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Pillole blu

Pillole blu (Kappa Edizioni, 200 pagg., brossurato, b/n, € 15,00) testi e disegni di Frederik Peeters

Pillole Blu è un fumetto ‘leggero’. Il suo autore, il ginevrino Frederik Peeters, pare aver fatto propri i suggerimenti che Italo Calvino aveva enumerato nelle sue Lezioni americane (Garzanti, 1988), dove tra le cose da salvare nel nostro secolo lo scrittore ligure individuava la leggerezza (accanto a Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e l’incompiuta Coerenza) e suffragava la proposta con molteplici esempi letterari. Peeters avrebbe senza dubbio avuto un posto in questo catalogo delle cose da salvare se non fosse che il suo Pilules bleues è stato pubblicato in Svizzera da Atrabile nel 2001 e in Italia da Kappa Edizioni nel 2004.
La storia di Cati e di Fred è una storia d’amore nata per volontà del caso e di incontri fortuiti, di traslochi improvvisi e di feste tra amici in una Ginevra non certo frenetica e vivace. È una storia normale, segnata da una prima diffidenza reciproca, una fiducia via via più assodata e infine un totale abbandono l’uno nell’altra. La normalità del rapporto è rotta però da uno strano ospite indesiderato: l’Hiv. Cati è sieropositiva e ha un bambino sieropositivo. Ha una separazione alle spalle e tanti sensi di colpa per aver dato al figlio il padre sbagliato e una vita da eterno degente.
Il titolo del volume, Pillole blu, ci catapulta immediatamente in medias res e lascia intendere che una vita segnata dal ritmo con cui ingerire le pillole blu è una vita che necessariamente deve badare al sodo e non al superfluo; è un’esistenza che deve trarre il massimo dalle esperienze vissute; è una strada che deve approfittare delle scorciatoie per arrivare più velocemente a destinazione: la felicità.
Peeters racconta la sua storia in prima persona e sacrifica i dialoghi a favore di un continuo monologo interiore con cui il personaggio tenta di capire e spiegare le ragioni di un rapporto così totalizzante. Non che l’autore voglia trovare giustificazioni o attenuanti, ma l’intera opera si configura come una continua ricerca di un equilibrio che dia stabilità alla coppia e a se stesso.
La levità è il tratto caratterizzante di tutta l’opera, numerose sono le occorrenze di parola che vengono impiegate per caratterizzare i momenti più idilliaci vissuti dalla coppia e per sottolineare la volontà di librarsi per scrollarsi di dosso la zavorra delle false preoccupazioni che costellano la vita, e individuare con semplicità, quasi con timore, le cose essenziali e vere che spesso si perdono di vista. Numerose sono le immagini di assoluta spensieratezza legate a questi momenti: un divano che fluttua in mezzo all’oceano in vece di un rumoroso salotto con amici e alcolici per gli invitati, una zattera sospesa tra le onde, un campo di fiori come culla d’amore. E tanta acqua. Acqua che pulisce, che purifica, che vivifica, che circonda i nostri due personaggi come un caldo utero protettivo. Non a caso, Cati è un personaggio che si ricorda per i larghi occhi limpidi e sinceri. Ecco: la storia raccontata da Peeters (e poco ci importa se l’io narrante, protagonista della vicenda, porti lo stesso nome dell’autore o faccia il suo stesso lavoro) è un’incessante e ossessiva, a volte, ricerca del giusto e dello sbagliato, della verità che sta dietro alle cose. Perché nella vita si impara dai propri errori, dalle proprie esperienze travagliate o felici, dalle scelte difficili a cui bisogna dare soluzione. Fred si ritrova con un bambino non suo e con un ruolo che rigetta perché non gli appartiene. Le sue scelte sul fronte paterno sono quindi dettate sempre dal rispetto per «il bambino», per «il lupacchiotto», per «il piccolo» (il nome del figlioletto di Cati, quasi a preservarne l’innocenza, non viene mai messo in evidenza) e la sua posizione è sempre quella di chi si mette un po’ in disparte per paura di far prevalere prepotentemente le proprie opinioni e la propria idea del mondo.
Paradossalmente, Fred riconosce che la più dotata per la vita è Cati, colei che deve continuamente venire a patti con la malattia e con la morte; è colei che deve controllare ogni sera il proprio corpo per paura di una nuova ferita o un nuovo segno che possa rimandare ad un sintomo descritto già nella folta letteratura sulla sieropositività. Paradossalmente, è Cati a sprigionare allegria ed energia, a vivere l’amore e la sessualità senza inibizioni, a riempire il proprio zaino di pillole blu per partire per un viaggio all’insegna dell’improvvisazione. Da questo mutuo dare e avere nasce una romantica storia d’amore che è già matura al suo sbocciare.
La vicenda raccontata da Peeters è drammatica e idilliaca quanto basta, è un inno alla vita all’ombra della malattia e della morte, ma il retrogusto che lascia è quello di un intenso ottimismo che non si arrende di fronte ai pregiudizi e all’ignoranza che ruotano attorno all’Hiv. Non a caso, il lettore che apre il volume si trova di fronte ad una nota che spiega la non esaustività delle informazioni contenute nell’opera e che dà indicazioni su numeri di telefono e siti internet che possono fornire indicazioni scientifiche sull’argomento. E non a caso, qualche pagina dopo Fred, irritato per un giudizio superficiale dato da un medico, esclamerà che «la scienza manca di tatto». Come dargli torto?
La risposta alla scienza esatta e positiva è allora un rinoceronte bianco che rappresenta la paura e l’angoscia del contagio (un po’ come già Eugène Ionesco nel 1958 aveva fatto col suo Rinoceronte, per identificare l’ignoranza e il qualunquismo che portano inevitabilmente al fascismo e al sopore intellettuale). La risposta all’ignoranza è un mammuth citazionista che, portando in groppa un Fred sempre più angosciato dalle domande e insicuro delle risposte, svela come si possa considerare una malattia che tutti temono una opportunità. Sì, proprio un’opportunità.
Pillole blu è un’opera essenziale, semplice, ricca di emozioni. È un’opera delicata, diretta, vera e genuina. E, soprattutto, è un’opera difficile, costruita senza un briciolo di retorica e di false certezze: una risposta alternativa alla scienza e alla paura. Non per niente, il volume si è aggiudicato il premio Rodolphe Töpffer a Ginevra e il Grand Prix al Festival di Sierre.

Nadia Rosso


Andrea Antonazzo
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