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Alla ricerca di un lavoro vero: intervista ad Alberto Madrigal

Intervista a cura di Raffaele Caporaso.

Alberto Madrigal, giovane fumettista spagnolo autore di Un lavoro vero (Bao Publishing, trovate la recensione qui), è senza dubbio una delle rivelazioni di questo 2013 in ambito fumettistico. La sua opera colpisce il lettore grazie al modo con cui l'artista racconta temi assai delicati e odierni quali, ad esempio, la mancanza di lavoro per chi vuole dedicarsi all'arte (in ogni sua forma) o l'incapacità di trovare un'identità in una società che tende a prosciugare ispirazione e autostima. Madrigal si dimostra artista capace e maturo, grazie anche ad un pesante bagaglio di esperienza maturata nei suoi 30 anni di vita. Abbiamo parlato con lui della genesi di Un lavoro vero, del suo passato condito da diverse delusioni, dei suoi progetti futuri, e di un sogno che sembra finalmente essersi realizzato.

madrigalCiao Alberto e benvenuto su Comicus.
Ciao, grazie per l’invito.

Un lavoro vero, oltre ad essere la tua opera prima come autore completo, rappresenta anche il momento della svolta artistica per te: ti aspettavi questo successo? Quanto tempo ha richiesto lavorare a questo progetto?
È vero che il libro sta andando molto bene e questo non me lo aspettavo assolutamente. Non perché non abbia fiducia del mio lavoro, ma perché la storia è raccontata in un modo non tanto fumettistico: pochi dialoghi, ritmo lento e senza dei grossi avvenimenti che attirino il lettore.
È un libro che, come lettore, mi sarebbe piaciuto leggere, e questo mi ha aiutato a finirlo senza pensare ad altre cose.
Le prime quattro pagine le ho fatte di getto nel novembre del 2010. Ci sono voluti un paio di mesi per capire che ne volevo fare una storia. In quel momento lavoravo in una ditta, quindi non avevo tempo per seguire i miei progetti. Direi che, in generale, da quando ho lasciato il lavoro, mi è servito un anno e mezzo per finire il fumetto.

Il libro è edito da BAO Publishing: come e quando è nato questo rapporto lavorativo con la casa editrice milanese?
È stato molto semplice: avevo finito tutte le tavole e cercavo un editore. Mi hanno parlato di BAO, che non conoscevo ancora. Appena sono andato sul sito web della casa editrice e ho visto che pubblicavano alcuni dei miei autori preferiti, gli ho spedito una mail con il libro completo in PDF.
Loro mi hanno risposto subito dicendo che conoscevano già i miei disegni e che avrebbero letto volentieri il progetto. Il giorno dopo mi hanno scritto e lo volevano pubblicare. Questo è stato a marzo 2013.
Non poteva andare meglio. BAO è fatta di persone che amano il loro lavoro e questo si capisce subito. Per gli autori, stare con loro nei festival è una vera vacanza tra amici.

lavoroveroUn lavoro vero racconta delle problematiche tipiche delle nuove generazioni, quali ansia, disillusione, incapacità di riconoscersi nella massa e di trovare il proprio posto nel mondo in un periodo di crisi totale. Quanto c’è di autobiografico nell’opera? Cosa ha significato provare certe esperienze sulla tua pelle e quanto ti hanno fatto crescere, come uomo prima e artista poi?
C’è molto di autobiografico nell’idea generale, ma poco nei dettagli. Anche prendendo delle situazioni molto simili alla realtà, i personaggi reagivano in modo diverso. Se li lasciavo fare, loro parlavano dei temi per me importanti, su cui cercavo di riflettere.
Provare alcune di queste esperienze sulla mia pelle è stato importante, ma anche doloroso. È bello seguire il proprio sogno, ma questo porta con sè delle scelte scomode, che ti tolgono le certezze che hai costruito fino a quel momento. Per esempio, tanta gente che ha letto il libro mi fa i complimenti per questo motivo, ma i miei ultimi 7 anni sono stati veramente duri. Tranne l’anno e mezzo nella ditta, il resto ho lavorato ogni giorno senza un ritorno economico o emotivo. Questo toglie tutta la speranza e ti fa pensare di stare commettendo il tuo più grande errore.
Ovviamente, mi ha fatto crescere molto come persona. Solo quanto sei emotivamente soddisfatto - soddisfazione che è arrivata soltanto quando ho finito il libro - te ne freghi del resto dei problemi. È la droga più sana che c’è.
Come artista, invece, mi ha fatto crescere darmi una regola che per me era “anti-natura” nel campo artistico: fare come volevo, ma senza smettere. Meglio poche ore ma ogni giorno e senza lasciare un progetto a metà. Finché non ho finito il libro, non ho avuto le risposte che cercavo per anni.

C’è stato un momento nel quale hai pensato di mollare tutto, abbandonando per sempre i tuoi sogni? Se sì, cosa ti ha fatto desistere da questo proposito?
Ogni tot di mesi, quando l’autostima veniva completamente prosciugata, mi chiedevo se stessi commettendo un errore. Per un paio di volte, ho pensato veramente di lasciare tutto. Per fortuna il giorno dopo tutto era tornato alla normalità.
La cosa che mi ha fatto continuare è stata l’idea di vedere me stesso, tra 20 anni, lamentarsi per non averci provato veramente.

Parliamo di Berlino, vera e propria metropoli europea, ricca di tantissime correnti culturali e artistiche: cosa pensi della città in cui vivi attualmente? Quanto il “clima berlinese” ha influito sulla tua maturazione come artista e ti ha permesso di trovare quell’ispirazione che sembrava perduta?
Nel mio caso è stata Berlino a far scattare quella scintilla che mi ha dato voglia di raccontare e disegnare le cose che mi circondano. Ma qualsiasi città può darti questo.
Ognuno trova l’ispirazione in cose molto diverse, io l’ho fatto tra questa diversità rispetto a ciò che conoscevo. A Berlino è facile perché c’è un po’ di tutto, puoi assaggiare e trovare quel che funziona meglio per te.
Si respira tranquillità, ma c’è sempre movimento allo stesso tempo. Sia per la cultura che per la quantità di artisti che ci sono, vivere qui ti aiuta a esprimerti senza ascoltare le opinioni degli altri.

Tu nasci come disegnatore: come è nato il tuo amore per le matite e i colori? Quali artisti ti hanno ispirato maggiormente nella tua formazione?
L’amore per il disegno è nato con manga e anime quando ero piccolo. I colori non mi hanno interessato fino a qualche anno fa, che ho cominciato a impararli per necessità.
Ci sono molti artisti che mi hanno ispirato, è dipeso dalla fase ed età in cui mi trovavo. Da Akira Toriyama (Dragon Ball) per il manga, Humberto Ramos per i fumetti americani, a Roger Ibáñez per il fumetto europeo, a Bastien Vivès e Gipi per il fumetto, diciamo, d’autore.

Ora che ti occupi anche dei testi, come è cambiato il tuo modo di lavorare? Da un punto di vista grafico, come imposti la pagina? Come e quanto ti avvali del digitale nel disegno?
madrigal luccaIl mio modo di lavorare è cambiato completamente, e questo è uno dei motivi principali del perché mi piace scrivere e non solo disegnare. È una questione di libertà. Quando disegno per altri, difficilmente mi trovo a mio agio nella narrazione. Il fatto di provare a fare una cosa nella maniera in cui mi dicono deve essere fatta è molto faticoso per me.
Solo quando ho cominciato a disegnare le mie storie, ho sentito la libertà di esprimere con i disegni dei concetti o situazioni, senza pensare ad altro.
Il mio modo di lavorare cambia in continuazione, ma per ora potrei dire che è questo: faccio una sorta di storyboard vuoto con soltanto dei dialoghi, senza disegni. Questo mi permette di capire il ritmo e se la scena funziona. L’assenza dei disegni è importante, perché altrimenti perdo subito interesse. Per questo non faccio nemmeno un bozzetto completo di ogni vignetta, ma disegno solo una parte della quale sono sicuro e faccio subito la china prima di continuare. Capita che ho un personaggio già a china e ancora non so cosa disegnerò accanto.
Questo l’ho scoperto disegnando direttamente a china, devo per forza adattare il tutto a ogni parte del disegno appena fatto. È una roba potentissima.
Riguardo al digitale, cambio opinione ogni mese... per ora faccio soltanto i colori, ma spesso sono tentato di fare anche i disegni. Ho realizzato che se faccio tutto in digitale mi piace di più il risultato, ma odio lavorare sempre davanti a uno schermo, e con la carta mi sento più rilassato.
Se me lo avessi chiesto nel periodo in cui disegno con il computer, ti avrei detto soltanto i vantaggi!

Un elemento molto presente in Un lavoro vero è il cinema: puoi definirti un cinefilo? Quanto gli altri mezzi artistici, come cinema e musica, sono fonte di ispirazione per te?
Si, il cinema mi piace molto. Infatti quel tipo di narrazione m’ispira molto quando racconto con i fumetti. Anche la musica con il suo ritmo, o i testi che sono essenziali, sono importanti per me.

A Lucca ci hai confessato di essere a lavoro su un nuovo progetto: cosa puoi anticiparci a riguardo?
È un libro che, se tutto va bene, dovrebbe uscire per l’anno prossimo.
È molto importante per me, perché in ogni singolo dettaglio vi è una metafora di come mi piace lavorare. Per dire, la storia mi era venuta in mente come una cosa buffa, mentre ero in un caffé (perché avevo dimenticato le chiavi dello studio). Ho cominciato a scriverla soltanto per il piacere di osservare cosa facevano e dicevano i personaggi, senza dirmi “stai scrivendo una storia”. E i disegni li stavo facendo improvvisando molto di più di prima.
Parla di come non vediamo le cose belle della vita perché siamo troppo attenti alla merda che le copre.

In conclusione, in base alla tua esperienza, cosa ti sentiresti di consigliare a tutti gli artisti che vivono le stesse difficoltà che hai dovuto affrontare anche tu?
Seguire quel che vuoi fare, mentre ce la fai, al di là delle difficoltà. Lavorarci tutti i giorni, anche se soltanto 2 ore al giorno. Cominciare una cosa e finirla senza guardare dietro. Nel caso la sistemerai dopo.

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