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L’inverno di Diego. Le quattro stagioni della Resistenza

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È L’inverno di Diego, la nuova fatica di Roberto Baldazzini, a inaugurare l’etichetta di  Coconino-Fandango The Box. E lo fa con un’opera che si discosta dalla produzione dell’autore modenese, imbarcandosi di un racconto tutto italiano in quattro parti - da cui il sottotitolo “Le quattro stagioni della resistenza” - sull’esperienza partigiana. All’alba dell’8 settembre 1943, il diciottenne Diego è messo di fronte alla scelta di entrare nelle fila della Repubblica Sociale Italiana o far parte della resistenza. L'incontro con un un gruppo di ribelli (Graziano, il Pecora e Luisa, di cui si innamorerà) e l'incertezza di quell'inverno tempreranno il giovane e lo costringeranno a scontrarsi con il padre, gerarca fascista.

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Originariamente intitolata Il mio nome è Alfredo, l’opera si avvale della consulenza di Alfredo Cavazzuti, la cui storia è stata utile a Baldazzini per comprendere a fondo il periodo storico, ma lo schietto realismo della vicenda è danneggiato da uno svolgimento frenetico e da scelte narrative facili (Luisa trova Diego girovagare nei boschi e nel giro di una pagina abbassa ogni forma di cautela nei suoi confronti; l’evoluzione del protagonista verte troppo sul senso di colpa, smontando il fattore emotivo del finale - non risulta credibile la reazione di sgomento di Diego nel guardare due suoi compagni impiccati, dato l’esiguo spazio dedicato alle relazioni intessute con loro); non aiuta nemmeno il fatto che, sull’argomento, la letturatura italiana abbia prodotto alcuni dei suoi più alti risultati e che, a causa di ciò, molte delle scene perdano di mordente e originalità, senza contare che i temi della ribellione, della fuga, della perdita e conseguente ricerca di identità, il conflitto tra padre e figlio sono seminati ma non sembrano dare frutti (e l'interessante postfazione di Claudio Silingardi li mette in luce con maggior chiarezza). Le intenzioni, il progetto, sono encomiabili, persino ambiziose nel farsi una sorta di Piccoli maestri in quel gusto accennato da romanzo di formazione ed è innegabile che alcuni momenti funzionino (penso all’ironico finale in cui la preghiera balilla viene intonata durante l'uccisione dei soldati nazifascisti), tuttavia Baldazzini, più che con i dialoghi - non granché naturalistici come ci si aspetterebbe dalla situazione - è suo agio quando la narrazione si spoglia delle parole e si fa immagine pura, riuscendo a esprimere concetti che risulterebbero goffi o retorici.

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Il conflitto che dopo l’8 settembre ha generato nuovi schieramenti è esemplificato nella contrapposizione che percorre sotterranea tutta l’opera: il graphic novel comincia con un resoconto storico, che puzza di macchina da scrivere e vite di uomini, e finisce con un diario scritto a penna, tra le foto e i ricordi di un ragazzo.
Già da subito vengono poste le basi per quella che sarà, nel corso del volume, una continua dialettica tra il microcosmo personale di un individuo e il flusso inarrestabile della Storia, che è lì fuori, tra le nevi modenesi, tra il fitto intreccio di rami e tronchi, e a noi non è dato vederlo. Nel prologo, infatti, si alternano momenti di Storia italiana, corredati da una narrazione didascalica, invasiva, che copre le vignette, e la storia personale di Diego, muta, fatta solo di immagini: così facendo la privazione sonora della lettura aggiunge un ennesimo elemento dualistico. Il discorso è portato avanti anche nell’uso degli spazi: ogni volta che appare la minaccia nazifascista lo spazio si chiude, financo gli ambienti aperti si fanno angustiosi, claustrofobici, grazie ai suggestivi intrichi di betulle, in opposizione alle distese di neve a perdita d’occhio in cui marcia il gruppo di protagonisti.
Grazie a questi espedienti, la distinzione tra buoni e cattivi dovrebbe apparire ben definita, ma l’uso dei grigi sembra disinnescare la bipartizione, quasi a comunicare l’iniziale spaesamento del giovane Diego e, in seguito, lo scontro con il padre, antagonista, nemico, ma cionondimeno genitore.

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Baldazzini è artista della concretezza, e tutto diventa sensazione tattile, forza materica, fino ai minimi dettagli, le nuvole, piatte e omogenee, quasi palpabili, dei respiri, gli schizzi d’acqua che si solidificano e paiono tentacoli, lo sparo di una pistola che diventa un fuoco d’artificio, a suggerire una rigidità prodotta dalla guerra. Funzionano bene alcune idee registiche (termine non casuale, vista la decisione di togliere il tetto dagli edifici per rendere visibile la scena, quasi fosse un set cinematografico) e quelli che potrebbero essere presi per rimandi neoclassici delle tavole: se, nella classica dicotomia scolastica, il romanticismo mostrava la foga dell’evento nel suo pieno compiersi, il neoclassicismo scolpiva o dipingeva i momenti precedenti o successivi al fatto; allo stesso modo, gli abusi de L’inverno di Diego - per quanto efferati - vengono suggeriti dagli eventi temporalmente circostanti e, anche nei rari casi in cui il gesto è mostrato, la violenza è decentrata rispetto al fuoco della vignetta (la notte d’amore tra i due giovani, mostrata con lievi tocchi e conclusa con un ingrandimento delle loro mani, la marchiatura di Luisa da parte dei nazifascisti, la furia di Diego sui suoi aguzzini).
A questo si accompagna il sapiente uso delle dimensioni delle vignette, spazio che si espande e contrae nel tempo di un respiro e risulta leggibile con estrema facilità dall’occhio. Da sole costituiscono inquadrature fotografiche, piccoli quadri lichtensteiniani per pose ed estetica, e insieme diventano racconto fluido di una storia che altrimenti non lascerebbe segno nella memoria del lettore.

 
 

Dati del volume

  • Editore: The Box
  • Autori: Testi e disegni di Roberto Baldazzini
  • Formato: brossura, 96 pp., 20x27,5 cm., b/n
  • Prezzo: 18,00 €
  • Voto della redazione: 6
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