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Black Hole 1-2

BLACK HOLE voll. 1-2 di 3 (brossurato, 120 pagine in b/n, € 13.00, Coconino Press) testi e disegni di Charles Burns.
Voto: 9/10


C’è qualcosa di sottilmente inquietante tra le pagine di Black Hole, pluripremiato fumetto underground statunitense che si presenta per la prima volta in Italia per merito della mai troppo elogiata Coconino Press.
È un’impressione vaga ma familiare, un senso di panico che ti afferra per la gola e ti strappa brutalmente dai tuoi impegni quotidiani, portando con sé un odore di spirito adolescente, di parole impastate e brividi dietro la schiena, di perenne inquietudine e rabbia non indirizzata, lasciata a se stessa o trattenuta a fatica, nell'attesa di una futile occasione per scoppiare.
È un sapore di anni ’70, che le pagine di Black Hole rievocano con spietata esattezza. Sapore di un’innocenza tradita, di amici che ti passeranno a prendere, di sorrisi a volte un po’ amari, a volte acidi o ubriachi; di viaggi in macchina attraverso nottate lunghissime, trascinate soltanto dalla speranza che accada qualcosa che valga veramente la pena di vivere; e di paura, una lieve paura che ti resta appiccicata addosso, anche se non l’ammetteresti mai: paura di sbagliare, di cadere, di perdere di colpo tutta la tua innocenza.
Tra mille serate tutte uguali, tra mille discorsi più o meno futili, c’è anche il tempo per qualche emozione nuova: un bacio un po’ impacciato, o la sensazione improvvisa di essere cresciuto, o il ferreo desiderio di provare l’amore, di non averne avuto abbastanza. E così, lentamente, questa storia di orrore quotidiano si lascia infettare dal suo stesso virus, acquisendo il fascino morboso di un’ossessione. In un bianco e nero elettrico e crudele, tra suggestioni di Lynch e di Cronenberg, il tratto sicuro di Charles Burns delinea uno spazio di corpi e squarci, di sensazioni autentiche difficili da dimenticare. E ti accorgi che non è così importante, se negli anni ‘70 non eri ancora nato. Ci sei vissuto comunque, perché ne porti i segni. Forse ci sei precipitato senza rendertene conto, o forse ci stai precipitando ancora.
Ma non c’è solo memoria, in Black Hole; non c’è soltanto un’esatta radiografia della vita, ma anche l’orrore più puro, che si concretizza nelle deformazioni dei protagonisti e nelle figure ancestrali che regolarmente ritornano, sotto varie spoglie, ad alimentare strane e distorte associazioni. Ci sono la sporcizia e la malattia. Ci sono vetri rotti che si mischiano alla sabbia o all’erba, che penetrano nei corpi e li trasformano; arti mutilati e lasciati per terra, pelli che si strappano dal corpo, facce deformate come i luoghi intorno.
C’è una ragazza-lucertola, con una pelle bianchissima e sensuale, che non si preoccupa dell’imbarazzo che provoca con la sua coda. C’è un gruppo di diseredati che si nasconde in mezzo ai boschi, nutrendosi degli scarti che la civiltà gli concede. C’è un tizio che nasconde una piccola bocca alla base del collo, una vera bocca con tanto di denti e di lingua che a volte dice cose che non dovrebbe dire. C’è il virus, metafora dell’Aids o forse dell’atto sessuale in quanto tale, che crea brusche repulsioni e viscerali attrazioni. E c’è qualcuno forse un po’ più deforme degli altri, forse più folle o più malvagio, che lega agli alberi dei pupazzi rotti e, a volte, senza alcuna ragione, uccide…
È bello Black Hole, perché è pieno di cose. È come un abisso di vuoto che chiede di essere colmato. All’inizio sembra una storia horror come tante, la lotta romantica e claustrofobica di un gruppo di adolescenti contro le mostruose crudeltà del mondo. Ma presto il nero acquista spazio, e lo strappo si fa più penetrante. Il primo volume, più corposo, serviva a presentare ambienti e protagonisti. Il secondo crea nuovi legami, che troveranno uno sviluppo nella terza e conclusiva parte. Ma l’intreccio, in Black Hole, non è così determinante. Questa è una storia che vive di atmosfere, di contrasti, di intrecci imprevisti tra attrazione e disgusto.
Black Hole è una ferita che non si può rimarginare, un taglio nella tavola che fa affiorare i segreti delle cose. È una caduta vitale in cerca di una luce oltre il nero, che restituisca i segni di una purezza perduta, nell’età della gioia e della rassegnazione.


Davide Scagni
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