parte uno di enne

 

La Guardia dell’infinito 19bis

di

Giuseppe Felici rossointoccabile

 

Le guardie mi trascinano

portando sulle spalle un maiale.

Il maiale si porta, l’uomo si tira al guinzaglio.

Ho Chi Minh

 

Romogok dei centurii contempla il luogo in cui si trova. È accosciato, sostanzialmente lacero e in catene.

La stanza che condivide con altri cento individui di innumerevoli specie è fredda. Il pavimento, che viene lavato due volte al giorno con potenti getti di acqua fredda, trasuda umidità e lerciume.

La nuda pietra è il loro solo giaciglio e ognuno di loro ha a disposizione per muoversi solo lo spazio che gli consente la catena che porta al collo.

Nulla di più.

Romogok sta riflettendo. Il più nascostamente possibile, con tutte le barriere psichiche che sa innalzare, ma sta riflettendo.

Il suo ultimo pasto era diverso dalla broda schifosa che gli hanno propinato fino a ieri.

Perfettamente in grado di saziarlo. L'ha gia visto succedere altre volte, l'ha capito dagli sguardi famelici dei suoi compagni di sventura. Se non fossero legati con la catena, alcuni di loro, quelli che sono li dentro da più tempo e che hanno più fame, l'avrebbero certamente aggredito, per contendersi i pochi avanzi.

Fra poco verranno per fargli fare una doccia. Così sparirà dalle loro vite.

Le leggende fra gli schiavi vogliono che questo accada perché sei stato comperato. Non intendono consegnarti al tuo nuovo padrone affamato e lacero. Non sarebbe una buona pubblicità.

Qualunque sia il suo destino, sparirà, per loro. Che lui sappia nessuno è mai tornato. O, per lo meno, non ha conosciuto due schiavi che sono tornati li contemporaneamente.

No, in realtà non ha conosciuto due schiavi che siano tornati li.

La stella d'oro non è più il centro del commercio galattico di schiavi, non lo è da tempo. Hanno fatto il passo più lungo della gamba, hanno aspirato troppo in alto, ad affari troppo colossali.

E sono stati spazzati via per questo.

Oramai il loro mercato ridotto tratta solo merce invendibile su altre piazze o sfigati capitati li per caso.

Lui è stato venduto da un contadino kree che si era indebitato con la gente sbagliata troppo lontano da casa.

Un ex-militare, a giudicare dalle ferite che sfoggiava, ma comunque un contadino così ingenuo da aver contratto debiti in una zona della Via Lattea che i kree non li temeva neppure quando erano una potenza militare. Una potenza militare di una piccola e distante galassia straniera.

La pesante serratura metallica stride, quando la chiave fa girare i suoi meccanismi mal lubrificati.

- Centurii, alzati e appoggia le mani al muro. -

Le grosse manone ruvide che gli piegano le braccia per ammanettarlo dietro la schiena non fanno presagire niente di buono. Finalmente sente il pesante collare ossidato che viene sganciato dalla catena.

- Voltati e cammina, ti diremo noi dove andare. -

Non è riuscito a vederli in faccia. Non che importi, poiché sono soliti portare una pesante maschera di cuoio e metallo, sia davanti agli schiavi che ai clienti.

Molto attenti all'immagine (e all'anonimato).

Una grossa lucertola squamosa con un cappuccio di cuoio o una grossa formica con il cappuccio di cuoio.

Se non fosse drammaticamente reale, stimolerebbe il suo senso dell'umorismo. Ma è stato schiavo troppo a lungo, seppure non per periodi continuativi, per averne ancora uno.

Non dopo aver visto il suo mondo devastato, non dopo aver patito schiavitù e sfruttamento.

- Faccia al muro. - Sente che attaccano il suo collare ad una nuova catena. Poi gli tolgono le manette.

Qualcuno getta un pezzo di sapone in terra.

- Fai in fretta, non abbiamo tutto il giorno. -

Poi un getto d'acqua gelida lo colpisce all'improvviso, prima ancora che riesca a spogliarsi.

 

La piccola navetta non è stata costruita per lunghi viaggi. Quando è partito dalla stella d'oro, dopo aver venduto Romogok e tutti i suoi averi, tranne la navetta, tutti hanno capito che il suo debito era stato contratto in un sistema vicino, non certo nella galassia kree, a meno di preventivare un lungo viaggio con decine di scali.

Ma la cosa peggiore è stato trattenersi dal reagire agli sberleffi degli sssth.

Malgrado siano sostanzialmente barbari dediti alla rapina e al saccheggio, si considerano dei grandi guerrieri.

Malgrado siano stati sbaragliati, e con facilità, da un solo individuo, che ha causato il crollo e, quasi, la fine del loro commercio con i vrellnexiani, non perdono occasione per sbeffeggiare chi considerano uno sconfitto.

Ha dovuto sopportare così tante battute sulla virilità kree da poterne riempire un libro.

Due libri.

*Basta con le bambinate, ho cose più serie da fare* pensa mentre si infila nell'hangar che si è aperto al suo approssimarsi.

La colossale nuova nave, appena uscita dai cantieri rigelliani, dove è stata radicalmente ristrutturata nello scafo, così da essere totalmente irriconoscibile, risponde ancora al nome di Yamato.

È un nome glorioso e questo è tutto ciò che importa.

Mentre raggiunge il ponte di comando si toglie in pochi stracci del suo travestimento da contadino, rimpiazza la camicia con la parte superiore di una divisa da capitano dell'esercito kree, scegliendola tra svariate, di vari gradi, che il robot di servizio gli tende.

Indossa, sopra questa, un leggero esoscheletro da battaglia e copre il tutto con una cappa.

Poi si toglie la benda dall'occhio, scoprendo le cicatrici e l'innesto cibernetico ad altissima tecnologia che lo sostituisce.

- Bene, - Arr-Lo si rivolge agli ufficiali che si sono voltati al suo ingresso – ci attende un lungo e difficile viaggio. L'infezione ha gia iniziato a propagarsi. -

 

Sprofondato nella colossale poltrona il gigante giallo-arancio verifica i sistemi d'arma.

Quella nave, nella sua precedente forma, aveva tenuto testa, per una lunga, interminabile ora, all'intera prima flotta skrull, schierata a protezione del pianeta capitale.

Non proprio quella, una dello stesso modello, probabilmente dalla stessa potenza.

Usata da un pazzo il cui solo scopo era portare preventivamente la distruzione su chiunque poteva, a suo avviso, costituire una minaccia alla pace universale.

Non ha mai visto nulla di così incommensurabilmente potente.

Eppure non sarebbe bastato quando una forza della natura in forma umanoide (ma era veramente la sua forma?) decise di cancellare il suo mondo dalla realtà, di nutrirsene, come faceva da innumerevoli millenni con i mondi abitati.

Non sarebbe bastato quando il pianeta che i pochi sopravvissuti avevano eletto a loro nuova dimora decise di cibarsi di loro, di integrarli nella sua struttura pulsante di vita.

*Potrei anche essere l'ultimo della mia specie, i pochi altri potrebbero essere svaniti in qualche altro grottesco cataclisma e io esserne all'oscuro.*

Probabilmente non basterebbe neppure contro i loro alleati, che l'hanno rubata dal pianeta arsenale del pazzo furioso, prima di distruggerlo.

Pargo, l'imponente colosso dall'apparenza rocciosa, uno degli ultimi di una razza i cui membri più prestanti fisicamente erano (e sono) in grado di scontrarsi da pari a pari con gli dei, riflette mesto sulle creature inarrestabili ed enigmatiche che accompagnano la loro lotta.

Esseri la cui potenza può distruggere pianeti.

Le cui trame sono tese a rubare gli attributi alle entità.

Le cui arti sono atte a tenere antichi dei oscuri al di fuori del cosmo.

*Cosa mai li attrarrà in noi?*

Preso da così meste riflessioni, mentre le sue mani e i suoi occhi volano da strumento a strumento, non sembra notare la figura che si avvicina, silenziosa, alle sue spalle.

 

K'till di Debebola sa muoversi in silenzio, quando vuole. Anche quando incede maestoso, i suoi passi sono leggeri come l'aria.

Se fai parte dell'opposizione ad un governo oligarchico, in un pianeta la cui popolazione, oramai sull'orlo dell'estinzione, è di poco superiore ai 200 abitanti, questa caratteristica è essenziale.

- Impressionante, non trovi? -

- Credevo che nessuna tecnologia potesse impressionare voi deonisti. -

- Per favore, non chiamarmi col nome della corrente politica che ha causato la morte della mia specie.

Non seguiamo più quella fede. Anche se millenni di devastazione tecnologica hanno oramai reso sterile il nostro mondo, cerchiamo di renderlo di nuovo fertile. Lo spazio non ci manca e l'energia, se improntata al risparmio, per mantenere in vita le macchine necessarie a 200 persone può tranquillamente venire dal sole.

Comunque hai ragione. Siamo stati abituati a pensare per millenni che non esistessero tecnologie più avanzate della nostra, o per altri versi dei colonizzatori rigelliani. Ma, seppur improntata alla pura distruzione, questa nave è in grado di sorprendere anche me.

Sono molte le specie che hanno raggiunto uno sviluppo ben superiore a quello necessario a realizzare ogni singola componente di questo gioiello di morte, ma nessuna era mai riuscita, o aveva mai tentato di realizzare qualcosa di simile. -

- Quindi non è perfezionabile? -

- Come dicevo, è impressionante per la grandezza che dimostra al solo scopo della distruzione. Ma presenta molti gradi di arretratezza. La cosa, è molto comune in chi si concentra su questo barbaro passatempo. I sistemi energetici possono essere perfezionati in modo da non sovraccaricare i motori quando si spara con il cannone principale, i replicatori alimentari riprogrammati per generare cibo appetibile, gli alloggi ristrutturati per accogliere forme di vita meno inclini a vita assolutamente spartana. Possiamo fare migliaia di migliorie, alcune forse troppo costose, per le nostre possibilità, ma resterà sempre una nave da guerra, una macchina concepita solo per la morte e la distruzione.

Ho nostalgia della nostra nave. -

- Che aveva bisogno di essere riparata ed è troppo nota per affrontare questa missione. Costruire le nostre alleanze richiede un ampliamento dei nostri obiettivi iniziali. Non possiamo più considerarci pirati e contrabbandieri. -

- Vero. Ma avresti mai immaginato, quando solo pochi mesi fa ci siamo imbarcati nell'impresa di far espatriare due oppositori kree, che saremmo stati coinvolti in una cosa folle come la conquista della galassia? -

- Amico mio, rabbrividiresti sapendo cosa riesco ad immaginare. Ma non mi sembra che il progetto al quale stiamo partecipando sia etichettabile come “conquista della galassia”. Non stiamo cercando il potere, stiamo cercando la libertà. È un po' diverso, non trovi? -

- Si, è diverso. Sono solo scosso dall'improvviso cambiamento della nostra vita. E, non lo nego, dalla cattiva fama di gran parte dei nostri alleati. -

- Ahahahahah. Perdonami, amico, ma questo, detto da un pericoloso pirata sanguinario, ricercato per crimini che, per lo più, non sapeva neppure di aver commesso, è esilarante. -

 

Il nuovo padrone è umano, nel trattamento dei suoi schiavi. Tiene ai suoi possedimenti e non tollera che si usurino per incuria, sua o di altri.

Conosce bene il significato della gerarchia, ha infatti preteso di parlare, uno per uno, con i nuovi acquisti[i], in presenza del mastro degli schiavi.

Ha dato ordini precisi ad entrambi, in presenza di entrambi.

- Sei l'ultimo arrivato, ti tocca il compito di buttare la spazzatura. Non è un lavoro troppo duro, ne fuori dalla tua portata. Fallo bene e farai carriera. -

Romogok si trova, per la prima volta, davanti all'impianto di smaltimento.

Li arriva lo scarto del lavoro e della vita di centinaia di schiavi, impegnati nell'improvvido compito di sfamare altre centinaia di padroni fortemente pecunio-dotati.

Data la natura della lavorazione, la gran parte dei rifiuti sono di natura organica. Essi vanno accuratamente separati e raccolti in appositi cassoni in cui possono essere indotti, con l'aggiunta di speciali composti del tutto naturali, a sviluppare il giusto ed equilibrato processo di putrefazione che ne farà dell'ottimo fertilizzante.

Lavoro che, seppur sostanzialmente automatizzato, è considerato troppo degradante per essere eseguito da individui liberi.

Da ciò la necessità dell'uso degli schiavi.

Romogok riflette sulla forte differenziazione del livello di barbarie che si riscontra nelle varie società della galassia mentre entra nella cabina asettica dell'impianto, stretta e circondata da una serie di complessi pannelli, pieni di manometri, leve e pulsanti, tutti, comprensibilmente, inattivi.

Si siede davanti alla tastiera, accende il sistema. Sullo schermo compaiono, dopo un tempo di caricamento apprezzabilmente breve, gran parte degli strumenti che dovrà utilizzare.

Riflette amaramente sul suo destino.

Da filosofo a schiavo, pirata, contrabbandiere e poi ancora schiavo (più o meno).

*Si, più o meno*

Sorride, stando attento a non farsi vedere dalle telecamere, mentre avvia il processo e braccia robotiche iniziano a selezionare gli elementi non chiaramente organici lungo il nastro trasportatore.

Un lungo lavoro lo attende.

 

Achernon è un pianetino tranquillo. La sua popolazione, come succede a molti mondi che hanno raggiunto un livello pre-industriale, non raggiunge i cento milioni di abitanti.

Questo lascia, soprattutto all'interno delle foreste più inesplorate, un sacco di spazio disponibile.

È questa una delle ragioni per cui questo mondo è stato scelto come base (non l'unica e forse neppure la più importante) per un traffico di schiavi che, seppur sostanzialmente legale o per lo meno tollerato in buona parte della galassia, mantiene ancora quel tanto di illegalità da aver bisogno, per alcuni dei suoi lavori più sporchi, di basi segrete.

Ma, per quanto isolato sia un luogo e per quanto sparuta una popolazione, ci sarà sempre un piccolo e incauto cacciatore che si imbatterà nella vostra base.

È proprio per questo motivo che complessi sistemi di sicurezza vengono fabbricati, pubblicizzati e venduti.

Ma gli achernoniani presentano una specifica mutazione, rara, ma neppure tanto.

Alcuni di loro possono rendersi intangibili a piacimento.

È grazie a questa rara capacità che il piccolo guerriero si aggira, furtivo, per l'istallazione, in barba ai complessi (e costosi) sistemi di sicurezza.

 

Lavorano nel ristorante cinquanta schiavi, nelle più svariate mansioni.

Il lavoro è abbastanza leggero. Non si viene maltrattati, non molto più che in un altro posto di lavoro, per lo meno. La paga è buona (certo, non puoi uscire per spenderla, ma è buona) e in una quarantina di anni di lavoro puoi sperare di guadagnarti la libertà.

Le controindicazioni: sei uno schiavo e checché se ne dica, non è piacevole[ii]. Inoltre il sorvegliante è un gran bastardo, di quei piccoli uomini che non possono fare a meno di far pesare sugli altri quella piccola parte di potere che, in un momento di distrazione, gli è stato elargito.

In qualsiasi campo di concentramento, prigione, in qualsiasi istituzione, sia essa totale o meno, che sia organizzata in forma gerarchica, al penultimo gradino c'è un posto riservato a questi individui.

Analizziamo il nostro caso.

La colpa della sua spregevolezza non si può certo attribuire al padrone (si sa, il re è buono) che ha accuratamente scelto, tra altri cinquanta ugualmente alle sue dipendenze, questo individuo per svolgere questo compito.

A chiunque si voglia attribuire la responsabilità, chiameremo, ai soli fini narrativi, questo tizio “l'aguzzino”.

L'aguzzino prese Romogok sott'occhio dal primo giorno (l'aguzzino ti prende sempre sott'occhio e sempre fin dal primo giorno).

Non perdeva occasione di passare sul suo posto di lavoro per riscontrare inesattezze, imprecisioni. Per raccomandare di rigare dritto perché bastava una sola parola per farlo tornare al mercato ecc ecc.

Tutti i santi giorni, malgrado la puzza di immondizia, trovava il modo di passare.

Ora, non facciamola più grossa di quel che è, l'aguzzino ha altri 49 disgraziati da tormentare, inoltre Romogok è in questo posto da circa una settimana e non intende restarci più del necessario.

Ciò non toglie che sarebbe una grossa scocciatura, se solo la situazione fosse diversa.

- Credimi, ragazzo, ti conviene stare attento, io lo so come ci si sente i primi giorni, ma tu, un posto migliore di questo, non lo troverai. Quindi tientelo stretto e comportati bene. Non piantare grane e io metterò una buona parola per te. Mica devi restare tutto il tempo a smaltire i rifiuti, prima o poi passerai in cucina, magari all'inizio solo come lavapiatti ma poi...-

 

Quanto è vasta la Via Lattea? A volte sembrerebbe molto poco. Di certo pochi sono i mondi in cui non è praticata la schiavitù, più o meno legalmente, più o meno diffusamente.

Tra le più conosciute culture dello spazio abbiamo la certezza solo per Titani e Colonizzatori.

Di molti possiamo supporlo, di alcuni sappiamo per certo che fanno gli schiavi. Di altri, ad esempio gli Zen-Whoberis, vorremmo ben sperare che non la pratichino.

Comunque sia, un'attività economica così redditizia e praticata ha bisogno di molte piazze.

In una di esse, su un pianeta neppure tanto marginale, in un quartiere tutt'altro che degradato si aggira un debeboliano, esile e maestoso come solo gli appartenenti alle culture più decadenti riescono ad essere.

Solo, esile ed apparentemente indifeso, sembra una preda perfetta per qualsiasi malintenzionato.

Ma individui di tal fatta conoscono bene, almeno i più esperti, una regola d'oro.

- Se una specie è tanto pazza da autosterminarsi, è tanto pazza per far del male anche a te. -

E quindi, tutti coloro che conoscevano, anche solo per sentito dire, la storia di Debebola, non si sarebbero mai sognati di aggredire e derubare uno dei pochi appartenenti a quella specie.

È pur vero che esperienza e conoscenza, se hai così poco da esser costretto a rubacchiare per le strade, devi fartele sul campo.

Quindi, quando K'till di Debebola, smilzo e riccamente vestito, taglia per un vicolo, allo scopo di raggiungere, secondo le istruzioni che gli sono state fornite, la sua destinazione, si trova accerchiato da quattro tizi malmessi.

Sono stracciati, più smilzi di lui, chiaramente affamati, armati di tre coltelli in quattro e i loro sguardi sono più disperati che minacciosi.

Insomma, pericolosi come dei veri professionisti non potrebbero mai essere.

Quello di fronte a K’till, chiaramente il capo, anche se persino lui sembra non esserne consapevole, fa un passo avanti brandendo il coltello. Un coltello da cucina troppe volte affilato.

- N-n-non fare scherzi, dacci tutti i tuoi soldi e n-n-non ti faremo del male. -

- Farmi del male? - il tono di K'till è quasi ironico, anche se cerca di mantenersi più neutro possibile – Dubito che ci riuscireste. Ma vi darò del denaro e, se vorrete, anche un lavoro...-

- Zitto! - Da dietro arriva una coltellata, un suono di metallo e il friggere di qualcosa di elettrico. Un urlo.

- Come vi stavo dicendo, sono protetto da un campo di forza, abbastanza resistente da impedirvi di danneggiarmi, qualunque cosa possiate usare contro di me. Ciò non toglie che la mia offerta resta valida. - Mette una mano in tasca, tirandone fuori un sacchetto. - Qui ci sono mille crediti e un indirizzo. Sto cercando degli schiavi centurii. Questo denaro è per mettere in giro la voce. Offro mille crediti di ricompensa a chiunque me ne segnali uno, ovviamente che non gli appartenga. Inoltre, se siete interessati ad un'occupazione più stabile di questa, potete venire domani sera a quell'indirizzo. -

Poi si avvia su per il vicolo, lasciando gli improvvisati rapinatori con un palmo di naso. Il mercato, quello vero, lo attende.

 

Romogok sta discutendo col suo compagno di tavolo, durante i pasti del personale, quando il ristorante è chiuso, non c'è una disciplina ferrea. Non ce n'è il bisogno, sarebbe, anzi, controproducente rendere nervosi e paranoici degli individui che lavorano a contatto col pubblico, un pubblico d'alto bordo, in un mondo su cui non è di moda vantarsi delle sevizie al personale.

Romogok sta facendo le solite domande, riguardo alla vita dello schiavo che ha davanti, ad altri centurii passati di li, cose del genere.

Come molti degli altri, l'individuo che ha davanti non sembra molto interessato a parlare di se, del suo passato.

Umanoide, con la pelle blu, può venire da uno qualsiasi fra decine di pianeti, forse anche da fuori dalla galassia (non c'è confine al traffico di schiavi).

Sembra invece molto interessato a parlare di come e perché si sono avvicendati vari schiavi, in quel posto. Del fatto che se riesci a concludere il tuo periodo di lavoro senza essere venduto, sarai liberato. Lui è li da pochi anni, ma ha gia visto molta gente andarsene. Centurii no, ma da qual che sa, di schiavi centurii ce ne sono solo da pochi anni, dalla prima incursione della Bird of prey. Almeno, questo è ciò che si dice in giro. Fa domande in proposito, molte, vuol sapere.

Romogok non si fa pregare, fornisce un racconto dettagliato, fino ad un certo punto, delle sue traversie, prima sulla nave e poi attraverso i vari mercati di schiavi. Quello che non può dire lo inventa. Un tempo, in un'altra vita, era bravo con le parole.

Ma è tutto inutile, notizie dei suoi simili nulla.

Entra il padrone, col suo sgherro.

Lo sgherro di turno è l'aguzzino.

L'aguzzino quest'oggi è particolarmente rompicazzo.

Richiama qualcuno in fondo alla tavolata perché l'uniforme non è a posto (l'uniforme sarebbe il camice da cucina, i cuochi non lasciano mai la cucina, se non per mangiare e andare nelle camerate).

Va dal padrone e leccare, si pavoneggia, lo intrattiene con aneddotica varia sulla pelandroneria del personale. Poi si alza nuovamente, si dirige verso qualcuno che ha alzato la voce e lo redarguisce con computa severità.

Striscia poi di nuovo dal padrone, aspira ad un bell'osso del suo pasto, come ogni fedele cagnolino.

Il padrone oscilla, in maniera evidente, fra un certo fastidio e il compiacimento per la fedeltà del suo sottoposto.

L'aguzzino scorge Romogok, si avvia a larghi passi verso di lui.

- Su, su, sbrigarsi, sbrigarsi. Fra poco inizia il tuo turno e stai ancora qui a chiacchierare? Finisci di mangiare e muoviti. Non farai mai carriera, se batti la fiacca a questo modo. -

Romogok si alza, un silenzio di tomba si sparge, immediatamente, nel refettorio.

- Se per far carriera devo fare come te, e coprire di angherie i miei compagni di prigionia, nella vana speranza di attirarmi la benevolenza di chi mi sta sopra e mi domina, preferisco aver a che fare con la mia spazzatura, leccapiedi. -

Il padrone scoppia in una risata, seguito dall'intero refettorio.

L'aguzzino diventa cianotico, poi sibila – Questa me la paghi, ci volesse tutta la mia vita, me la paghi. -

Romogok, impassibile, raccoglie i resti del suo pasto, ormai concluso e sia avvia verso il deposito dei vassoi.

Vuota i resti nello scarico della spazzatura, Appoggia i piatti e le posate su pile ordinate ed esce, diretto verso le sue mansioni.

La sua faccia è scura, preoccupata. *Anche questa è fatta, speriamo bene*

 

La rivolta era stata un mezzo fallimento.

Peggio che un mezzo fallimento.

Le armi erano del tutto insufficienti e la superiorità numerica aveva giocato un ruolo parziale.

Risultato, morte una ventina di guardie e più di cento prigionieri.

Gli altri ora sarebbero stati sottoposti a chissà quali angherie.

I quattro fuggiaschi sarebbero stati, per tutta la vita, segnati da questa responsabilità.

Non mangiano da due giorni e se ne stanno acquattati fuori dallo spazioporto, studiando gli orari del cambio della guardia.

Hanno visto qualche piccolo animale bruciato dal campo di forza a protezione della struttura. Saltare la recinzione è improponibile.

Ma i controlli, all'ingresso, sono superficiali, le perquisizioni sporadiche.

Si inoltrano nel bosco. Fino a qualche chilometro dalla base.

Poi raggiungono la strada e si appostano.

Passano le ore a guardare il succedersi dei trasporti sulla strada.

Il traffico è costante, ma la maggior parte dei mezzi ha un solo autista, oppure è pesantemente scortato.

Finalmente arriva un mezzo piccolo, con due persone all'interno.

Qualche centinaio di metri più avanti c'è qualcuno steso sulla strada, un trucco vecchio, difficile cascarci.

L'autista resta nell'abitacolo, pronto a chiamare aiuto.

L'accompagnatore scende, circospetto, il fucile spianato.

Si avvicina, lentamente, al corpo steso in terra. Lo smuove con la canna del fucile. Il corpo non si muove, ma mugola, leggermente.

Il soldato arretra, sempre con l'arma spianata, guardandosi prudentemente intorno.

Apre lo sportello.

- Chiama lo spazioporto, che mandino una pattuglia, credo sia uno dei prigionieri fuggiti dal campo a nord. -

Fa, mentre risale.

- Si, lo credo anche io. -

Si volta, verso la voce sconosciuta, solo per trovarsi una pistola spianata in faccia.

Un colpo alla nuca poi nulla.

 

- Signori, il mio discorso sarà breve. Voi siete, io lo spero, fra i migliori commercianti che questo mondo può offrire. Di un commercio particolare, che qui non nomineremo. Ora, io sto cercando, poiché ne ho riscontrato l'utilità, manodopera proveniente da Proxima Centauri sei, comunemente detti centurii. Io conto che data la vostra attività voi siate in grado di procurarmene quanta più possibile. Il nostro mondo, per quanto potente, è spopolato, quindi, se vogliamo ridurre il consumo energetico, e gli dei sanno quanto ciò è necessario, abbiamo bisogno di sostituire gran parte delle funzioni meccanizzate. L'alternativa sarebbe vivere nella costante paura di un attacco, cosa che non possiamo accettare. Di più non dirò. -

Un mormorio si sparge nella sfarzosa sala della villa che K'till ha affittato e in cui si svolge questa riunione.

Lui non dubita che la quasi totalità dell'uditorio non sia composto dai mercanti di schiavi che ha invitato alla riunione. Da assistenti, sosia o anche, in qualche caso, millantatori, piuttosto. Ma non importa, il seme è piantato, in più di un senso.

La voce si spargerà presto. I centurii vengono acquistati ad un prezzo leggermente maggiore rispetto a quello di mercato. Essendo molti e sostanzialmente privi di caratteristiche particolari, molti dovrebbero subodorare l'affare. Il piano farà il resto.

 

Venduto. Senza tante esitazioni e sottocosto.

L'aguzzino ci ha tenuto a sottolineare il potere che metteva in campo.

- Ho pronta per te una raccomandazione di sofferenza. Io non posso frustarti, il padrone non lo vuole. Ma ti venderò con referenze tali che finirai in posti peggiori dell'inferno. Non c'è destino peggiore che quello di uno schiavo ribelle. E mi farò mandare le foto, mio caro. E le appenderò in camera. Seguirò con estremo piacere la tua intera agonia. -

Se ne era andato sghignazzando.

Romogok l'aveva sentito sghignazzare, di tanto in tanto, fuori della cella, nei giorni successivi.

Non era tornato a rinnovare le minacce. Forse non aveva altro da dire. Forse cercava la battuta fulminante che non riusciva a trovare.

Lui non diede segno di averlo sentito.

Seppellito dal silenzio più assoluto.

A volte basta poco per far tacere i propri nemici.

Venne anche il padrone. Ora indossava la sua vera faccia. Venne a sfoggiare tutta intera la sua debolezza.

- Ti avevo avvertito, mi ero raccomandato di comportarti bene. Capiscimi, non posso tenere uno schiavo che si è pubblicamente ribellato. Sarebbe deleterio per il morale. Ma mi raccomanderò perché tu venga trattato bene. Capiscimi. -

A volte, basta poco per allargare una ferita. Qualche parola, una piccola richiesta, insoddisfacibile, che colpisca la debolezza di un individuo.

- Smetta di usare gli schiavi. Con quello che li paga può permettersi della manodopera libera. Se ne freghi delle consuetudini e combatta lo schiavismo. -

- Non vuoi capire. .- Se ne andò piagnucolando.

Il mercante era molto pragmatico.

- Mi hanno parlato molto male di te. Ma quell'idiota del capo del personale che hai colpito è un aguzzino. Quindi hai due scelte. Stai tranquillo fino a che ti ho venduto e io ti lascerò in pace. Oppure pianta grane e sarò costretto a frustarti. Questo ti deprezzerà ulteriormente e potesti finire veramente male. Non è mai conveniente essere acquistati a buon mercato. -

Romogok sta in piedi, senza catene, in una stanza buia, con l'unico faro puntato addosso.

Non presta attenzione alle parole del battitore. È un'asta come un'altra, noiosa, se non sei interessato alla merce.

È solo, al freddo, stordito e accecato dalla luce. *Drogato* pensa, confusamente.

Viene guidato giù dal palco improvvisato. Lungo un breve corridoio e in una stanza.

- Saluta il tuo nuovo padrone. -

Romogok distingue a fatica una figura umanoide. La pelle nero-bluastra.

- Vedrai, Gramos ti piacerà. Per quel poco che la vedrai -

 

continua

 

Note: ovviamente qui usiamo i riferimenti e i nomi terrestri, nel caso di gran parte delle stelle. Le ragioni sono sostanzialmente due.

La prima è che gli autori che per primi usarono questi popoli, diedero questi nomi alle loro stelle. Sarebbe lungo e faticoso correggere questa lieve imprecisione. E io sono pigro, credo sia oramai evidente per chiunque.

La seconda è che in questa maniera è più facile, per chiunque voglia farlo, orientarsi su una mappa galattica.

Ora, per quello che ne sappiamo, i grandi imperi che egemonizzano alcune delle galassie a noi vicine, gli skrull nella galassia di Andromeda, i kree nella Grande Nube di Magellano, gli shi'ar nella galassia Shi'ar (qualunque essa sia) o la particolarità della galassia del Triangolo sono sostanzialmente delle eccezioni, nel cosmo. Di certo la nostra galassia, la Via Lattea, è disunita politicamente. La cosa che balza subito agli occhi è, anche, che per lo più, gli eroi terrestri hanno avventure al di fuori di essa.

Quindi la conosciamo poco. Conosciamo, questo è vero, molte delle specie che la popolano, ma ad uno sguardo approfondito, la gran parte di esse abitano nei bracci galattici a noi più prossimi. I nomi terrestri delle stelle servono a notare questo aspetto ed a notare quanto ampio sia il nostro vuoto conoscitivo, rispetto alla Via Lattea. Vuoto che, con un po' di pazienza e fantasia, si può anche riempire. Vuoto che si può riempire anche senza fantasia. Basta inventarsi un impero che occupi gran parte della galassia ma non i bracci più prossimi a noi.

Però sarebbe uno spreco.

Cmq per commenti, insulti o precisazioni rossointoccabile@virgilio.it

 



[i]Incredibile quando si capisce l'origine di un modo di dire, no?

[ii]Direte voi “ma con tutta la gente pronta a vendersi per un nonnulla sei sicuro che la schiavitù non sia una condizione ambita?”. La risposta è semplice, avete mai provato a dire anche al più servile degli uomini (e ce ne sono) che è uno schiavo? Come minimo si offende.