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Il Grosso, recensione: il fantasy che non ti aspetti

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Il fantasy è un genere ben codificato e riconoscibile: se metti un grosso barbaro – memore del Conan di Robert E. Howard – e delle creature mostruose, è chiaro immediatamente che ci si trova davanti a un racconto fantasy. Se poi si parla di maledizioni, coltelli ritualistici e morti viventi, la storia si arricchisce di sapori sovrannaturali tipici di alcune diramazioni sottogenere.

Il Grosso scritto da Daniele Daccò e disegnato da Veronica Ciancarini è proprio questo: un fantasy sovrannaturale. Ma non è un fantasy alla Howard o alla Moorcock ed è lontano da quello tolkeniano, piuttosto è come se Quentin Tarantino avesse deciso di giocare una partita a Dungeons and Dragons.

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Rispettando (quasi) fedelmente le unità aristoteliche della narrazione, Daccò pone i suo tre personaggi principali – il barbaro Grosso, una ragazza incinta che stava per essere sacrificata e il mellifluo officiante del rito sacrificale – all’interno di una vasta sala di un edificio abbandonato in cui sono costretti ad asserragliarsi per sfuggire a demoniaci assalitori.
La storia scorre, dunque, veloce e le azioni sono serrate. Le spiegazioni di come e perché i personaggi si siano riuniti e siano giunti in quel luogo, come in un giallo, vengono dosate man mano che il racconto si dipana. Niente però è superfluo, tutto è mirato a raccontare l’essenziale narrativo e dare le coordinate al lettore. Ma Daccò non disdegna, fedele al genere che sta trattando, scene action che vedono Il Grosso come principale e motore. Nonostante la sala che accoglie i personaggi sia scarna, come i giocatori di un Dungeon, il barbaro protagonista utilizza l’ambiente a suo vantaggio, sfruttando le proprie capacità fisiche.

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Ciancarini, ai disegni, crea un gioco grafico di indubbio fascino: i colori utilizzati sono il bianco, il nero ed il rosso. Questo permette all’autrice di creare tavole piatte, senza sfumature, scale di grigi o effetti di profondità, per calcare la mano sull’espressività delle scene. Il tratto caricaturale e cartoonesco, difatti, permette ironiche o inquietanti deformazioni grafiche che rafforzano il potenziale emotivo o action delle diverse scene. Il rosso non è il solo colore del sangue, ma anche della passione, della concitazione, del dolore, della rabbia, della vita e della morte. Utilizzato con attenzione, a volte come piccolo dettaglio, segnala al lettore necessari elementi narrativi.

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Il Grosso è, dunque, un godibile pegno d’amore al genere fantasy, ai giochi di ruolo, ma anche ad una cinematografia di genere animato – come Adventure Time o Steven Universe – che indubbiamente è presa come modello grafico-narrativo ma non pedissequamente men che meno parodiandola.
Edito dalla Panini Comics, il volume è un cartonato con copertina soft-touch che, indubbiamente, fa da ottima cornice al racconto di Daccò e Ciancarini.

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