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40 anni di Lupo Alberto: intervista a Casty

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la casty0Andrea Castellan, noto ai più con lo pseudonimo di Casty, è uno dei principali autori in forza nelle scuderie Disney, grazie al suo lavoro costante e puntuale sul personaggio di Topolino. Ma prima di Topolino, l'autore ha prestato penna e matita a un altro colosso del fumetto italiano, Lupo Alberto, che quest'anno festeggia il quarantennale.

Casty si è gentilmente prestato per parlare dell'influenza di Silver sulla sua carriera, del futuro del Lupo e dell'insostenibile leggerezza di sceneggiare delle icone.

Lupo Alberto compie 40 anni, tu ci hai fatto assieme un pezzetto di strada. Che ricordi hai di quell'esperienza?
Ho lavorato per il Lupo per più di sette anni, dal '99 al 2006, scrivendo in totale oltre quaranta storie. Conservo un bellissimo ricordo di quel periodo, perché fu prolifico e gratificante e mi diede modo di lavorare con continuità, assieme a colleghi bravissimi, su dei personaggi che amavo molto, Alberto soprattutto, in cui all'epoca (ero trentenne) mi ci ritrovavo caratterialmente: le beghe sentimentali, il perenne dilemma del "cosa fare della tua vita", il sentirsi un po' "estraneo" rispetto ai tuoi amici che fanno un lavoro normale.
Preferivo Alberto anche perché, un po' come accade con Topolino e Paperino, era perennemente afflitto da un comprimario strabordante come Enrico la Talpa, che gli rubava la scena nelle strisce e spesso anche nelle storie lunghe. Non che non adori anche Paperino e Enrico, eh… solo mi dispiace un po', quando la spalla mette in ombra il titolare della testata.
C'era inoltre in quel periodo la bellissima sensazione di lavorare in un team affiatato, senza egoismi e rivalità, e con la stima di editor e direzione: ricordo che pensavo "Ah, è davvero bello fare i fumetti!".

La tua carriera inizia con Cattivik, nel 1995, con la storia Il ladrobot. Come sei approdato al personaggio?
In realtà i primi approcci avvennero già nel '93. All'epoca ancora non sapevo quale sarebbe stata la mia strada: spedivo i miei lavori a vari editori, tra cui Bonelli, Il Giornalino ecc…
Quasi nessuno rispose (e nessuno positivamente), e fu quasi per caso che mi ritrovai con la proposta di provare a sceneggiare Cattivik, il cui mensile stava muovendo i primi passi e per il quale c'era un grande bisogno di sceneggiature inedite.
Così iniziai a studiare il personaggio e, trovandolo decisamente simpatico e affine al tipo di umorismo che mi piaceva in quegli anni, mandai uno storyboard alla redazione. Il primo non funzionò, mi fu fatto rifare un sacco di volte, tant'è che alla fine, dopo un anno di riscritture, lo abbandonai di mia sponte. I successivi invece piacquero tutti, a partire dal Ladrobot appunto, e partì quindi una collaborazione molto intensa che si protrasse per oltre dieci anni.

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Il passo successivo è stato appunto Lupo Alberto. È stata una tua scelta cambiare testata?
Non fu proprio un cambio, nel senso che comunque continuai a scrivere storie anche per Cattivik. Diciamo che intorno ai trent'anni era nato il desiderio di cimentarmi con qualcosa di più… impegnativo. Intendo: Cattivik è un personaggio bellissimo, per certi versi anche più "forte" del Lupo…. ed è però un po' sottovalutato nell'opinione generale. Ingiustamente, aggiungo, perché certe sue storie non hanno nulla da invidiare come genialità al Ratman di Ortolani, per fare un esempio.
Alberto però è nell'immaginario collettivo un personaggio più "nobile": lavorare con un personaggio già celebre, e già dotato di un contorno di comprimari ben caratterizzati negli anni, era per me una sorta di sfida personale, una prova per vedere cosa sapevo fare. Con Cattivik c'era un universo da creare, qui invece c'era un universo da portare avanti nel rispetto dei personaggi creati da Silver.
Mi sono molto divertito a lavorare sul Lupo, grazie anche al grande affiatamento con i colleghi e alla stima di Silver che ha sempre avuto una grossa fiducia in me.

Poi è arrivato Topolino. Come è avvenuta la transizione a territori così differenti?
Come dicevo prima, quando passi i trent'anni inizi a vedere le cose in modo diverso: mi accorgevo che l'umorismo dissacrante che utilizzavo con Cattivik non mi divertiva più come agli inizi, non mi veniva più così spontaneo. Mi nasceva la voglia di scrivere storie più complesse, che parlassero di avventura, di misteri, di viaggi, di fantascienza. Avevo anche iniziato a buttare giù dei soggetti, e dei personaggi miei, pur consapevole che sarebbe stato molto difficile trovare un editore interessato.
Fu in quel periodo, il 2002, che mi riavvicinai alla lettura del mio… primo amore che era, appunto, Topolino: ripresi ad acquistare il settimanale, dopo vent'anni. Rimasi subito abbastanza deluso nel constatare che Mickey era praticamente sparito dalle sue pagine, soverchiato dai Paperi: pensai quindi che poteva essere una cosa interessante proporre alla Disney qualcuno dei soggetti avventurosi che avevo nel cassetto, naturalmente adattati al mondo dei personaggi Disney.
Presentai sia storie di Topi che di Paperi e il caso volle che passassero solo le prime: anzi, inaspettatamente, mi fu chiesto di continuare a scrivere con Topolino piuttosto che con Paperino. Be', non chiedevo di meglio, e fu così che quello che doveva essere un tentativo senza grandi aspettative divenne l'inizio di una lunga collaborazione.
A posteriori posso dire che anche dal punto di vista del… mio portafoglio fu una ulteriore fortuna, visto che di lì a pochi anni il mensile di Cattivik andò incontro a una crisi di vendite, fino a chiudere.

Tra Cattivik, Lupo Alberto e Topolino il tono cambia di molto, cambiano gli strumenti narrativi. Eppure tu li hai sceneggiati tutti e tre. C'è un qualche minimo comun denominatore?
Be', uno sceneggiatore questo deve fare: adattare il proprio stile al personaggio su cui lavora, studiarlo bene e rispettarlo. Per questo occorre leggere con attenzione non tanto ciò che fanno i tuoi colleghi, bensì ciò che hanno fatto coloro che quei personaggi li hanno creati. E, partendo da questo, creare storie nuove, che siano conformi ai personaggi e che nel contempo siano attuali.
Il nero genio del mal', Alberto e Topolino hanno davvero poco in comune, se non il fatto che tutti e tre devono riuscire a strapparti un sorriso: e sta appunto alla perizia dell'autore trovare il modo di intrattenere il lettore dandogli il tipo di divertimento consono al personaggio. Per capirci, Cattivik può fare le puzzette, Topolino no. E neanche Pippo. O, se le fa, le fa quando non è inquadrato.

Topolino ha saputo reinventarsi, riposizionandosi sul mercato digitale, svecchiando i personaggi, dando uno scossone generale all'ambiente. Credi che il mensile del Lupo potrebbe ricorrere alle stesse modalità di rinnovamento per trovare un pubblico più ampio?
Come dicevo anche in un'altra intervista, più che un rinnovamento di personaggi, che sono sempre validissimi, servirebbe una maggiore visibilità. Che oggi ottieni solo essendo presente in video, sia esso in tv o su supporto digitale: bisogna accettare il fatto che ormai la comunicazione va in questa direzione. C'è un enorme archivio di strisce che potrebbero essere utilizzate come soggetti per dei corti (cortissimi, intendo: roba da 15/30 secondi), strisce che potrebbero essere animate e adattate al video senza enormi finanziamenti. Ecco, io credo che una efficace sinergia tra fumetto tradizionale e fumetto "animato" potrebbe funzionare.

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Una delle lezioni che Roberto Gagnor terrà per il corso di fumetti organizzato dalla Scuola Holden si intitolerà "I temi: no sex, no politics, no religion, no racism, la malattia e la morte". Tutti temi che Lupo Alberto ha sempre affrontato di petto. Trovi che Topolino non potrebbe affrontare queste tematiche, declinandole con il tatto giusto? Negli ultimi anni le storie si sono comunque aperte verso toni più duri (Double Duck per esempio, per gli standard Disney, contiene una buona dose di violenza).
C'è una differenza fondamentale tra il Lupo e Topolino: Alberto è un personaggio fruibile ANCHE dai bambini, ma non è un personaggio creato per i bambini. Prova ne è il fatto che lo abbiamo spesso visto impegnato anche in campagne sociali, ricordo ad esempio quella di Alberto testimonial sull'uso del preservativo. Spero si concordi sul fatto che vedere Pippo o Topolino che raccomandano l'uso del profilattico sarebbe alquanto fuori luogo. Topolino è infatti un personaggio per i bambini, fruibile ANCHE dagli adulti, almeno in buona parte dei casi.
Stando questo, è poi vero che entrambi i personaggi possono essere declinati a seconda del contesto: i cartoni animati del Lupo sono molto più edulcorati rispetto a certe strisce di Silver, così come "MMMM" è senza dubbio un prodotto molto più adulto rispetto al Topolino che si vede, per esempio, ne "La casa di Topolino".
Rimanendo nell'ambito del settimanale, sì, sono d'accordo sul fatto che anche su "Topolino" possano essere pubblicate storie dai toni più seri, anzi, ben vengano: il tatto giusto, o il "garbo", come lo chiamo io, è però indispensabile in questi casi. Non a caso DD è in mano ad autori disneyanamente molto esperti, che sanno dov'è la linea che non bisogna oltrepassare.
Topolino è un personaggio universale e non può permettersi di schierarsi dichiaratamente con questa o quell'altra parte politica, o sostenere questa o quell'altra causa, pur essendo magari palese che la causa per cui si batte è giusta. Può farsi paladino di certi valori, sicuramente, come l'onestà, la giustizia, ecc., ma non può portare una specifica bandiera.
Per quanto riguarda il sesso, poi, francamente non credo ci sia la necessità di parlarne su Topolino: l'amore sì, invece, poiché è un sentimento che è ben noto fin da piccoli.
Discorso un po'… conservatore? Può darsi, penso però che se uno vuole leggere di sesso, politica, religione e morte… fa prima a comprarsi un altro fumetto, piuttosto che aspettarsi queste cose da Mickey e co..
Per tutti coloro che bramano queste cose c'è tuttavia una soluzione: si fa una fan fiction, la si mette in rete e si aspettano gli applausi per il coraggio dimostrato nel rompere gli schemi.
Perché un fumetto si caratterizza sia per quello che fa vedere, sia per quello che NON fa vedere: altrimenti avremmo un unico genere, un unico stile, potremmo avere un Tex con le donne nude o un Dylan Dog disegnato in "manga-style". E fare lo sceneggiatore, o il disegnatore, sarebbe un mestiere molto, molto più semplice.

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