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Alberto Palazzolo

Alberto Palazzolo

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La misteriosa isola di Lavennder, recensione del 4° Speciale de Le Storie Bonelli

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Cosa c'è di meglio che passare le proprie ferie su un'isola deserta insieme al proprio partner? Questo avrà pensato Aaron, protagonista del quarto speciale a colori delle Storie Bonelli “Lavennder”, prenotando la sua vacanza alla rinomata agenzia di viaggi omonima, specializzata in luoghi misteriosi. Dieci giorni su un isolotto tropicale in mezzo all'oceano, da solo nella natura con la fidanzata Gwen per non pensare più ai problema della vita di tutti i giorni, potrebbero essere un'esperienza riposante ma, nella letteratura, nel cinema e nel fumetto mai nulla è così semplice.
Giacomo Bevilacqua, autore romano divenuto famoso per A Panda piace, e apprezzato per lavori come il recente libro per Bao Publishing Il suono del mondo a memoria, porta al pubblico Bonelli questa avventura a metà tra Laguna Blu e un thriller, sceneggiando e illustrando da solo le 125 pagine dell'albo annunciato un paio di anni fa e proposto ora dalla casa editrice.

Aaron e Gwen, i due giovani e avventurosi ragazzi protagonisti, una volta lasciati sulla spiaggia con una barca da Piotr, uomo dell'agenzia, si abbandonano all'atmosfera rilassante e romantica di un ambiente caraibico, ma ben presto si fa largo in loro la sensazione di non essere soli in quel piccolo quadratino di terra in mezzo all'oceano. Al centro della giungla Gwen scopre infatti una casa sull'albero con dei graffiti all'interno che sembrano fatti da un bambino, mentre qualcosa tra le fronde segue i movimenti dei protagonisti dimostrando un particolare interesse per la ragazza.
Dall'altro lato dell'atollo, poco dopo, Aaron e Gwen trovano altri due coinquilini dell'isola, sempre meno deserta: due uomini, il monco Jacques e il silenzioso Mr Smee, hanno allestito il proprio campo da cui partire per battute di pesca di frodo. Una coppia di soggetti poco raccomandabili che, trovati i due ragazzi intenti a spiarli, ci tiene a mantenerli lontani dai loro affari con una minaccia a mezzo armi. Ma durante la notte l'accampamento dei giovani fidanzati viene messo a soqquadro, facendo ricadere i sospetti sui due criminali, che Aaron vuole coraggiosamente affrontare nonostante il pericolo.

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Quello di Bevilacqua è un piccolo thriller che si sviluppa in un intervallo di tempo molto breve, ma che riesce a concludere il proprio arco narrativo con soddisfazione. L'originalità della storia non è certo nella trama che, per quanto riserbi delle sorprese molto interessanti nel finale, riprende classici modelli letterari, tra cui quello horror del luogo erroneamente creduto disabitato. I due protagonisti, benché poco caratterizzati, sono sufficientemente tratteggiati per la brevità della storia; mentre il resto dell'esile cast risulta solo abbozzato, ma anche in questo caso non è necessariamente una limitazione data la brevità. In generale questi personaggi, ma anche parte della trama, risultano ricadere in cliché tipici delle storie d'avventura.

Lo stile grafico dell'autore, riconoscibile dal tratto spesso, le cui linee nere dei contorni sono molto ben visibili, ha la particolarità di riuscire a trasmettere una profonda espressività attraverso gli occhi dei personaggi, molto in risalto sul resto del viso. Le vignette sono particolarmente luminose, grazie a un azzeccato utilizzo di colori molto accesi, ma mai invasi, che trasmettono esattamente la sensazione di calura di una spiaggia tropicale. Anche negli anfratti ombrosi all'interno della giungla, dove le ombre risultano estremamente interessanti e ben congegniate, il chiaroscuro rende pienamente giustizia all'ambiente naturale,  ma i colori sono particolarmente efficaci in pieno sole, tra l'azzurro del cielo e quello del mare.

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Bevilacqua in questa storia, nella creazione di alcuni personaggi e dell'ambiente, utilizza elementi non immediatamente chiari al lettore più disattento, ma in realtà referenti a una particolare opera citata. Questi elementi risultano sempre più confusi man mano che la vicenda prosegue, per poi essere svelati nelle ultime 5 pagine con un colpo di scena notevole. La narrazione si conclude proprio rispondendo ad alcuni dei misteri dell'isola, ma anche suscitando nuove domande su qualcosa che va al di là della realtà, qualcosa che sarebbe possibile solo in una storia per ragazzi, se non fosse connotato anche da un aspetto spaventoso e angosciante.
Il finale è il punto di forza di tutto l'albo, insieme allo splendido utilizzo del colore, che farà scorrere indietro le pagine lette per recuperare quelle inizialmente oscure e ora perfettamente comprensibili per il lettore: in fondo la guida Piotr aveva condotto Aaron e Gwen su un'isola senza nome, tra pirati sena mano, disegni di bimbi nella giungla e misteri.

Il fantasy contemporaneo di Birthright, la recensione dei primi 4 volumi

Il fantasy è un genere dalle caratteristiche molto ben definite che, nel corso del secolo che lo ha visto nascere e svilupparsi, ha subito un evoluzione molto importante, ma che non ha saputo abbandonare alcuni archetipi propri del genere, di derivazione squisitamente Tolkieniana, autore che ne è riconosciuto universalmente come il padre. Questo ha portato alla cristallizzazione di alcuni stereotipi (nella sua accezione peggiore) nella maggior parte delle storie fantasy.

In questo Birthright, in corso di pubblicazione dal 2014 per la Image Comics negli Usa e portata in Italia dalla Saldpress finora in 4 volumi, è un po' una voce fuori dal coro per due motivi. La serie a fumetti di John Williamson e Andrei Bressan si discosta parecchio dalla classica narrazione del fantasy epico, o anche dal classico sword and sorcery, dimostrando coraggio nel tentativo di uscire fuori dagli schemi, sebbene molti degli elementi presenti potrebbero essere facilmente definiti come tali. Qui sta la seconda differenza dal comun denominatore delle migliaia di opere fantasy sul mercato: se Brithright ha saputo abbandonare una parte degli stereotipi del genere, dall'altro ha abbandonato anche lo spirito più puro del fantasy epico ed eroico che richiamava, ricadendo invece nel genere più di nicchia dello urban fantasy, con scenari metropolitani nostrani piuttosto che tipicamente selvaggi e inesplorati. Una scelta degli autori che, benché non esattamente una novità, rende questa serie godibile da un gruppo di persone non necessariamente interessate al genere di riferimento.

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Altro punto di novità è il concept alla base: protagonista della vicenda è il “piccolo” Mike, che quando è solo un bambino sparisce in un bosco mentre gioca con il padre. Quest'ultimo viene così accusato dell'omicidio del figlio dall'opinione pubblica, causandone la depressione e la separazione dalla moglie e dal primogenito. Un anno dopo fa la sua comparsa un uomo adulto che afferma di essere il piccolo Mike, tornato da un altro mondo, dove il tempo scorre più velocemente, fatto di magia e creature spaventose. Lì, riconosciuto come il prescelto di un'antica leggenda, è stato addestrato per anni al fine di sconfiggere il Signore Oscuro di turno, il Dio-Re Lore e adempiere al proprio destino. Terminato il suo compito nel mondo parallelo, è tornato sulla Terra per completare la sua impresa e riportare su Terrenos alcuni maghi fuggitivi, criminali di guerra, con l'aiuto del padre, unico a credere fin da subito all'uomo che affermava di essere Mike, e del fratello. Ma la verità su come sia finita la guerra e la reale identità dei maghi risulta da principio ambigua.

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La trama si dipana in questo modo davanti al lettore su due livelli: il presente nel nostro mondo con la ricerca dei maghi malvagi e parallelamente una serie di flsahback che mostrano come si sono sviluppate le vicende nel reame di Terrenos, dai primi giorni di addestramento di Mike, fino alle battaglie contro le armate dell'oscurità. Entrambi questi filoni narrativi sono disegnati magistralmente da Andrei Bressan, alternando un buon realismo grafico per la Terra, a una visione travolgente di Terrenos, con colori accecanti e linee stravaganti, dando all'ambiente una dettagliatissima visione magica.

Questo dualismo narrativo e grafico è ribadito da Williamson, da poco avvicinatosi a mondo del fumetto dopo una carriera da scrittore per la tv, con una serie di dicotomie sparse per tutta la struttura narrativa: essendo questo un fantasy che si rifà all'epica e all'eroico, la prima che salta subito all'occhio è il classico scontro bene-male, qui però attualizzato nella moderna incertezza di valori morali dei personaggi. Il protagonista, sebbene rappresenti l'archetipo di eroe forte della tradizione epica, presenta una serie di ambiguità centrali dal punto di vista narrativo. Contemporaneamente gli antagonisti, maghi rifugiatisi sulla terra, sono portatori di una propria verità sul passato del mondo da cui provengono e su Mike stesso, contrapposta a quella del protagonista.

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La narrazione, molto robusta e lineare, è assolutamente un punto di forza che Williamson ha saputo valorizzare con colpi di scena molto azzeccati che accelerano nello svolgimento della storia, aggiungendo sempre nuovi elementi al passato di Mike e rivelando a poco a poco la verità su ciò che è accaduto su Terrenos. Questo mistero è il motore della vicenda, che attraverso richiami al giallo investigativo mantiene l'attenzione del lettore sempre elevata nella curiosità per il passato.
Detto ciò, Birthright non stupisce. Il lavoro degli autori è molto più che mediocre prova di sé, senza però raggiungere la lode; un soggetto e uno sviluppo interessanti, ma non eccellenti, che non catturano fino in fondo l'attenzione, lasciando queste serie in un angolo rispetto ad altre produzioni, probabilmente più “commerciali”, ma non coraggiose.

Una sitcom a fumetti, la recensione di Giant Days 1

Giant Days ha quel sapore di comicità all'americana a cui ci hanno abituato le serie tv di successo degli ultimi anni. Friends, Big Bang Theory, Scrubs, hanno tutte in comune, oltre all'essere sit-com, una comicità basata su situazioni ai limiti del verosimile, assurde e anche tragicomiche, personaggi iper-caratterizzati e assolutamente riconoscibili in ogni loro azione e dialoghi paradossali, spesso con frasi a effetto assolutamente inutili ai fini della trama. Giant Day è tutto questo.
John Allison, Max Sarin e Lissa Treiman, rispettivamente autore e disegnatori della serie, forniscono una panoramica di un dormitorio dell'Università dello Sheffild, che benché assolutamente inglese, ricorda quello che accosteremmo a un college-drama statunitense.

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Le protagoniste di questa opera sono tre ragazze, Esther, Daisy e Susan, ognuna caratterizzata secondo alcuni canoni classici della letteratura e del cinema. Esther è una bella e pallida ragazza goth, forte, determinata e “attira-guari”; Daisy è lo spirito libero, l'ingenua e composta matricola che deve ancora fare esperienza del mondo; infine Susan, asse portante del terzetto, indipendente, femminista e dalla battuta pronta. Insieme, le tre amiche affrontano i primi giorni di università accompagnate da alcuni amici, facendo nuove conoscenze, ma soprattutto ritrovandone di vecchie.
La storia comincia con il presentarci le tre protagoniste appena uscite dal liceo e pronte per una nuova vita lontane dalle famiglie, amiche da poche settimane e già inseparabili. Il dormitorio universitario, quel luogo in cui il caso governa le vite degli studenti, così caro alla letteratura anglosassone, ma poco comprensibile per un italiano, ricopre anche in questo caso un ruolo di primo piano, rendendo possibile l'incontro di Esther, Daisy e Susan

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Senza che la sceneggiatura risulti ovvia e noiosa, Allison rappresenta una sfilza di situazioni del tutto verosimili di vita quotidiana tra una lezione universitaria e l'altra. Le vicende che vengono mostrate non sono né avventurose, né tanto meno straordinarie, ma semplici parentesi che chiunque potrebbe aver sperimentato, presentate con una verve quasi surreale tipica delle sit-com.
I problemi delle tre ragazze ci appaiono tanto ordinari quanto però interessanti nel rappresentare tematiche di attualità della cultura moderna: amore, sesso, omosessualità, oggettificazione della donna e maschilismo. Del resto la serie è molto femminile per il punto di vista che viene presentato, con Susan voce fuori campo a risolvere i suoi problemi e quelli delle due amiche; problemi che appaiono sempre nuovi ad ogni episodio, risolvendosi nel finale di ciascun capitolo.
Con un'esagerazione tipica dei problemi adolescenziali, portati all'estremo dall'autore, si ottiene la comicità di cui si permea questo fumetto.

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A sottolineare l'umorismo della storia uno splendido lavoro di disegno dallo stile umoristico e caricaturale, che riesce a mettere in rilievo gli elementi caratteristici dei personaggi, anche grazie alle tinte vive usate per la colorazione digitale da Whitney Cogar, mentre le vignette, molto regolari nella disposizione in pagina, scandiscono il tempo di sceneggiatura come fosse un'opera televisiva.
La serie, nata come web-comic e ora riproposta in volume da Edizione BD per l'Italia, è diventata una vera e propria pubblicazione ongoing grazie al successo ottenuto. Una storia a fumetti con protagonisti ragazzi e rivolta ad un pubblico di adolescenti, ma perfettamente godibile anche ai più grandi.

L'epopea dei diavoli di Go Nagai, la recensione di Devilman Omnibus

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Se paragonassimo Go Nagai a uno dei maestri del Rinascimento, probabilmente Devilman sarebbe la sua Monna Lisa.
Considerato uno dei mangaka più influenti di sempre, Go Nagai ha dedicato praticamente 4 decenni al suo universo demoniaco, iniziato nel 1971 con il manga Mao Dante, rimasto incompiuto, il quale costituirà l'anno successivo il telaio di Devilman per tematiche e ambientazioni; un “quasi remake” del lavoro precedente, come lo descrisse l'autore stesso, inizialmente pensato quale soggetto per una serie tv molto più vicino agli stilemi occidentali supereroistici rispetto a quello che sarebbe stato il manga.

Devilman è un'opera complessa e stratificata, i cui disegni dalle linee semplici e chiare, perfettamente in linea con il target shoen a cui è indirizzato, entrano in contraddizione con il significato profondo del manga, molto più maturo. Un messaggio rivolto ai ragazzi che affronta temi diversi e che Go Nagai ha inserito man man nella narrazione.
La vicenda narra di Akira Fudo, impacciato studente giapponese che viene a sapere dal suo migliore amico, Ryo Asuka, che nel passato il mondo era dominato da una razza di creature mostruose, i demoni, il cui potere principale era quello di legarsi ad alte creature ed assumerne le abilità. Un tempo questi esseri governavano la Terra, prima di scomparire misteriosamente e lasciare all'uomo il dominio sul pianeta. Ryo però fa anche un'altra rivelazione: i demoni stanno per tornare nel tentativo di riprendersi quello che considerano loro di diritto, la terra.
Akira e Ryo decidono di diventare i paladini a difesa del genere umano e per farlo escogitano un modo per fare sì che un demone si fonda con loro, utilizzando però il loro cuore puro per resistere alla coscienza del mostro, così da controllarne i poteri, divenendo dei devilman, uomini diavolo.

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Comicia in questo modo l'epopea di Akira, unico dei due a fondersi con un diavolo, il prode Amon, potente guerriero demoniaco, e di Ryo, quale suo aiutante, nel compito di sconfiggere le orde infernali che stanno piano piano tornando nel mondo. In una commistione tra vari generi letterari, il manga si trasforma da supereroistico ad apocalittico, passando per il viaggio nel tempo e il comico e avendo sempre una forte componente horror.
I demoni si rivelano al mondo e scoppia il panico, la guerra annunciata da Ryo scoppia e gli eserciti infernali calano sulle città dell'uomo, portando distruzione e destabilizzando i rapporti tra gli uomini, sospettosi verso il prossimo che potrebbe essere posseduto da un demone, mentre altri umani riescono a trasformarsi anch'essi in devilman.
Un fatalismo assoluto pervade l'ultima parte del manga, in cui gli uomini, in una rinnovata caccia alle streghe, uccidono senza pietà chiunque sospettino essere un demone. Questo è il gioco di Satana, sovrano infernale che ha manipolato il genere umano perché si autodistrugga.
Akira non può fare altro che cercare di proteggere la sua famiglia e infine, in un ultimo assalto, dopo che l'umanità ha perso, impedire che i demoni si impadroniscano finalmente della Terra.

Go Nagai intraprende qui l'esplorazione dell'argomento religioso e demoniaco che segnerà una parte consistente della sua produzione. Unendo la mitologia cristiana, ispirata dalla Commedia di Dante, alla cultura nipponica, l'autore riscrive la storia di Lucifero dalle origini: gli oni del folklore giapponese si legano agli angeli caduti occidentali, in una serie di creature composte da elementi diversi e confusi, in un risultato mostruoso.
Satana non è però un personaggio malvagio in assoluto, il che lo rende un tipico cattivo alla Go Nagai: cacciato da Dio, ha voluto difendere i demoni dalla distruzione divina e ha così cominciato una lotta contro il suo stesso Padre. Allo stesso modo Akira non impersona l'eroe senza macchia nel senso classico, in lui si cela un lato oscuro, quello demoniaco, che lo rende quantomeno ambiguo. Un dualismo tra bene e male tipico dell'autore, qui portato al suo massimo sviluppo in virtù dello scontro universale cui si assiste.

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Lo stile grafico, sebbene del tutto riconoscibile per l'intera opera, cambia e matura insieme all'evoluzione tematica che subisce la storia, virando sempre più spesso verso neri pieni man mano che la vicenda si avvicina al suo tragico epilogo; il tratto di Go Nagai risulta umoristico per lo più all'inizio, per deviare decisamente verso una componente più cupa nella metà della storia. Nella stessa tavola non è poi raro notare una maggiore cura per i dettagli in alcune vignette, per dei volti, o addirittura per intere pagine, tanto da sfiorare una sorta di realismo grafico in taluni punti chiave.

Dietro la scrittura di Devilman però c'è molto più che una semplice prova di bravura dell'autore, il manga è un vero manifesto del movimento controculturale degli anni '70, in cui si esprime una sfiducia profonda per la società che l'uomo ha prodotto, fatta di guerre e lotte dei più forti sui deboli; a questo si aggiunge un sincero messaggio ecologico portato avanti da Go Nagai nelle parole dei demoni, critici verso il comportamento dell'uomo nei confronti della natura, un tempo lussureggiante e ora asservita e piegata agli interessi umani.
Insicurezza riguardo al futuro, paura di una guerra mondiale, diffidenza verso i governi, sono i sentimenti principali di quegli anni. La guerra del Vietnam era in pieno svolgimento e perfino in Giappone i movimenti di protesta giovanile sconvolgono la vita dell'uomo comune; un'escalation nucleare tra le grandi potenze è dietro l'angolo e il Giappone, che bene sa cosa si prova a subire un bombardamento atomico, trova una rappresentazione delle proprie angosce in Devilman.

Il finale del manga è proprio un monito all'inutilità di una guerra che assicurerebbe una distruzione mutua e totale: "Chi è forte" dice Satana "non dovrebbe avere il diritto di approfittasi degli esseri più deboli solo in virtù del proprio potere, perdonami Akira sono stato un folle".

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L'opera più famosa di Go Nagai è stata ora, in occasione del 45° anniversario della pubblicazione giapponese, ristampata da J-Pop in formato integrale in un omnibus. Per la prima volta gli appassionati italiani hanno la possibilità di assaporare questo cult in un volume unico da 1300 pagine in bianco e nero, con alcune tavole a colori: un poderoso tomo cartonato di buona qualità, disponibile anche con la variant cover Feltrinelli dorata, che presenta la saga completa e alcuni extra in un formato con tavole più grandi rispetto alle precedenti edizione di J-Pop e delle altre case editrici che in Italia si sono alternate alla pubblicazione di Devilman. Ad arricchire il volume anche un'extra scritto dallo stesso autore per il pubblico italiano con una digressione storica sulla creazione del manga e alcune illustrazioni a colori su pagine patinate dei personaggi principali sia dal manga stesso che dall'anime.
La grandezza però, ma soprattutto il peso di questo volume (quasi 2,5 kg!), ne rendono la lettura un po' difficoltosa senza un sostegno adeguato, tanto che il dorso dà l'idea di poter cedere a causa della mole che deve sostenere. La qualità generale della carta e della stampa è comunque molto buona, rendendo questo un buon acquisto sia per un collezionista, quanto per un neofita.

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