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Un cinecomic atipico e maturo, la recensione di Logan

Un cinecomic atipico e maturo, la recensione di Logan

"Andrò molto lontano..."
 "Perché, Shane?"
 "Un uomo ha la sua via tracciata... non può cambiarla... non avrei dovuto dimenticarlo."
 "Voglio che tu resti, Shane."
 "Si infrange la legge quando si uccide, e non c'è rimedio. A torto o a ragione... rimane sempre un marchio... che non si cancella più. Ora torna presto dalla mamma, e dille da parte mia che non tema più niente. La tranquillità è tornata nella vallata."

Se c’è un personaggio della cinematografia classica affine a Logan, il Wolverine della pluridecennale saga degli X-Men, questo è proprio Shane, il Cavaliere della Valle Solitaria interpretato da Alan Ladd nell’omonimo western cult di George Stevens. In uno dei rari momenti di pace della pellicola di James Mangold, qui per la seconda volta alle prese con una trasposizione cinematografica delle avventure del mutante artigliato, i protagonisti in fuga si concedono poche ore di riposo in una stanza d’albergo regalandosi una visione del film di Stevens. Le parole di Shane, che echeggeranno in altri momenti del film, sono il centro morale dell’intera vicenda umana di Logan, un uomo buono trasformato suo malgrado in una macchina assassina, che convive con il peso di troppe morti sulla coscienza.

Scegliendo di adattare liberamente Old Man Logan, celebratissima saga post-apocalittica di Mark Millar e Steve McNiven che non poteva essere riproposta integralmente a causa della nota vicenda dei diritti di sfruttamento cinematografico dei mutanti Marvel, saldamente in mano alla Fox e separati dal resto del Marvel Universe, Mangold decide di andare oltre la pur efficace e gigionesca verve dell’opera di partenza per allestire un western crudo e crespuscolare, crudele e nichilista, per quanto attraversato da effimeri attimi di tenerezza. Conscio del passo falso commesso col precedente Wolverine – L’immortale, il regista desatura la pellicola di ogni elemento supereroistico e fantascientifico, senza però negare l’esistenza del grande romanzo degli X-Men. Quelle vicende eroiche sono avvenute, anche se poi sono state raccontate su carta in modo diverso, allontanandosi parecchio dalla realtà, sostiene Logan sfogliando un finto numero di Uncanny X-Men realizzato per l’occasione da Joe Quesada e Dan Panosian.

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Quello che ci restituisce Mangold è un futuro prossimo venturo desertificato, arido e brullo, dove buoni e cattivi attraversano highways sconfinate a bordo di bolidi di lamiere e metallo. Troviamo un Logan invecchiato, che ha smesso i panni di Wolverine e sopravvive come conducente di limousine a nolo. Scopriamo presto che il vecchio Wolvie vive in un capannone abbandonato, dove con l’aiuto del mutante albino Calibano nasconde un quasi centenario Professor Xavier dagli occhi del mondo. Il Professore non è più quello di un tempo, è malato e non ha più il controllo dei suoi poteri mentali; lo stesso Logan non può più contare sul pieno funzionamento del suo fattore rigenerante. Nel frattempo la razza mutante è quasi scomparsa, da 30 anni non si registrano nascite di individui col gene X. E tutti questi fatti potrebbero essere collegati. Logan scoprirà la verità quando verrà avvicinato da una donna che gli chiederà di proteggere la figlia, una bambina misteriosa che potrebbe essere l’ultima speranza del genere mutante, inseguita da un gruppo di spietati mercenari potenziati al soldo di un perfido scienziato.

Con Logan – The Wolverine, James Mangold confeziona un’ultima avventura epica e dolente, una prova d’autore che travalica i confini a volte angusti del cinecomic. Il regista torna ai livelli di Copland, il film d’esordio che lo fece conoscere al grande pubblico nel ’96 e che si può considerare l’inizio di un’ideale trilogia di film dedicati ad eroi solitari, romantici e perdenti che prosegue con Walk The Line, il biopic su Johnny Cash del 2005 e si conclude proprio con Logan (è significativo e non casuale che i titoli di coda del film siano accompagnati da The Man Comes Around dello stesso Cash). Road-Movie, ultima malinconica ballata o romanzo di formazione a seconda che lo si veda dagli occhi di Logan e Xavier o della piccola Laura, Logan si candida a diventare una pietra miliare del genere, destinata ad essere ricordata a lungo. Attraversata da improvvise esplosioni di violenza, inedite per un cinecomic, si tratta di un’opera atipica, che annovera tra i suoi riferimenti cinematografici i western crepuscolari di Clint Eastwood e Sam Peckimpah (col quale condivide un certo nichilismo di fondo) e che rappresenta per Wolverine quello che Alamo è stato per Davy Crockett, l’ultima impresa che consegna l’eroe alla leggenda.

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Il tempo è un altro elemento chiave del film, il tempo che passa e che lascia ogni possibilità di eroismo alle pagine colorate di un fumetto per ragazzini, mentre la realtà si colora di spietata crudeltà: quel numero di Uncanny X-Men che Laura custodisce gelosamente e che sembra essere la chiave per il ritorno ad un’età dell’oro ormai perduta ed irrecuperabile, oltre che per una lettura metatestuale della pellicola stessa. Nel dare l’addio dopo ben 17 anni al personaggio che ha segnato la sua carriera, trasformando uno sconosciuto attore australiano in una superstar mondiale, Hugh Jackman sfodera probabilmente la sua migliore interpretazione di sempre. Il suo Logan è una maschera di sofferenza fisica e morale, che non si dimentica facilmente. Raramente si è visto un tale livello di identificazione tra un attore e il suo personaggio, interpretato per ben 9 volte nell’arco di 17 anni: un re-casting, per quanto inevitabile nel lungo periodo, appare al momento impensabile. Si congeda alla grande anche Patrick Stewart, qui alla sua ultima apparizione come Charles Xavier, al quale Mangold regala il ruolo che era stato di Walter Brennan nei film di Howard Hawks e John Ford, il vecchio del Far West che offre al pubblico momenti di ilarità e perle di saggezza allo stesso tempo. Menzione d’onore per Dafne Keen, che nonostante la giovanissima età regala spessore e profondità al ruolo di Laura, X-23. Un unione di forze che contribuisce a collocare Logan nel pantheon dei cinecomic più riusciti ma che, visto il livello di maturità ormai raggiunto, ne rappresenta anche l’inevitabile canto del cigno.

Regia: James Mangold
Interpreti: Hugh Jackman, Patrick Stewart, Dafne Keen, Richard E. Grant, Boyd Holbrook
Anno: 2017
Nazione: USA
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 135 min

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