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Panini Comics rilancia la collana I Classici Disney

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Dopo aver rilanciato la collana I Grandi Classici Disney, Panini Comics decide di operare la stessa scelta per la storica I Classici Disney. Con oltre 500 uscite, la testata nasce nel 1957, per essere rilanciata nel 1977, fino ad assumere la sua attuale forma dal 1992 presentando una selezione antologica di avventure.

L'idea della Panini, ora, è quella di ripristinare la formula con prologo e intermezzi inediti che collegano le varie avventure. Non solo, la collana diventerà bimestrale e avrà, per il primo albo, anche una variant cover. L'ultimo numero dell'attuale incarnazione sarà il 510 in uscita a maggio. A giugno avverrà il rilancio.

Di seguito trovate tutte le informazioni da Anteprima.

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Il nuovo trailer italiano de Il Re Leone

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La Disney ha diffuso il nuovo trailer de Il Re Leone, il remake live-action del classico animato degli anni '90. La pellicola uscirà il 21 agosto 2019 in Italia ed è diretta da Jon Favreau (Iron Man, Il libro della giungla).

Potete vedere il trailer qui di seguito.

Il Re Leone trasporterà il pubblico in un incredibile viaggio nella savana africana dove è nato un futuro re. Simba prova una grande ammirazione per suo padre, Re Mufasa, e prende sul serio il proprio destino reale. Ma non tutti nel regno celebrano l’arrivo del nuovo cucciolo. Scar, il fratello di Mufasa e precedente erede al trono, ha dei piani molto diversi e la drammatica battaglia per la Rupe dei Re, segnata dal tradimento e da tragiche conseguenze, si conclude con l’esilio di Simba. Con l’aiuto di una curiosa coppia di nuovi amici, Simba dovrà imparare a crescere e capire come riprendersi ciò che gli spetta di diritto.
 
Il classico Disney del 1994 è ancora oggi uno dei più grandi successi nella storia del cinema d’animazione, con un incasso globale complessivo di 968.8 milioni di dollari. Quando uscì nelle sale, Il Re Leone vinse un Oscar® per la Miglior Canzone Originale grazie al brano “Can You Feel the Love Tonight” (composto da Elton John e Tim Rice) e uno per la Miglior Colonna Sonora (composta da Hans Zimmer), oltre a due Grammy® Awards, mentre l’album della colonna sonora ha venduto oltre 14 milioni di copie. Nel 1997 la versione teatrale de Il Re Leone esordì a Broadway, vincendo sei Tony® Awards: è stato messo in scena in tutto il mondo e tradotto in otto lingue e a distanza di oltre vent’anni rimane uno dei più grandi successi nella storia di Broadway.

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Disney e il futuro dei franchise Fox

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Al panel Disney al CinemaCon, lo studio ha rivelato che molte delle serie di Fox avranno un futuro. The Hollywood Reporter riporta, infatti, che Emma Watts della Fox è salita sul palco per dire che "continueremo a creare nuove storie".

Il film Fox già in attesa di uno o più sequel è Avatar di James Cameron, con il suo parco dedicato e in cantiere ben altri quattro film. Ma altri due importanti franchising sono stati messi in evidenza: Alien e Il Pianeta delle Scimmie. Entrambe le saghe hanno visto il proprio ultimo film nel 2017: Alien - Covenant e War of the Planet of the Apes. Anche la “saga” di Kingsman è stata citata, con il suo terzo capitolo The Great Game in uscita il prossimo anno.

Tra i candidati c’è anche la saga di Maze Runner. La serie, basata sui romanzi distopici young adult di James Dashner, è uscita con il terzo capitolo, The Death Cure, lo scorso anno. Nonostante l'infortunio di Dylan O'Brien, attore principale, che ha ritardato la produzione, il film ha incassato circa 288,3 milioni di dollari.

Bisognerà attendere per ulteriori notizie legate a questi popolari franchising, ora che è avvenuta la fusione Disney-Fox.

Confermata, infine, anche l'uscita al cinema di New Mutants, la pellicola diretta da Josh Boone , per il prossimo 2 agosto.

(Via CBR)

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Dumbo: la recensione del film

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Avviso ai naviganti: chi scrive è un “burtoniano” della prima ora, un ammiratore del cinema di Tim Burton fin dal suo primo incontro cinematografico col cineasta di Burbank datato 1988, celebratosi con la visione di Beetlejuice in una sala quasi deserta della sua città. Etichettate fin da subito con aggettivi come “dark”, “cupe”, “eccentriche”, le sue opere fanno parte dell’immaginario collettivo di una generazione che viveva la sua adolescenza mentre i suoi film più canonici arrivavano sul grande schermo. Di questa generazione, Burton ha saputo mettere in scena gli eroi come nessuno aveva mai fatto prima o avrebbe fatto dopo (i due Batman), ne ha rappresentato le insicurezze con un sublime tocco poetico in un momento della vita in cui solitudine ed emarginazione sono gli stati d’animo più frequenti (Edward Mani di Forbice), riuscendo anche a stuzzicarne l’interesse cinefilo (Ed Wood, Sleepy Hollow).

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L’ultimo decennio non ha prodotto purtroppo pellicole di Burton all’altezza dei tempi migliori, successo commerciale di Alice in Wonderland a parte, e nonostante film come Dark Shadows e Miss Peregrine avessero in teoria i requisiti per entrare nel pantheon di opere “tipiche” del regista, si sono rivelati passi falsi sia sotto l’aspetto creativo che remunerativo. La notizia che l’autore si sarebbe occupato della versione live-action di Dumbo, classico Disney del 1941, sembrava la conferma di un ulteriore allontanamento del cineasta dalle atmosfere peculiari della sua cinematografia. A visione avvenuta, possiamo affermare che Dumbo è, sorprendentemente, il più “burtoniano” dei film di Tim Burton dai tempi de La Fabbrica di Cioccolato.
Il motivo dell’interessamento del regista per la favola dell’elefantino volante è assolutamente logica: tra tutti i protagonisti dei lungometraggi classici Disney, Dumbo è il più vicino alla sensibilità del filmaker, interprete ideale della poetica dell’emarginato e dell’escluso che attraversa tutta la filmografia del cineasta.

La pellicola si apre col ritorno a casa di Holt Carrier (Colin Farrell), ex star del circo reduce dalla Grande Guerra in cui ha patito la perdita di un braccio. Tornato tra i suoi amici circensi, Holt ritrova i figli Milly e Joe, che nel frattempo hanno perduto la madre per una malattia. Il proprietario del circo, l’impresario Max Medici (Danny DeVito), conferisce all’uomo un nuovo incarico, per farlo sentire utile nonostante la sua disabilità: gli chiede di occuparsi degli elefanti e in particolare della nuova arrivata, una elefantessa proveniente dall’India che sta per partorire un cucciolo. Quando quest’ultimo viene alla luce, attira l’ilarità del pubblico per le sue lunghe orecchie, che lo rendono oggetto di scherno. Ma Dumbo ottiene il suo riscatto quando Milly e Joe gli insegnano ad usare le sue orecchie per volare, suscitando così l’interesse dell’ambizioso imprenditore V.A. Vandemere (Micheal Keaton) che lo vuole trasformare nell’attrazione principale del suo faraonico parco divertimenti Dreamland, la cui stella indiscussa è la trapezista francese Colette Marchant (Eva Green).

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Ennesima variazione sulla poetica dell’emarginato tipicamente burtoniana, come dicevamo, Dumbo contiene altri stilemi caratteristici dell’autore, a partire dal tema della genitorialità mancata e della perdita (Batman, Edward Mani di Forbice, Sleepy Hollow, ]Big Fish, La Fabbrica di Cioccolato) o della famiglia da ritrovare sotto altre forme (il circo, come in Batman – Il Ritorno, ma anche i fantasmi di Beetlejuice o l’allegra combriccola di cialtroni di Ed Wood).
A proposito di famiglia, Burton per Dumbo ha riunito la “sua” famiglia, dall’attore feticcio Michael Keaton, col quale non lavorava dai tempi di Batman – Il Ritorno e al quale regala una parte da milionario eccentrico perfetta per le sue qualità istrioniche, a Danny DeVito, ancora nella parte di un circense dopo Big Fish (singolare che sia il regista che l’attore abbiano dichiarato di non amare il circo, sempre ritratto dal cineasta nelle sue caratteristiche più inquietanti, al contrario dell’amato Federico Fellini), a Eva Green, nuova musa del filmaker con cui è giunta al terzo lungometraggio.

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Nonostante il contributo di altri storici collaboratori del regista (Danny Elfman compone una colonna sonora ricca dei suoi abituali cliché musicali, Collen Atwood disegna costumi che rubano l’occhio ma sono le scenografie di Rick Heinrichs a stupire, soprattutto con il look avveniristico conferito a Dreamland), Dumbo non riesce realmente a spiccare il volo come il suo omonimo protagonista, per la conclamata difficoltà dell'autore ad empatizzare con un materiale non di sua ideazione. La parabola dell’elefantino sembra essere anche quella del suo regista, un professionista che eccelle in una dimensione più intima e personale ma che non si trova a suo agio con le rigide imposizioni dello showbiz hollywoodiano e delle major, per le quali ha comunque girato alcuni dei suoi film più riusciti. Ed è questo il paradosso alla base della non completa riuscita di Dumbo: la visione di un autore e la possibilità di lavorare a progetti più personali hanno ancora diritto di cittadinanza nel cinema americano dei reboot, remake, dei franchise da spremere all’infinito? È sulla risposta a questa domanda che si gioca non tanto il destino di Dumbo e del suo regista, che rimane comunque il cineasta visionario per eccellenza degli ultimi tre decenni, quanto quello del cinema a stelle e strisce.

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