Menu

 

 

 

 

Wolverine - L’immortale: recensione

Sono passati ben 13 anni da quando il regista Bryan Singer riuscì, rielaborando una vecchia sceneggiatura scartata per un film dei Fantastici Quattro, e utilizzando fino all’ultimo centesimo un budget decente ma non stratosferico, a realizzare il primo film degli X-Men. 13 anni durante i quali le trasposizioni da comics supereroistici sono diventate uno dei generi dominanti al box office americano, e ogni personaggio, anche di seconda o terza fascia, è ormai un potenziale spunto per un blockbuster.
Da parte loro, i film sui mutanti si sono sviluppati in un sottofilone vero e proprio, che comprende ormai una trilogia compiuta per quanto qualitativamente diseguale (all’apprezzato X-Men 2 è seguito il pessimo X-Men - Conflitto finale, messo insieme alla meglio dal mestierante Brett Ratner), un prequel (X-Men - L’inizio) e una serie “a solo” interamente dedicata a Wolverine: X-Men le origini - Wolverine, e ovviamente Wolverine - L’immortale.

Il tempo non è stato del tutto clemente con i mutanti di Singer, e non solo perché in oltre un decennio il livello tecnico degli effetti speciali è aumentato in modo esponenziale. Quando i primi film su Wolverine e soci furono realizzati, gli unici precedenti importanti in ambito supereroistico erano rappresentati dai Batman di Tim Burton e di Joel Schumacher. Il genere praticamente non esisteva, e oggi molte convenzioni introdotte dallo sceneggiatore David Hayter appaiono piuttosto datate; superate cioè da innumerevoli altri esempi di un filone che, per quanto non riesca ancora a diventare “adulto” (a parte rare eccezioni), ha comunque conosciuto nel frattempo film molto più sofisticati.
Va comunque riconosciuto un importante merito a Singer - regista del resto abbastanza mediocre, a eccezione del suo celebrato esordio I soliti sospetti: se i film sui mutanti non fossero mai stati realizzati, forse oggi l’intero filone supereroistico non esisterebbe, il che conferisce ai primi X-Men un primato per certi versi paragonabile a quello del Superman di Richard Donner (non a caso, anch’esso fondamentale a livello storico benché invecchiato molto male). Anche se l’apripista per i film Marvel fu Blade del 1998, di due anni precedente a X-Men, il film sull’ammazzavampiri creato da Marv Wolfman e Gene Colan non sembra aver generato dei veri e propri epigoni. La vera, geniale intuizione di Singer e soci, motivata probabilmente anche dal budget, fu quella di calare gli eroi resi celebri da Chris Claremont in un contesto realistico e plausibile, eliminando o quantomeno alleggerendo gli elementi fumettistici più pittoreschi e sposando un’efficace estetica “glaciale” che è servita da ispirazione a numerose pellicole successive. L’approccio visivo ideato dal regista de L’allievo, oltre ad essere indubbiamente funzionale, aveva il merito di essere anche facilmente replicabile da altri registi in ulteriori pellicole, il che dava a X-Men un valore esemplare; una componente, cioè, che film qualitativamente migliori, ma esteticamente così elaborati da essere poco emulabili come i primi due Spider-Man di Sam Raimi, non avevano.

In più, un’altra carta vincente dei film originali sugli uomini X era quella di aver scelto con molta cura gli interpreti di molti ruoli chiave della mitologia mutante. Non tutti gli attori erano indovinati, ma a svettare sugli insulsi Ciclope (James Mardsen) e Tempesta (Halle Berry) c’erano un efficace Patrick Stewart come Charles Xavier e, soprattutto, un notevole Wolverine interpretato dall’allora sconosciuto Hugh Jackman, che pareva un’incarnazione perfetta della sua controparte cartacea. L’aderenza dell’attore al suo ungulato personaggio fu tale che a tutt’oggi Jackman ha interpretato Logan in 6 distinte occasioni, e si appresta a rifarlo nell’imminente, quinto capitolo della saga dei mutanti, nuovamente affidato a Bryan Singer. Nel frattempo, ecco Wolverine - L’immortale, ovvero il secondo film (ma gli autori preferiscono considerarlo una pellicola “a solo”) della saga sul mutante canadese.

Il film ha avuto una lavorazione travagliata. Il precedente X-Men le origini - Wolverine aveva lasciato l’amaro in bocca a parecchi, e per questo secondo episodio era stato pianificato un approccio più autoriale e sofisticato, a cominciare dalla fonte d’ispirazione: la giustamente celebre miniserie di Wolverine ambientata in Giappone, realizzata nel 1982 da Chris Claremont e Frank Miller. La regia era stata inizialmente affidata al talentuoso Darren Aronofsky, che rielaborò una sceneggiatura scritta dal Christopher McQuarrie de I soliti sospetti. Nel 2011 Aronofsky abbandonò il progetto, adducendo come motivazione generici e onestamente non troppo credibili “motivi familiari” (che ricordavano sospettosamente l’analoga scusa con la quale nel 2005 Matthew Vaughn riuscì a sfilarsi dal disastro semi-annunciato di X-Men - Conflitto finale, film che inizialmente era stato chiamato a dirigere). Il maremoto del Giappone nel 2011 rallentò ulteriormente la lavorazione, che alla fine fu affidata a James Mangold, a suo tempo interessante regista di film non eclatanti ma discreti (ma vale la pena di recuperare il suo ottimo esordio da indipendente, Dolly’s Restaurant del 1995). La sceneggiatura fu ulteriormente rielaborata da Mark Bomback, specializzato in film d’azione. E infine, preannunciato da splendidi poster disegnati con uno stile “orientaleggiante”, il film è uscito il 25 luglio.

Seguono SPOILER.

wlimoWolverine - L’immortale si colloca temporalmente dopo X-Men - Conflitto finale. Logan, sconvolto dalla morte di Jean Grey (da lui stesso causata dopo la trasformazione dell’amata nell’onnipotente Fenice), ha lasciato gli X-Men e si è ritirato nelle foreste del Canada. A scuoterlo dalla sua solitudine arriva la spadaccina giapponese, e veggente, Yukio, che chiede a Wolverine di seguirla in Giappone perché il morente uomo d’affari Yashida possa saldare con Logan un vecchio debito d’onore. Una volta a Tokyo, Wolverine è trascinato in un complicato intrigo che vede coinvolti membri della Yakuza, uomini d’affari e la letale mutante Viper; troverà l’amore e scoprirà, finalmente, cosa significhi essere un vulnerabile uomo in carne e ossa.

La miniserie a fumetti su Logan è un lavoro notevole, scritto da un Claremont al suo meglio e disegnato da un Miller non ancora pienamente maturo ma già molto efficace. Il senso dell’onore, la solennità e la solitudine del protagonista e il dramma della sua storia d’amore rendono la saga un piccolo gioiello, che senz’altro ha dato un contributo determinante nel fare di Wolverine l’ultima vera icona supereroistica davvero importante e riconoscibile del mondo occidentale. Ebbene, in questo film, che pure in certi momenti è abbastanza aderente alla sua controparte fumettistica (e in altri se ne discosta completamente), del difficile equilibrio raggiunto dagli autori, del loro impegno e del loro talento, non c’è praticamente traccia.

La prima parte, pur non brillando, risulta abbastanza divertente (anche se non mostra nulla che non si sia già visto - e meglio - in altri film, o addirittura nell’ambito dello stesso filone degli X-Men). C’è una serie di apparizioni “oniriche” di Jean Grey (Famke Janssen), il cui scopo sembra però soprattutto quello di dare a Wolverine - L’immortale una precisa collocazione temporale rispetto agli altri film sui mutanti: ai neofiti, tuttavia, il personaggio non dirà nulla, mentre agli appassionati queste sequenze rischiano di ricordare con quanta mediocrità sia stata resa la morte di Fenice in X-Men - Conflitto finale. Tutto sommato, però, l’inizio della pellicola è scorrevole e si lascia vedere.

I problemi veri, però, iniziano con la trasferta giapponese di Wolverine. Dapprima lentamente, poi in modo sempre più incalzante, il film diventa un concentrato di tutti i più triti e irritanti luoghi comuni sul paese del Sol Levante. Non c’è uno stereotipo che manchi: ninja medievaleggianti, Yakuza, armature cibernetiche, samurai, consumate guerriere che nascondono il loro talento dietro l’apparenza di ragazzine, allusioni a gusti sessuali strampalati, l’onore e il rispetto, perle di saggezza un tanto al chilo, militari che fanno Seppuku; praticamente manca solo Godzilla. In compenso, a inizio film, c’è un’intera sequenza ambientata nei pressi di Nagasaki durante lo scoppio dell’atomica.
È vero, alcuni elementi erano già presenti nella miniserie: ma lo scopo delle trasposizioni - e questo Singer, se non altro, lo aveva capito perfettamente - è proprio quello di adattare il materiale originale, lasciando da parte tutto ciò che in un contesto realistico di attori in carne e ossa non potrebbe funzionare. Invece in Wolverine - L’immortale tutta questa paccottiglia orientaleggiante non solo viene ripresa senza alcuna ombra di ironia, ma anzi calcando ancora di più la mano. La sceneggiatura non sembra affatto scritta da uno scrittore serio e rispettoso che abbia una conoscenza vera della cultura orientale, ma da qualcuno che si è visto troppi anime comprendendone soltanto l’aspetto più superficiale. Con buona pace delle velleità autoriali di McQuarrie, su tutto il film sembra aleggiare un certo razzismo, reso ancora più evidente dal fatto che, a parte Mariko e Yukio (cioè l’amata del protagonista e la sua spalla), tutti i personaggi giapponesi del film sono alternativamente vigliacchi, privi di buon senso o senza alcuna idea di onore - o, in alcuni casi, una mescolanza delle tre cose.

A farne le spese è soprattutto il povero Jackman, che nonostante sia perfettamente in grado di calarsi nel ruolo con un’abnegazione e un’autorevolezza notevoli, proprio da interprete consumato, nell’ultima mezz’ora di film diventa veramente sgradevole; quando, cioè, il suo personaggio infila uno dietro l’altro una serie di micidiali commenti che sembrano saltare fuori da un film d’azione di serie Z degli anni ’80 (compreso un terribile “Sayonara!” durante lo scontro finale con il cattivo).
Anche la storia d’amore con Mariko non funziona. Al di là dell’indubbia avvenenza dell’attrice, il personaggio è antipaticissimo, sospeso tra un’altezzosità algida e una pretenziosa impressione di saggezza, sintetizzata in una serie di monologhi dal sapore “orientaleggiante” che si vorrebbero profondi e invece sono solo banali. Davvero non si capisce perché Logan dovrebbe innamorarsi di una protagonista così insulsa, e infatti tra i due personaggi non c’è una vera e propria alchimia; molto meglio, a questo punto, il rapporto con Yukio (interpretata dall’attrice Fukushima Rila, o meglio dalla sua voluminosissima scatola cranica), che nonostante sia sottoutilizzata risulta comunque un personaggio abbastanza simpatico e interessante.

Per completare il quadro, la sceneggiatura in certi momenti è davvero confusa, probabilmente a causa delle continue riscritture: che ruolo hanno le visioni di Yukio, che in certi momenti ci azzecca e in altri no? Perché il veleno di Viper, normalmente letale, ha un effetto solo temporaneo sul padre di Mariko, che si riprende giusto in tempo per uno scontro con Yukio e Wolverine? Se gli uomini della Yakuza dovevano semplicemente fare la pelle a Mariko, perché si prendono la briga di riportarla a casa dal padre, dopo averla rapita sotto il naso di un Logan per una volta provvidenzialmente disattento? E in ultima analisi: ha veramente un senso l’inibizione dei poteri di Wolverine da parte di Viper, che così facendo mette seriamente a rischio l’incolumità dell’unico mutante che dovrebbe mantenere in vita per potergli sottrarre l’immortalità? A ben vedere, tutta la sottotrama del prolungamento della vita dell’anziano Yashida fino alla comparsa di Silver Samurai sembra un’aggiunta pleonastica e appiccicaticcia alla trama principale, quella di Mariko e della Yakuza.

Eppure, Mangold non è in generale un pessimo regista, e anzi il suo curriculum è - nell’insieme - superiore a quello di Singer. Ma lo stesso discorso, probabilmente, si poteva fare con il Gavin Hood di X-Men le origini - Wolverine. E allora viene da pensare che, stringi stringi, Wolverine - L’immortale non rappresenti altro che l’ennesima conferma di quanto queste operazioni commerciali non portino ad altro che a un appiattimento, e spesso anche a una mortificazione, del talento e delle aspirazioni artistiche delle persone che vi sono coinvolte. Un fenomeno che, unitamente a certi intricati tòpoi narrativi che ultimamente stanno facendo la loro comparsa anche nei film (resurrezioni improbabili, paradossi temporali, inflazione di personaggi secondari, onnipresenza di Logan), rende la saga cinematografica dei mutanti sinistramente via via più simile ai periodi peggiori della sua controparte fumettistica. E il recentissimo annuncio di un film sulla X-Force non fa sperare bene per il futuro.

Infine, un’osservazione generale. A confronto dei film tratti dai personaggi DC (che alternano picchi qualitativi ancora imbattuti, come i film di Nolan, a orridi abissi tipo Lanterna Verde), e dell’analoga serie dei Vendicatori (che riesce a mantenersi sempre su una media discreta, senza grosse cadute e senza guizzi), il filone mutante della 20th Century Fox sembra essersi ormai adagiato - senza rimpianti e anzi con grande soddisfazione - nell’ampio bacino dei B-Movies (“B” per la qualità, non certo per il budget). Film, cioè, per certi versi simili agli episodi della serie cinematografica di Star Trek fino al reboot di JJ Abrams, o ad alcune saghe di action movie con protagonista Steven Seagal. Detto altrimenti, opere che pur conquistando un apprezzabile riscontro commerciale, sono tenute in considerazione solo dagli appassionati del genere, e non hanno (né, probabilmente, hanno quasi mai avuto) la capacità di dire qualcosa di veramente importante e significativo sul tema dell’accettazione e della diversità. L’improbabile sottotitolo italiano “L’immortale”, in maniera del tutto incidentale, rinforza ancora di più quest’impressione: riporta infatti alla mente certi storici e fantasiosi adattamenti di film americani per il mercato italiano, di solito riservati a pellicole di seconda fascia a cui si sperava di dare maggiore visibilità (La casa 7, Chi è sepolto in quella casa?, ma anche il recente Nickname: Enigmista…).

Immancabile scena a metà dei titoli di coda per annunciare il prossimo episodio: Magneto, Xavier, Bolivar Trask, le Sentinelle, e Giorni di un futuro passato. Ma onestamente, se il livello deve essere quello di Wolverine - L’immortale, chi se ne importa.

Torna in alto