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Superman: una storia completa da Action Comics #1000 in anteprima

  • Pubblicato in News

Usicrà il prossimo mercoledì 18 aprile il tanto atteso Action Comics #1000, albo speciale di 80 pagine che celebrerà l'iconico personaggio DC Comics. CBR, ora, ha offerto in esclusiva la possibilità di leggere un'intera storia del volume, intitolata "Five Minutes" e realizzata da Louise Simonson e Jerry Ordway. Trovate l'avventura di Superman nella gallery in basso.

Action Comics #1000 vedrà al proprio interno storie realizzate da Dan Jurgens, Pat Gleason e Peter J. Tomasi, Brian Michael Bendis e Jim Lee, Richard Donner/Geoff Johns/Oliver Coipel, Paul Dini/José Luis García-López, Tom King/Clay Mann/Jordie Bellaire, Brad Meltzer/John Cassaday/Laura Martin, Louise Simonson/Jerry Ordway, Scott Snyder/Tim Sale. Infine, Marv Wolfman scriverà una nuova storia basata sui disegni di Curt Swan.

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Grandi Eventi Marvel - X-Men: Inferno, recensione: Il destino di Madelyne Pryor

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C’era una volta la Marvel degli anni ’80, un decennio fondamentale per la storia del fumetto che la Casa delle idee cavalcò da grande protagonista, proponendo cicli di storie indimenticabili realizzate da giganti del settore. Era la Marvel di Jim Shooter, il dispotico editor-in-chief che governò la casa editrice con pugno di ferro guadagnandosi l’odio eterno di tanti autori al suo servizio. Era il periodo d’oro, tra gli altri, del Daredevil di Frank Miller, dei Fantastici Quattro di John Byrne, del Thor di Walt Simonson e, soprattutto, degli X-Men di Chris Claremont.

Tra tutte le straordinarie invenzioni partorite dalla fervida immaginazione della coppia Stan Lee - Jack Kirby negli anni ’60, la saga degli X-Men era quella che aveva incontrato minor successo, un esito negativo dovuto principalmente al fatto che i due autori, oberati di lavoro e pressati dalle scadenze, avevano dovuto lasciare la serie dopo il primo anno e mezzo di vita per concentrarsi su altre testate come Fantastic Four e The Mighty Thor. Nel 1975 la Marvel prova un rilancio degli Uomini X col mitico Giant Size X-Men 1, e il resto è storia. La prima storia del nuovo gruppo viene scritta da Len Wein, ma già da quella successiva il posto al timone della serie, ribattezzata dopo pochi numeri Uncanny X-Men, viene preso dal suo giovane assistente, Chris Claremont. È l’inizio di una gestione che durerà ben sedici anni, che si rivelerà ben presto il più grande successo commerciale nella storia della Marvel e che ancora oggi è considerata, per ambizione e realizzazione, uno dei vertici qualitativi della narrazione seriale a fumetti americana.
Claremont realizza una versione aggiornata del feuilleton ottocentesco, tessendo un arazzo di trame e sottotrame lanciate nell’ombra per poi esplodere a distanza di decine di numeri, introducendo elementi da soap opera come amori impossibili e sofferti, tradimenti, intrighi, morti e resurrezioni. Il tutto unito ad una prosa qualitativamente eccelsa e ad una capacità straordinaria nel conferire spessore e tridimensionalità a degli eroi di carta.

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Nei primi anni della sua run, lo scrittore mise Jean Grey al centro della narrazione e la rese il cuore pulsante della squadra, costruendole intorno il grande affresco della Saga di Fenice Nera. Di ritorno dalla prima missione nello spazio della nuova squadra, Jean venne infatti posseduta da un’entità cosmica denominata appunto “Fenice”, che aggiunse capacità semidivine ai suoi già notevoli poteri di telepate e di telecineta. Corrotta da un potere sempre più incontrollabile, dal quale era stata trasformata nella malvagia Fenice Nera, Jean viene messa sotto accusa dall Impero Galattico Shi’ar per avere volontariamente disintegrato un intero sistema solare, causando milioni di vittime. Gli X-Men accorrono in suo aiuto, fronteggiando in un duello sulla luna la Guardia Imperiale Shi’ar. I lettori, intanto, affrontavano un dilemma morale: come tifare per un personaggio tanto amato ormai corrotto e perduto, capace di sterminare una galassia?

Nel memorabile finale della saga Jean, in un ultimo barlume di lucidità, decide di mettere fine alla sua vita per salvare l’universo, tra la disperazione dei suoi compagni e di Ciclope in particolare. Dopo aver sepolto quel che restava di Jean, Scott Summers decide di lasciare il gruppo e partire. Durante il suo peregrinare, conosce una donna che somiglia incredibilmente a Jean, Madelyne Pryor, e se ne innamora. I due si sposano ed hanno un figlio, Nathan Christopher. I piani di Claremont per la coppia vennero compromessi quando, pochi anni dopo, John Byrne rivelò in un numero di Fantastic Four che Jean Grey era viva e vegeta e che la Fenice si era sostituita a lei di ritorno da quella missione nello spazio, proteggendola in un bozzolo in fondo al fiume Hudson scoperto per caso da Vendicatori e Fantastici Quattro. Non era stata quindi la donna a morire sulla luna, ma un suo doppio. A nulla valsero le proteste di un adirato Claremont presso la dirigenza Marvel, che vedeva nel ritorno di Jean Grey la possibilità di una riunione dei cinque X-Men originali a cui dedicare uno spin-off della vendutissima serie mutante principale. La serie si fece, ovviamente, e venne chiamata X-Factor. Nel primo numero Scott, venuto a conoscenza del fatto che Jean era ancora viva, lasciava moglie e figlio per riunirsi con lei. Un gesto non propriamente elegante. Come se non bastasse, la povera Madelyne venne attaccata dai Marauders, nemici degli X-Men al soldo del malvagio genetista Sinistro, misteriosamente interessato a Nathan Christopher, che ordinò il rapimento del bambino. Salvata da un intervento degli X-Men, e rimasta ormai sola, Madelyne si unì a questi ultimi e andò a vivere con loro nell’outback australiano, in un periodo in cui la squadra era creduta morta e si era rifugiata all’insaputa di tutti in Australia.

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È in questo momento della saga degli X-Men che si svolge Inferno, cross-over uscito tra il 1988 e il 1989 che coinvolgeva le testate mutanti Uncanny X-Men, X-Factor e New Mutants, la collana dedicata agli studenti più giovani dello Xavier Institute che Claremont aveva tenuto a battesimo nel 1983, prima di cederne le redini a Louise Simonson a metà del decennio. La Marvel ha ormai abbandonato ogni remora circa una sovraesposizione eccessiva dei pupilli di Xavier e ne vuole sfruttare l’incredibile successo con un aumento delle proposte e eventi che coinvolgano l’intera linea, a partire da Il Massacro Mutante del 1986. È l’inizio di uno sfruttamento massiccio del brand “X”, che Claremont deve accettare suo malgrado, approfittandone per chiudere alcune delle numerose trame in sospeso. Con Inferno, in particolare, lo scrittore chiude il cerchio intorno alla travagliata figura di Madelyne Pryor, sottotrama che X-Chris aveva lanciato addirittura 8 anni prima in una vignetta marginale di Avengers Annual 10, in cui appariva una bambina dallo stesso nome. Nome che, per ammissione dello stesso Claremont è un omaggio al capolavoro hitckcockiano La donna che visse due volte , elemento che la dice lunga sulla relazione tra Madelyne e Jean Grey.

In Inferno scopriamo infatti che Maddie non è altri che il clone di Jean, creata in laboratorio da Sinistro per i suoi loschi scopi. Ossessionato da sempre dalla linea genetica dei Summers, il folle genetista intendeva creare il mutante perfetto grazie all’unione tra Scott e Maddie visto che Jean, morta sulla luna, non era più disponibile. Così, ad un’inconsapevole Madelyne erano stati forniti parte della personalità e dei sentimenti di Jean, spingendola tra le braccia di Scott. Ma non tutto era andato secondo i piani di Sinistro, perché presso la donna aveva trovato casa anche un residuo del potere della Fenice. Come se non bastasse, Maddie viene anche avvicinata da N’Astirh, un demone del Limbo che sta progettando l’invasione dell’isola di Manhattan. I due stringono un patto, e il demone trasforma la donna nella potente Regina dei Goblin. Dotata di un potere quasi assoluto e gonfia di rancore, la donna giura vendetta contro Sinistro per averla manipolata e contro Scott per averla abbandonata, scatenando letteralmente l’Inferno sulla Terra. Solo l’intervento combinato di X-Men, X-Factor e Nuovi Mutanti salverà la situazione.

Riletto oggi, Inferno denuncia sicuramente i trent’anni passati dalla sua uscita, soprattutto per un eccesso di verbosità e un uso delle didascalie ormai superato nel fumetto contemporaneo. Succedono più cose in questo cross-over che in intere annate della maggioranza delle collane odierne, dominate da uno stile “decompresso” che serve soprattutto a raccoglierne i cicli in bei volumi autoconclusivi da vendere nelle librerie. Al contrario, però, si resta ancora affascinati dalle trame ad orologio di Claremont e di come tutto riesca a convergere in un incastro attentamente pianificato e ragionato. Da questo punto di vista, sono gli episodi di Uncanny X-Men a farla da padrone nell’economia del volume, mentre le storie di X-Factor e Nuovi Mutanti scritte da Louise Simonson forniscono un contributo decisamente ancillare ai piani di “X-Chris”. Le vicende di Sunspot, Cannonball e compagnia, in particolare, risultano di difficile comprensione senza aver letto le storie precedenti, e portano a compimento la trama della possessione demoniaca di Illyana Rasputin, Magik, la sorellina di Colosso, diventata la Reggente del Limbo dopo averne spodestato il precedente sovrano, Belasco.

Le pagine di Uncanny, al contrario, sorprendono ancora oggi per la ricchezza delle trame e per lo spessore che Claremont sapeva conferire ai personaggi, accompagnandoli per mano in un processo di crescita durato sedici anni. Il team di questo periodo, poi, era uno dei più azzeccati dell’intera storia della squadra: ai veterani Wolverine, Colosso, Tempesta e Rogue si accompagnavano Havok, il complessato fratello di Ciclope che aveva da poco iniziato una travagliata relazione con Madelyne, l’affascinante profugo extra-dimensionale Longshot, Dazzler, la cantante capace di tramutare la propria voce in colpi di luce e Psylocke, l’elegante telepate sorella di Capitan Bretagna che da li a poco avrebbe affrontato una traumatica trasformazione nella mortale e affascinante guerriera che conosciamo oggi. È qui che assistiamo alla reunion, dopo una lunga diaspora, tra gli X-Men creduti morti e i loro compagni di X-Factor, che poco tempo dopo rientreranno nel team nell’atto conclusivo della lunga gestione claremontiana. Il tutto illustrato da un Marc Silvestri in grande spolvero, capace di tradurre in immagini di forte impatto l’intreccio immaginato dallo scrittore. Il disegnatore dà il meglio di sé soprattutto nel disegnare eroine di una bellezza impossibile, sinuose ed affascinanti, eguagliato in questo solamente dal suo amico e successore sulle pagine di Uncanny, Jim Lee. Sulle pagine di X-Factor, il contributo grafico di Walter Simonson non è all’altezza delle vette raggiunte dall’artista pochi anni prima col suo leggendario ciclo di Thor, penalizzato dalle pesanti chine di Al Milgrom; in New Mutants, il tratto cartoonesco di Brett Blevins appare fuori luogo e avulso dal contesto generale, con i suoi Nuovi Mutanti ritratti come ragazzini dai grandi occhioni. Ma a breve arriverà Rob Liefeld, che avvierà il processo di trasformazione della testata in X-Force.

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Prima di abbandonare la grande saga mutante da lui ideata e condotta per più di cinque lustri, Claremont si toglierà lo sfizio di scrivere un ciclo di X-Factor, la testata di cui aveva cercato di impedire la nascita, per risolvere la sottotrama legata a Nathan Christopher Summers, il figlio di Scott e Maddie. Il bimbo verrà infettato dal virus tecno-organico dal malvagio Apocalisse e ad un disperato Ciclope non resterà che inviarlo nel futuro per cercare una cura. Il bambino tornerà nel nostro tempo adulto, nei panni del risoluto guerriero di nome Cable (presto al cinema in Deadpool 2 con le fattezze di Josh Brolin).

Raccolto da Panini Comics in un bel brossurato della linea Grandi Eventi Marvel, Inferno è un capitolo dell’epopea claremontiana consigliato tanto ai lettori della vecchia guardia tanto ai neofiti che, partendo da qui, avranno magari la curiosità di scoprire l’intera run mutante dello scrittore. Recupero che ci sentiamo di raccomandare vivamente, per poter vivere appieno l’opera di un tessitore di trame che ha giocato fino in fondo tutte le carte a lui concesse dalla serialità, come nessuno né prima né dopo di lui.

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Un action movie Marvel alla Schwarzenegger, la recensione di Cable: Sangue e Metallo

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Gli anni ’90, nella storia del fumetto americano, sono spesso considerati sinonimo di cattivo gusto e di prodotti che, nonostante abbiano goduto di una certa popolarità al momento della loro uscita, non sono riusciti poi a superare la prova del tempo. Emblematica, in questo senso, è la parabola di Rob Liefeld, artista che ha suscitato controversie tra i lettori fin dai suoi primi lavori: amato da chi vedeva nel dinamismo delle sue matite e nelle distorsioni anatomiche dei suoi personaggi una rivoluzione estetica, per quanto estrema, odiato e deriso da chi considerava le sue storie piene di antieroi violenti e armati fino ai denti semplice spazzatura. Eppure il buon Rob la sua impronta nella storia del fumetto l’ha lasciata, per almeno un paio di motivi. Il primo è quello di aver contribuito alla nascita della Image Comics, casa editrice indipendente (e attuale terzo editore negli States) che ha conferito ai creativi un potere decisionale impensabile prima. Il secondo, è quello di aver creato, durante la sua permanenza in Marvel, due eroi diventati fin da subito beniamini del pubblico: Deadpool e Cable. Soprattutto quest’ultimo sarà il prototipo per la nuova generazione di eroi che segneranno il decennio: soldato dal passato nebuloso, è ritratto da Liefeld come un tank umano, corredato da armi da fuoco e appendici robotiche che lo rendono, per citare una famosa saga cinematografica, un riuscito amalgama tra il salvatore dell’umanità proveniente dal futuro Kyle Reese e la sua nemesi Terminator. Non citiamo a caso l’opera più celebre di James Cameron: è stato lo stesso regista, avido lettore di fumetti in gioventù, ad aver affermato più volte che l’ispirazione decisiva per la sua pellicola è arrivata da Giorni di un futuro passato, il momento più significativo insieme alla Saga di Fenice, della gestione Chris Claremont/John Byrne degli X-Men. Con l’arrivo di Cable si chiude un cerchio ideale: se la saga degli X-Men è essenzialmente la storia di una “famiglia” di emarginati condita da avventura, romanticismo e frequenti viaggi nel tempo e in dimensioni parallele, il guerriero creato da Liefeld ne rappresenta uno degli esempi più emblematici.

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Rileggere Cable: Sangue e Metallo, a 25 dalla sua prima uscita, è come compiere uno dei balzi temporali di Nathan (Nate per gli amici) Summers. Siamo nel 1992 e Claremont ha lasciato le serie mutanti nell’anno precedente, dopo averle trasformate nel più grande successo commerciale nella storia della Marvel, grazie ad un mix di avventura, soap-opera e di trame a lunga gittata, i cui semi vengono piantati in sordina per esplodere poi anche a distanza di anni. Poco dopo se ne sono andati anche Jim Lee, la superstar della matita la cui importanza nell’economia delle storie degli Uomini X aveva finito per eclissare quella dello scrittore, costretto da questa e altre circostanze all’abbandono, e Rob Liefeld. Superato lo shock iniziale, la perdita di questi creativi finisce paradossalmente per favorire i piani della casa editrice per un’espansione senza limiti della sua linea editoriale di maggior successo. Senza figure ingombranti che possano pretendere controllo creativo, la Marvel è libera di incrementare esponenzialmente il numero di iniziative legate agli X-Men e al loro mondo, compresi i comprimari che fino a quel momento non avevano ancora avuto il loro posto al sole. Nella pletora di serie regolari, miniserie e one-shot che inondarono il mercato in quei primi anni ’90, una delle migliori fu senza dubbio Cable: Blood & Metal, miniserie in 2 ad opera di Fabian Nicieza e John Romita Jr..

La storia riprendeva il filo del lungo conflitto tra Cable e Stryfe che si era dipanato sulle pagine di X-Force, svolgendosi su due piani temporali. In una serie di flashback tratti da un passato recente, assistiamo alle missioni del Six Pack, gruppo di mercenari creato da un Cable arrivato da poco nella nostra epoca. Formato dallo stesso Cable, la sempre fedele Domino, Garrison Kane, G.W. Bridge, Hammer e Grizzly, si tratta di uno “sporco sestetto” in soldo al miglior offerente, ma creato da Nathan allo scopo di poter abbattere Stryfe quando se ne presenterà l’occasione; nel presente Bridge, ora uomo forte dello S.H.I.E.L.D. e Kane, che è stato trasformato nel cyborg Arma X a seguito delle gravi ferite riportate durante uno scontro con Stryfe, si alleano per dare la caccia a Cable, il loro vecchio compagno reo, a parer loro, di averli traditi. Il palcoscenico si allargherà con l’arrivo di Stryfe e la resa dei conti tra quest’ultimo e Nathan costituirà il piatto forte del finale, in cui Kane sarà costretto a rivedere le sue posizioni.

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Fabian Nicieza è un artigiano della macchina da scrivere con una profonda etica del lavoro che lo portò, in quei primi anni ’90, a firmare mensilmente un numero considerevole di testate Marvel: X-Men, X-Force, New Warriors, Nomad, Cable, Deadpool e una miriade di miniserie e progetti speciali. Con Cable: Sangue e Metallo, Nicieza firma il corrispettivo a fumetti di un action movie alla Arnold Schwarzenegger come ne uscivano in quegli anni, un prodotto commerciale ma di qualità. Trama serratissima, azione e colpi di scena che all’epoca lasciarono di stucco, vedi la rivelazione dell’identità di Stryfe, senza trascurare la caratterizzazione dei personaggi e le loro motivazioni. Lo scrittore diede seguito, ma soprattutto sostanza, alle trame lasciate pendenti da Liefeld e tra X-Force, questa miniserie e la serie regolare che seguì, fece sempre più suo il personaggio di Cable, approfondendone la personalità, allontanandosi progressivamente dal violento guerriero delle prime apparizioni per arrivare a quello di un malinconico paria fuori dal suo tempo, che lotta per scongiurare un futuro distopico.

La miniserie viene ancora oggi ricordata per i disegni di John Romita Jr., l’artista che ha segnato trent’anni della storia della Casa delle Idee, che in quel periodo si scrollava definitivamente di dosso l’ingombrante eredità paterna. Dopo aver debuttato alla fine degli anni ’70, giovanissimo, Romita Jr. aveva attraversato gli anni ’80 proponendo, tra Iron Man, Amazing Spider-Man, Dazzler, Contest of Champions e una prima run su Uncanny X-Men, una versione aggiornata dello stile morbido e arrotondato del celebre padre. Una prima svolta nella carriera di Romita Jr. avviene alla fine del decennio, quando, disegnando un bellissimo ciclo di Daredevil su testi di Ann Nocenti, ha l’occasione di lavorare col veterano Al Williamson, formando un affiatato duo. Numero dopo numero le matite di Romita Jr. prendono una direzione nuova, verso un tratto squadrato e spigoloso che da quel momento diventa il suo marchio di fabbrica e che caratterizza la produzione successiva, tra cui la miniserie di Cable. È qui che lo stile dell’artista comincia ad assumere una dimensione monumentale: il suo Cable è un carro armato umano, enorme e inarrestabile, la tavola è affollata di personaggi e dettagli che ne riempono tutto lo spazio a disposizione, fino a straripare. È l’inizio di una sterzata verso una vocazione Kyrbiana della sua carriera, che esploderà in tutto il suo splendore sul finire degli anni ’90 sulle pagine di Thor. Le matite di Romita Jr. sono ottimamente rifinite dalle chine di Dan Green, solido professionista in forza alla Marvel tra gli anni’70 e ’90, e i colori di Brad Vancata sono ancora funzionali e gradevoli, nonostante i passi da gigante fatti nel campo della colorazione digitale dall’epoca in cui è uscita questa miniserie.

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Panini Comics propone Cable: Sangue e Metallo in un bel cartonato della linea Marvel History, inserendovi anche New Mutants 87, la prima apparizione del personaggio per i testi di Louise Simonson e i disegni di Rob Liefeld: nonostante la sua importanza storica, l’episodio risulta estremamente datato sia per lo stile verboso e l’eccessivo uso delle didascalie da parte della Simonson, sia per le matite di Liefeld, appiattite dalle pesanti chine di Bob Wiacek. Detto questo, il volume è consigliato tanto ai nostalgici del periodo d’oro delle testate mutanti, quanto ai lettori più giovani che vorranno sperimentare uno dei migliori prodotti di un periodo storico del fumetto altrimenti vituperato. In attesa di ritrovare Cable anche al cinema, interpretato da Josh Brolin in Deadpool 2, previsto per il prossimo anno.

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