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Ghost Rider Cosmico, recensione: l'inedito Punitore spaziale che conquista i lettori

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Non c’è più pace per Frank Castle. Dopo essere morto innumerevoli volte, aver cacciato demoni per conto degli angeli, essere diventato una sorta di mostro di Frankenstein (in uno degli archi narrativi più deliranti di Rick Remender), aver indossato l’armatura di War Machine, e parecchie altre cose, scopriamo che nel futuro (o meglio, in uno dei tanti possibili futuri del multiverso Marvel) il Punitore diventerà il nuovo Spirito della Vendetta, poi l’ennesimo araldo di Galactus e, infine, prima di essere ucciso da Silver Surfer, il servitore di Thanos.

Il Ghost Rider Cosmico compare per la prima volta negli ultimi episodi della recente serie dedicata al titano dalla pelle viola, in un ciclo di storie intitolato Thanos vince, dove il folle adoratore della morte viene trasportato in un remotissimo futuro a incontrare una versione anziana di se stesso che, pur avendo praticamente sterminato tutta la vita nell’universo, sembra avere bisogno del suo io più giovane per sconfiggere l’unico essere ancora in grado combatterlo, il Caduto (una versione futura di Silver Surfer in grado di brandire il Mjolnir).

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La storia, narrata nella miniserie Cosmic Ghost Rider, riparte proprio dal finale di Thanos vince, con un Frank Castle degno di entrare nel Valhalla (che nelle leggende nordiche è il paradiso dei combattenti morti con onore in battaglia), grazie a Odino, che ne ha sempre ammirato l’incontenibile spirito guerriero. Ma i secoli in compagnia di dei e valchirie non riescono ad allontanare in lui il rimorso per essere stato al servizio del peggior criminale dell’universo. Un autentico tradimento alla missione a cui aveva dedicato tutta la vita, dopo l’assassinio della sua famiglia. Consapevole di non poter guarire la profonda inquietudine di Frank, Odino si convince a riportarlo in vita, di nuovo come il Ghost Rider Cosmico. Pronto a solcare l’immensità dello spazio in sella alla sua moto, Frank chiede a Odino di tornare indietro nel tempo, quando Thanos era ancora un bambino, in modo da poterlo uccidere prima che possa crescere come il mostro genocida che è destinato a diventare, rimediando, così, al tragico errore commesso nella sua vita precedente. Assassinare un bambino, però, non è semplice neppure per il Punitore, per cui il nostro “eroe” si convince che, tenendo lontano il piccolo Thanos da violenza e morte, potrebbe riuscire a evitare ciò che le forze del fato sembrano aver già deciso per lui. In mezzo a scorribande spazio-temporali, con tutto l’universo che sembra complottare contro di lui, Frank imparerà che cambiare il destino degli esseri viventi è molto difficile, anche per chi possiede contemporaneamente il potere cosmico e quello infernale.

Ai testi di Thanos vince e di questa miniserie troviamo l’astro nascente Donny Cates, il giovane sceneggiatore texano che si è imposto rapidamente all’attenzione di pubblico e critica per la sua capacità di creare storie veloci, frizzanti, divertenti, dove l’ironia non manca mai, così come l’inventiva, tanto da essere richiestissimo sia dalle case editrici indipendenti (per le quali ha ideato opere già celebrate come Babyteeth, Redneck e God Country) sia da una major come la Marvel, che lo ha ormai inserito nella sua lista di autori di punta, e a cui ha affidato serie bisognose di essere rilanciate (recentemente lo abbiamo apprezzato su Dr. Strange e Venom). Estremamente prolifico (lo vedremo presto su parecchi nuovi progetti della Casa delle Idee), non gli manca neppure la spavalderia tipica della sua giovane età, tanto che, recentemente, ha scherzosamente accostato le sue storie di Venom a un capolavoro irraggiungibile come Watchmen. Una specie di Quentin Tarantino dei comics, insomma, o un novello Garth Ennis, dai quali ha ereditato il gusto per l’irriverenza e la capacità di sorprendere, mostrando, allo stesso tempo, di sapersi contenere con gli eccessi grotteschi o dissacranti.

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La trama imbastita da Cates per questo Cosmic Ghost Rider ricorda l’incipit di parecchie storie di fantascienza, in particolare l’idea che si possano eliminare le sofferenze causate da un individuo, uccidendolo da bambino grazie a un viaggio indietro nel tempo. Ma nelle mani dell’autore texano questa semplice premessa diventa molto di più: Cates non si limita a mettere in piedi una sorta di lungo “what if?” (un omaggio alle celebri storie immaginarie della Marvel, reso ancora più evidente dalla presenza dell’Osservatore), ma si scatena in una sequenza infinita di trovate divertenti, mostrando sia di sapere già utilizzare parecchi trucchi narrativi, che molti cartoonist più navigati di lui non hanno mai compreso fino in fondo, sia di sapersi abilmente destreggiare all’interno della continuity marvelliana. Il tutto condito da una buona dose di ironia, da testi ammirabili per arguzia e dal desiderio di non prendersi mai troppo sul serio (non si spiegherebbero, altrimenti, idee al limite del demenziale come lo strano ibrido tra il Fenomeno e Howard il Papero, con cui Frank si trova costretto a combattere). Inoltre, lavorare su personaggi che ancora non appartengono al pantheon della Marvel (anche se Thanos, dopo il clamoroso successo di Avengers: Infinity War e il prevedibile exploit del suo seguito di fine aprile, ne entrerà presto a far parte), gli ha permesso di godere di una libertà creativa invidiabile, che ha sicuramente influito positivamente sulla riuscita dell’opera. Non a caso, Cates ha affermato in alcune interviste di considerare Cosmic Ghost Rider una sorta di serie “indipendente”, ma scritta per la Marvel. Merito, senz’altro, del feeling che si è creato con l’editor Jordan D. White, già assieme a Cates sulla serie di Thanos e bravo a riconoscere l’abilità dello sceneggiatore a reinterpretare in chiave moderna parecchi personaggi della Casa delle Idee, concedendogli tutta l’autonomia necessaria a raggiungere questo scopo.

Per quanto riguarda i disegni, lo stile cartoonesco del canadese Dylan Burnett si sposa alla perfezione al taglio leggero e scanzonato dei testi di Cates, tanto che a volte sembra di rivivere la perfetta simbiosi che si era creata su un'altra serie dalle atmosfere simili, la mai dimenticata Hitman del duo Garth Ennis-John McCrea. Il merito principale di Burnett è quello di “aggiustare” il suo tratto a seconda del ritmo della narrazione, accrescendo o diminuendo l’aspetto caricaturale dei personaggi sulla base del tasso di drammaticità della storia. Infine, il suo segno così distante dalla classicità Marvel, è, probabilmente, l’ennesima conferma di come la Casa delle Idee abbia ormai deciso di non fissare più rigidi paletti atti a contenere la creatività dei suoi talenti, spesso liberi di esprimersi come meglio credono.

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Il Ghost Rider Cosmico sarà presto uno dei membri del cast della nuova testata dedicata ai Guardiani della Galassia, un rilancio affidato ancora una volta all’estro di Cates. La serie, di cui sono appena usciti i primi numeri negli USA, dovrebbe arrivare da noi tra maggio e giugno, presumibilmente alla conclusione di Infinity Wars. Inutile dire che non vediamo l’ora di leggerla.

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Spiriti della Vendetta: L'alba dei Figli della Mezzanotte, recensione: Catene e Fuoco Infernale

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Dopo aver segnato profondamente la scena fumettistica degli anni ’80, l’onda lunga del revisionismo si riversò fino alla prima metà degli anni ’90. Se nel decennio appena conclusosi le opere di Alan Moore e Frank Miller avevano definitivamente posto fine all’innocenza dei supereroi, quello che si apriva fu caratterizzato dal proliferare di titoli dedicati ad anti-eroi nerboruti ed ipertrofici, che del movimento revisionista riprendevano solamente le caratteristiche più superficiali ed esteriori. Fu l’occasione, per una nutrita schiera di psicopatici in costume senza spessore, di fare bella mostra di sé sugli scaffali delle fumetterie, mandando provvisoriamente in pensione gli eroi più classici, la cui morale sembrava ormai superata. Il culmine di questa tendenza fu rappresentato ovviamente del debutto della Image Comics nel 1992, e dalla sgangherata produzione di Rob Liefeld in particolare.

Senza raggiungere tali livelli di tamarro splendore, anche le "Big Two" erano decise a cavalcare l’oscurità che era scesa sul comicdom a stelle e strisce. Mentre la DC aumentava esponenzialmente le proposte dedicate a Batman, l’unico tra gli eroi classici a poter beneficiare della nuova ventata dark e che poteva contare inoltre sullo straordinario successo delle pellicole a lui dedicate firmate da Tim Burton, la Marvel investiva notevoli risorse editoriali sui badass presenti nel suo paniere: l’onnipresente Wolverine, il membro più carismatico dei campioni di vendite X-Men, il Punitore, comprimario delle collane di Spider-Man ormai assurto a star di prima grandezza e, per finire, un personaggio ripescato dalle collane horror degli anni ’70 il cui rilancio si era rivelato un successo di dimensioni inaspettate: Ghost Rider.

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Nella sua prima incarnazione storica, quella di Johnny Blaze, stuntman che stringe un patto con Mefisto per salvare la vita del suo patrigno e finisce per essere posseduto dal demone Zarathos, Ghost Rider era stato un personaggio di culto ma la sua collana non aveva mai navigato ai vertici delle classifiche di vendita. Nessun poteva quindi prevedere che il suo reboot, il cui primo numero usciva nel maggio 1990, potesse ottenere un successo tale da rivaleggiare, almeno nella sua prima fase, con i mutanti preferiti di mamma Marvel. I motivi principali di questo risultato sono da ricondurre alla perfetta sintesi tra le sceneggiature di Howard Mackie, venate di atmosfere cupe ed horror pur non rinunciando agli elementi tipici da telenovela supereroistica (relativi soprattutto alle origini avvolte nel mistero del protagonista), e un comparto visivo in cui facevano il loro debutto presso il grande pubblico due artisti come Javier Saltares e Mark Texeira. Quest’ultimo in particolare sarebbe diventato uno dei beniamini assoluti del pubblico di quei primi anni ’90 e, dopo aver chinato con i suoi neri tenebrosi le matite di Salteres nei primi numeri, ben presto si assunse l’intero onere della parte grafica donando alla serie un look ancora più aggressivo.

Protagonista di questa seconda iterazione del Rider non era però Johnny Blaze, ma una creazione originale del trio di autori, Dan Ketch. Quest’ultimo era stato l’involontario testimone di un  regolamento di conti tra bande rivali nel cimitero di Cypress Hill, e aveva trovato la salvezza incappando in una motocicletta con un appariscente medaglione posizionato sul cruscotto. Toccando il medaglione, Dan si era trasformato in Ghost Rider, cominciando una lotta quartiere contro i criminali, ai quali infliggeva il suo “sguardo di penitenza” grazie al quale otteneva vendetta per le loro vittime. Le gesta del nuovo Ghost Rider attirano ben presto l’attenzione di Blaze, convinto che si tratti di Zarathos, il demone che l’ha a lungo posseduto e tormentato. Torna così a New York per ucciderlo, ma realizza ben presto che questo nuovo Rider più compassato e a tratti malinconico non è il demone che pensava. Dotato di un fucile che emette fuoco infernale, Johnny monta in sella a una moto e percorre insieme a Ghost Rider le strade degli USA per vendicare gli innocenti, formando così il duo degli Spiriti della Vendetta.

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La serie incarnò lo zeitgeist del momento: Blaze era modellato sulle fattezze del divo televisivo Lorenzo Lamas, mentre una colonna sonora hard rock a base di Guns & Roses, Poison o Skid Row sarebbe stata del tutto consona alle sue avventure in coppia col centauro infuocato. Nel 1992 la Marvel decise di ampliare il suo parco testate dedicato al soprannaturale, a partire da una seconda collana dedicata a Ghost Rider e a Blaze, per rispondere al crescente successo della linea editoriale Vertigo della DC Comics. L’etichetta aveva scosso l’industria con prodotti e tematiche più adulte rispetto al tipico fumetto di supereroi dell’epoca, e con la sua serie portabandiera Sandman proponeva ogni mese un racconto a fumetti intriso di grande qualità letteraria e atmosfere suggestive grazie alla penna colta del suo sceneggiatore, Neil Gaiman. La Casa delle Idee, che viveva un momento piuttosto conservatore della sua storia, non si avventurò in territori d’autore come la sua eterna rivale, limitandosi a rivisitare il suo nutrito gruppo di personaggi horror in un contesto supereroistico piuttosto tradizionale. La nuova linea, dalla vita editoriale effimera, venne chiamata Midnight Sons, e fu lanciata attraverso un crossover tra più testate, che Panini Comics ristampa integralmente nel volume Spiriti della Vendetta: L’Alba dei Figli della Mezzanotte.

La storia si dipanò attraverso la serie di Ghost Rider, la sua gemella Spiriti della Vendetta, e le debuttanti per l’occasione Morbius, Nighstalkers e Darkhold. Il tutto partiva da una visione di Dan Ketch, l’alter-ego di Ghost, in cui la demonessa Lilith e la sua progenie, dopo secoli di esilio, tornavano sulla terra per conquistarla. Sotto la supervisione del Dr. Strange, Blaze e il Rider iniziavano così una corsa contro il tempo per radunare gli alleati mostrati dalla profezia: Morbius, il vampiro vivente avversario dell’Uomo Ragno; i Nightstalkers, squadra di cacciatori del soprannaturale formata da Blade, il vampiro Hannibal King e Frank Drake, discendente di Dracula schierato dalla parte del bene; le studiose di occulto Victoria Montesi e Louise Hastings, custodi delle pagine del libro maledetto Darkhold. Il volume rappresenta quindi un gustoso carosello di eroi dark e anticonvenzionali, in bilico tra bene e il male come Morbius, che sceglie di cibarsi solamente del sangue dei colpevoli, o come il mezzosangue Blade, di li a qualche anno protagonista di una trilogia cinematografica interpretata da Wesley Snipes. Inutile dire che la strana allenza di antieroi riuscirà a prevalere un attimo prima che tutto sia perduto, ricacciando Lilith nel suo esilio… per il momento.

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Nonostante il tentativo della Marvel di differenziare la linea dei Midnight Sons dal resto della sua produzione, L’Alba dei Figli della Mezzanotte rispecchia in toto le caratteristiche del tipico fumetto di supereroi mainstream dell’epoca, seppur virate in tono dark e horror: un Howard Mackie in ottima forma confeziona una saga avvincente e piacevolissima da leggere, coadiuvato da Chris Cooper (Darkhold), D.G. Chichester (NightStalkers) e Len Kaminski (Morbius) che hanno il non facile compito di lanciare le nuove collane e allo stesso tempo raccogliere il testimone dall’autore di Ghost Rider nei capitoli centrali della storia.

Ma è il reparto visivo a fare la parte del leone, con la consacrazione di giovani promesse della matita che diventeranno star del settore, primi fra tutti i fratelli Andy & Adam Kubert, figli della leggenda dei comics Joe Kubert. I due fratelli si dividono le serie dedicate a Ghost, con Andy alle prese con Ghost Rider e Adam con Spirits of Vengeance. Le loro tavole sono un tripudio di splash-page di grande impatto dominate da figure monumentali e muscolari: è evidente l’influenza dello stile Image che sta dominando il settore in quel momento storico, ma anche la presenza di un’impostazione classica di base, mutuata dal celebre padre, che porterà i due fratelli ad essere a tutt’oggi delle star di primo livello. E a proposito di Joe Kubert, ritroviamo il suo caratteristico tratteggio nelle chine degli episodi di Ghost Rider, aggiungendo forza alle già spettacolari tavole del figlio Andy. Nelle pagine di Nighstalkers assistiamo al debutto in Marvel di un altro beniamino dei giorni nostri, Ron Garney, che lascia intuire il talento che esploderà negli anni successivi su serie come Captain America, X-Men e Daredevil nonostante le pesanti chine del veterano Tom Palmer. Completano il composito cast di artisti Ron Wagner, mestierante molto attivo in quegli anni, qui alle matite di Morbius, e Richard Case, disegnatore di scuola "Vertigo" che aveva illustrato la bizzarra Doom Patrol di Grant Morrison e che ritroviamo al comparto grafico di Darkhold: peccato che il suo tratto stilizzato e poco appariscente sia del tutto fuori contesto, in quello che rimane il capitolo più debole della saga.

In appendice al volumoso cartonato proposto da Panini troviamo anche Spirits of Venom, saga in quattro capitoli che si sviluppò sulle pagine di Spirits of Vengeance e Web Of Spider-Man, ragno-collana scritta anch’essa all’epoca da Howard Mackie. La storia non è altro che una colossale zuffa tra Ghost Rider, Blaze, Spider-Man e Venom, personaggio che ben rappresenta un periodo fumettisticamente controverso come gli anni ’90, e aggiunge ben poco alla qualità generale del volume. Di tutt’altro livello la storia breve in chiusura, una chicca tratta dall’antologico Midnight Sons Unlimited, scritta da Mackie e disegnata dal veterano Klaus Janson, che vede Ghost Rider e Johnny Blaze indagare su una serie di efferati omicidi che sta sconvolgendo una comunità di provincia. Una piccola gemma d’autore per il canto del cigno di un’etichetta che, nella sua breve vita, seppe comunque interpretare il gusto del momento e lasciare un buon ricordo nei lettori dell’epoca. Non così male, per un esperimento non riuscito.

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Wolverine / Punisher / Ghost Rider - Cuori di tenebra, recensione: artigli, pallottole e catene infernali

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Allo scoccare degli anni ’90 la scena fumettistica americana è ancora influenzata dall’onda lunga del cosiddetto revisionismo, il movimento che nel decennio precedente aveva rinnovato profondamente il genere supereroistico, lanciando nel firmamento del comicdom, tra le altre, le stelle di Alan Moore e Frank Miller. Opere come Watchmen e Il Ritorno del Cavaliere Oscuro avevano mostrato la definitiva perdita dell’innocenza dei superuomini, diventati ormai il simbolo delle nevrosi di una società occidentale che, da li a poco, avrebbe perso i punti di riferimento tradizionali a causa degli eventi scatenati dalla caduta del Muro di Berlino. Il successo dei lavori di Moore e Miller esercitò una forte influenza su tutto il settore, che sarebbe stato presto dominato da una schiera di anti-eroi, cupi e violenti, capaci di oscurare per un paio di lustri i supereroi classici con l’unica eccezione di Batman, personaggio dalle caratteristiche che ben si adattavano al nuovo filone. E mentre la DC si godeva il successo del Cavaliere Oscuro, trainato delle straordinarie performance al botteghino dei due lungometraggi firmati da Tim Burton, preparandosi contemporaneamente ad uccidere Superman con una memorabile saga-evento, in casa Marvel Capitan America e il resto degli Avengers erano stati surclassati nelle preferenze dei lettori da un terzetto di “duri” che non disdegnavano il ricorso alle maniere forti quando le circostanze lo richiedevano: Wolverine, Punisher e Ghost Rider.

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La grande popolarità di Wolverine era legato a doppio filo allo straordinario successo della saga degli X-Men, di cui l’artigliato canadese era il membro più riconoscibile ed amato. Durante la sua lunga gestione delle vicende mutanti, Chris Claremont ne aveva definito il carattere di eroe solitario ma capace di fare squadra, del duro che sotto la scorza apparentemente impenetrabile nasconde un animo romantico. Altro elemento di grande fascinazione per i lettori era l’assoluto riserbo sul suo misterioso passato, di cui alcuni elementi erano stati solo accennati da Claremont e che, in quei primi anni ’90, cominciava ad essere esplorato dal successore di X-Chris sulla collana personale di Logan, Larry Hama.
Nel frattempo il Punitore, nome con il quale era conosciuto in Italia l’alter-ego di Frank Castle fin dalla sua prima apparizione, si era affrancato dalla condizione di comprimario della testata dell’Uomo Ragno grazie ad un’eccellente miniserie, Circle of Blood, a cui avevano fatto seguito non una ma ben due collane a lui dedicate: Punisher, di Mike Baron, Klaus Janson e, successivamente, Whilce Portacio, e Punisher War Journal, scritta dall’editor Carl Potts, che aveva rivelato il talento esplosivo di un giovane ma già straripante Jim Lee. In anni in cui dominavano gli action-movie interpretati da Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger, che si sbarazzavano spesso dei loro avversari ammazzandoli senza tanti complimenti, il Punitore era il tipo di anti-eroe che i lettori bramavano.
Ultimo ma non meno importante, Ghost Rider, che era tornato inaspettatamente al successo nel 1990 dopo anni di oblio. Artefice del rilancio e delle rinnovate fortune del Teschio Fiammeggiante era stato Howard Mackie, artigiano della macchina da scrivere che ben rappresenta la Marvel di quel decennio, in cui scriverà un lungo e importante ciclo di Peter Parker: Spider-Man e testate mutanti come X-Factor e Mutant X. Mackie riprende un personaggio cult della linea horror della Marvel dei ’70, aggiornandolo per i tempi: ne esce fuori un noir urbano dai toni sovrannaturali che diventa un best-seller assoluto di quegli anni, lasciando incredulo lo stesso Mackie. La collana ha come protagonista un nuovo ospite per lo Spirito della Vendetta, il giovane Dan Ketch che sostituisce Johnny Blaze, e ruota intorno al mistero riguardante l’identità del demone che possiede il ragazzo, che non risulta essere più Zarathos, l’entità che infestava Blaze.

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Nel 1991, i tre personaggi sono accomunati da un successo straripante e da un interesse crescente da parte del pubblico, elemento che provoca un aumento esponenziale delle iniziative a loro dedicate: Wolverine comincia ad apparire, oltre che nelle serie degli X-Men e nella sua collana personale, in una miriade di miniserie e one-shot oltre che a collezionare comparsate, tutte adeguatamente reclamizzate, sulle principali testate Marvel; viene varata una terza serie per il Punitore, Punisher War Zone, che si aggiunge alle due già esistenti; a Ghost Rider viene affiancata Spirits of Vengeance, collana che racconta l’alleanza tra il Centauro di fuoco e Johnny Blaze, il precedente ospite dello Spirito della Vendetta che, dopo un’iniziale diffidenza, accompagnerà il nuovo Ghost nelle sue avventure, anche lui ovviamente in sella ad una moto rombante e dotato di un look alla Lorenzo Lamas, divo del piccolo schermo di allora.
Constatata la crescente popolarità dei tre personaggi, nel 1991 la Marvel decise di farli incontrare in uno speciale one-shot, Ghost Rider/Wolverine/Punisher: Hearts Of Darkness, che ottenne un successo di vendite straordinario e che oggi Panini Comics ristampa all’interno della collana Grandi Tesori Marvel, a più di 25 anni dalla prima pubblicazione italiana.
Il team creativo era composto dallo stesso Howard Mackie, lo sceneggiatore demiurgo della testata di Ghost Rider, e da un giovane ma già affermato John Romita Jr ai disegni.

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La storia inizia col ritorno di Cuorenero, il demone figlio di Mefisto, creato da Ann Nocenti e dallo stesso Romita Jr. nella loro splendida run di Daredevil. Eternamente in lotta col padre, che cerca di spodestare dal suo trono, la progenie infernale cerca di assicurarsi la collaborazione di tre guerrieri che non temono di spingersi al limite del lecito quando necessario. A tale scopo, attira nella cittadina di Christ’s Crown, nello stato di New York, Wolverine, Punisher e Ghost Rider, che si ritrovano in un b&b locale nelle loro identità civili di Logan, Frank Castle e Dan Ketch. Gli eroi sono giunti qui dopo aver ricevuto ciascuno una lettera, che promette ai tre ciò che più desiderano a patto di convergere nel piccolo centro di provincia. Durante la notte, Cuorenero si rivela a quelli che spera diventeranno i suoi campioni. A Logan promette di squarciare la nube di mistero che circonda il suo passato, a Dan di rivelargli la verità sull’origine del demone che lo possiede nei panni di Ghost Rider; a Castle promette di riportare in vita la sua famiglia, la cui morte era stata la causa della nascita del Punitore. Con queste offerte, l’erede di Mefisto è convinto di portare i tre anti-eroi dalla sua parte, certo che saranno allettati, oltretutto, dalla possibilità di eliminare l’incarnazione stessa del male. Giusto? Sbagliato. Perché i tre non sono tipi da scendere a compromessi con un demonio come Cuorenero. Il quale, seccato, pensa di scatenare l’Inferno a Christ’s Crown per costringere i tre ad obbedire ai suoi ordini, possedendo la popolazione del paesino e rapendo Lucy, la figlia della proprietaria del bed & breakfast. Abbandonati gli abiti civili, sguainati gli artigli, accese le moto infernali e imbracciate le armi, Wolverine, Ghost Rider e il Punitore affronteranno insieme la minaccia di Cuorenero, salvando la piccola città e la sua popolazione.

La sceneggiatura di Howard Mackie, pur non essendo meritevole di un Eisner o un Harvey Award, è comunque divertente e avvincente come un action movie dell’epoca, tipico prodotto d’evasione di un periodo più semplice della storia del fumetto americano. Ma, soprattutto, è un servizio reso all’arte di un John Romita Jr. scatenato, qui già all’apice della sua carriera. È un momento cruciale per l’artista, che ha raggiunto la maturità stilistica alla fine del decennio precedente con lo strepitoso ciclo di Daredevil scritto da Ann Nocenti citato prima. Stimolato dalla collaborazione con una leggenda del tavolo da disegno come Al Williamson, che si era occupato delle chine delle sue matite, Romita Jr. aveva dato una svolta determinante al suo stile e alla sua carriera: messa da parte l’influenza del celebre padre, con le sue matite morbide e arrotondate, l’artista aveva virato verso un tratto spigoloso e squadrato, che da quel momento in poi diventò il suo marchio di fabbrica. Cuori di tenebra rappresenta il trait d’union tra il Romita Jr. di fine anni ’80 e quello dei primi anni ’90, periodo in cui consegna alla storia quello che è da molti ritenuto il suo lavoro definitivo, Daredevil: Man Without Fear su testi di Frank Miller. Ma quell’artista sublime è già sbocciato sulle pagine di Hearts of Darkness, che è diventato un oggetto di culto soprattutto per la sua prova maiuscola: le sue tavole alternano l’uso di vignette orizzontali o verticali con straordinarie splash-page straripanti di azione e cura per i dettagli. È il periodo in cui furoreggiano i vari Todd McFarlane, Jim Lee e Rob Liefeld, che l’anno successivo lasceranno la Marvel per fondare la Image: Romita Jr. non si sottrae alla vocazione spettacolare del fumetto in voga in quegli anni, ma la sua è una spettacolarità funzionale alla trama, capace di aumentare la carica epica dello script, e mai una banale esibizione muscolare. È nella produzione di questo periodo, tanto in queste pagine come nel precedente Iron Man scritto per lui da John Byrne, che nasce la vocazione di Romita Jr. per uno stile monumentale, di chiara ispirazione kyrbiana, che proseguirà nel corso del decennio con la miniserie dedicata a Cable, col suo ritorno sulle pagine di Uncanny X-Men e, soprattutto, con lo splendido ciclo di Thor su testi di Dan Jurgens. Assolutamente funzionali le chine del veterano Klaus Janson, che ripassano le matite di Romita Jr. donandogli un look sporco e ombroso perfetto per una storia come questa.

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Il volume è completato dalla riproposta di Dark Design, il sequel di Cuori di Tenebra datato 1994. La storia, sempre scritta da Mackie, vede il trio di eroi riunirsi ancora una volta per correre in aiuto di un’ adolescente Lucy, e affrontare Cuorenero in una ormai perduta Christ’s Crown, che è diventata l’Inferno in terra. Fumetto d’azione senza infamia e senza lode, Dark Design si segnala per la buona prova ai disegni di un acerbo ma già capace Ron Garney. L’autore risente della moda “Image” imperante all’epoca, con tavole dominate da un gusto per le pin-up spesso svincolate da una necessità narrativa, ma tra le pagine già si intravedono gli scampoli dell’eccellente artista che sarà.

Panini Comics ripropone Cuori di tenebra e il suo seguito in uno strepitoso volume della collana Grandi Tesori Marvel: il formato “gigante” esalta la già spettacolari tavole di Romita Jr. e Garney, rendendo giustizia soprattutto all’arte sopraffina del primo, artista indimenticabile che è stato sinonimo di “Marvel Style” per più di tre decadi, lasciando il suo segno inconfondibile su tutti i principali personaggi dell’editore. Un’occasione per riscoprire una piccola e sottovalutata gemma di questo grande autore, capace di divertire oggi come ieri tra artigli sguainati, sibili di proiettili e rombi di motori infernali, con buona pace dei “salotti chic” del fumetto.

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Niente più Ghost Rider in Agents of S.H.I.E.L.D. per questioni di budget

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Durante una breve intervista realizzata da TVLine, Jed Whedon co-showrunner di Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D. e il produttore della serie Jeffrey Bell hanno dichiarato che effettivamente la realizzazione del teschio fiammeggiante di Ghost Rider, con tutti i relativi effetti speciali, nella quarta stagione dello show ha prosciugato abbondantemente le casse del budget da cui attingere. Questo non solo ha fatto riconsiderare la presenza del personaggio oltre il midseason finale, ma ha anche pilotato la conclusione della storia incentrata sul personaggio negli 8 episodi iniziali, portando così ad una suddivisione della stagione in 3 archi narrativi.
Il personaggio tuttavia, non è morto nell'ultimo episodio andato in onda, come ci spiega Whedon: “È intrappolato in un altro luogo, il che significa solitamente che non è morto”.

A partire dal 10 gennaio, sul canale ABC andrà quindi in onda Agents of S.H.I.E.L.D.: LMD, il secondo arco narrativo, in cui si cambierà completamente direzione rispetto alla storyline dello spirito della vendetta, interpretato da Gabriel Luna.

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