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Animal Pound, nuova serie di Tom King e Peter Gross per BOOM! Studios

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Il sempre prolifico scrittore Tom King, fresco vincitore di Eisner Award, e il co-creatore di American Jesus, Peter Gross, uniscono le loro forze per un inedito progetto per BOOM! Studios dal titolo Animal Pound.

Basata sul romanzo La fattoria degli animali di George Orwell, la serie intende offrire ai lettori una lettura dell’opera in chiave moderna ma comunque fedele all’originale.

King ammette di aver avuto grandi difficoltà nella scrittura dell’opera ma ha anche sottolineato di come, alla fine, sia valsa la pena avventurarsi in un progetto così ambizioso, Gross, invece, di essersi innamorato subito dell'idea e di essersi sentito coinvolto già dalla lettura della presentazione di King.

Ad aiutarli nell’impresa la colorista Tamra Bonvillain e il letterista Clayton Cowles, nonché l’entusiasmo di Eric Harburn, redattore esecutivo dello Studio che senza mezzi termini parla chiaramente di una sfida accettata e ampiamente vinta dal quartetto di autori.

Di seguito la sinossi ufficiale di Animal Pound: “Quando gli animali sono stanchi di essere ingabbiati, uccisi e venduti, è solo questione di tempo prima che ne abbiano abbastanza. A seguito di una rivolta che permette agli animali di controllare un canile, essi si ritrovano rapidamente compagni, uniti contro tutto ciò che cammina su due zampe. Ma da questo nuovo potere nasce una nuova sfida: come gettare le basi per questa nuova democrazia".

Animal Pound #1 sarà disponibile nelle fumetterie a partire dal 20 dicembre 2023.

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BRZRKR, volume uno, recensione: la scommessa vinta di Keanu Reeves

BRZRKR

Quando un volto famoso è coinvolto in un progetto fumettistico è difficile percepirne a primo acchito la reale bontà artistica e spesso ci si trova dinanzi a prodotti deludenti in tutti i loro aspetti. Fortunatamente, non è questo il caso di BRZRKR che, anzi, si è rilevata fin da subito come una serie avvincente, ben sopra ogni aspettativa. Certo, i nomi coinvolti sono notevoli, ma non sempre questa è una garanzia.
 
BRZRKR nasce per volontà di Keanu Reeves che ne ha ideato la trama e ha voluto farne a tutti i costi un fumetto. A scrivere la storia insieme a lui, per BOOM! Studios, troviamo il veterano Matt Kindt, mentre ai disegni un altro asso da 90: Ron Garney. Un team artistico, dunque, di prim'ordine a cui si aggiungono Rafael Grampá per le cover e il design dei personaggi (insieme a Garney) e il colorista Bill Crabtree.

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La trama di BRZRKR ha per protagonista un guerriero immortale, un Berzerker, nato 80000 anni fa e attualmente attivo come collaboratore per il governo degli Stati Uniti che lo utilizza in pericolose missioni suicida. L'interesse dell'uomo in questa collaborazione è la possibilità di essere sottoposto a sofisticati test, sia per scoprire la sua vera natura sia per portare alla luce dettagli del suo passato sepolti. Ma, soprattutto per realizzare un suo grande desiderio: diventare mortale.
B., così semplicemente chiamato, inizia a ricordare così la sua nascita avvenuta migliaia di decenni fa, quando la madre chiese aiuto agli dei per proteggere il suo villaggio. Rimasta incinta di un dio, partorì dopo soli due mesi il bambino che, in un paio d'anni, divenne già adulto. Il ragazzo mostrava, però, insofferenza, la sua sete di sangue era difficile da gestire e sentiva il peso di essere solo un arma per il padre che, compresone il potenziale, iniziò a sfruttarlo per annientare tutti i villaggi circostanti.

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Fin dalle prime pagine BRZRKR si mostra come una lettura adrenalinica e frenetica con pochi dialoghi e molta azione, motivo per cui la lettura è veloce e spedita. Nonostante questo, però, BRZRKR è ricco di avvenimenti e l'attenzione del lettore resta alta per tutto il tempo. I personaggi presentati sono pochi e non c'è spazio per alcun approfondimento psicologico degli stessi, ciononostante hanno tutti una loro identità e riconoscibilità.
Merito della riuscita dell'opera sta nel lavoro di Ron Garney che realizza tavole molto potenti e dinamiche utilizzando un tratto molto sporco e doppio che i colori di Bill Crabtree ben definiscono facendole esplodere in tutta la loro violenza.

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BRZRKR è un progetto crossmediale che, oltre all'omonima serie a fumetti in 12 albi (il primo volume Panini Comics ne racchiude i primi 4), si avvarrà di un film live-action con Keanu Reeves (naturalmente) e uno spin-off animato stile anime entrambi per Netflix. Una proposta che, almeno in questa sua prima fase, possiamo annunciare come riuscita, sperando che prosegui su questa via. 

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Proctor Valley Road, recensione: Grant Morrison e l’horror per ragazzi

Proctor Valley Road

Tutti i ragazzi hanno avuto quella fase in cui la maturazione richiedeva negoziazione con gli altri, cameratismo, complicità e sfida nei confronti del gruppo di amici più stretto. E, chiunque, ha avuto l’estate (o qualunque altro periodo limitato di tempo) alla Stand By Me. Di certo ci si augura non esattamente come il racconto (poi film) di Stephen King, ma come quella sorta di “tempo senza tempo” che gli occhi dell’adulto rileggono con nostalgico desiderio.
Aver citato Stand By Me non è un caso, poiché la storia di The Body scritta da King e divenuto film di Rob Reiner è il “romanzo di formazione contemporaneo” che più si è sedimentato nell’immaginario pop (insieme a, forse, solo The Goonies, ma per altre ragioni narrative), creando una schiera di emuli più o meno riusciti da Piccoli Brividi a Stranger Things. L’horror, il disturbante, l’inquietante incontra la pubertà ed entra a far parte del processo di crescita dei personaggi.

Grant Morrison con Proctor Valley Road intraprende (per restare in tema) la stessa strada: sceglie, come dimensione nostalgica del proprio racconto, l’estate del 1970, la sonnolenta cittadina californiana di Chula Vista e la “strada più infestata da demoni” del titolo.
Le quattro ragazzine protagoniste del graphic novel vogliono racimolare i soldi per andare a un concerto di Janis Joplin e, tra le diverse trovate per guadagnare, decidono di improvvisare un tour guidato lungo l’inquietante Proctor Valley Road. I tre ragazzi coinvolti in questo bizzarro tentativo però spariscono improvvisamente nel buio della strada. Per le protagoniste inizia un incubo dal quale dovranno uscirne lottando contro un antico pericolo: la Locataria.

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Morrison, coadiuvato ai testi da Alex Child, utilizza molti degli stilemi classici del romanzo di formazione a volte, forse, in maniera troppo pedissequa che sembrano distanti dal mood dei racconti a cui l’autore britannico ha abituato i lettori. Non mancano chiaramente, i “guizzi” narrativi alla Morrison nei dialoghi, negli scambi di battute e, specialmente, nella caratterizzazione di alcuni villain. Complice lo spaccato socio-culturale dell’epoca raccontata nella storia, è forte la sensazione di un tempo passato, “mitico” e trasognante, un tempo di corto circuiti culturali e politici e di libertà tout court a volte svilita o fraintesa. Il Sogno Americano interpretato da due autori britannici si declina presto nell’orrorifico dietro le quinte dello stesso, delle fragilità di una società da sempre e spesso incapace di gestire le contraddizioni. E questa incapacità si riversa sulle nuove generazioni: le protagoniste di Proctor Valley Road sono outsider del proprio contesto, del normativo culturale opprimente e per questo si ritrovano invischiate nell’eccezionalità demoniaca del racconto.

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Nonostante la presenza di Morrison permette a una lettura a più livelli, i disegni di Naomi Franquiz palesano immediatamente la fascia d’età a cui il graphic novel è destinato in prima istanza: gli adolescenti. Inquadrature dal forte gusto cinematografico, vignette fortemente incentrate sui personaggi, graficizzazione quasi caricaturale degli stessi. Anche i colori di Tamra Bonvillain si assestano sulla medesima direttrice. Per quanto non manchino un pizzico di sangue, budella e carne in marcescenza, l’equilibrio tra disegno e colori non permette mai all’immagine di sfociare verso il Grand Guignol, consegnando la lettura al pubblico più giovane.

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Edito da Panini Comics nella collana 100% HD, il volume è un pregevole contenitore: copertina cartonata soft touch, grande qualità di stampa e cover gallery finale. Non il Morrison migliore e in grande spolvero, dunque, ma un tassello importante per la sua carriera artistica perché incursione in uno specifico tassello del genere fantastico e horror a cui, prima o poi, quasi tutti i grandi autori si sono cimentati. E lo ha fatto senza mai deviare dal suo percorso: ha solo imboccato una strada per lui ancora sconosciuta.

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Dune – Casa degli Atreides 1, recensione: il prequel a fumetti di Dune

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I sei romanzi scritti da Frank Herbert tra il 1965 e il 1985, che costituiscono il corpo principale del ciclo di Dune, sono da parecchi anni un caposaldo della fantascienza letteraria. Fin dal suo esordio, l’opera ha raccolto uno stuolo di appassionati e il plauso di scrittori e registi, affascinati dalla commistione tra misticismo, fervore ecologista e l’insolita visione di un’umanità padrona della galassia, ma regredita in una sorta di neo-feudalesimo, in cui il potere viene spartito tra casate nobiliari, gilde commerciali e sette religiose.

Proprio riguardo ai registi, complice l’arrivo su grande schermo del nuovo adattamento cinematografico del primo libro della serie – oltre alla fugace distribuzione in sala del documentario Jodorowsky’s Dune di Frank Pavich – di recente si è tornati a parlare di quando, a metà degli anni Settanta, Alejandro Jodorowsky tentò – senza riuscirci – una monumentale trasposizione su celluloide dei romanzi di Herbert. I veri cultori della Nona Arte, però, ricordano che l’autore cileno, nonostante il film non venne mai girato, rielaborò le idee sviluppate per il cinema in una sorta di versione apocrifa di Dune e, in coppia con Moebius (già chiamato a collaborare allo storyboard della pellicola), diede vita al celebre ciclo a fumetti de L’Incal. Cionondimeno, per stessa ammissione dell’interessato, più nota è l’influenza che la saga degli Atreides ha avuto su George Lucas nel concepire l’universo di Star Wars, tanto che proprio lo stratosferico successo di Luke Skywalker e compagni - e la conseguente invasione di prodotti multimediali ad essi legati - deve essere stata la molla che ha convinto Brian Herbert (figlio di Frank e scrittore anch’egli) a tentare qualcosa di simile con l’opera paterna, quantomeno in ambito letterario. Rivendicando, infatti, il presunto ritrovamento degli appunti del genitore per possibili nuovi romanzi e scorgendo in Kevin J. Anderson (prolifico autore di spin-off e tie-in ispirati a noti franchise come X-Files o lo stesso Star Wars) il profilo perfetto con cui portare avanti il suo progetto, il buon Brian si è dedicato negli ultimi vent’anni a espandere l’universo di Dune con tutta una serie di prequel e sequel che, pur se in maniera minore rispetto all’opera capostipite, hanno in qualche modo intercettato la richiesta dei fan di vedere i loro beniamini ancora in azione.

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Eppure, se non fosse arrivato il film della Warner Bros. - sempre alla ricerca di “brand” da utilizzare per contrastare lo strapotere della Disney – tutto sarebbe rimasto confinato al solo circuito librario. Invece, il buon successo commerciale del nuovo Dune cinematografico di Denis Villeneuve ha generato l’interesse di altri media, in particolare del fumetto. I primi editori a farsi avanti sono stati la Abrams ComicArts e i Boom! Studios, ma entrambi prima di avventurarsi in produzioni originali (come fanno da anni la Dark Horse e la Marvel con Alien, Predator e l’immancabile Star Wars o, in passato, la Dell/Gold Key con le star della TV dell’epoca) hanno preferito sondare il mercato attraverso un semplice adattamento dei romanzi già noti agli appassionati. La Abrams si è assicurata i diritti di sfruttamento del ciclo storico, esordendo con Dune-The Graphic Novel, Book 1 (disponibile in Italia nella collana Oscar Ink della Mondadori), l’agguerrita casa editrice californiana, viceversa, ha deciso di puntare sulle opere di Herbert junior e Anderson. Gli stessi che, oltretutto, ritroviamo come autori dei testi sia del graphic novel che degli albi dei Boom! Studios. Di questi ultimi, in particolare, è da poco iniziata la pubblicazione anche qui da noi grazie alla Panini Comics (che contemporaneamente ha pure dato alle stampe lo splendido artbook del film della Warner), la quale sta raccogliendo la prima maxiserie Dune: Casa degli Atreides in agili volumetti cartonati.

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La trama del fumetto segue fedelmente quella dell’omonimo romanzo da cui è tratta, raccontando le vicende parallele di vari personaggi in un’epoca che si colloca cronologicamente circa trentacinque anni prima degli eventi di Dune, dalle cui pagine, comunque, provengono gran parte dei protagonisti, che qui vediamo nelle loro versioni giovanili. Abbiamo, per esempio, un Vladimir Harkonnen nel fiore degli anni sostituire l’inetto fratello Abulurd alla guida dell’estrazione della spezia sul pianeta Arrakis. Ma anche un Leto Atreides appena quindicenne inviato a completare la sua educazione su Ix, sede delle tecnologie più avanzate della galassia. Assistiamo, quindi, all’annuncio della reverenda madre Anirul delle Bene Gesserit dell’imminente compimento del secolare piano di riproduzione per dare alla luce il Kwisatz Haderach delle profezie, mentre, al contempo, apprendiamo del torbido piano del principe Shaddam per assassinare il padre e prenderne il posto sul trono dell’impero. Infine, facciamo la conoscenza di un giovanissimo Duncan Idaho, schiavo degli Harkonnen e del planetologo Pardot Kynes che - di nuovo su Arrakis – riesce a entrare in contatto con i Fremen.

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Al di là dello scontato – e legittimo - obiettivo commerciale da parte della Panini e, prima ancora, dei Boom! Studios, non nascondiamo di aver nutrito la speranza che la serie potesse offrire qualcosa di più. Bisogna purtroppo dire, invece, che tolti i nomi altisonanti di Arrakis e dei personaggi principali, o la presenza dei giganteschi vermi delle sabbie, l’immaginario di Frank Herbert nel fumetto viene appena sfiorato. I protagonisti delle varie sottotrame sono raffigurati in maniera piatta e banale e i loro comportamenti, benché coerenti con la caratterizzazione originale, sono scontati e privi di qualsiasi motivazione che vada oltre il semplice stereotipo. Anche i dialoghi non brillano per brio e arguzia, senza considerare che la narrazione si concentra solo sugli aspetti più immediati e appariscenti di Dune, ignorando quasi del tutto la chiara metafora socio-politica e il sottotesto filosofico dei primi libri.

Non sono certamente d’aiuto i disegni del giovane artista indiano Dev Pramanik, che offrono pochi spunti di interesse, mancando soprattutto nella visionarietà delle ambientazioni e nella dinamicità dei personaggi, di frequente troppo legnosi e rigidi. Soltanto l’espressività dei volti di tanto in tanto compensa la staticità delle figure, ma non è sufficiente a nascondere l’assenza di uno stile riconoscibile e ben definito o una costruzione delle tavole poco più che scolastica.

Dune: Casa degli Atreides è, in definitiva, una convenzionale ramificazione della storia principale, senza alcuna ambizione autoriale, che appassionerà forse i fan hardcore o qualche lettore senza pretese, ma di sicuro non coloro che considerano l’opera di Herbert molto più che una semplice epopea fantascientifica.

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