pulsargli nelle vene. Gli uomini accanto a lui avevano lo stesso sguardo determinato, la stessa volontà di agire, di non restare immobili ad attendere gli eventi. Per la prima volta da molto tempo, Kane si sentì, in qualche modo, a casa.

 

Il grande salone era stato preparato per il sacrificio. L’altare nero era stato ricoperto da un telo di un bianco immacolato, gli ospiti e le ragazze erano stati fatti rivestire, e ora attendevano, in silenzio.

Nessuno, neppure le ancelle, sapeva esattamente che cosa dovesse attendersi da quella notte. Non erano state date molte spiegazioni. Semplicemente, Madra si era affacciata dalla balconata, e aveva annunciato che i divertimenti erano da considerarsi sospesi, e che tutti dovevano rivestirsi e prepararsi per assistere al rito che sarebbe stato officiato quella notte. Gli uomini armati che le stavano dietro avevano convinto tutti a obbedire in tempi rapidi.

Ragionevolmente rapidi in alcuni casi.

Madra apparve all’improvviso, dal fondo della sala. Era splendida, vestita di una tunica di seta aderente che allo stesso tempo nascondeva, mostrava ed esaltava il suo corpo. Più di uno degli invitati rimpianse con un sospiro di non avere mai potuto godere, non importa quale fosse stata la cifra offerta, di quel corpo. Il corpo di Madra non era destinato agli esseri umani, ma ad Azriel soltanto. Chi la aveva iniziata al culto aveva visto in lei la prescelta, colei il cui amore avrebbe potuto richiamare il demone dal suo esilio. Madra aveva toccato corde profonde nel cuore del suo signore, e lui la aveva ricompensata salvandole la vita quando il culto era stato estirpato dall’isola di Malta, procurandole un rifugio e delle ricchezze, rischiando di mettere a repentaglio la sua stessa esistenza nello sforzo che ciò gli aveva comportato.

La sacerdotessa avanzò, bella e terribile. Stringeva in una mano un pugnale, dalla lunga lama ricurva e nera. Sul petto superbo portava il medaglione di Hef, ora ripulito e lucente. I capelli erano tenuti fermi da un sottile cerchietto d’oro, ma cadevano fluenti sulle sue spalle immacolate.

Avanzò, ieratica e solenne, fino all’altare. Il tempo pareva essersi fermato. Nessuno dei presenti avrebbe saputi dire quanto durò la solitaria processione. Nel silenzio, ogni respiro era come un boato. Chi lo comprese, seguì gli avvenimenti trattenendo il fiato.

Alla fine, Madra giunse all’altare. Vi appoggiò sopra il coltello, poi si voltò verso la folla di astanti, e sollevò le mani al cielo. Poi, parlò:

“Fratelli. Sorelle. Il momento che abbiamo atteso per anni è infine giunto. Questa notte, Azriel camminerà nuovamente tra di noi. L’energia dei vostri corpi che si univano in suo nome non sarebbe mai bastata, lo sapete, ma ora finalmente sono entrata in possesso del medaglione di Hef. Questo, sommato al potere del pugnale della regina di Saba, ci permetterà di strappare alla sua orribile prigione il Signore dei Sensi.” Nel dire l’ultima frase, sollevò al cielo il pugnale con un gesto teatrale e studiato. I fedeli applaudirono. Qualcuno iniziò a cantilenare il nome del demone. Madra lasciò che esultassero ancora un poco, poi li zittì con un vigoroso movimento delle braccia. Accennò un sorriso. Batté una volta le mani.

“Portate la vittima,” disse, semplicemente.

 

“Non sarà una passeggiata, inglese,” disse Domenico Fieschi, “sei sicuro di volere venire? Le tue ferite sembrano ancora fresche.”

Kane fece un cenno, si fece passare una spada e una pistola carica. Guardò il genovese.

“Il dolore mi aiuterà a tenermi vigile e attento. Ho una vendetta da compiere, ricordalo. Non vi permetterò di lasciarmi qui.”

Il Fieschi abbozzò un sorriso.

“Sei un uomo coraggioso, Solomon Kane. Se tu avessi un gemello simile a te vi porterei entrambi con me a liberare Genova dal giogo dei Doria e dei loro discendenti, ma vedo nei tuoi occhi che hai già le tue battaglie da combattere. Prendi queste. Sono foglie che vengono dal Nuovo Mondo. Masticale lentamente, ti aiuteranno a sentire meno la fatica. L’impresa che ci attende questa notte è rischiosa e visionaria, ma è l’unica via che possiamo percorrere per giungere alla vittoria.”

Kane masticò in silenzio le foglie e ascoltò attentamente le parole del guerriero.

“L’isola sulla quale dobbiamo recarci ha un facile approdo, una spiaggia, ma questa è di solito sorvegliata da uomini in arme. L’unica altra via per giungere al luogo dove è rinchiusa mia cugina è quella della scogliera sull’altro versante dell’isola. Si tratta di rocce acuminate e irte, e la scalata non sarà semplice, né breve. Tuttavia, non si attendono un assalto da quella parte. Li coglieremo di sorpresa. Moriranno come scarafaggi.”

Kane aggrottò le sopracciglia.

“Chi sono i nostri nemici?”, chiese.

“L’isola è sede di un culto immondo e blasfemo, dedicato a una qualche divinità blasfema e lussuriosa, uno dei residui della paganità,” rispose Domenico, e ogni parola pareva costargli fatica.

Kane annuì grave. “Capisco,” disse.

“Il loro capo,” disse infine Domenico, “è una donna. Una strega. Dotata di grandi poteri.”

Al buio, nessuno vide Kane sorridere come un lupo a queste parole.

 

La ragazza venne condotta nel salone. Era intontita, come se la luce dalla quale veniva inondata fosse qualcosa che lei ricordava solo lontanamente. La tunica candida che portava non riusciva a nascondere i segni di una lunga prigionia, la pelle dall’aspetto malato e coperta di piaghe. I capelli le erano stati spazzolati alla buona, ma lo stesso sembravano fatti di stoppa. Tuttavia, c’era qualcosa nello sguardo della giovane donna che niente avrebbe probabilmente mai potuto distruggere: un’aura di fiera nobiltà, come se fosse stata una regina in ceppi, o un angelo catturato dalle legioni infernali e portato al cospetto del Diavolo in persona.

Alzò gli occhi del colore dell’acciaio e li fissò in quelli di Madra.  La sacerdotessa trasalì. Non le era mai capitato nulla di simile, mai una vittima sacrificale aveva osato tanto. C’erano fierezza e ferinità in quello sguardo. Senza le mani legate, senza la debolezza fisica causata da una lunga prigionia, probabilmente la ragazza le sarebbe saltata alla gola, e le avrebbe strappato gli occhi dalle orbite prima ancora che lei fosse stata in grado di pronunciare una sola formula arcana… Ma non sarebbe mai successo. Ancora pochi minuti e sarebbe stata morta, la vittima finale dedicata ad Azriel. La sua anima candida e allo stesso tempo potente e volitiva sarebbe stata canalizzata dal pugnale della regina di Saba, e poi passata nel medaglione di Hef. Da lì Azriel se ne sarebbe cibato, senza che nulla andasse sprecato. A quel punto, sarebbe tornato al mondo fisico, infrangendo le barriere della prigione eterea nella quale era stato rinchiuso. Sì, ancora pochi minuti, e tutto sarebbe finalmente finito, o per meglio dire iniziato.

Madra rispose con un sorriso malvagio allo sguardo della ragazza.

“La tua vita sta per terminare, piccola impertinente,” le disse, sibilando tra i denti, “gioisci piuttosto dell’onore di morire per permettere ad Azriel Signore dei Sensi di tornare su questa terra!”

La ragazza rise. Non così forte che gli altri astanti potessero sentirla, ma abbastanza perché Madra lo percepisse come un sacrilegio alla sacralità del momento.

“E così è per questo che muoio? Per i folli deliri di una lasciva serva del demonio? Da dove vengo io, bruciamo le streghe. Forse in queste terre le usanze sono diverse, ma temo che il tuo destino non sarà diverso, concubina di Satana!”

Questa volta fu Madra a sorridere.

“Trovo patetica la tenacia con cui voi cristiani vi affannate a distruggere ciò che non potete comprendere… Peccato che questa notte sarai tu a morire, e non io!”

Poi, alzò la voce, in modo tale che tutti potessero udirla:

“Questa fanciulla è pura, e la sua anima è forte, come la sua fede. Io stesso l’ho appena provato. Lei fornirà al nostro signore l’energia di cui lui necessita per liberarsi!”

Ci fu un boato di urla selvagge. I fedeli non potevano nemmeno immaginare che come Azriel si sarebbe manifestato nella sala avrebbe risucchiato le loro energie vitali per aumentare il suo potere. Madra sì, e non riuscì a trattenere un debole sorriso.

Battè le mani.

“Portate la bevanda sacra”.

Un’ancella giunse con una coppa dorata, istoriata di preziosi. Conteneva un infuso di erbe che avrebbe gettato la vittima sacrificale in uno stato di parziale incoscienza, allo scopo di prevenire sue eventuali reazioni violente. Richiamato da un cenno, Le Bouef si fece avanti e strinse le guance della vittima così che fosse costretta ad aprire la bocca, rimanendo anch’egli turbato dalla fierezza degli occhi della ragazza. Molti dei suoi uomini non avevano quella ferocia negli occhi. Prima quella ragazza sarebbe morta, meglio sarebbe stato per tutti. Per un attimo immaginò quale avversario potesse essere un uomo nelle cui vene scorresse lo stesso sangue. Quando Madra ebbe finito di colarle il liquido in gola fu più che felice di potere tornare al suo posto tra i fedeli, lontano da entrambe quelle terribili donne.

La droga fece effetto quasi subito. La ragazza iniziò a vacillare e venne fatta stendere sull’altare coperto dal drappo bianco. Respirava affannosamente, inghiottiva l’aria rabbiosa, come se avesse voluto prepararsi ad urlare, ma non emetteva alcun suono. Madra iniziò a recitare le formule preparatorie per incantare il pugnale della regina di Saba, mentre le sue ancelle gettavano il contenuto di  varie ampolle sui piccoli bracieri di bronzo che stavano alle sue spalle. Le parole iniziarono a salire l’una sopra l’altra. Era l’inizio della fine.

 

Elisa iniziò a pensare che questa era veramente la fine. Da quando era stata catturata dai pirati musulmani non aveva mai seriamente pensato che non avrebbe mai più rivisto la sua terra natale. Sapeva dell’amore fraterno che suo cugino Domenico nutriva per lei, sapeva del suo coraggio e della sua rettitudine. Era certa che l’avrebbe cercata in qualunque parte dal mondo, anche sulle coste del Nuovo Mondo. Ma ora si rendeva conto che forse era davvero finita, che non c’era più spazio per la speranza, la sola cosa che l’avesse sostenuta fino a quel momento. La bevanda aveva reso tutto colloso, sentiva e vedeva come in un incubo e non un singolo muscolo del suo corpo rispondeva alla sua volontà di alzarsi e fuggire via da quella follia. Non capiva più da quanto tempo la donna sopra di lei stesse cantilenando le sue preghiere blasfeme, ma quando cessò di parlare ed afferrò un lungo pugnale preziosamente lavorato capì che non c’era più scampo. Che non avrebbe più rivisto il mare, le colline e i muri di pietra, non avrebbe mai più sentito i canti delle barche dei pescatori o lo sciabordio delle onde quando ritirandosi muovono i sassi sulla battigia. Pianse una lacrima invisibile per tutto ciò che non avrebbe mai più rivisto e per ciò che non avrebbe mai conosciuto, per i figli che non avrebbe mai generato… Quando il braccio della sacerdotessa iniziò a calare armato verso il suo petto, affidò l’anima a Dio e chiuse gli occhi.

 

CRACK!

Nella grande sala immobile e muta, lo sparo riecheggiò come le campane dell’inferno. Un fiore rosso sangue esplose sulla tunica di Madra, all’altezza della spalla destra. Il pugnale le cadde di mano, e rimbalzò sul pavimento.

In piedi, fiero, sulla balconata si stagliava Solomon Kane, con la pistola ancora fumante e puntata. Al suo fianco, con la spada sguainata, stava Domenico Fieschi. Accanto a loro, altri cinque uomini armati di sciabole e pistole.

Madra impallidì nel rivedere lo spadaccino, e per di più dentro il suo tempio.

“Ci incontriamo di nuovo, strega,” ruggì Kane, “e questa volta sono curioso di vedere come farà il Demonio a salvarti! Libera la ragazza, e dì a questa gente di non muoversi, se non vogliono incontrare da vicino il Diavolo che voi venerate!”

“Libera subito mia cugina, cagna immonda, o il prossimo colpo sarà alla tua testa!”

Le Bouef sbiancò e cercò di fuggire dalla sala, per raggiungere lo stanzino dove aveva lasciato le armi, e avvisare De Roiz e suoi uomini che presidiavano la spiaggia, nel caso non avessero udito nulla. Corse via, tenendosi il più possibile tra la folla, e riuscì a guadagnare l’uscita, nonostante un colpo di pistola sparato da Domenico, che finì però la sua corsa sul marmo del pavimento senza causare altri danni.

“Dannazione! Tra poco qui sarà pieno di uomini armati!”, urlò Domenico. Poi, rivolto ai suoi:

“Andate a difendere la porta e a tenere d’occhio i fedeli! Io e l’inglese andiamo dalla strega.”

Bloccata dal dolore dietro l’altare, Madra stava cercando di capire come fossero potuti entrare nel tempio quegli uomini. Poi, mentre si avvicinavano, guardò le loro mani e le loro vesti, e capì. Avevano scalato la scogliera. Avevano osato l’impossibile ed erano riusciti nell’impresa. Erano arrivati su in sette, ma sicuramente avevano perso dei compagni. Non erano avversari da sottovalutare, tale e tanta era la loro determinazione. Rivolse una silenziosa preghiera al suo signore perché la proteggesse.

Fu Kane il primo a raggiungerla, mentre Domenico si occupava di scuotere la cugina dal torpore in cui si trovava. Nessuno dei fedeli aveva osato una benché minima reazione, e ora tutti, circa una ventina tra uomini e donne stavano in silenzio in un angolo della sala, sotto il tiro di uno dei soldati di Domenico.

Lo spadaccino fissò con disprezzo la strega ferita, la sua pelle nuda, i suoi occhi gonfi di paura e odio. Peggio ancora di una comune meretrice, costei non aveva venduto il suo corpo a un uomo, ma la sua anima al principe dei Demoni. Puntò una pistola carica contro di lei e le gridò in faccia:

“Allora, strega, cosa hai da dire a tua discolpa? Verrai presa e portata davanti a un tribunale cristiano dove sarai giudicata per i tuoi orribili crimini e condannata a morte! Il tuo signore ti ha abbandonata, non è così?”

“NO!” urlò qualcosa alle spalle sia di Kane che di Domenico. I due si voltarono di scatto, il genovese abbandonando la cura della cugina per un istante, e si trovarono di fronte un uomo alto e magro, dal volto simile a quello di un rettile, con due lunghe corna ritorte sulla fronte che si avventava contro di loro, tendendo le orride mani artigliate e aprendo la bocca in un muro di fauci acuminate. Anche il suo sesso aveva un aspetto blasfemo, come un lungo tentacolo con un artiglio affilato sulla cima. Madra capì. Un’apparizione così realistica e terribile non poteva che costare uno sforzo enorme ad Azriel, e lei non poteva permettere che andasse sprecata in quel modo. Mentre i due uomini scaricavano nel vuoto le loro pistole (ma nelle loro menti videro le pallottole mordere e forare la carne), lei dimenticò il dolore e la paura, e con un solo balzo afferrò il pugnale e lo piantò nel cuore di Elisa. La lama penetrò facilmente nella carne, spaccando il cuore della ragazza. Kane vide la scena con la coda dell’occhio e si voltò con la spada sguainata, cercando di colpire Madra con un fendente. Prima che la lama incontrasse il collo della strega, però, qualcosa la deviò. Una mano dall’aspetto inumano era apparsa a mezz’aria e aveva fermato la spada. Azriel aveva iniziato a manifestarsi. Madra si allontanò precipitosa, mentre le braccia solide del demone duellavano con le lame di Kane e di Domenico. Aveva bisogno di qualche tempo ancora per recitare la formula che avrebbe passato l’anima di Elisa dal pugnale al medaglione, e da lì ad Azriel, che per mantenere quel minimo di solidità stava risucchiando l’energia dei suoi iniziati, che iniziavano a cadere al suolo esanimi. Domenico combatteva con le lacrime negli occhi e la rabbia nel braccia, ma per quanto lo tagliasse e lacerasse quel braccio diafano non pareva fermarsi, e lo stesso accadeva a Kane. D’improvviso, caduto anche l’ultimo dei fedeli, anche il genovese posto a loro guardia cadde a terra. Fu allora che Kane realizzò che Madra stava recitando un altro incantesimo, e poté immaginare che conseguenze avrebbe avuto questa volta. Scambiò un’occhiata con Domenico, e si capirono con la muta complicità che unisce gli uomini d’arme di tutto il mondo.

L’inglese si sganciò dalla lotta, mentre il suo compare lo copriva, e si diresse verso Madra. Questa volta la donna era del tutto indifesa e Azriel non aveva abbastanza forza per spostare la sua apparizione. Con un solo affondo, la lama ricurva di Kane percorse il petto della donna, nelle vicinanze del cuore, e spuntò dalla schiena. Rimasero un instante così, uniti da un metro di buon acciaio spagnolo, con gli occhi pieni di lacrime della donna che guardavano imploranti quelli dell’uomo, come se Kane avesse avuto a quel punto la possibilità di restituire a Madra la vita che le fuggiva via. Lo spadaccino fissò quegli occhi con lo sguardo determinato di chi sta distruggendo un pericolo mortale per sé e per il mondo, poi tirò via la spada e il corpo cadde a terra con un gemito. Nello stesso istante, le braccia demoniache sparirono. I due guerrieri si guardarono. Erano sporchi di sangue e feriti, ma sapevano che non era ancora finita, che non era ancora il tempo di piangere i morti. Una battaglia infuriava anche fuori di quella sala. Con un cenno, corsero fuori.

 

Madra era a terra, agonizzante. Il viso di Azriel apparve di fronte a lei, bellissimo e tristissimo.

“Non guardarmi, mio signore, ho fallito. Per colpa mia rimarrai imprigionato. Ero l’ultima delle sacerdotesse, e ho fallito.” Lo sforzo causato dal pronunciare queste parole le provocò uno sbocco di sangue. Azriel le sorrise. Probabilmente, avesse avuto un corpo, le avrebbe pulito il sangue dalle labbra e le avrebbe accarezzato i capelli corvini.

“Ho ancora pochissima energia, poi cadrò in un sonno simile alla morte, forse per millenni. Posso creare ancora per un instante una forma corporea ridotta, e sarà per te, mia amata. Ho sentito per anni l’amore che hai nutrito per me, e l’ho sempre ricambiato. Scivoleremo insieme nell’oblio, amore mio”

L’ultima cosa che Madra sentì prima di morire furono le labbra di Azriel, morbide e profumate, che si appoggiavano delicatamente sulle sue in un bacio.

 

Quando l’alba sorse, pochi uomini erano rimasti in vita sull’isola dei venti. Kane era tra questi. Ferito, stremato, affamato ma vivo. E felice di esserlo. Fiero di avere incontrato uomini come Domenico e i suoi compagni, tre dei quali erano caduti negli scontri. Insieme avevano lottato e sofferto, loro avevano salvato a lui la vita, e lui aveva più volte salvato la loro durante quella notte. Tutti gli avversari erano caduti, per ultimo il pirata Le Bouef, che aveva duellato a lungo contro Domenico. Era stato uno scontro leale ma durissimo, tra due uomini molto diversi ma anche molto simili, come fossero stati le due facce della stessa medaglia. Tutti avevano udito le ultime parole di Le Bouef:

“Non mi ha ucciso la tua lama, genovese, né quella del tuo compare inglese o quelle dei tuoi amici. Mi ha ucciso la vostra lucida pazzia. Avete creduto in un sogno, in una follia, e l’avete portato avanti. C’è una forza in voi che viene da lontano. Avete agito come se aveste voluto vedere fino a che punto potete spingervi, se da qualche parte c’è una rete pronta a prendervi. Sembra che non vi importi della vostra vita. Il giorno che non troverete nessuna rete, penserete che sarò stato giusto così, che non meritavate di vivere…

Bah, che idiozia… che idiozia…che id…”

 

Kane era rimasto seduto a fissare il mare, forse aveva dormito qualche minuto e aveva sognato l’Inghilterra. Domenico gli posò una mano sulla spalla, da dietro.

“Siamo pronti a partire, Kane”

In silenzio, Kane si alzò, guardò ancora una volta il tempio che finiva lentamente di bruciare e poi si diresse verso l’imbarcazione che lo attendeva.

Al suo fianco, pendeva una lama non sua. Sapeva chi aveva la sua, e sapeva che presto sarebbe stata di nuovo nella sue mani.

 

FINE

 

 

Note:

 

Giusto un paio di cenni a cosine sparse qua e là…

 

LA CONGIURA DEI FIESCHI

Gerolamo e Gian Luigi de’ Fieschi, tentarononì insieme nel 1546 la congiura contro la Repubblica di Genova allora governata da Andrea Doria (il quale non ha però alcuna carica ufficiale di governo), il quale aveva appena messo sé stesso, e di conseguenza Genova al servizio della Spagna, essendo scaduto il suo contratto con la Francia. La congiura finisce malissimo (nonostante un appoggio da parte del Papa): Gian Luigi muore cadendo in acqua con indosso un’armatura mentre cerca di prendere il porto (ma negli scontri muore Giannettino Doria, nipote di Andrea), mentre non si verifica l’auspicata rivolta popolare (ci vorranno i nazi-fascisti per fare veramente smuovere i genovesi, che infatti si liberano da soli ben prima del 25 Aprile 1945, facendo trovare alle truppe alleate una città perfettamente funzionante!). Il conte Gerolamo Fiesco si rifugia nel castello di Montaggio (alle spalle di Genova, in una zona che era storico feudo della famiglia) e accetta l’indulto del senato, a patto di ritirarsi dalla città. Quando però Andrea Doria ritorna a Genova (si era infatti allontanato per sicurezza ai primi disordini), costringe il Senato a revocare l’indulto e mettere i Fieschi al bando. Non pago di ciò, prepara un esercito per assediare la rocca di Montaggio. Sulle prime gli assediati, protetti da una notevole potenza di fuoco, sembrano avere la meglio, poi il tradimento dei mercenari del Fiesco, che non ricevono la paga da settimane, permette ai genovesi di entrare nel castello da una galleria nascosta (e da dove altrimenti?).

Ovviamente è una strage.

Il conte Fiesco viene catturato e decapitato (in un prato dove di solito vado a giocare a calcio con gli amici dopo le grigliate, ovviamente tutti ubriachi marci), vuole la leggenda con una sega da boscaiolo a cui veniva dato un colpo ogni mezz’ora.

Il castello di Montaggio viene minato e fatto saltare, e oggi ne rimane un bellissimo rudere purtroppo assolutamente impossibile da tenere curato a dovere… sigh.

Non ho notizie storiche di discendenti dei Fieschi in esilio, ma mi pareva un’idea plausibile e interessante mettere Kane a fianco di un altro esule (e tra l’altro Andrea Doria mi è sempre stato piuttosto antipatico!).

 

LE FOGLIE DI COCA

 

Eh sì, come i più attenti tra voi avranno notato Kane mastica foglie di cocaina prima di entrare in azione. Onestamente non so se all’epoca, siamo alla fine del XVI secolo, la cosa fosse molto plausibile, ma nemmeno demoni e streghe lo sono, no? Comunque, fino a che non troverò fonti certe, sarà un episodio isolato, giuro!

(tra l’altro è un omaggio più o meno inconscio al personaggio di Gary Oldman in Leon di Luc Besson!)

 

CITAZIONI E VARIE

 

Ad un certo punto si fa riferimento alla città di Munster e al suo assedio; chiunque volesse saperne di più può leggere il bellissimo romanzo di Luther Blissett, Q (Einaudi, oppure scaricabile gratis da www.wumingfoundation.com).

 

L’ultima parte della storia, da quando entra in scena Elisa in poi è stata scritta ascoltando pezzi dei Beholder, dei Theatres des Vampires, degli Elvenking, degli Opeth e dei Crying Steel. Benché non ci siano citazioni esplicite nel testo, la canzone Lilith Mater Inferorum dei Theatres des Vampires può essere un ottimo sottofondo alle scene del sacrificio.

 

Mancano alcune scene di lotta alla fine, ma per scelta precisa. I più curiosi potranno leggere sull’edizione DVD (Peter Jackson insegna!). ;-)

 

Il CRACK! della pistola è uno dei suoni fumettistici che preferisco, e mi è piaciuto usarlo al posto di un abusato BANG!

 

Azriel è ispirato ai bellissimi demoni di Tantith Lee, e prima o poi, giuro, espliciterò meglio la storia di lui e dei suoi simili, così come quella degli “immondi” a cui fa riferimento (ma uno di questi immondi è già apparso nel primo episodio di questa serie…).

 

Credo che l’idea di infilare in mezzo alla storia un culto orgiastico mi sia venuta in mente leggendo Berserk di Kentaro Miura.

 

“Un metro di buon acciaio spagnolo” è la parafrasi di un’espressione che si trova sovente nelle storie Marvel di Conan il Barbaro.