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Replica 1, recensione: clonazione e umorismo nell'epoca del multi-tasking

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Saldapress raccoglie in volume i primi cinque numeri di Replica, serie del 2015 di Aftershock che fonde fantascienza e detective story. Il Transfer è un misterioso agglomerato che “fluttua dentro mille punti di spazio ripiegato, all'epicentro dell'universo conosciuto […] nessuno sa chi l'abbia costruito o perché […] un milione di specie si scontrano ogni giorno in questo guscio di ottanta chilometri di diametro. Un milione di specie, tutte in competizione, che sgomitano in questo gigantesco minestrone”. Fra questi ovviamente gli umani, che ne amministrano la giustizia e la pubblica sicurezza. Lo fanno come possono visto la mole di lavoro e gli inghippi burocratici: è per ovviare al sovraccarico di incarichi e all'incompetenza dei colleghi che il detective Trevor Churchill decide di “regalarsi” un clone, ma qualcosa va storto e il risultato sono 50 repliche di se stesso, ciascuna delle quali rappresenta una parte della sua personalità. In più un omicidio rischia di fare esplodere le tensioni razziali e socio-politiche del melting pot interplanetario del Transfer. Confusi? È giusto così. Sì, perché Replica del poliedrico e talentuoso Paul Jenkins (Inhumans, The Sentry, Wolverine: Origin) inizia come un'autentica implosione di generi, sotto-generi e influenze sci-fi: si va dalla space opera al cyberpunk, da Star Trek a Star Wars, passando per Blade Runner. Nulla di nuovo e molto di rimasticato quindi, e la prima impressione è proprio quella di trovarsi davanti qualcosa di non proprio originale.
Ma è un errore.

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In primo luogo perché Replica è divertentissimo. Credete freghi qualcosa all'autore inglese di essere “derivativo”?  Jenkins seppellisce ogni remora sotto coltri di umorismo e ironia. I dialoghi sono frizzanti e, in alcuni momenti, irresistibili. Lo “spezzettamento” del protagonista nei suoi molteplici alter ego dà il via ad una serie di gag comiche, battute e situazioni ai limiti del demenziale in cui caratteri e cliché di genere sono esasperati e quindi demoliti.
In secondo luogo la detective story avvince: Jenkins riesce magistralmente a bombardare il lettore con fatti, informazioni, particolari, descrizioni mirabolanti, ma allo stesso tempo lo tiene incollato alla storyline principale spingendolo dannatamente a voler sapere come andrà a finire. Il ritmo del racconto ti catapulta dentro il “mistero misterioso” senza accorgertene e ti rendi conto che tutto questo ti piace tantissimo.
In terzo luogo come ogni buona opera fantascientifica anche in Replica scorre una vena sotterranea di critica sociale, declinata attraverso uno spirito caustico e satirico che non risparmia nessuno. Il Transfer è la deformazione grottesca dell'ideale di una società multi-culturale in cui esseri umani e alieni convivono ma all'insegna di sospetto, competizione sociale e frenesia “consumistica”; Trevor Churchill è un archetipo di disorientamento e sfortuna che di fronte a un mondo disordinato si frantuma in tante parti mosso dal desiderio di forzare i propri limiti personali. Personaggi spassosi certo, ma anche soli e desolanti verso cui Jenkins mantiene uno sguardo a volte tenero e a volte feroci, ma a cui si può guardare solamente attraverso il filtro della risata.

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Replica si avvale inoltre di un ulteriore e per nulla secondario asso nella manica: i disegni di Andy Clarke (Batman, Judge Dredd). Il tratto realistico, ricchissimo di particolari, elegante, che ricorda in più punti quello del primo Travis Charest, dà forma all'ambientazione, sviluppandosi soprattutto su ampie vignette orizzontali, che esaltano le scene d'azione e sono particolarmente funzionali all'”affollamento” di certe sequenze. Niente sperimentalismi, ma il grande equilibrio e la pulizia formale del disegnatore britannico regalano possibilità suggestive a Dan Brown e ai suoi giochi cromatici.

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Intrattenimento e intelligenza tutt'altro che banali quindi in Replica, che dimostra come pur non inventando nulla di nuovo, la fantasia è sempre uno spazio infinito entro cui scrivere belle storie.

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