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I Maestri dell’Avventura - L’isola del tesoro

Nel corso degli anni molti autori si sono cimentati nell’adattamento de L’isola del tesoro, il capolavoro della letteratura per ragazzi abilmente congegnato da Robert Louis Stevenson. Nomi altisonanti e dal respiro internazionale tra i quali Dino Battaglia e Hugo Pratt, ma anche preziosi artigiani del media fumetto, uniti nel segno dell’avventura.
Apparentemente perché la storia è già bella che scritta, perfetta nella sua trama coinvolgente, tanto che sarebbe sufficiente tradurla in immagini. Facile a dirsi, in realtà questa è un’iniziativa spigolosa da intraprendere: trovare una chiave di lettura, possibilmente nuova o meno consueta rispetto ai canoni tradizionali, capace di appassionare soprattutto il lettore più smaliziato, è un’impresa da far tremare i polsi. Eppure è possibile e questo volume ben realizzato dalla Star Comics all’interno della collana I Maestri dell’Avventura ne è la prova.

Dietro un segno grafico non sempre immediato e tuttavia efficace, distante dal mainstream più rassicurante e popolare, ad opera del semi esordiente Andrea Carenzi, alias Oscar, autore finora attivo maggiormente in altri ambiti artistici, lo sceneggiatore Michele Monteleone (tra i fondatori di Villain Comics e sceneggiatore anche per Aurea, Bonelli e Cosmo) focalizza l’attenzione non tanto sul capitano Long John Silver, autentico - ma banale, data la sua attitudine alla leadership - fulcro di tanti altri adattamenti dell’opera, quanto piuttosto sul giovane narratore Jim Hawkins.
Ed è una scelta saggia perché il lettore, attraverso una sceneggiatura senza fronzoli, viene costantemente consapevolizzato su quanto accade. Il ritrovamento della mappa e la conseguente caccia al tesoro, l’ingaggio della “Hispaniola”, le lotte intestine per la supremazia, l’inevitabile ammutinamento, il viaggio rocambolesco, l’incontro con personalità che simboleggiano quasi sempre nettamente il bene e il male… Tutte le tappe di un percorso anche interiore che condurranno i vari personaggi verso la loro sorte, nell’apoteosi dell’avventura intesa come un modus vivendi.

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Un’edizione valida nonostante le dimensioni ridotte, con un sapiente uso dei toni di grigio da parte di Oscar che compensa in questo modo la non semplice godibilità del suo tratto. Piuttosto interessante la postfazione-approfondimento firmata dal curatore e mentore della collana Roberto Recchioni, così come quella redatta dallo stesso Monteleone con i suoi sentimenti riguardo il romanzo che andava a rielaborare per questa pubblicazione.

 

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I Maestri dell'Avventura: Cuore di tenebra

Dopo la serie di quattro volumi Roberto Recchioni Presenta: i Maestri dell’Orrore, usciti lo scorso anno in occasione di Lucca Comics & Games 2015, il format è stato ripresentato quest’anno, in occasione della medesima manifestazione, dalla casa editrice Star Comics adattando questa volta quattro classici di Maestri dell’Avventura, tra cui Uno studio in rosso, tratto dall’omonimo romanzo di Sir Arthur Conan Doyle, che vi abbiamo recensito qui.
Il nuovo volume di cui vi parliamo in questo articolo invece è tratto da uno dei romanzi più importanti del XX secolo, Cuore di tenebra, il capolavoro di Joseph Conrad, originariamente pubblicato nel 1902, riadattato da Giovanni Masi sui neri inchiostri di Francesca Ciregia. Un tomo davvero intenso e di qualità, che sfoggia una grande armonia complessiva dovuta alla forte sinergia tra il narrato e l’apporto artistico, che si alimentano a vicenda sviluppando una potenza comunicativa e visiva notevoli. Il team creativo è riuscito a dare un nuovo smalto ad un gioiello letterario, incupendone graficamente le atmosfere e donandogli un alone d’oscurità, intensificando quello che le pagine scritte del libro potevano solo far presagire, farci immaginare, dipingendo su carta la tenebra con maestria, senza trascurare i molteplici livelli di lettura e il senso generale dell’opera, creando una sorta di anello di congiunzione perfetto tra la precedente collana e quella attuale.

La storia descritta nel volume è sostanzialmente il racconto di un viaggio affrontato dal narratore stesso, tale Marlow, diversi anni prima risalendo il fiume in mezzo alla giungla dell’Africa Nera, spinto dalla sua voglia di vedere e scoprire nuovi territori. Assunto da una compagnia commerciale trafficante in avorio, raggiunge dopo diversi giorni di navigazione e cammino la sede della società nel cuore del continente, per recarsi infine alla base affidata ad un certo Kurtz, un misterioso individuo di cui tutti subiscono il fascino e considerato una vera divinità dagli indigeni, l’unico in grado di rifornire la compagnia di ingenti quantitativi di materia prima. Anche lo stesso Marlow sarà affascinato da Kurtz, sebbene ne rimarrà altrettanto sconvolto e disgustato, non riuscendo comunque a condannarlo in toto, arrivando a concepirne la vera natura.

Sulle diverse interpretazioni e sulle stratificazioni narrative affrontabili con diverse chiavi di lettura si è detto tanto nel corso degli anni: dalla critica al colonialismo europeo, al significato di quella “tenebra” che dà il titolo all’opera, del male e di quell’”orrore, orrore” che recita Kurtz al termine della sua vita, intuito con una sorta di epifania da Marlow, che tuttavia manca del coraggio nell’ammettere a sé stesso e al mondo ciò che ha scoperto, dell’importanza e del ruolo del giudizio, della spasmodica ricerca di potere e onnipotenza come vero anelito dell’animo umano.
Anche la figura di Kurtz è stata pienamente sviscerata: una misteriosa personalità affascinante, magnetica, attraente, circondata da un alone di venerazione, di mistica natura, un essere umano idolatrato nella sua superiorità, nella sua eccellenza. Un uomo vittima della propria bramosia, consunto dell’incantesimo della tenebra, che ha inaridito la sua anima, perduta per sempre nei fitti meandri della foresta selvaggia e tetra. Una figura controversa, contraddittoria, maestosa nella sua unicità. Preferiamo quindi non concentrarci su questi aspetti, ma sulla resa dell’adattamento nei testi e nelle tavole dell’opera.

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Giovanni Masi sceglie di mantenere il racconto sviluppato mediante la voce narrante di Marlow, intervallando il fluire della storia con degli episodi di dialogo tra i personaggi, strettamente legati ai momenti più salienti del racconto. La vaga meraviglia, la tensione e l’incubo che traspaiono dai testi riflettono pienamente quanto scritto nel libro d’origine, promuovendo nel lettore le medesime sensazioni. Il registro adottato e lo stile narrativo sono inoltre particolarmente romantici, letterariamente parlando, sviluppando un senso di oscurità, di antichità, fortemente evocativo ed in linea con i temi trattati, che vengono mantenuti intatti rispetto all’originale, senza perdere le caratteristiche forgianti di questa chiave di volta della letteratura novecentesca, perfetti per rendere il panorama descritto, costellato da esseri bizzarri, da persone che hanno perso il senno e trovano nella ripetizione un palliativo per sopravvivere all’orrore del cuore della foresta.

Ma per rendere magnificamente l’idea di spaesamento, di alienazione, di orrore dell'ignoto e del confine sempre più labile tra realtà e sogno, in una terra selvaggia piena di pericoli e assurdità esotiche, i testi di Masi non possono fare a meno delle tavole di Francesca Ciregia, che sembra insostituibile nel ruolo di artista per questo volume. Una scelta perfetta che caratterizza il viaggio di Marlow accrescendo l’imperscrutabilità del vagare immersi in qualcosa che non si comprende minimamente, in balia di forze e regole che non si conoscono, l’incomprensione del primordiale da parte dell'uomo civilizzato.

Dal punto di vista artistico, si può osservare come quei neri vasti e voraci che l'artista esprime con una potenza impressionante soffochino quasi incastonati nelle griglie del layout di pagina, ma questo se vogliamo contribuisce ancora di più alla condizione di imbrigliamento e alla claustrofobia provata dal lettore. Il bilanciamento eccezionale del contrasto tra bianco e nero, della definizione delle ombre e delle figure, è così curato e d’effetto che sembra quasi che l'artista utilizzi delle tavole nere da cui si limita a rimuovere il superfluo, facendo nascere le figure dalla tenebra, immergendo i personaggi nell’inchiostro più cupo e profondo, terrificante a tratti ma sempre di un fascino morboso e catturante.
Soluzioni grafiche più che ineccepibili, spesso azzardate e inusuali e per questo ancora più sensazionali. La fisiognomica, gli sguardi, le inquadrature, le ombre e i solchi sui visi, baratri neri che definiscono i lineamenti dei volti, sono fortemente evocativi. E poi ci sono quelle pagine estatiche in cui la Ciregia (finalmente) si libera della costrizione della vignetta e dà sfogo al forte carattere illustrativo della sua arte, con visioni tormentate che creano dei capolavori sbalorditivi che rendono magnificamente sulla carta giallastra, opaca e ruvida su cui è stampato il volume.

Una proposta davvero eccellente, non c’è altro da dire. Interessante anche l’apparato di approfondimenti al termine del volume, che permettono al lettore di addentrarsi maggiormente nel mondo di Conrad e di quest’opera che ha segnato il ‘900 e non solo. Edizione Star Comics ottima, come già detto per la precedente collana, sebbene questa volta non siano presenti le sovraccoperte in pvc. Unica pecca: la bella copertina realizzata da Roberto Recchioni non contiene i nomi o almeno i cognomi degli autori che hanno realizzato il volume, riportandoli solo sul retro con bio annesse. Avremmo preferito trovare almeno un accenno sulla cover.

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I Maestri dell'Avventura: Uno Studio in Rosso

Giulio Antonio Gualtieri e Federico Rossi Edrighi si sono trovati ad affrontare un compito arduo: non è semplice, infatti, raccontare per vignette, in bianco e nero, un mostro sacro della letteratura mondiale, ovvero il primo racconto del celeberrimo investigatore creato da Sir Arthur Conan Doyle. Il volume rappresenta la prosecuzione di una fortunata collana, nata sotto la supervisione del (tra le altre cose) curatore editoriale di Dylan Dog, dal titolo Roberto Recchioni Presenta: I Maestri Dell’Orrore. La prima serie è costituita da quattro romanzi classici del genere horror trasposti in fumetto ed editi da Edizioni Star Comics. Ecco ora arrivare sul mercato la seconda collana intitolata Roberto Recchioni Presenta: I Maestri Dell’Avventura, che comprende, oltre al volume su Sherlock Holmes, L’Isola Del Tesoro, Cuore Di Tenebra e 20.000 Leghe Sotto I Mari.

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Come abbiamo accennato, il compito degli autori è tosto, e questo vale anche per gli altri volumi della collana, ma con Sherlock però è ancora più difficile non solo perché il personaggio è l'Adamo degli investigatori, il punto di partenza per una qualunque figura che abbia il fiuto della ricerca si possa immaginare, ma sopratutto per i riflettori sotto i quali è stato sottoposto ultimamente. Ci sono state due pellicole con la star Robert Downey Jr. (e una terza è in lavorazione), e tre stagioni della rivisitazione moderna della serie britannica con Benedict Cumberbatch, in questo caso rivisto in chiave moderna. La serie ha incontrato forse ancora più entusiasmo del film, tanto che è in lavorazione la quarta stagione.
Viste queste recenti versioni, dal fumetto il lettore si potrebbe aspettare uno Sherlock plasmato sulle interpretazioni degli ultimi attori che ne hanno vestito i panni, revisionando per l'ennesima volta qualche aspetto del personaggio o della trama. E invece, con il merito degli autori, questo non è avvenuto. Il lettore si trova fra le mani il libro di Doyle, senza inutili orpelli, libero dai fronzoli di chi vuole trasformare un cocchiere in tassista o un losco figuro in bella miss. Qui c'è Sherlock Holmes, John Watson, e tutto Doyle: si osservano le vignette e al contempo se ne apprezza la bellezza letteraria e le storiche intuizioni che hanno fondato il Giallo.

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Holmes è un drogato instabile, nervoso, iperattivo, geniale; Watson è ingenuamente tranquillo, pronto a tutto, ignaro dell'avventura che lo aspetta, tediato dalla sua condizione di reduce nella Londra del 1887. Dopo essersi conosciuti quasi per caso, i due giovani decidono di andare a convivere per ridurre le spese e non passa molto tempo prima che Watson si trovi catapultato in una delle rocambolesche avventure del suo coinquilino, che riporterà fedelmente sul suo diario. Un cadavere viene ritrovato in una casa abbandonata e Sherlock, grazie al suo metodo di indagine analitica, è l'ultima speranza di Scotland Yard, che brancola nel buio. Dopo il primo omicidio, naturalmente, viene il secondo e la cosa si fa sempre più interessante per i nostri protagonisti...

Forse per rimanere così vividamente legati al testo originale, Giulio Antonio Gualtieri e Federico Rossi Edrighi decidono di non aggiungere nulla di superfluo, sia ai dialoghi che ai disegni. Le tavole sono vergate quasi istintivamente, la china lascia il suo segno indelebile e passa oltre, come se fosse curiosa di vedere cosa ha scoperto il nostro protagonista. Il tratto grezzo, quasi abbozzato, ci trasporta veloce in una città vittoriana piovosa e angosciante ma anche irresistibile ed avventurosa; il lettore insegue la storia e, anche se conosce già il racconto, si sorprenderà di voler scoprire cosa succede nella prossima vignetta, divorando il volume pagina dopo pagina.

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Un plauso va quindi a questa avventura editoriale che sembra voler portare un po' di speranza anche alla letteratura classica, magari avvicinando i giovanissimi a personaggi che altrimenti conoscerebbero solo attraverso la TV e dunque, con tutto il rispetto per il mezzo, in maniera limitata. La paura che fumetto e prosa fossero antitetici sembra essere passata non solo ai lettori ma ormai anche agli editori, contenti di affrontare mostri sacri del passato, più convinti rispetto a qualche anno fa che il pennarello non sia meno affilato di penna e calamaio. Si capisce bene, leggendo Uno Studio In Rosso, che le due realtà combattono ormai ad armi pari. Rimane solo da attendere che smettano di lottare per potersi alleare una volta per tutte, permettendoci di leggere opere letterarie (ebbene si, anche a fumetti!) come in questo caso.

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