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1001 fumetti da leggere prima di morire

L’enciclopedia è morta. L’enciclopedia resta morta. E noi l’abbiamo uccisa.
Le avvisaglie c’erano tutte sin dagli inizi degli anni duemila, quando nacque Wikipedia, croce e delizia di insegnanti sottoscolarizzati e alunni sovraimpigriti. Tuttavia, checchè ne possa pensare Nietzsche, la morte è solo una trasformazione di energie e l’invenzione illuminista non è davvero scomparsa, è solo mutata in qualcos’altro; infatti, più o meno negli stessi anni in cui Jimmy Wales dava vita al progetto che avrebbe decretato la morte, apparente o effettiva, della Britannica, della Treccani e della Brockhaus, i tipi della Quintessence Editions editarono 1001 film da guardare prima di morire, il primo di una lunga serie di enciclopedie tematiche, che non erano proprio enciclopedie, erano suggerimenti di visione, di ascolto, di assaggio, di lettura, basati sulle scelte di professionisti del settore. E dalla guida cinematografica (a tutt’oggi aggiornata annualmente) ci si è spinti verso i dischi, le canzoni, i cibi, i vini, i libri e i fumetti.

Arriva ora in Italia, grazie alla bolognese Atlante, la guida 1001 fumetti da leggere prima di morire, edita in origine nel 2011 e curata da Paul Gravett. Scansiamo da subito gli equivoci: per quanto propositivi siano gli intenti di Gravett, che nell’introduzione auspica al volume di diventare “uno dei rari tentativi di fissare un canone fumettistico internazionale”, 1001 non può essere considerato un canone. O, meglio, non uno da prendere realmente in considerazione. Nonostante ci sia una forza generalista che spinge il libro lontano dal suo centro gravitazionale per approcciarsi a un pubblico incolto, un vero canone dovrebbe prevedere autori maggiori e minori, correnti, periodizzazioni. Insomma, una struttura che esula dal template della serie 1001; qui non si fa nulla di ciò, tutti e 1001 i fumetti hanno uguale spazio, in una sorta di democratizzazione corrotta, e l’utente è lasciato privo di contesti a cui fare riferimento.

Un’operazione simile ha pochi precedenti; sfortuna vuole che uno di quei sparuti precedessori sia un caposaldo del genere, l’Enciclopedia mondiale del fumetto (pubblicata in Italia nel 1978), curata da Maurice Horn e che vedeva coinvolti nomi come Luciano Secchi, Maria Grazia Perini, Gianni Bono, Mark Evanier, Bill Blackbeard e Denis Gifford.
I paragoni sarebbero ingiusti e fuori luogo - la portata e gli obbiettivi sembrano agli antipodi - tuttavia è interessante mettere a confronto due prodotti di tipo divulgativo per vedere come i due periodi abbiano usato premura sulla nona arte. I nomi coinvolti sono, come lo erano per Horn, di buona caratura (per l’Italia, Matteo Stefanelli e Loris Cantarelli, qui in veste anche di supervisori dell’edizione nostrana), ma balza all’occhio una forzatura, una semplificazione dell’argomento che porta a una altalenanza qualitativa nella scrittura, tutta a scapito degli appassionati del mezzo. Al di là di una certa reverenzialità, che sfocia nell'inclusione di cinque titoli di Tintin e della quasi totalità dei lavori dell'inglese Alan Moore, tra cui i meno riusciti Sacco amniotico e Promethea, la manchevolezza più grave da parte di Gravett è il poco polso nella supervisione, con conseguente disomogeneità dei testi: alcuni si fanno carico, come sarebbe giusto immaginare, di spiegare la rilevanza dei soggetti (nella piccola prospettiva dell’ambiente o in quella gigante dell’immaginario collettivo), altri ne analizzano pregi artistici e accortezze di mestiere, altri ancora infiocchettano una sterile sinossi senza troppo trasporto.
Tanto per esemplificare la questione: la scheda dedicata alle 110 pillole di Magnus è un sunto chirurgico, per precisione e intenti, di trama, commento e contestualizzazione rispetto al corpus di opere dell’autore, ma di contro l’insipido trafiletto dedicato a Dragon Ball (scritto dal giapponese Tatsuya Seto), di cui vengono evidenziati i molteplici rivoli di merchandising della serie, arrivando a concludere il pezzo con “tra i migliori fumetti di tutti i tempi”, un rigurgito di retorica che non si prende nemmeno la briga di giustificare l’affermazione, nulla può contro l'analisi ponderata o la ficcante demolizione critica che subiscono molte delle voci nell’enciclopedia di Horn (si veda, su tutti, Doc Savage).
Quello del manga è un esempio replicato in molti casi, di cui il compilatore non sembra aver chiaro il nucleo contenutistico o le motivazioni che hanno permesso al testo di entrare nel tomo. C’è una sfocatura analitica, manca spesso una ragione, una spiegazione delle scelte (perché a un neofita dovrei suggerire, tra tutto Magnus, Necron, invece dell’arditissimo e più maturo, in senso artistico, Le femmine incantante? Dove risiede l’importanza di un Omega lo sconosciuto, di uno Sky Doll, della Saga del clone tratta da Ultimate Spider-Man?). Per ogni voce ben curata come Mia mamma (è in America, ha conosciuto Buffalo Bill) o Capire il fumetto, che illustrano con competenza i motivi della loro peculiarità nel panorama artistico, è presente la scheda di fumetti come Transmetropolitan e Mutts, ridotti a balbettanti starnazzi nello spazio di tre righe.

Si cerca una sorta di ipertestualità, mutuata dalle esperienze digitali - alla fine di alcune voci compare un riquadro con titoli simili o dello stesso autore, sia presenti sia assenti nel libro - ma l’impiego del volume, che andrebbe consultato di continuo, smontanto, riempito di segnalibri e post-it per segnare questo o quel fumetto che ancora non si ha letto, cozza con il formato editoriale scelto, un cubo rigido con una rilegatura non saldissima e una costa che tende a usurarsi dopo poche aperture. La versione italiana si discosta da quella inglese sia per grafica (l'originale offriva una versione con copertina morbida, più agile, ma il goffo Dredd stampato sopra è meno in palla dell'immagine realizzata da Claudio Villa) sia per contenuti: Stefanelli e Cantarelli hanno imbastito un sommario differenze dall’opera di Grevett, in cui l'esoscheletro era la Gran Bretagna, portando ai lettori una guida che mastica più italiano.

Il discorso si riduce ai suoi minimi termini: a chi serve e a cosa serve questa guida? Be', gli appassionati di fumetto qualche perla nascosta e mai letta la troveranno di certo nel marasma generale, ma è inevitabile che trarranno meno soddisfazione una volta chiuso il libro. Ecco dove falla di più Gravett: se lavori come quelli di Horn accompagnavano alla rassegna di nomi un consistente apparato critico (132 pagine, da cui basta estrapolare le poche righe sulla riattualizzazione della figura eroica nella seconda metà del XX secolo per rendersi conto della loro bontà), 1001 lascia il lettore più scafato parco di nuove conoscenze o spunti critici. L'obiezione sarebbe legittima: a che pro inserire un apparato critico in un'epoca in cui lo scibile umano sta nel palmo di una mano, in cui tutte le possibili strade sono state tracciate? Il baricentro della questione va spostato, qui non c’è del sapere incondizionato, qui c’è una selezione, attuata da persone competenti, una prospettiva della materia fumetto che esula da tutte le altre; non c’è, si diceva, un canone. C'è un parere, una serie di consigli. E allora, forse, il senso più alto di testi come 1001 fumetti da leggere prima di morire è proprio di indicare una delle possibili vie da percorrere, di dare un punto di partenza per lettori errabondi e fruitori casuali, che si preoccuperanno poi di scoprire, se lo vorranno, tutti gli altri percorsi rimasti inesplorati

Dati del volume

  • Editore: Atlante
  • Autori: Paul Gravett (curatore edizione originale), Matteo Stefanelli (curatore edizione italiana), copertina di Claudio Villa
  • Formato: rilegato, 16 x 22 cm, 960 pagine a colori
  • Prezzo: 35,00 €
  • Voto della redazione: 6
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