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Il noir esoterico di Jonathan Hickman e Tomm Coker, la recensione di Black Monday 1

"Si racconteranno storie di uomini temerari che si gettarono verso la morte, pur di non affrontare il fallimento. La gente crederà a quelle storie perché anch'essa avrà perso tutto, nel frattempo. Ma non sarà la verità, non è così che è andata. Vedete, è anche l’illusione a fare la magia… e quanto, quanto piacciono ai poveri le bugie".

Un omicidio efferato, un poliziotto duro e puro che lo vuole risolvere, una setta segreta potentissima che esercita la sua influenza per fermarlo, intrighi internazionali, alta finanza e donne bellissime: Black Monday di Jonathan Hickman e Tomm Coker è questo e non solo. Il volume racchiude i primi 4 numeri della serie The Black Monday Murders e fa parte dei libri editi da Mondadori nella collana Oscar Ink., nata pochi mesi fa e dedicata interamente al fumetto. Considerando il prezzo onesto, l’edizione è di notevole pregio: la copertina rigida racchiude 240 pagine a colori, oltre a qualche disegno di copertine e schizzi preparatori in bianco e nero alla fine del volume.

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Non è solo il numero di pagine o la copertina a fare di questo libro una buona lettura. La trama, molto ben sviluppata e piuttosto complessa, strizza l’occhio al cinema e non ci sorprenderemmo troppo se ne estrapolassero una serie TV. La sua forza è che si serve dei costrutti tipici del genere noir solo in fase di avvio, per poi affrontare una storia intricata, scomoda e originale, tanto quanto disarmante. L’intento del racconto di Jonathan Hickman è quello di indagare l’ideologia che muove le grandi lobby del potere economico, ciò che spinge le multinazionali a calpestare la dignità umana, sovvertire le leggi statali e internazionali, persino a usurpare la vita umana in nome del profitto. I protagonisti sono mossi dall’avidità e l’avidità è coltivata in nome di Mammona. Mammona è il loro dio, o almeno è l’entità in cui credono, e il lettore è costretto a domandarsi se queste influenze sataniche siano solo invocazioni perverse o cruda realtà. Se esse sono reali, allora influenzano i livelli più alti della finanza internazionale.

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I disegni di Tomm Coker, colorati da Michael Garland, riescono a dare corpo alle idee di Hickman. Lo stile è efficace, i tratti sono evocativi, anch’essi molto cinematografici, realistici anche nei momenti più fantasmagorici della storia. La spietatezza del tratto riflette bene quella dell’anima dei protagonisti, la loro amoralità, il cinismo dilagante. Di tanto in tanto gli autori inseriscono qualche pagina di testo, per aumentare il realismo narrativo, quasi fosse un’inchiesta giornalistica che mostra i rapporti della polizia sul caso. C’è il crollo della borsa del ’29, ci sono le spie sotto al muro di Berlino e si parla della genealogia dei Rothschild. Il cadavere che scopriamo nelle prime pagine è proprio del membro della potente casata di banchieri, Daniel, fratello di Grigoria. E ora Grigoria Rothschild vuole il suo posto nella cupola dell’alta finanza.

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La sceneggiatura di Black Monday funziona proprio perché riesce a spaziare abilmente tra passato, presente e futuro senza mai cadere nel cliché. Durante la lettura si visitano epoche e mondi diversi rimanendo incollati all’indagine principale, aggiungendo a ogni tappa un tassello, un’informazione, un’anticipazione e così via, sempre più dentro questa torbida realtà, finendo per accettare il lato mefistofelico della vicenda. Accettare il lato satanico che intreccia gli interessi degli uomini (e delle donne) coinvolti nel caso è compito anche del detective Theodore James Dumas, che segue le indagini fin dall’inizio. Il poliziotto ha un legame speciale con la magia, avendo imparato da suo nonno a praticare la santeria. Determinato, sfrontato e appassionato, questo personaggio non ci fa rimpiangere i detective del secolo scorso (e forse non è un caso che il cognome sia così letterario). Una storia realistica, dunque, benché permeata dai riti propiziatori a Mammona, dai sacrifici umani sull’altare del profitto, da personaggi poco raccomandabili che tessono le trame del commercio mondiale. Il detective Dumas si deve tuffare in un mare nero, sconfinato, marcio fino alle sue profondità più buie. Tutto molto realistico, documentato, approfondito; ma anche tutto vero? Naturalmente no, tranquilli, è solo un fumetto…

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Il graphic novel ante-litteram di Dino Buzzati, la recensione di Poema a fumetti

Nel 1969 Dino Buzzati pubblicò per la prima volta Poema a fumetti, uno dei suoi lavori più controversi, se si giudica la reazione avuta a posteriori da pubblico e critica, nonché una delle opere più personali e sentite dell’intera produzione dell’autore bellunese. Un volume ibrido che non è narrativa e non è propriamente fumetto, non è portfolio e non è catalogo, non è artbook illlustrativo: è un lavoro difficile da collocare come difficile è la comprensione di un tale livello di articolazione e stratificazione di significati, che ben si predispone a una lettura a molteplici piani e chiavi interpretative, da cui emerge sempre qualcosa di nuovo e imprevisto.
Ma al contempo è un lavoro che definire seminale è quantomeno riduttivo: Buzzati apre la strada al Graphic Novel con decenni di anticipo, ispirando e illuminando radicalmente futuri autori di spicco del panorama internazionale tra cui Milo Manara e Lorenzo Mattotti, che più volte dichiareranno la folgorante influenza artistica subita.

Ma Poema a fumetti, dal punto di vista del percorso dell’autore, rappresenta molto di più: rappresenta il culmine del percorso di relazione con il media fumettistico per quanto riguarda lo scrittore bellunese, da sempre infatuato e vicino a questo metodo narrativo. Dino Buzzati ha sempre considerato il disegno come un aspetto essenziale del racconto, complementare al testo in una comunicazione amplificata rispetto al semplice romanzo. I suoi disegni avevano spesso accompagnato i suoi scritti, a partire da Bàrnabo delle montagne e successivamente con numerose altre opere, tra cui la favola La famosa invasione degli orsi in Sicilia.

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Con Poema a fumetti, Buzzati rivisita il classico mito di Orfeo ed Euridice, qui Orfi e Eura, calandolo negli anni '60 italiani, suscitando scandalo nel pubblico rigido del tempo: in sintesi, la trama vede il protagonista, un cantautore di grande successo tra le giovani, varcare la porta per l'aldilà per riportare indietro la sua amata Eura, attraversando dei simbolici gironi infernali popolati da donne nude avvenenti e provocanti, intrattenendo le anime dei defunti per guadagnarsi la possibilità (inesistente) di sottrarre alla morte il suo unico amore.
Una consapevole inadeguatezza per il periodo corrente ma al contempo una rivendicazione forte della propria identità artistica, un'opera fuori dal tempo, sfuggente allora come oggi, a cui l'autore teneva moltissimo in quanto sentiva propria, espressione pura della sua vena artistica, nonostante gli richiese periodi di gestazione prolungati e diversi ostacoli da parte dell'editoria e della società di allora.
Dino Buzzati, così come nel precedente Un amore, va a scontrarsi volontariamente con la rigidità borghese sociale dei '60 per volontà e necessità di scrittura: un'urgenza che lo spinse a scrivere queste opere perché "non poteva farne a meno", come dichiara lui stesso, indipendentemente dall'accoglienza che ne sarebbe potuta seguire; l'imposizione della volontà e della libertà artistica al di sopra del volere del pubblico e dei vincoli sociali. Quello che ci si aspetta da un vero artista, insomma.

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La poetica di Buzzati viene tutta racchiusa in questa scansione di immagini e parole, in questo amalgama surreale. In primis il rapporto con la morte, la “cara morte”, che rappresenta una nobilitazione nonché una definizione di identità per antitesi della vita stessa: un qualcosa di terribile, di tremendo e terrificante, ma al contempo un termine di scadenza imprevedibile ma certo che dà significato e senso alla gioia e all’esistenza. Un’ode alla vita mediante la rappresentazione del suo opposto. Orfi canta ai morti ciò che loro hanno perso e bramano con grande agonia: la consapevolezza di avere una fine davanti a sé permette di godersi quei brividi e quelle angosce, quei “cari misteri” che hanno perduto nel grigiore routinario e piatto dell’aldilà, quella “libertà di morire” che vitalizza, galvanizza e dà un senso a tutto. Ma al contempo ci viene data conferma dell’ineluttabilità della morte, della “grande legge” che impedisce al protagonista di riportare la sua amata nel mondo dei vivi.

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Dal punto di vista visivo, l’opera è composta da pagine singole, illustrazioni statiche accompagnate da didascalie piuttosto che balloon. Un fumetto nei suoi stilemi principali messi in atto con estrema semplicità ed essenzialità, che tuttavia restituiscono quasi un effetto diapositiva, non una sequenzialità vivida, creando una narrazione intrecciata tra testo e immagini proposta con sapiente regia e alte capacità narrative. Lo stile grafico spazia dal surrealismo alla metafisica visionaria, dalla Pop Art all'illustrazione settecentesca, dal romanticismo di Caspar David Friedrich alle fotografia bondage anni ’50 di Irving Klaw, tra incubi di Francisco Goya e astrattismo più essenziale, navigando tra semplificazioni di forma, spesso allegoriche, a rappresentazioni dettagliate delle figure femminili in primis, ricalcate e modificate in composizione da pubblicazioni erotiche del tempo, stessa tecnica adottata per gli ambienti e particolari elementi visivi, su cui verte l'attenzione del lettore. Completano il tutto tinte piatte miste a un'ombreggiatura a tratteggio marcata, che definisce le forme ma non riesce a estrarle dalla loro intrinseca bidimensionalità, affiancata tuttavia da un'ulteriore ombreggiatura puntinata che dona volume e tridimensionalità agli aspetti compositivi più rilevanti.

L’opera edita da Mondadori dopo diversi anni di assenza dagli scaffali delle librerie, è un volume cartonato di grande formato ed elevata cura grafica ed editoriale. Da segnalare l’ottima e dettagliata postfazione adopera di Lorenzo Viganò, pubblicata già nel 2009, che permette al lettore di maturare una comprensione più profonda del contenuto enorme del fumetto che ha tra le mani.

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Mondadori Oscar Ink: ecco tutti i nuovi titoli annunciati

  • Pubblicato in News

Dopo la prima ondata di titoli della nuovissima collana Oscar Ink di Mondadori che hanno invaso le librerie di varia, sono stati annunciati i prossimi volumi che vedranno la luce in questa veste. Oltre a due nuovi volumi della ristampa di Alan Ford di Magnus e Max Bunker, di seguito vi riportiamo tutte le novità riportate da ComixFactory.

Oscarink Commissario Spada

Il Commissario Spada
di Gianluigi Gonano e Gianni De Luca
400 pp, € 22,00

Oscarink House of Penance

House of Penance (Dark Horse)
di Peter Tomasi, Ian Bertram e Dave Stewart
192 pp, € 22,00

Oscarink il castello di stelle

Il Castello di Stelle (Rue De Sevrès)
di Alex Alice
144 pp, 22,00

Oscarink inde

Indeh (Grand Central Publishing)
di Ethan Hawke e Greg Ruth
240 pp, € 19,00

Oscarink la soffitta

La Soffitta
di AkaB e Squaz
56 pp, € 18,00

Oscarink loop

Loop
di Simon Stalenhag
124 pp, € 25,00

Oscarink spose

Le Spose proibite (Dark Horse)
di Neil Gaiman e Shane Oakley
56 pp, € 17,00

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Il fantasy matriarcale di Liu e Takeda, la recensione di Monstress

Mondadori ha dato il via con il botto alla nuova collana di fumetti Oscar Ink, proponendo tutta una serie di titoli allettanti delle principali case editrici estere, dal mercato francese a quello americano, non dimenticandosi dell’ottimo contributo italiano con opere come Alan Ford e Diabolik, oltre al graphic novel di Dino Buzzati.
Tra le uscite di maggio previste per questa iniziativa editoriale, trovimo Monstress di Marjorie Liu e Sana Takeda, fumetto fantasy avventuroso fonde la tipica atmosfera magica ed esoterica con una spruzzata di steampunk, dando vita a un affresco complesso e articolato, ben caratterizzato e approfondito, ma che soffre di un difetto principale, anche se non così essenziale.

L’inizio in medias res piuttosto concitato e criptico, che proietta il lettore sin da subito nell’azione frenetica del volume, senza neanche presentare i personaggi, rende faticoso ed eccessivamente farraginoso l’ingresso nell’universo narrativo descritto: comprenderne le dinamiche e le diverse parti in gioco, in una scacchiera alquanto complessa e vasta, con fazioni differenti in lotta fra loro, non è così semplice, almeno non nei primi due capitoli. L'introduzione esplicativa al background delle vicende presentate viene rimandata a metà volume e oltre, permettendo sì a fine lettura di avere le idee più chiare di ciò che si è letto, ma con un sentore residuo un po’ incerto. Una macchinosità forse eccessiva per una narrazione sicuramente diversa dal solito, che non si perde in noiosi fronzoli e non fornisce subito al lettore la “pappa pronta” di facile decifrazione, ma che poteva essere resa più fluida e fruibile con un'introduzione iniziale al volume, giusto per avere uno starting point anche minimo da cui partire.

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Soprattutto perché la trama in sé è molto articolata e dall’ampio respiro temporale. La storia è ambientata in un’Asia alternativa, in cui coesistono cinque razze senzienti principali: umani, gatti, arcani, antichi e antichi dei. Nella contingenza temporale in cui si svolgono le vicende narrate, vige una tregua tra due fazioni in guerra, quella degli umani soggetta ad una casta di sacerdotesse potenziate note come Cumaea, e quella degli antichi, creature magiche ibride, progenie di umani e antichi, nel cui corpo scorre una sostanza mistica, il Lilium, che le sacerdotesse usano per potenziarsi ed estendere le loro capacità sovrumane, sottraendolo con la forza.
In questo scenario bellico, una giovane ragazza arcanica Maika Halfwolf, capace di passare per umana, cerca disperatamente di fare luce sul proprio passato, combattendo contro le Cumaea con grande ferocia e violenza, pur di scoprire la sua vera natura e comprendere quale entità misteriosa si cela dentro di lei.

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Una serie di intrecci interessanti e ben investigati dalla scrittura della Liu che non bada a violenza, crudezza e orrori espliciti di ogni sorta, conditi da opportuno linguaggio scurrile, che mira a non incensare una realtà di guerra e massacri, proponendo in tutta la sua oscura visione un mondo in cui la speranza è sempre più flebile e la sopravvivenza è sempre sul filo del rasoio. Schiavitù, massacri di civili, donne e bambini, mutilazioni, sacrifici, inganni, tradimenti e soprusi abbondano in questa realtà narrativa totalmente disillusa.
Come già dimostrato in passato su serie come X-23 e Black Widow, la creazione di personaggi femminili forti, complessi e sfaccettati è una delle peculiarità più di risalto della scrittrice, che si diverte in una società sostanzialmente matriarcale come quella narrata a mostrarci figure inusuali, caratterialmente e psicologicamente ben impostate: abilità che dona vitalità agli attori in scena.

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E dal punto di vista visivo, di certo Sana Takeda non si tira indietro, ricorrendo ad un grande realismo pittorico, molto vicino all’illustrazione epica videoludica ma che non cade nella staticità, nell’immobilità di flusso che l’illustrazione a sé stante avrebbe fornito. Una produzione definita da un dettaglio maniacale e di fortissimo impatto visivo, ideale per le scene più action e per creare un immaginifico fantasy corposo e strutturato.
Il suo stile ibrido mescola con sapienza elementi tipici della produzione artistica occidentale, nel gotico e nelle architetture steampunk, nel layout della pagina tipicamente americano, con forti influenze asiatiche, nipponiche prevalentemente, non solo nell’espressività marcata di alcuni personaggi, nella realizzazione dei volti e delle figure, ma anche nel character design stesso, come la piccola arcanica-volpe o i gatti multicoda dalle fattezze molto giapponesi.
Un’esperienza visiva affascinante e davvero eccellente, anche a livello di palette cromatica adottata, perfetta per queste ambientazioni oscure.
 
L’edizione Oscar Ink è massiccia, forse un po’ troppo per un hardcover di una serie mainstream, con pagine opache, e leggermente ruvide, piacevoli. Un volumone bello denso e di ottima fattura, che occupa uno spazio non trascurabile in libreria.

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