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40 anni di Lupo Alberto: intervista a Silver

Guido Silvestri ha molte maschere. Si nasconde, innanzitutto, dietro allo pseudonimo di Silver - proprio come faceva il suo nume tutelare, Bonvi. Poi utilizza da quattro decadi l'avatar di un lupo per raccontare il suo io venticinquenne. E col resto dei personaggi della fattoria McKenzie racconta tutto il mondo che ci sta attorno. Nato artisticamente nella bottega di Bonvi, Silver inizia a pubblicare i suoi lavori sul Corriere dei ragazzi, affiancandosi al Nick Carter dello stesso Bonvicini, all'Omino Bufo di Castelli o alla coppia Altai & Jonson di Sclavi-Cavazzano, per poi proseguire la carriera in solitario con la nascita di una intera testata dedicata ai McKenzie.

Per il quarantennale della striscia, l'autore di Lupo Alberto ha affrontato con noi questioni come la professionalità di un mestiere che sfocia sempre di più nel dilettantismo, la croce di aver creato Alberto e le possibilità di un film sulla sua creatura.

lupoalbertosilverIn una recente striscia hai ironizzato su questo tipo di interviste celebrative. C'è qualcosa che non ti hanno mai chiesto e di cui ti piacerebbe parlare?
Le interviste che amo leggere sono quelle fatte a personaggi per i quali naturalmente nutro interesse, che vertono sì sull’aspetto tecnico del loro lavoro ma anche su quello personale, sul modo in cui affrontano la vita e gli aspetti della quotidianità.

Dalle varie dichiarazioni, per te il disegno sembra essere un mezzo funzionale a veicolare la storia, ma è innegabile che il tuo tratto sia stata una componente essenziale del successo di Lupo Alberto. Il design dei personaggi e il tuo stile in generale sono cambiati nel corso degli anni, è stata un'evoluzione consapevole e pensata o un movimento di crescita naturale?
Più che al disegno in sé (del quale, ribadisco, non sono un virtuoso), cerco di applicare la massima cura alla mimica dei personaggi, alle loro espressioni, alla loro recitazione. Sono cresciuto alla scuola di Chuck Jones la cui narrazione era quasi completamente affidata agli effetti, al ritmo delle gag e alla gestualità. L’evoluzione dello stile c’è stata ed è tuttora in atto, ma la sicurezza che nel tempo si acquisisce con l’esperienza, non sempre ha per effetto un miglioramento espressivo. Quando smetti la ricerca maniacale dell’espressione perfetta, quello che viene dopo potrà essere buon mestiere, ma a intensità zero. 

C'è stata, parallelamente, un cambiamento della serie rispetto agli inizi in termini di tono, carattere dei personaggi o argomenti trattati?
Anche sotto questo aspetto l’evoluzione è costante. Durante quarant’anni di vita di un personaggio è inevitabile che lo sguardo sulle cose si modifichi di pari passo con quello dell’autore, la cui professionalità si manifesta a mio avviso proprio nel saper conservare l’approccio originario del personaggio, quella caratteristica che ne ha fatto, appunto, un personaggio. Come succede con le maschere.

Lupo Alberto ha lasciato il segno nel fumetto italiano. Non ti è mai venuta la tentazione di creare un altro personaggio, un altro universo in cui immergerti? La fama di Alberto ha pesato in questo senso, impedendoti di sperimentare con altro?
Indubbiamente il successo di Lupo Alberto è stato per me croce e delizia. Croce nel senso che mi vincola ancora oggi a una produzione di natura industriale. Però come si dice, “avercene”. Ogni tanto fantastico su quello che poteva essere se fosse andata diversamente. In ogni caso, non sentendomi artista, rifuggo il il ridicolo a cui spesso conduce il velleitarismo creativo.   

Lupo Alberto è sempre stato attivo anche nel sociale. Forse i più giovani non sanno che l'opuscolo "Come ti frego il virus" dedicato alla prevenzione dell'AIDS con protagonista la tua creazione scatenò l'ira del ministro Iervolino. Nell'archivio del Corriere si possono leggere titoli come "Sit-in per Lupo Alberto". Puoi raccontare la vicenda e il perché di tanto clamore?
È successo più di vent’anni fa: venne lanciata da parte del Ministero della Sanità (oggi Salute) una imponente campagna di prevenzione contro l’AIDS, e a Lupo Alberto venne affidato il ruolo di testimonial per un opuscolo (scaricabile dal sito del Lupo) destinato a discoteche, palestre, e altri luoghi di aggregazione giovanile. Si parlava di rapporti sessuali protetti, comportamenti a rischio, droghe pesanti, ecc., senza mezzi termini ma senza cadere in compiaciute volgarità. Tant’è che passò senza nessun problema al vaglio dell’apposita commissione.
Il pandemonio scoppiò quando qualche insegnante particolarmente illuminato e scrupoloso, pensò di distribuirlo in classe: interrogazione parlamentare e violente accuse di pornografia da parte soprattutto di chi non l’aveva nemmeno sfogliato; forse complice anche una bonaccia di notizie, tutti gli organi di informazione si avventarono sulla polemica e ne fecero un caso da prima pagina. D’altra parte gli ingredienti c’erano tutti: sesso, morte, droga.

Il merchandising, la serie tv, l'impegno sociale, prossimamente il teatro. Lupo Alberto in questi 40 anni ha fatto un po' di tutto. C'è mai stata l'idea di un film?
Parliamo di lungometraggio per le sale? Se ne parla di continuo, ma dio me ne scampi. Mi sono bastate le due serie tv. E comunque mancherebbero le risorse, sia economiche sia professionali.

Sei un lettore selettivo, ma tra le tue letture hai citato Rat-Man - la cui fine è (più o meno) vicina - che ha diversi punti in comune con Lupo Alberto, si sono entrambi aperti al mercato collaterale del merchandising, degli adattamenti, hanno monopolizzato le attenzioni del proprio creatore. Cosa ti piace del lavoro di Ortolani?
Mi piace tutto del lavoro di Leo, la sua intelligenza, il metodo, l’inclinazione al sarcasmo misurato, il gusto per la citazione e la parodia, l’orrore per la banalità, e la consapevolezza non narcisistica di essere bravo. La sua curiosità e il suo background gli permetteranno di esplorare i più disparati territori della narrazione a fumetti e no.  Sono sicuro che voglia farlo, e lo farà.

Il 6 marzo debutterà al museo Luzzati di Genova una mostra dedicata a Lupo Alberto, che è stato protagonista di molte iniziative simili A cosa si deve questo interesse da parte dei curatori museali?
Be’, a questo interesse penso non sia estraneo il fatto che quest’anno cade il 40° compleanno di Lupo Alberto. Tante persone sono cresciute in sua compagnia, e penso che la curiosità e il desiderio di osservarlo da vicino spingerà più d’uno a visitare la mostra. Me lo auguro, e poi dura fino a settembre…   

La bottega di Bonvi, il Corriere dei Ragazzi, tutto quell'humus in cui Lupo Alberto affonda le radici oggi non c'è più. La fattoria McKenzie, nascesse oggi, farebbe gavetta sul web? Per chi voglia dimostrare il proprio talento non vedo al momento altre vetrine oltre quella della rete.
Il problema è: una volta che il talento è dimostrato e riconosciuto, qual è la fase successiva? Il fenomeno Zerocalcare è appunto un fenomeno difficilmente replicabile. E allora? Quando e in che modo si passa dallo status di dilettante a quello di professionista? Sarò ancorato a un concetto arcaico, ma secondo me uno è professionista quando riesce a vivere in modo autonomo del proprio lavoro. Il che oggi, per mancanza di mercato, è difficilissimo.

Com'è la situazione editoriale attuale della testata? Sappiamo che di recente non è stata delle più rosee - nonostante Alberto sia un personaggio presente nel mercato, grazie soprattutto al merchandising collaterale - e che ci sono stati degli aggiustamenti per cercare di cambiare rotta e tornare al livello di vendite del passato.
Nessuno con una visione realistica delle cose può pensare di tornare ai livelli di vendita del passato. È assurdo. Nulla sarà mai più come prima, in ogni settore della produzione e dell’economia.  Si tratta piuttosto di capire quello che succede e darsi un profilo e una strategia rispondente al futuro che ci aspetta. Anzi, col cavolo che ci aspetta: siamo noi che dobbiamo correre per acchiapparlo.

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