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Kick-Ass: La nuova tipa 2, recensione: la "nuova gestione" senza Millar e Romita Jr.

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Fra le opere del Millaworld, Kick-Ass è certamente la più popolare. Giunta alla sua naturale conclusione nel 2014 con il protagonista Dave Lizewski che appendeva il costume al chiodo per diventare un poliziotto, nel 2018 Mark Millar decide di rilanciare il progetto, dando vita a uno spin-off interamente dedicato a Hit-Girl e proseguendo le vicende di Kick-Ass con una nuova protagonista e uno scenario inedito.

L’idea alla base della serie non muta: dar vita a un “supereroe” che agisce nel mondo reale, dove i superpoteri non esistono. Dunque, persone comuni che decidono di indossare un costume e contrastare la criminalità.
Nel caso di Dave Lizewski ci trovavamo di fronte a un liceale che aveva letto troppi fumetti e che, anche per vanità e adrenalina, combatteva il crimine. Non era presente, dunque, il classico evento scatenante dei fumetti che porta all’origine dell’eroe, al limite solo il riscatto sociale di un nerd insicuro. Le premesse nobili, dunque, si confondevano con quelle puramente egoistiche.
Da questo punto di vista, Lizewski incarnava anche la figura tipica dell’alter ego dei supereroi dei fumetti classici: bianco, newyorkese, insicuro e in cerca di riscatto.

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Con la nuova serie, invece, Millar si rifà al più inclusivo fumetto contemporaneo. La protagonista è una donna afro-americana, Patience Lee, e le vicende si svolgono nel New Mexico. Patience è una ex militare congedata che lavora in una tavola calda per mantenere i suoi due figli dopo che il marito l’ha piantata in asso. Per far quadrare i conti la donna potrebbe lavorare col cognato Maurice per i locali di Hoops, boss della zona, ma Patience decide di prendere una strada alternativa: indossare il costume di Kick-Ass e, grazie alla sua preparazione militare, colpire le finanze di Hoops per distribuire le ricchezze ai più bisognosi.

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Il primo volume della serie si concludeva con Patience che uccideva Hoops e con il marito della sorella che scopriva la sua identità ma finiva in coma. Nel “Libro Due”, Kick-Ass è ora a capo di una gang di criminali che ha lo scopo di smantellare le bande rivali e ridistribuire i beni ai più bisognosi. Il nuovo obiettivo è Hector Santos che vuole occupare il vuoto lasciato dalla morte di Hoops, ma battere la sua gang non sarà semplice. Per Patience, inoltre, c’è un’ulteriore problema: la vita di Maurice è in bilico e lei non sa se sperare se il cognato sopravviva o meno. In ballo c’è non solo il rapporto con l’amata sorella, ma anche la sua identità segreta. D’altronde, i problemi morali sono al centro della saga: Patience, che trattiene dalle refurtive solo 800 dollari al mese per poter portare avanti la sua famiglia, si chiede se la strada intrapresa è giusta e fin dove può spingersi.

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Il primo volume della nuova serie vedeva all’opera i due creatori della saga: Mark Millar e John Romita Jr. Ora, così come per Hit-Girl, gli autori passano il timone a un nuovo team creativo composto, in questo caso, da Steve Niles ai testi e da Marcel Frusin alle matite.
Kick-Ass non ha mai brillato per profondità narrativa ed è sempre stato un fumetto molto action e caciarone, tuttavia sempre divertente e godibile e ciò possiamo dirlo anche per questa nuova incarnazione. Certo, la storia imbastita da Niles fila fin troppo liscia, risolvendosi in maniera semplice risultando, dunque, una lettura gradevole ma molto rapida, leggera e poco originale.
Le tavole di Frusin hanno un’ottima regia che ben si sposa alla natura action del racconto e il suo tratto sporco è ben valorizzato dal lavoro del colorista Sonny Cho che ben copre anche qualche tavola troppo spoglia.

Per l’edizione italiana curata da Panini Comics vale lo stesso discorso fatto per i volumi di Hit-Girl: ottima confezione e cura editoriale, ma avremmo preferito per la tipologia di serie un’edizione da edicola, magari seguita da una da libreria piuttosto che presentarla direttamente in formato cartonato.

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The Magic Order, recensione: la prima opera di Mark Millar per Netflix

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Da tempo, ormai, l’uscita di una nuova opera di Mark Millar è accompagnata dal pregiudizio che il cartoonist scozzese ne decida i contenuti in vista di un possibile sfruttamento cinematografico o televisivo. Questo comprensibile atteggiamento mentale è stato ulteriormente legittimato da quando, nel 2017, Netflix ha annunciato di aver acquisito il Millarworld, l’etichetta sotto la quale l’autore di Kick-Ass da parecchi anni pubblica ogni sua nuova creazione. Quindi, è con un po’ di scetticismo sulla qualità della serie che ci siamo avvicinati a The Magic Order, primo frutto della collaborazione tra il colosso dello streaming e Millar, pubblicato di recente in Italia dalla Panini Comics in un elegante volumetto cartonato. Alla fine della lettura, però, ci siamo dovuti ricredere. Sia chiaro, è evidente l’utilizzo da parte del fumettista scozzese di personaggi accattivanti e di tematiche capaci di attrarre l’attenzione del pubblico mainstream, ma rispetto a opere come The Secret Service (poi, effettivamente, diventata una trilogia cinematografica), Chrononauts o Huck, dove era piuttosto forte l’impressione di essere di fronte più a uno storyboard che a un fumetto vero e proprio, in questo caso la qualità della narrazione è di ben altro livello.

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The Magic Order racconta di una millenaria congregazione di maghi, che si nasconde dal resto dell’umanità, al fine di proteggerla da mostruose minacce sempre pronte a colpire il nostro mondo. Questa nobile missione comincia a essere messa a rischio quando un potente stregone inizia a uccidere i membri più in vista dell’ordine, tra cui quelli della famiglia Moonstone, che ha l’onere di evitare che l’Orichalcum finisca in mani sbagliate. Esso, infatti, è un libro antichissimo e impossibile da distruggere e che contiene oscuri incantesimi di cui nessuno deve venire a conoscenza. Tanto che il suo custode, prima di prenderne possesso, deve giurare di non aprirlo mai. Pur non conoscendo l’identità dell’assassino, viene subito rivelato il suo mandante, Madame Albany, uscita dall’ordine parecchi anni prima, perché contrariata di non essere diventata lei la custode dell’Orichalcum.

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L’autore scozzese ha dichiarato di considerare The Magic Order un incrocio tra I Soprano e Harry Potter, ma in realtà le similitudini tra il fumetto e le due opere appena citate sono ben poche. Non si possono negare alcune strizzatine d’occhio ai personaggi creati da J.K. Rowling (i maghi che conducono una vita normale, pur lavorando nell’ombra per la loro vera missione, oppure l’utilizzo da parte di essi di strambi incantesimi come esiliare le persone nelle pagine di un romanzo o nascondere la propria dimora all’interno di un quadro). Tuttavia, non è sufficiente avere delle famiglie in lotta per vedere delle somiglianze con I Soprano. Senza considerare che dell’ironia della nota serie televisiva della HBO non c’è praticamente traccia. Fin dalle prime tavole, infatti, l’atmosfera è cupissima (accentuata anche dai colori oscuri e volutamente spenti di Dave Stewart) e i rari momenti leggeri sono quasi tutti confinati alla pessima condotta di Cordelia Moonstone, uno dei personaggi meglio caratterizzati della serie. Più corretto considerare The Magic Order un fantasy-thriller, per usare un’altra descrizione usata da Millar per la sua opera. Proprio la presenza della magia è l’insolito ingrediente che permette alla vicenda di discostarsi dalla consueta trama capace di vivere solo di momenti di tensione (anche se non ci vengono risparmiati passaggi particolarmente efferati), e che conferma la grande inventiva che Millar ha mostrato parecchie altre volte in passato. L’autore scozzese, inoltre, non perde il gusto di voler sorprendere il lettore fino alla fine, regalandoci nelle ultime pagine due colpi di scena, di cui, almeno il primo, difficilmente pronosticabile, anche se logico, visto a posteriori.

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Millar, dopo la trasposizione cinematografica di Wanted ha intuito prima di tutti le potenzialità di possedere un folto numero di personaggi e di storie da poter essere utilizzate per un adattamento cinematografico di successo, diventando, così, l’imprenditore di sé stesso (un processo arrivato a compimento con l’arrivo di Netflix). Non crediamo, quindi, che sia possibile rivedere, almeno nell’immediato futuro, il Millar di The Ultimates, una delle sue opere più celebrate. All’epoca, non ancora attratto dalle sirene di Hollywood, l’autore scozzese era esclusivamente interessato a realizzare fumetti di qualità, cercando non solo di intrattenere il lettore, ma anche di portarlo a riflettere. La differenza più evidente tra i suoi fumetti dei primi anni e quelli più recenti, infatti, è la pressoché totale assenza, in questi ultimi, di temi legati all’attualità politica e sociale, attraverso i quali Millar non mancava di far conoscere la propria visione del mondo. Persino un evento editoriale di grosse proporzioni come Civil War gli era servito per commentare, in maniera neanche tanto nascosta, gli avvenimenti più importanti del periodo. Già con Jupiter’s Legacy, però, ma anche nella più recente incarnazione di Kick-Ass, il modo di raccontare di Millar è sembrato riavvicinarsi a quello degli esordi, quasi a dimostrare, ai suoi sempre più numerosi detrattori, di essere ancora un narratore di razza. Non sorprende, quindi, che The Magic Order confermi quanto di buono si sia visto negli ultimi anni.

Chi è risultato un po’ al di sotto delle aspettative, invece, è Oliver Coipel, da cui, obiettivamente, era lecito aspettarsi qualcosa di più. Il bravissimo disegnatore francese ci aveva abituati a tavole eleganti, spesso impreziosite da sfondi molto elaborati e ricchi di dettagli. Ma nonostante l’aperto utilizzo della magia da parte di tutti i protagonisti, che avrebbe dovuto permettergli di dare libero sfogo alla sua fantasia, e ad arrivare a soluzioni visive più ardite, sono molto pochi i passaggi davvero memorabili. Anche i volti dei personaggi, pur tratteggiati con la solita maestria, non sempre risultano particolarmente espressivi. Coipel dà l’idea di aver lavorato un po’ troppo “di maniera”, limitandosi, di frequente, al minimo indispensabile. Un vero peccato, considerando anche la grande stima che Millar non ha mai nascosto di avere nei suoi confronti.

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Anteprima di Space Bandits #1 di Mark Millar e Matteo Scalera

  • Pubblicato in News

Il sito CBR ha diffuso un'anteprima di Space Bandits #1, la nuova serie Millarword di Mark Millar e Matteo Scalera che riceverà anche un adattamento su Netflix. Potete vedere le tavole nella gallery in basso.

Space Bandits segue due criminali intergalattici chiamati Thena Khole e Cody Blue mentre si alleano per vendicarsi delle bande che li hanno traditi entrambi.

Millar ha dichiarato che voleva creare un'opera di fantascienza ottimista e divertente, che si oppone alla tante proprietà cupe che ci sono in giro. E su Scalera aggiunge: "Il ragazzo è un genio e l'ho seguito per anni. Averlo come disegnatore è come quando qualcuno per cui hai sempre avuto una cotta esce con te. È semplicemente fantastico."

Space Bandits #1 uscirà il 3 luglio e presenterà una variant cover di Howard Chaykin, che potete vedere qui di seguito accanto a quella regular di Scalera.

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Hit-Girl a Roma, recensione: l'avventura italiana di Mindy McCready

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Se tre non è il numero prefetto, poco ci manca. Nel caso di Hit-Girl possiamo dire che il terzo tentativo è quello buono. Della serie regolare dedicata all’alter-ego di Mindy McCready ve ne abbiamo già parlato qualche mese fa.

Dopo essere stata uno dei personaggi cardini della prima trilogia fumettistica di Kick-Ass, creata da Mark Millar e John Romita Jr.,ed essere stata al centro di una miniserie tutta sua, lo sceneggiatore scozzese ha deciso di riprendere Kick-Ass con una nuova protagonista e di concedere a Hit-Girl la sua prima serie regolare, con la caratteristica che ogni ciclo di 4 numeri avrebbe avuto un team artistico differente. E così dopo le coppie Mark Millar-Ricardo Lopez Ortiz e Jeff Lemire-Eduardo Risso è ora il turno di Rafael Scavone e Rafael Albuquerque.

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Il difetto dei primi due cicli, ambientati in Columbia e in Canada, perché – ricordiamo – ogni avventura vedrà Mindy in una parte diversa del mondo, era l’assoluta piattezza delle trame che fungevano da mero pretesto per gettare la protagonista in sanguinose quanto improbabili risse con orde di uomini più grandi di lei, rinunciando – per giunta – ad ogni tipo di approfondimento psicologico.
Hit-Girl a Roma, invece, ci restituisce finalmente una saga leggera sì, come da spirito della serie, ma godibile e ben scritta.

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Per seguire una ladra, autodefinitasi “La Gatta” (sì, il richiamo a Catwoman è voluto e palese), Mindy si ritroverà contro la sua volontà in Italia e incapperà in un’associazione malavitosa guidata da un’anziana suora psicopatica e assassina che mira a mettere le mani su un antica reliquia religiosa. Per sconfiggere il suo impero criminale, Hit-Girl sarà costretta ad allearsi con La Gatta.
Scavone non si discosta dalle precedenti saghe e ci ripropone tutti gli ingredienti tipici della serie: azione smodata e splatter come se piovesse. La trama, per quanto leggera e lineare, e i personaggi bidimensionali, riescono però a divertire e appassionare come mai avvenuto nei precedenti capitoli. Nulla di epocale comunque, ma almeno è un passo in avanti.

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Sul versante artistico invece, Hit-Girl ha sempre sfoderato gli artigli grazie ad artisti di gran calibro, e anche un questo caso Rafael Albuquerque non è da meno. Il suo stile dinamico ed espressivo ben si confà al mood grottesco della serie con soluzioni che spesso e volentieri accentuano gli eccessi.
Purtroppo però, scena del Colosseo e qualche piccolo stereotipo a parte, la Roma raffigurata dall’artista brasiliano è fin troppo anonima, considerando che gran parte delle tavole, per giunta, o non presenta sfondi o si svolge in interni. In generale, sia riguardo la storia che i disegni, l’ambientazione romana, o comunque italiana, non è granché sfruttata se non per i suoi riferimenti al mondo religioso e mafioso da cui parte la stessa avventura.

Hit-Girl a Roma è in definitiva quello che ci si aspetta da questa serie: tanta leggerezza fatta con criterio.

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