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SSHHHH!


SSHHHH! (Black Velvet, 128 pagine, b/n, brossurato, € 12,00) testi e disegni di Jason

Il norvegese John Arne Sæterøy, meglio conosciuto con lo pseudonimo Jason e autore del capolavoro Ehi, aspetta (Black Velvet, 2003), torna a sorprenderci e ad emozionarci - grazie alla lungimiranza e all’intelligenza dello stesso editore - col bellissimo Sshhhh! (2004).
Sshhhh! è un invito alla riflessione e al silenzio, non solo perché in questa rosa di racconti muti le parole sono state bandite (sopravvive, oltre che nel titolo del volume, solo qualche onomatopea lungo le vignette), ma anche perché Jason sa trasformare i fotogrammi che compongono la nostra esistenza in temi universali, tragici, comici ed essenziali.
L’antologia, composta da dieci storie, è percorsa da un fil rouge che non è solo, e banalmente, riconducibile all’assenza di parole. L’antologia è una scelta calibrata di racconti in cui la Tyche regna onnipotente su mortali e fragili animali antropomorfi. La solitudine, il male di vivere, la necessità di trovare una compagna per affrontare la vita e sorridere persino delle proprie debolezze, sono continuamente sopraffatti da questa strana e capricciosa dea. Nessun attributo, però, è possibile metterle accanto: la fortuna non è buona o cattiva. Essa è presente nelle nostre vite quasi in maniera neutra e Jason pare suggerire al ‘lettore’ l’ineluttabilità del destino. I suoi personaggi hanno tutta la tristezza degli uomini e ogni sua storia si chiude con un carico di emozioni così forte da suggerire un’unica reazione possibile: la riflessione e il silenzio.
I luoghi comuni con cui si è soliti designare il fluire del tempo, le occasioni mancate, la partita impari col destino, il tentativo di fuga dalla routine della spesa al supermercato, diventano in queste storie metafore della vita dell’uomo e della (im)possibilità del libero arbitrio. Jason sfida questi luoghi comuni, probabilmente sentiti dal lettore come troppo logorati per poter essere caricati di valenze nuove, e lo fa con semplicità. Se la morte ha spesso l’aspetto di uno scheletro che pronuncia il suo memento mori, Jason schizza allora la figura (quasi rassicurante) di uno scheletro che accompagna il protagonista della sua storia fino a prenderne le sue stesse abitudini e ad anticiparne le mosse. E se un evento straordinario lo colpisce, nella forma volutamente esagerata di un meteorite o di un rapimento di alieni, è per denunciarne tutta la portata tragica e comica, pirandelliana.
Quando l’incontro di due solitudini dà vita alla Vita, l’esistenza del protagonista diviene allora una palestra dove il debito di chi insegna e di chi impara non è sempre marcato nettamente. Questo stesso incontro, in storie diverse, può anche sbatterci violentemente di fronte alla nostra condizione di dimidiati e di estranei a noi stessi fino quasi a renderci invisibili. Non è un caso, infatti, che i personaggi di Jason abbiano un continuo bisogno di guardarsi allo specchio. Esso si trasforma, lacanianamente, in possibilità di riconoscersi e di distinguersi in tutta la propria corporeità. Ma lo sguardo dei personaggi, assoluto come quello delle madonne bizantine portatrici, appunto, di significati universali ed eterni, è lo sguardo del lettore. In questo riconoscimento e in questa identificazione Jason vuole scuotere ed emozionare e non lasciare indifferenti.

Nadia Rosso

Andrea Antonazzo
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