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Un rilancio riuscito a metà, la recensione di Karnak - Il punto debole in ogni cosa

A distanza di 50 anni dalla loro creazione per mano di Stan Lee e Jack Kirby sulle pagine di Fantastic Four, Gli Inumani hanno conosciuto nell’ultimo lustro una popolarità mai vissuta precedentemente. Citati a più riprese nella serie tv Agents of S.H.I.E.L.D., a breve avranno l’onore di un serial ad essi interamente dedicato, ad accompagnare la grande quantità di iniziative editoriali che la Marvel dedica ormai stabilmente alla razza segreta più famosa del proprio universo. Il tutto rientra in una precisa strategia della Casa delle Idee, che non potendo contare sui diritti di sfruttamento cinematografico legati agli X-Men, da tempo stabilmente in mano alla Fox, ha progressivamente depotenziato le serie mutanti a favore degli Inumani, cercando di farne i nuovi outsider di successo dell’editore. Ma la trasformazione di Freccia Nera, Medusa e soci da tradizionali comprimari a protagonisti della ribalta non ha dato i frutti sperati, sia dal punto di vista commerciale che da quello qualitativo.

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Nella pletora di progetti dedicati agli Inumani, il più atteso era certamente la serie dedicata al loro membro più misterioso, Karnak, realizzata dalla penna prestigiosa di Warren Ellis per le matite di Gerardo Zaffino. Diventata in corsa una miniserie di sei numeri a causa dei ritardi dovuti a divergenze creative culminate con l’abbandono dell’illustratore, sostituito da Roland Boschi, arriva finalmente in Italia grazie a Panini Comics.

Come nelle sue più recenti prove su commissione, vedi la straordinaria run di sei numeri su Moon Knight, Ellis si avvicina a un personaggio dalla lunga vita editoriale sottoponendolo ad un processo di revisione che, pur non tradendone la rappresentazione tradizionale, mira ad individuare e ad estrarre quell’idea specifica che lo caratterizza facendone il perno su cui costruire l’intera serie. Karnak, guerriero appartenente alla famiglia reale degli Inumani, rappresentava in tal senso un candidato ideale al revisionismo ellisiano, in virtù di una psicologia complessa ma mai esplorata appieno nei suoi oltre 50 anni di vita. Inumano atipico, per volere paterno non è stato sottoposto al tradizionale rituale della Terrigenesi, procedimento grazie al quale i giovani della sua razza acquisiscono capacità fuori dall’ordinario grazie all’esposizione alle nebbie terrigene; uomo normale tra esseri speciali, ha colmato il gap con i suoi concittadini con lo studio, la meditazione e l’allenamento, diventando il primo tra i guerrieri di Attilan, capace di individuare il punto debole in ogni cosa e frantumarla. Toltosi la vita durante gli eventi di Inhumanity, è stato capace anche di individuare una crepa nell’oltretomba e tornare tra i vivi.

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Ellis alza ulteriormente la posta trasformando Karnak nel Magister della Torre della Saggezza, rettore di una scuola di filosofia il cui indirizzo è un incrocio tra nichilismo, realismo speculativo e decostruzionismo alla Jacques Derrida. Le capacità particolari del personaggio vengono quindi spostate sul piano astratto: il guerriero inumano riesce ad individuare le falle e le contraddizioni nella struttura del pensiero e nelle convinzioni degli avversari per poi abbatterle. È proprio nella sua torre che lo troviamo ad inizio volume, quando viene distolto dal suo ritiro dall’agente Coulson dello S.H.I.E.L.D.. La spia chiede il suo aiuto per ritrovare un ragazzo rapito da una setta interna al gruppo terroristico dell’A.I.M. e restituirlo ai suoi genitori. Si tratta però di un giovane fuori dal comune, che ha acquisito poteri speciali in seguito al rilascio della bomba terrigena da parte di Freccia Nera durante Infinity. Ma Karnak scoprirà presto che il ragazzo potrebbe non essere una vittima e che le cose sono molto diverse da quelle che sembrano.

Ellis ci accompagna attraverso l’affascinante indagine psicologica di un personaggio che reinventa completamente, trasformando il vecchio comprimario di Fantastic Four in un asceta del pensiero a metà strada tra un monaco ed un santone. Un guru dalla forte connotazione filosofica le cui convinzioni verranno messe a dura prova dagli eventi. Lo sceneggiatore inglese ci ricorda costantemente che c’è un punto debole in ogni cosa, anche in un guerriero che si è dotato di un sistema di pensiero apparentemente inattaccabile: e se lo avesse fatto per nascondere il suo senso di inadeguatezza e la sua immaturità emotiva? La risposta arriverà in un finale che lascia interdetti per un cinismo inusuale in un prodotto mainstream.

Potremmo obiettare che le questioni filosofiche poste dall’autore attraverso la bocca di Karnak non vengono adeguatamente sviluppate e si perdono in un finale non del tutto all’altezza, ma necessario per smascherare la natura ipocrita del protagonista. Ritroviamo invece tutti gli elementi caratteristici della scrittura di Ellis, dalla tensione narrativa incalzante ai dialoghi taglienti, vedi gli scambi di opinione tra Karnak e Coulson, perfetto contraltare ai deliri autoreferenziali dell’inumano.

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La continuità grafica soffre purtroppo del repentino abbandono di Gerardo Zaffino, figlio di Jorge, maestro del fumetto argentino autore di alcune storie del Punitore negli anni ’80, pubblicate anche in Italia dalla Star Comics. Dotato di un segno grezzo e sporco, arricchito dall’abbondante uso di neri e retini, Zaffino si è rivelato subito la scelta ideale per illustrare le vicende di un personaggio così complesso e ambiguo. Il passaggio dal suo stile a quello più tradizionale e pulito di Boschi, con un intermezzo del nostro Antonio Fuso, è il punto debole dell’intera miniserie. Il francese è autore di un buon storytelling ma senza particolari guizzi, che suscita il rimpianto per la riuscita finale di un’opera che, pur con qualche difetto, occupa un posto di rilievo tra i progetti più interessanti della Marvel odierna.

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La detective story sci-fi e weird fantasy di Ellis e Shalvey, la recensione di Injection volume 2

Stupisce sempre Warren Ellis e difficilmente sbaglia un colpo: autore estremamente prolifico in grado di approcciarsi con duttilità sia al mondo supereroistico Marvel/DC che a fughe verso altri generi, al mainstream come all'indie, al popolare come allo sperimentale. Mai scontato, mai noioso, una rara abilità nel tratteggiare rapidamente personaggi e situazioni, il suo stile raramente ha sacrificato la qualità nonostante tanto abbia scritto e pubblicato. Con Injection ci troviamo di fronte all'ennesima prova di valore per un autore che, rispetto ad altri pluri-celebrati connazionali, forse ha sempre raccolto meno, in termini di critica, di quanto avrebbe meritato.

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Gioco, finzione e evoluzione sono le impegnative coordinate che Ellis continua a seguire per tessere intreccio e contesto di questa sua creazione: nell'affresco corale introduttivo del primo volume, avevamo lasciato l'Inoculazione - capricciosa Intelligenza Artificiale senziente creata quasi per gioco da uno strambo party di 5 personaggi tanto geniali quanto irrimediabilmente geek – mentre si divertiva come un bambino a manipolare il confine fra fantasia e realtà. Ora, in questo secondo volume (che raccoglie i numeri dal 6 al 10 dell'edizione originale) l'Inoculazione sembra balzata rapidamente nel pieno dell'adolescenza, impegnata com'è a scoprire le gratificazioni di sesso, denaro e potere. E nella dialettica genitore-figlio (che altro sono Maria, Robin, Sim, Brigid e Vivek se non una parodia/iperbole di ruoli familiari e compiti parentali?) che il ruolo del padre qui confluisce quasi tutto sulle spalle di Vivek Headland, la parte più prettamente razionale del gruppo di protagonisti, una sorta di Sherlock Holmes lunatico e schizzato, con una passione per le speculazioni logico-filosofiche e per le bizzarrie in genere, impegnato in un'indagine improbabile volta a fermare l'ennesimo eccesso di apprendimento della ribelle intelligenza artificiale, che non risparmia di usare gli esseri umani come simulacri per le proprie sperimentazioni e scoperte.

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È una detective story dalla partenza quasi classica quindi, ma in grado di cavalcare beffarda la sci-fi, il weird fantasy, le tematiche soprannaturali e resa viva dai dialoghi di Ellis: complicati ma ironici, debordanti eppure fluidi, in grado di offrire spiegazioni semplici di temi complessi e filosofici. La sceneggiatura dell'autore inglese è frenetica e scoppiettante, senza perdere mai di precisione e di leggibilità: un'allegra anarchia avventurosa che ti porta a divorare la pagine certo che, se non hai capito subito, capirai qualche pagina più avanti. Ellis è molto bravo soprattutto a organizzare materiale sentito, usato e stra-usato (intelligenze artificiali, teorie della cospirazione, collegamenti fra scienza e magia, ecc...) riassemblandolo in  maniera divertente, divertita e comunque sempre originale. Si percepisce poi, fra le righe, anche nei momenti più eclatanti della storia, un senso di straniamento e tensione che in più punti ricorda le prime, epocali avventure del John Constantine/Hellblazer di Jamie Delano, qui però con meno lirismo e molto più black humor.
Gioco e finzione dicevamo, non solo sono tematiche portanti della storia ma anche gli strumenti principali dell'autore inglese per creare uno scenario così articolato e accattivante: c'è forse un po' di carenza d'azione, e personaggi che indugiano troppo in una ricerca di coolness non sempre necessaria, ma questi difetti sono compensati da un grande ritmo narrativo e dalla libera circolazione di fantasia e immaginazione.

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Il connubio fra precisione scientifica e ritualità “alchemica” sembra contagiare anche la veste artistica del volume che sorprende per coerenza e rigore: tavole organizzate in modo classico con vignette che rispettano quasi sempre la regola della simmetria, delle successioni regolari, con una certa prevalenza per il formato delle quattro vignette orizzontali per pagina. All'interno Declan Shalvey inocula ulteriore sense of wonder con i suoi disegni naif e cartoonistici: a fronte della complessità di temi e scrittura di Ellis lo stile del penciler irlandese risulta fresco ed estremamente essenziale, fatto di tratti lievemente modulati e quasi continui, di un'attenzione reiterata per i primi piani e le espressioni dei personaggi. Una grande prova di sobrietà e rispetto per Shalvey, che coaudiuvato dai colori e dagli sfondi monocromatici di Jordi Bellaire, si mette quindi al servizio della sceneggiatura e cerca, con eleganza, di circoscrivere e rendere fruibile visivamente il caos creativo e vitale di Ellis.
Injection 2 si conferma come una delle serie più fresche, intelligenti e avvincenti disponibili in fumetteria attualmente.

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Il Wolverine di Warren Ellis e Leinil Yu, la recensione di In punto di morte

In concomitanza con l’uscita al cinema di Logan, il terzo e ultimo spin-off mutante con Hugh Jackman, Panini Comics ha dato alle stampe molti volumi con Wolverine protagonista, come ad esempio Arma X di Barry Windsor-Smith, che vi abbiamo recensito qui, e svariati altri ancora. Fra questi troviamo In punto di morte, una saga di fine anni ’90 scritta dall’inglese Warren Ellis e disegnata dal filippino Leinil Francis Yu.

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Composta da 4 numeri (per l’esattezza Wolverine 119-122 del 1997-1998), la storia spazia fra presente e passato di Logan, quando il mutante artigliato si trovava a Hong Kong e frequentava la giovane e bella Ai-Cha, figlia del produttore cinematografico Wong. Fra una cosa e l’altra, Logan aveva stretto amicizia con lo scozzese McLeish, un uomo conosciuto anche con il nome de lo Spettro Bianco, un letale assassino (fra i migliori al mondo), con cui condivideva chiacchiere e birre. L’amicizia del killer, però, era tutt’altro che disinteressata e infatti, studiando le abitudini del mutante e della sua ragazza, l’uomo progettava di uccidere il produttore Wong. Dopo un’uscita romantica, Logan e Ai-Cha tornano prima a casa del previsto solo per trovare il cadavere ancora caldo del padre della giovane e riuscire a vedere l'assassino fuggire. Nell’inseguimento, Wolverine riuscirà a raggiungere McLeish e l’esplosione di un’imbarcazione gli fa crede di averlo definitivamente ucciso.
Non sarà così, visto che dieci anni dopo lo Spettro Bianco torna per dare il via ad una serratissima caccia all’uomo con un Wolverine in estrema difficoltà in una vicenda che li porterà di nuovo faccia a faccia.

La vicenda narrata da Ellis è spettacolare e, data anche la sua non eccessiva lunghezza, piena di ritmo e colpi di scena. L’autore si sposta avanti e indietro nel tempo caratterizzando alla perfezione un Logan senza lo scheletro di adamantio (che il quel periodo gli era stato strappato da Magneto nella saga Attrazioni Fatali) ma soprattutto dando spessore e personalità a un villain creato per l’occasione e assolutamente riuscito.

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Riguardo le matite, Leinil Yu all’epoca non era certo la star che è oggi, ma è proprio grazie al lavoro di questi anni su Wolverine e sugli X-Men che si è fatto notare e conoscere dal grande pubblico. Il suo tratto, seppur non ancora giunto al pieno della sua maturità, mostra già un ottimo livello artistico con tavole efficaci e soluzioni non banali. La colorazione di Jason Wright è di buona fattura, seppur le scelte cromatiche e la sua applicazione riflettono quelle del periodo e mostrano un po’ gli anni.

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Come bonus finale troviamo una quinta storia sempre disegnata da Yu e colorata da Wright, scritta però da Fabian Nicieza, autore che in quegli anni era un nome ricorrente per i fan dei mutanti. Trattasi di “Rabbia in Gabbia” (Wolverine 132 del 1998) che narra di una brutta vicenda che mescola omicidio e violenza domestica con Logan sulle tracce di un uomo sospettato di aver ucciso la moglie. Una storia che tratta un argomento delicato e che, seppur trattasi di un riempitivo per aumentare la foliazione di un volume non particolarmente corposo, da questo punto di vista risulta un piacevole recupero.

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Wildstorm: Warren Ellis scriverà Michael Cray e Wildcats

  • Pubblicato in News

Come noto, Warren Ellis si sta occupando del rilancio della Wildstorm per la DC Comics. I titoli saranno 4, di cui il primo, ovvero The Wild Storm è stato lanciato appena due settimane fa.
Tramite la sua newsletter, ora, l'autore ha reso noto che sta lavorando alle due successive serie, ovvero Michael Cray e Wildcats.

La prima serie, già confermata da Ellis, porta il nome del protagonista della vecchia testata Deathblow creata da Jim Lee e Brandon Choi nel 1992. La seconda, invece, riprende il celebre gruppo creato sempre da Lee e Choi WildC.A.T.S. sempre nel '92.

A questo punto, resta da scoprire quale sarà la quarta testata che lo sceneggiatore lancerà...

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