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Giorgio Parma

Giorgio Parma

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Gangsta. 1

Come suggerisce il titolo Gangsta., in questa storia si ha a che fare con l’illegalità. Omicidi, rapimenti, traffico di medicinali, prostituzione, insomma tutto ciò che va contro la legge viene ampiamente trattato in questo manga. Ma come già successo in Black Lagoon o in Jormungand, ovviamente tutta questa sfera di negatività viene stemperata e in qualche modo addolcita con una storia più umana di sottofondo, una storia incentrata sul degrado sociale, sulla ingiustizia sociale, sulle precarie condizioni di vita dei protagonisti che si vedono in fin dei conti costretti ad agire in modo violento e criminale per poter sopravvivere.

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Come però molte volte succede quando si utilizzano riferimenti spiccati, si pensi anche solo al titolo, alla mafia o ad associazioni criminali losche di si tal fatta, veniamo coinvolti in prima persona noi italiani, sull’onda dei pregiudizi nazionali, oppure ci si piazza un tizio stile John Dillinger che tanto fa la sua scena. E tanto per confermare questa asserzione ecco che troviamo famiglie mafiose come i Cristiano, un'avvenente e formosa prostituta che di cognome fa Benedetto e un gigolò cieco da un occhio il cui cognome è Arcangelo. Per fortuna però il mangaka ha avuto la buona creanza di evitare di caderci appieno in questi pregiudizi e almeno di non produrre una accozzaglia di sterili stereotipi e inserzioni di parole italiane che tutto fuorchè un significato hanno nella nostra lingua come successo più volte in altre opere, una su tutte Arcana Famiglia (che già dal titolo lascia presagire di cosa possa mai trattare).

Tralasciando questa nota introduttiva necessaria per evitare che certi lettori si possano offendere dalla suddetta associazione di idee, ricordando che alla fine l’autore utilizza questi nomi per dare alla storia un maggiore risalto e una maggiore esoticità, passiamo alla trama del manga.
Kohske o Kosuke, dipende dalla traduzione romaji che si utilizza, confeziona una storia che per trama non spicca certo per originalità, ma che viene realizzata con grande passione inglobando al suo interno tematiche diverse come l’abbandono, il degrado sociale, la discriminazione, la prostituzione, la criminalità, la solitudine, la dipendenza da farmaci e droghe e altro ancora.

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I protagonisti sono inizialmente due: Worick Arcangelo, un gigolò con una benda sull’occhio sinistro e Nicolas Brown, uno spadaccino twilight sordo. A loro si aggiungerà a completare il trio Alex Benedetto, una bellissima ragazza costretta a prostituirsi dal suo fidanzato, che verrà liberata nelle prime pagine dal duo e che Worick stesso inviterà ad aggregarsi a loro, come “bottino di guerra” conquistato valorosamente. Insieme gestiranno l’attività di tuttofare avviata dai due uomini, offrendosi per ogni tipo di lavoro, dall’omicidio su commissione al traffico di medicinali. Questi bizzarri personaggi operano in una città dominata da famiglie mafiose e criminali nota come Ergastolum, nata dalla fusione di diversi ghetti di isolamento e confinamento di Twilight, esseri umani dalla forza e agilità sovrumana derivanti da esperimenti condotti con farmaci sperimentali durante il periodo di guerra che per sopravvivere dipendono costantemente dall’uso (e abuso) di farmaci in grado di smorzare o accentuare tali peculiarità [da qui il significato del termine inglese scelto, “crepuscolo”, che indica la brevità della vita di questi esseri].

Worick e Nicolas hanno un passato violento e sanguinoso che li unisce e qualcosa ci viene mostrata già nel primo volume tramite dei flashback ma bisognerà aspettare i prossimi tankobon per effettivamente avere chiara la storia, mentre Alex ha avuto anch’essa una vita difficile e tormentata dalla cui violenza farà fatica a riprendersi e necessiterà per questo dell’aiuto e della vicinanza dei due. Man mano che ci si addentra nella storia scopriamo insieme ad Alex che questi due tizi all’apparenza minacciosi e crudeli non sono altro che sgangherati superstiti, vittime di abusi e violenze che si sono ritrovati fin da giovanissimi a dover badare a sé stessi, soli in una città spietata e piena di dolore. La ragazza non riesce a ricordare nitidamente il suo passato per via di tutte le sostanze psicotiche assunte durante il suo lavoro di meretrice, ma a volte riemerge silenzioso facendo riaffiorare sporadiche memorie di indicibile tristezza.
Insieme questi tre anomali personaggi cercheranno di supportarsi a vicenda come una specie di famiglia per lasciarsi alle spalle il passato.

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Ma è nella rappresentazione grafica che Kohske dà il meglio.
Il tratto è molto sottile, le figure sono esili e snelle, magre, ossute, spigolose e a volte emaciate; le figure maschili spesso rispecchiano il canone di bellezza bishounen molto apprezzato in Giappone mentre le donne sono sempre altamente attraenti. Da notare però che compare ogni genere di personaggio nel manga con età diverse e corporature molto differenti che l'autore dà prova di saper ritrarre con grande maestria. Inoltre il chara design è estremamente curato, soprattutto per quanto riguarda il vestiario e gli accessori che sono vari e ben realizzati.
La parte però migliore dei disegni presenti in Gangsta, ed è anche la componente che fa apprezzare moltissimo quest’opera, è la caratterizzazione dei volti, la resa delle espressioni facciali, la fisiognomica altamente dettagliata. Soprattutto in Nicolas e Alex si notano delle espressioni splendide, di una profondità comunicativa sbalorditiva, che permettono con estrema efficacia di far comprendere la poliedricità del personaggi, tutt’altro che marginale macchietta. Traspare alla perfezione la solitudine, la tristezza, la rassegnazione dal volto di Alex ma anche la follia sadica degli intenti omicidi sul volto di Nicolas, l’ambiguità e la voglia di riscatto di Worick.
Per sdrammatizzare i toni alquanto violenti e pesanti dell’opera sono spesso introdotte delle gag umoristiche disegnate in stile chibi che ironizzano anche su tematiche scomode ma che strappano più di un sorriso al lettore, soprattutto le facce superdeformed buffe e deliberatamente kawaii.

Sebbene esistano opere simili a questa nell’immenso panorama fumettistico giapponese, Gansta sicuramente merita di essere estratta dal mucchio e messa in bella mostra, perché è un prodotto che si sa vendere molto bene e sa conquistare il lettore con la giusta dose di ogni molteplice aspetto che la caratterizza. Edizione Planet Manga ben realizzata, prezzo normale di 4,50 €, ma li vale tutti.

Le Femme Fatale di Rhys Cooper

  • Pubblicato in Nerd

Rhys Cooper è un artista serigrafico austrialiano forse poco conosciuto nel mondo ma i suoi ultimi lavori, soprattutto quelli ora esposti a San Francisco alla mostra Spoke Art a lui dedicata, sono sicuramente da annoverare tra le migliori opere pop recenti. Questo artista si è infatti divertito a ridisegnare le più importanti Femme Fatale del mondo fumettistico, cinematografico, della letteratura e dell'animazione.
Le sue opere sono di mirabile fattura; le figure femminili sono rese incredibilmente affascinanti e sensuali con un tocco di mistero e terrore a contorno.
Qui trovate il link al sito di Spoke Art dove potete ammirare anche le altre mostre presenti oltre a quella di Rhys; di seguito il comunicato ufficiale.

"Spoke Art è orgogliosa di presentare Femme Fatale, la mostra di debutto dell'artista serigrafico australiano Rhys Cooper. Con un nuovo lavoro a tema, Rhys si concentra su una serie di ritratti di donne influenti nel mondo della pop culture. Le sue ‘femme fatale’ provengono da ogni ambiente, dalle favole dell'infanzia ai fumetti, queste donne sono delle icone di certi stili o di altri. I temi del potere femminile e dell'autorità da loro esercitata giocano un ruolo importante in questo nuovo ciclo di opere e l'immaginario di una natura violenta, come corna affilate e vento feroce, è da attribuire alla connaturata violenza di queste donne e questo insieme crea una base tesa e seducente per le figure di Rhys.

Realizzate con incredibili dettagli e colori pungenti, questo ciclo di serigrafie sono quasi tutte confinate nel formato ristretto tipico del lavoro di Rhys. Questa presentazione trasforma i ritratti in pannelli battaglieri, considerando soprattutto la loro estetica aggressiva. Con la loro sfacciata rappresentazione della natura e i loro motivi dark, Rhys trasforma il concetto sociale e ideologico della femminilità e crea un capovolgimento spettacolare delle eroine femminili, asciando lo spettatore sia intrigato che spaventato.

Femme Fatale cerca di esplorare la coscienza sociale presentando presentando figure immediatamente riconoscibili eppure così nuove e uniche. Il suo stravolgimento del punto di vista delle figure iconiche femminili derivanti dall'infanzia prende una svolta matura; addentrarsi nei lavori di Rhys è come entrare in un mondo oscuro e surreale, simile ad un incubo fantastico con una forte guida femminile".

Edge of Tomorrow - Senza domani: recensione

  • Pubblicato in Screen

Edge-of-Tomorrow-Senza-Domani-Poster-Italia-01-716x1024Non commettete assolutamente l’errore di considerare Edge of Tomorrow: Senza Domani il solito blockbuster americano ad alto budget che a parte gli effetti speciali non ha null’altro da offrire. Anzi qui gli effetti speciali ci sono, e molto ben realizzati per giunta, ma passano quasi totalmente in secondo piano rispetto alla sceneggiatura, che rende questo film altamente apprezzabile, una mosca bianca nel panorama cinematografico odierno. Il film è tratto dalla light novel giapponese All You Need Is Kill di Hiroshi Sakurazaka scritta nel 2004 di cui la Warner Bros. ha acquistato i diritti nel 2010.

Per quanto la trama sappia di già visto con il solito disperato conflitto tra gli ultimi sopravvissuti dell’umanità e una razza aliena, i Mimics, apparentemente invincibile, questa volta viene introdotto il tema del loop temporale, trovata interessante che avvicina molto questo film all’ambiente videoludico.

Il protagonista William Cage, un Tom Cruise allo stato dell’arte (il ruolo gli risulta calzato a pennello), bravo sia nelle parti comiche che in quelle drammatiche, ufficiale dell’esercito americano che si occupa principalmente di public relation, viene spedito in prima linea a combattere la minaccia extraterrestre nella battaglia che rappresenta l’ultima speranza di sopravvivenza per il genere umano. Cage però è totalmente sprovvisto di alcun addestramento base, tanto che non riesce neanche a sbloccare la sicura del suo esoscheletro da combattimento, e di conseguenza morirà infelicemente dopo neanche 5 minuti dall’inizio dello scontro. Nell’atto della morte però viene contaminato dal sangue di un Mimic Alfa da lui stesso ucciso e ne assorbe la capacità di resettare il giorno, di far ripartire da capo lo stesso giorno ogni volta che viene ucciso.

Già l’idea di far morire il protagonista nei primi venti minuti di film risulta quasi rivoluzionaria; se poi ci aggiungiamo il presentarci un Tom Cruise, che siamo abituati a vedere infallibile ed esperto combattente in quasi tutti i suoi film (dalla saga dei Mission Impossible all’ultimo Oblivion), come un novellino impacciato che necessita qualche reset temporale per capire anche solo come si spara con l’armatura da combattimento o per evitare di essere travolto da un camion nel tentativo di fuga dal campo di addestramento, fa sì che questo film si metta in gioco fin dall’inizio, e la posta è anche alta: un bel budget da 178 milioni di dollari e il marchio della Warner Bros.

Ed è proprio questa la parola chiave della spettacolarità di questo film: il gioco, inteso come videogaming. Guardando questo film in cui il protagonista muore in continuazione e ricomincia da capo la sua giornata sembra di essere bloccati in un livello di Gears of War (o della sua parodia versione Ralph Spaccatutto) e manca solo il controller per sentirsi veramente padroni delle azioni dell’Ufficiale Cage. Doug Liman, il regista, e soprattutto lo sceneggiatore Christopher McQuarrie (non uno qualunque, ma quello de I Soliti Sospetti), riescono a creare una storia semplice in fin dei conti ma incredibilmente frizzante, senza mai annoiare lo spettatore e creando un ritmo incalzante degno dei migliori action movie; la giornata che viene rivissuta non ci viene ripresentata da capo ogni volta ma assistiamo solo agli spezzoni più rilevanti del tentativo, i fallimenti più importanti e anche quelli più ridicoli e divertenti, le scene più spettacolari fino a creare quasi una sequenza temporale diretta utilizzando spezzoni di varie giornate. Magistralmente, poi, si alterna a questo tentativo di sequenzialità uno stallo temporale dell’intreccio focalizzandosi su un punto morto della strategia di Cage per poi andare diretti al gran finale in cui un manipolo di soldati cerca di distruggere la mente collettiva degli alieni. E qui si nota anche l’abilità del montatore del film James Hebert che alterna le scene e i ritmi rendendo il film fluido e veloce e mai confusionario.

Ma non si può non parlare dell’altra star della pellicola, una Emily Blunt incredibilmente scolpita e atletica (uno spettacolo per gli occhi), l’Angelo di Verdun, l’eroina della guerra per la salvezza dell’umanità la quale in passato ha posseduto la stessa abilità di Cage e quindi è l’unica che gli crede e che lo addestrerà man mano per renderlo un vero combattente.

Per tanto questo film riesce ad appassionare lo spettatore senza cadere in particolari cliché del genere e soprattutto distaccandosi da quel filone di film tutti uguali che ormai ammorbano il grande schermo e in cui solo gli effetti speciali tengono in piedi il prodotto. Qui la trama c’è, ma soprattutto è il modo di narrarla questa trama che sicuramente farà scuola.

Buona sceneggiature, gag umoristiche ben riuscite, autoironia del genere, azione adrenalinica, montaggio eccellente, sonoro di alto livello, bravi attori e un sapiente controllo da parte del regista di tutti questi molteplici aspetti portano ad una pellicola pregevole e da non farsi sfuggire. Speriamo solo che sia l’inizio di un nuovo modo di intendere il cinema sci-fi.

Il film è interpretato da Tom Cruise, Emily Blunt, Bill Paxton, Noah Taylor, Lara Pulver, Jeremy Piven, Brendan Gleeson e Madeleine Mantock è diretto da Doug Liman e sceneggiato da Christopher McQuarrie. Nelle sale italiane dal 29 maggio 2014.

Shin Mazinger Zero 1

C’era una volta Mazinger Z, era il 1972 e Go Nagai costruì le basi della fantascienza “Super Robot” come diremmo noi italioti - Mecha se utilizziamo dei termini un po’ più specifico. Isaac Asimov aveva da qualche decennio cominciato a portare nell'immaginazione dei lettori il concetto di robot - muovendosi sul sentiero già inaugurato da Herbert George Wells -, a porre le basi per una teoria personale del rapporto uomo-macchina senziente, divenuta poi universalmente riconosciuta,  e della eventuale autonomia delle stesse. La fantascienza cominciava a prendere piede non solo nella letteratura ma anche nel cinema e nella televisione, si veda Star Trek che cominciava la prima serializzazione 8 anni prima, e si espandeva a macchia d’olio conquistando sempre di più l’immaginario delle persone, diventando inarrestabilmente un fenomeno di massa.

In Giappone invece già da qualche anno cominciavano a uscire opere di mirabile fattura che avevano come protagonisti i robot e le macchine umanoidi create da futuristiche e totalmente ucroniche tecnologie e che poi sarebbero diventate dei pilastri fondamentali della letteratura a fumetti come il Cyborg 009 di Ishinomori e Astro Boy e Metropolis di Tezuka.
Ma il 1972 rimane un anno fondamentale per il genere mecha in Giappone e non solo: Go Nagai crea Mazinga Z, un anime televisivo con protagonista un robot gigante pilotato da Koji Kabuto, e qui sta la svolta, è l'uomo nella macchina e non l'uomo-macchina a far sognare i giovani. E questo genere colpisce profondamente quelle generazioni, viene apprezzato come non mai e successivamente verranno prodotte centinaia di altre serie che deriveranno in qualche modo da questa opera.

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Ma forse quelli che sono stati maggiormente influenzati da Go Nagai e dalle sue opere siamo proprio noi italiani; l’impatto che hanno avuto le sue serie, soprattutto Mazinga e Goldrake, sulle generazioni degli anni ’80 e seguenti è stato elevatissimo e hanno firmato un periodo della televisione italiana tra i più floridi di sempre. Lo stesso Mazinga fu il primo manga di sempre a essere pubblicato in Italia da Fabbri Editore. Nagai poi è profondamente legato all'Italia e ha un debito artistico e letterario enorme nei confronti del nostro paese, si veda l’influenza che Dante ha avuto sull'immaginario dell’autore oppure la mitologia romana o l’arte michelangiolesca.

Dopo la separazione con la Toei Animation Go Nagai si dedica alla riscrittura di molte delle sue opere facendosi aiutare da altri autori realizzando così una serie di titoli che la J-Pop raccoglierà sotto la collana Go Nagai Shin Collection ( di cui vi abbiamo parlato anche qui) e il primo volume a uscire è proprio Shin Mazinger Zero.

In questo manga, sotto la supervisione del maestro stesso, la storia di Mazinga viene completamente rivisitata in 9 volumi ad opera di Yoshiaki Tabata (storia) e Yuuki Yogo (disegni), quest’ultimo già autore di Wolf Guy, seinen manga edito da J-Pop anch'esso. Va premesso che andare a mettere le mani su un'opera così celebre rimodellandolo e riattualizzandolo alla contingenza temporale e sociale di riscrittura non è la cosa più facile del mondo. Anzi, a volte si rischia di far proprio una pessima figura, si prenda per esempio la maggior parte dei reboot cinematografici di opere ormai entrate a far parte della storia, e non mi sembra proprio il caso di citarne nessuno per quanto siano lampanti.

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Passiamo alla trama. La storia comincia in medias res con un giovane Koji Kabuto, il protagonista, che assiste impotente all’estinzione del genere umano ad opera del dio oscuro Mazinger, robot incredibilmente potente creato dal nonno di Koji. Il protagonista è ormai l’unico essere umano ancora in vita e giura che se lui avesse pilotato il Mazinger Z lo avrebbe usato solo a scopo di bene salvando l’umanità invece di estinguerla; l’androide Minerva X infatuata del robot gigante, sentendo queste parole fa rinascere lo spirito di Kabuto in un’altra linea temporale, mutando le condizioni di esistenza e i ruoli dei personaggi principali, per dare a Koji una possibilità di salvare dall’oscurità il suo amato e con esso il destino dell’umanità. Ogni volta che si riottiene questo finale desolante il ciclo si ripete, e ogni volta cambia la storia a seguito delle diverse scelte che fanno i personaggi. Non è così semplice utilizzare una forza incredibile come quella di Mazinger senza essere influenzati dalla brama di potere, dalla sensazione di onnipotenza che ne consegue, ma l’unico modo per salvare il mondo è riuscire a non farsi sottomettere dalle emozioni negative e a non corrompere l’animo del robot, trasformandolo irreparabilmente in un dio malvagio e inarrestabile.

Se già nel manga di Mazinga Nagai aveva accentuato la violenza e maturità rispetto alla serie animata più cartoonesca, in questa versione Shin la violenza, sia fisica che psicologica che artistica, la fa da padrone, con scene truculente e dall'impatto visivo scioccante.
La parte grafica dell’opera è davvero notevole, i disegni del maestro Yogo sono molto dinamici e enfatizzano estremamente la posa dei personaggi, i quali grazie all’estrema plasticità conferita loro danno vita a molteplici prospettive deformate e astratte che permettono un maggiore trasporto del lettore, facendogli percepire l’energia intensa che li permea. Plasticità è forse la caratteristica che descrive meglio il tratto peculiare del maestro; le tavole sembrano popolate da action figure in ABS, con una resa della tridimensionalità molto spiccata, a rendere le figure femminili molto morbide e sensuali (per non dire altamente sproporzionate nelle misure che le definiscono come piace tanto ai giapponesi), mentre le figure maschili sono dei moderni ercole adonici costellati da muscoli tonici in ogni parte del corpo (lo stile ricorda il Gurren Lagann di Kotaro Mori e lo Zetman di Masakazu Katsura). I disegni ecchi tendenti all'erotico (hentai) sono molto cari al maestro Nagai e molte sue opere presentano questo tratto e le conseguenti tematiche come per esempio nel ciclo di storie realizzato su Cutie Honey.

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Le tavole sono dominate da un nero densissimo che aumenta notevolmente la profondità dei disegni ma che rende anche più angosciante la lettura, soprattutto quando il Mazinga cede al suo lato oscuro entrando in berserk; sono inoltre spesso presenti ideogrammi imperanti e cubitali corrispondenti a delle frasi urlate dai personaggi che enfatizzano di molto i dialoghi.
Il tratto è molto calcato, spesso nervoso, a sottolineare la tensione, l’irrequietezza, la carica violenta che freme nei personaggi agonizzanti dal surplus energetico e che irrompe furiosamente tutto d’un tratto.
Questo stile inoltre riesce a rendere molto bene la dicotomia che caratterizza tutta l’opera, quella diade eroe-malvagio, bene-male che deriva dall'avere a disposizione un potere smisurato il cui unico limite è la volontà stessa che lo guida e che può condurre alla totale perdizione se si viene sottomessi dall'ebbrezza obnubilante che il potere esercita oppure alla salvezza se si riesce a dominarlo completamente.

L’opera è quindi molto apprezzabile, non scontenta i puristi né si prefigge di soppiantare l’originale ma si limita a proporre una versione più moderna e attualizzata di una famosa storia di fantascienza. È un manga piuttosto adulto e violento e più improntato all'action, ma sempre con una componente di humour e gag a sdrammatizzare; ma forse proprio per questo può risultare più fruibile alle nuove generazioni a cui è diretto, permettendo infine di riportare sotto i riflettori una pietra miliare, sebbene non nella sua iniziale versione, ma lasciando così al lettore la possibilità di andare eventualmente ad ampliare le sue conoscenze in materia recuperando l’originale. Inoltre il prezzo promozionale a 1€ lo rende ancora più appetibile.

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