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Tokyo Godfathers

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Spesso dietro una facciata da commedia leggera senza troppe pretese si nascondono film complessi curati nel minimo dettaglio, con personaggi caratterizzati in modo memorabile e una trama orchestrata con la precisione di un meccanismo ad orologeria.
Si tratta di un'opera che si incastra in modo bizzarro nella filmografia di Satoshi Kon, solitamente impegnato in pellicole oniriche e decisamente sperimentali dal punto di vista narrativo e visivo; Tokyo Godfathers è invece una storia profondamente radicata nell'odierna società giapponese, nella quale l'impossibile è messo da parte per lasciare spazio a un improbabile che ha il sapore della favola. I tre protagonisti sono infatti tre barboni coinvolti in una fiaba metropolitana che, cercando di rintracciare i genitori di una neonata trovata nell'immondizia, si ritroveranno immersi in un'avventura dove le coincidenze si susseguono a una velocità tale da far pensare all'esistenza di un fato che vuole proteggere la piccola.
La ricchezza di dettagli "sporchi" che si può osservare nei fondali è uno degli elementi che rendono più credibile la Tokyo del film, ma allo stesso tempo mal si adatta ai toni fiabeschi della trama; il contrasto però risulta una scelta valida nel modo in cui viene sfruttato per creare un'atmosfera originale, esattamente come i tre protagonisti senza fissa dimora a sorpresa riescono a rivestire un ruolo eroico che meglio si adatterebbe a personaggi principeschi senza macchia e senza paura.

Gin è un ubriacone di mezza età dal carattere scontroso che ha abbandonato moglie e figlia per vivere in strada; nel suo vagabondaggio lo accompagnano Miyuki, cinica ragazzina fuggita di casa, e Hana, un transessuale con un profondo desiderio di maternità. Questo bizzarro trio scopre durante la notte di Natale la piccola Hana, una bambina appena nata lasciata tra i sacchi della spazzatura; i barboni decidono di prendersene cura, mettendosi anche sulle tracce dei genitori per farli riflettere sul gesto compiuto.
I tre protagonisti potrebbero sembrare tre macchiette, ma nel corso della vicenda la loro caratterizzazione sopra le righe si rivela uno strumento ottimo per rendere molto più brillante la pellicola anche attraverso personalità complementari, senza però impedire di approfondire i personaggi anche scoprendo retroscena del loro passato.

Tutto Tokyo Godfathers vive di contrasti, non solo nei protagonisti ma anche nei toni della vicenda: il modo in cui Kon riesce ad alternare comico e tragico ha dell'incredibile, facendo in modo che si alimentino l'un l'altro dando vita a un equilibrio perfetto grazie al quale lo spettatore viene travolto da emozioni opposte nel giro di pochissimo tempo. Le forze che spingono in direzioni opposte si possono ritrovare anche nella colonna sonora, nella quale si alternano delicate melodie e motivetti più pimpanti, per terminare sui titoli di coda con una strampalata versione dell'"Inno alla Gioia" di Beethoven.
Un film quasi surreale, che però non presenta molte situazioni o elementi "da film d'animazione" al punto che al termine della visione viene da pensare che sarebbe potuta essere anche un'ottima pellicola live-action. L'unico aspetto che sarebbe stato impossibile ricreare con riprese dal vero sono le espressioni e le movenze dei personaggi, in alcuni momenti esagerate oltre le possibilità umane; non si tratta di un fattore secondario bensì delle fondamenta sulle quali si crea il ritmo forsennato e la comicità della narrazione, contrapponendosi ai momenti più realistici e drammatici.

Gli ottimi personaggi e la storia avvincente fanno di Tokyo Godfathers un piacevole film on the road, ma la cura per i dettagli e la quantità di idee inseriti nelle singole scene lo elevano a vero e proprio capolavoro del cinema d'animazione. Dal punto di vista della trama è incredibile il modo in cui sono stati introdotti indizi per sviluppi della vicenda che si verificheranno a film inoltrato; si tratta di piccoli inserti che si riescono a cogliere a malapena, ma riguardando tutto una seconda volte si può apprezzare la quantità e la precisione con cui tutto è stato orchestrato. Anche dal punto di vista tecnico il film può contare su una qualità con pochi eguali, nonostante un budget relativamente basso per una produzione di questi livelli; oltre a disegni, sfondi e animazioni di tutto rispetto, gli animatori hanno nascosto in molte sequenze una serie di dettagli che impreziosiscono il risultato finale. Basti pensare a una rissa in cui Gin viene coinvolto, picchiato da un gruppo di ragazzi disgustati dal suo essere un barbone: la scena sembra un normale pestaggio, ma osservandola con più attenzione si nota che è inquadrata mostrando i profili dei personaggi, con in cima allo schermo le finestre di un palazzo nelle quali le luci si accendono e si spengono come se fossero le barre di energia dei combattenti, ricreando l'immaginario di un videogioco di combattimenti. Sono queste trovate che, nonostante si tratti della pellicola meno ambiziosa tra quelle di Kon, ne fanno invece il prodotto forse meglio riuscito, una delle pellicole d'animazione più belle di sempre nella quale si può constatare la versatilità e la bravura del regista giapponese anche al di fuori delle atmosfere oniriche a lui tanto care.

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