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Ritornare a casa non è mai stato così difficile, la recensione di Southern Bastards 3

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“Uomo del sud è meglio che tu non perda la testa”, così Neil Young nel 1970 faceva iniziare la sua Southern Man, apertamente critica nei confronti della mentalità razzista e violenta diffusa in alcuni stati del sud degli Stati Uniti. Quel “non perdere la testa” , che risuona come un monito a non superare un limite pericoloso, sembra perfetto per introdurre un’opera che fa della sua aura marcatamente sudista, dei suoi personaggi borderline e delle inaspettate esplosioni di violenza, i sui marchi di fabbrica. Il terzo volume di Southern Bastards, serie Image Comics scritta da Jason Aaron e disegnata da Jason Latour, pubblicata in Italia da Panini Comics, ci riporta, infatti, a Craw County in un Alabama disperata e brutale, dove sembra che l’umanità abbia lasciato spazio a un folle vortice di pulsioni primitive e ferali.

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A Craw County è la settimana dell’Homecoming, la festa “del ritorno a casa”, dove gli ex allievi del Liceo tornano per ricordare e celebrare la loro vecchia scuola. La contea si prepara dunque ad accogliere i suoi vecchi studenti in uno spirito di grande fibrillazione e, a tutto questo, si aggiunge la partita di football più importante dell’anno per i Runnin’ Rebs del deplorevole coach Euless Boss: il derby contro Wetumpka. In questo clima di grande tensione (emotiva e non solo), resa ancora più nervosa e tragica dal suicidio di Big, lo storico stratega del Coach, si incrociano i vissuti di un cosmo di personaggi alle prese con una terra che non perde occasione per mostrare la sua ferale crudeltà.
 
C’è lo sceriffo Hardy, ex promessa del football, per cui l’Homecoming è soltanto una tortura psicologica che si ripete, un’occasione per il ripresentarsi di fantasmi passati e di immagini di un presente che sarebbe potuto essere e invece non è. Poi c’è Esaw, criminale violento, dissoluto e schizoide al servizio del Coach Boss, alle prese con il tentativo maldestro di sostituire Big e gestire i propri traffici illegali. Poi abbiamo Boon, cacciatore solitario e intransigente, mosso da una morale cristiana di stampo fondamentalista ed intenzionato a “liberare” la contea dal “serpente del male”, ovvero il Coach Boss. C’è Cocciavuota, braccio armato del Coach insieme ad Esaw, in preda ai sensi di colpa per aver contribuito al pestaggio di un ragazzino. Infine c’è Roberta, figlia di Earl Tubb, che vuole fare chiarezza sulla morte del padre brutalmente ucciso proprio dal Coach Boss alla fine del primo volume.

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Il "ritorno a casa" è quindi un evento reale e metaforico che sconvolge un equilibrio e obbliga ogni personaggio a ripiegare su se stesso per tornare alle proprie radici e scegliere che strada intraprendere per il futuro. C’è chi lo fa interiormente come lo sceriffo Hardy, chi fisicamente come Roberta, chi è deciso ad intervenire per cambiare le cose come Boon o chi cerca di venire a patti con la sua coscienza per poi tentare di salvare una realtà ormai in frantumi come Cocciavuota. Ognuno, comunque, è costretto a fare i conti con la propria esistenza e con il luogo in cui essa affonda le proprie radici. Quell’equilibrio basato sulla forza e la violenza, già messo in crisi con il primo ritorno a casa di Earl Tubb nel primo volume, crolla definitivamente con il conseguente suicidio di Big e nelle contea iniziano ad aprirsi crepe profonde che lasciano affiorare un abisso magmatico di istinti violenti e pulsioni primitive. I personaggi di Southern Bastards sono dei falliti, socialmente analfabeti, contraddittori, crepuscolari, incapaci di dominare una realtà che sembra sempre più caotica e inadatta a qualsiasi tentativo di redenzione. Le intenzioni e la morale si appiattiscono nei modi, mentre il sangue scorre inevitabile senza che si riesca mai a tracciare un vero confine tra giusto e sbagliato, tra buoni e cattivi. Quello che ci viene sbattuto in faccia è un inferno in terra, uno spaccato di America selvaggia, popolata da persone che assomigliano più a cani rabbiosi e famelici (immagine ricorrente in ogni volume) che a individui dotati di ragione. I dialoghi sono costantemente incisivi, ficcanti e violenti con un lessico hard-boiled pienamente adatto al contesto e alle vicende, che ricordano da vicino serie tv come True Detective e Sons of Anarchy o alcune opere di Joe R. Lansdale.

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Dal punto di vista visivo Latour mette in mostra uno stile grezzo e nervoso di forte impatto emotivo, pienamente adatto ad esprimere la violenza e le pulsioni bestiali dei personaggi. Il tutto è rafforzato dall’uso sapiente dei colori, capaci di imprimere un’atmosfera plumbea e disperata nelle parti narrative più riflessive con tonalità di blu, grigi e marroni per poi esplodere in incendiarie e cruente sequenze dove domina il rosso acceso.
Southern Bastards continua, anche in questo terzo volume, a mantenere un livello altissimo sia dal punto di vista narrativo che visivo. Una serie capace di unire intrattenimento, riflessione e grande coinvolgimento emotivo, il tutto condito da una violenza verbale e visiva che restituisce al lettore l’anima più viscerale e abissale di una nazione.

Dati del volume

  • Editore: Panini Comics
  • Autori: Testi di Jason Aaron, disegni di Jason Latour
  • Genere: Crime
  • Formato: 17x26, 160 pp., C., col.
  • Prezzo: 16€
  • ISBN: 978-8891226136
  • Voto della redazione: 8
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