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Mad Run #5: Quando eravamo tamarri, Bloodstrike di Rob Liefeld e Dan Fraga

  • Pubblicato in Focus

Bentornati su Mad Run, la rubrica più coatta del panorama fumettistico italiano! E a proposito di coatti, la puntata di oggi vedrà come assoluto protagonista quello che non esiterei a definire l’artista più controverso della storia del fumetto americano, capace di dividere come nessun altro le folle tra fan adoranti e feroci detrattori, l’autore che per un breve momento della storia è riuscito ad imporre il proprio innegabile cattivo gusto come moda imperante e modello da seguire: signore e signori, l’unico e solo Rob Liefeld!

Nella seconda metà degli anni ’80 il fumetto americano è investito da una rivoluzione estetica e da un rinnovamento grafico di cui si fa portatore un piccolo ma agguerrito gruppo di giovani talenti, capitanati da tre artisti in particolare: Todd McFarlane, Jim Lee e, appunto, Rob Liefeld. Pur con differenti peculiarità, questi giovani artisti si fanno notare per lo stile cinetico ed esplosivo grazie al quale realizzano immagini di forte impatto che, nell’economia generale della storia narrata, assumono un’importanza preponderante sulla sceneggiatura. Del lotto di artisti citati, Liefeld è il più giovane: ha solo una ventina d’anni quando viene assunto dalla Marvel per lavorare su New Mutants, dopo un veloce apprendistato alla DC dove disegna la miniserie Hawk & Dove. La serie dedicata ai Nuovi Mutanti era nata nel 1983 per sfruttare l’incredibile successo degli X-Men di Chris Claremont. La voglia dell’editore di lanciare altre iniziative collaterali sull’onda del successo della collana madre si fa ben presto manifesta, e New Mutants è il primo spin-off di una futura, lunga serie. La testata è incentrata sulle vicende di un gruppo di adolescenti, la generazione di mutanti successiva a quella degli X-Men, radunato dal Professor Xavier in un momento in cui gli Uomini X sono ritenuti erroneamente defunti. Sceneggiata dallo stesso Claremont, la serie non raggiungerà mai il successo arriso a Ciclope, Wolverine e soci, anche se conoscerà un ciclo diventato leggendario, quello illustrato da un Bill Sienkiewicz che sta per inaugurare la fase più sperimentale e avanguardista della sua carriera col dittico Elektra: Assassin e Daredevil: Love & War. Il vaso di Pandora è ormai rotto e la Marvel programma in continuazione il lancio di nuove serie mutanti: Claremont abbandona New Mutants per concentrarsi, oltre che su Uncanny X-Men, sulla nuova Excalibur e sulle avventure in solitaria di Wolverine. Il testimone passa a Louise Simonson, che mescola azione a toni intimisti, mantenendo la serie su un target prettamente adolescenziale. La serie vivacchia tra alti e bassi ed è la meno venduta tra tutte le collane mutanti finché nel 1989 Bob Harras, editor-in-chief della Marvel decide di agitare un po' le acque, assegnando le matite della serie a Liefeld.

Il buon Rob si trova per le mani l’occasione di una vita e la sfrutta nel migliore dei modi, stravolgendo completamente il look della serie. Si passa dallo stile a tratti cartoonesco di Bret Blevins, che ritrae i giovani protagonisti della serie come ragazzini dai grandi occhi, all’equivalente su carta di un’esplosione ormonale: Liefeld accentua la fisicità di Sunspot, Cannonball, Mirage, Wolfsbane, Boom Boom e compagni gonfiando i muscoli degli uomini e accentuando le forme delle donne, dotate però di un girovita da vespa impossibile. Anche le atmosfere da teen-drama vanno a farsi benedire, con tavole strabordanti di scontri e combattimenti. A livello simbolico, il nuovo corso viene sancito con l’introduzione di Cable, il nuovo leader dal passato misterioso ritratto come un tank umano armato fino ai denti. Dietro le quinte la tensione tra la Simonson e Liefeld raggiunge livelli di guardia, col giovane artista che esautora di fatto la scrittrice dall’ideazione delle trame. Con le vendite di New Mutants in netta ascesa grazie alla scossa al testosterone iniettata da Liefeld, ad Harras non resta che licenziare la Simonson, sostituita da un artigiano della macchina da scrivere, Fabian Nicieza, a cui spetta il compito di sceneggiare le trame sempre più improntate all’azione di Liefeld. La transizione può dirsi completa quando, con un mossa a sorpresa, Liefeld chiude New Mutants (non prima di avervi fatto esordire un loquace mercenario di nome Deadpool) e ne fa confluire il cast, salvo i personaggi ritenuti non in linea col nuovo corso, nella nuovissima X-Force. I giovani e sensibili Nuovi Mutanti sono diventati così un gruppo d’assalto paramilitare, guidati da un leader che ha una visione opposta alla convivenza pacifica propugnata dal Professor Xavier. I primi numeri di X-Force, campione d’incassi del 1991, sono emblematici dell’esuberanza liefeldiana nel concepire il fumetto, appena contenuta da un Nicieza impegnatissimo a dare un senso alle trame appena abbozzate da Rob. Ma il vero manifesto programmatico liefeldiano arriverà sugli scaffali delle fumetterie l’anno successivo, con l’esordio di Youngblood la serie creata dall’artista per la Image Comics, la casa editrice da lui fondata insieme e Jim Lee, Todd McFarlane e altri transfughi dalla Marvel a cui l’editore non voleva riconoscere il pagamento delle royalties. Abbiamo dedicato alla fondazione della Image, evento centrale nella storia del fumetto americano contemporaneo, un lungo ed esaustivo articolo in occasione del suo venticinquesimo compleanno a cui vi rimandiamo per maggiori approfondimenti.

Youngblood è il punto di arrivo e la summa dell’estetica liefeldiana, se così vogliamo chiamarla. Detentore del record per il fumetto indipendente più venduto di tutti i tempi, è un’orgia di azione scatenata senza soluzione di continuità, dove la trama è un optional trascurabile. Un delirio popolato da eroi ipertrofici e steroidati dallo sguardo truce, che piovono dal cielo dopo essersi lanciati chissà da dove, dotati di fucili al plasma e pistole futuristiche dalle dimensioni inverosimili che sfidano ogni logica e verosimiglianza, ritratti in pose aggressive e denti digrignati come a voler provocare il lettore, da eroine dal girovita impossibile a cui non mancano però seni prorompenti e gambe chilometriche. Youngblood è la sintesi degli anni ’80 americani appena trascorsi caratterizzati da un’era Reagan vissuta appieno e senza complessi con tutta la sua retorica patriottica, dalla musica dei gruppi hair metal con le loro pettinature improbabili che hanno usurpato il trono del rock, protetto e salvato dal solo Bruce Springsteen (secondo una felice affermazione di Gino Castaldo e Ernesto Assante), dagli action movie di Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger, ma anche dei “cugini poveri”, Dolph Lundgren, Steven Seagal e Jean-Claude Van Damme. La serie di Liefeld è anche una degna figlia degli anni ‘90, che sta al fumetto come i bagnini di Baywatch o il Renegade con Lorenzo Lamas stanno alla televisione di quegli anni. Un bel festival del tamarro, insomma.

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Oggi sbeffeggiata da molti, Youngblood anticipava a modo suo il discorso sulla privacy dei vip e delle conseguenze della celebrità, mettendo in scena le avventure di un gruppo di supereroi governativi assediati da stampa e paparazzi come divi del cinema. Shaft, Badrock, Diehard, Chapel, Vogue e gli altri membri del gruppo (copie non dichiarate ma perfettamente riconoscibili di alcuni tra i più celebri eroi Marvel) furono i beniamini del pubblico per una breve stagione, tanto da generare anche numerosi spin-off. Tra questi, il più trash fu forse Bloodstrike, una squadra d’assalto per missione segrete che si segnalò tra i prodotti più ignominiosi prodotti dagli Extreme Studios (un nome, un programma) di Liefeld. Se Youngblood era Cobra con Stallone o Commando con Schwarzenegger, Bloodstrike apparteneva al filone spazzatura delle tremende produzioni cinematografiche firmate Golan – Globus come Invasion U.S.A. con Chuck Norris o la serie del Guerriero Americano con Micheal Dudikoff.

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La collana venne sceneggiata da Rob con la collaborazione di Eric Stephenson, mentre la parte artistica fu affidata a un pupillo di Rob, Dan Fraga.
Bloodstrike inizia la sua corsa con un crossover con un’altra serie creata da Liefeld, Brigade, ulteriore gruppo di energumeni derivato da Youngblood. A capo di questa “brigata” c’è il Colonnello John Helix Stone, conosciuto come Battlestone. Era il comandante in capo degli Youngblood, prima che la sua condotta spregiudicata sul campo causasse la morte di due soldati. Eccolo ritratto da Liefeld durante quella sfortunata missione.

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L’immagine è la quintessenza della sospensione dell’incredulità che bisogna attuare per avvicinarsi ad un qualsiasi fumetto realizzato da Liefeld. Battlestone non ha il dono del volo eppure piomba giù dal cielo, lanciatosi sul terreno dello scontro chissà da dove, forse da un elicottero. O forse ha letto in anteprima la sceneggiatura e ha pensato bene di buttarsi di sotto per la disperazione. Anche il suo look non è male: tra i boccoli e il diadema a forma di teschio sulla fronte, Ozzy Osbourne in confronto è un modello di sobrietà. Gli Youngblood non restano a guardare e il cyborg Diehard lo affronta e lo arresta non tanto per la morti che ha causato quanto per la sua terribile mise.

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Un Battlestone imprigionato giura vendetta contro il governo che vuole usarlo come capro espiatorio per il fallimento della missione, e che dispone di manette mai viste prima.

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Alle minacce seguiranno i fatti. Dopo essere stato rilasciato per i servizi resi alla patria in passato, Battlestone fonda un gruppo di mercenari indipendenti, una sorta di A-Team dotato di superpoteri chiamato Brigade. Ma i servizi deviati temono i segreti di cui è a conoscenza Battlestone, tra cui il Progetto Rinascita, un programma top secret che resuscita soldati morti per utilizzarli per i propri scopi. C’è un solo modo di evitare che il Colonnello Stone parli: accopparlo. A questo scopo viene attivata e messa sulle sue tracce Bloodstrike, un’unità composta per l’appunto di agenti defunti e poi resuscitati. L’idea, sufficientemente trash, non è nuova ma presa di sana pianta dal film Universal Soldier con Dolph Lundgren e Jean-Claude Van Damme, tradotto liberamente in Italia con il titolo I Nuovi Eroi, a conferma dell’immaginario non proprio raffinato di Liefeld e compagni. Nelle prime pagine di Bloodstrike #1 facciamo subito la conoscenza del leader del gruppo, l’ennesimo buzzurro partorito dall’immaginazione di Liefeld: è Cabbot Stone, nient’altri che il fratello di Battlestone, dal quale lo separa un odio viscerale. Spoiler: arriveremo alla fine di questo cross-over senza conoscerne il motivo. Entrambi sono palesemente dei cloni di Cable, una delle creazioni più felici di Liefeld per la Marvel. Gli altri membri del gruppo sono Tag, una squinzia capace di bloccare le persone e impedirne i movimenti; Deadlock, un incrocio tra Wolverine e Deadpool; Fourplay, calco al femminile del mutante dalle quattro braccia Forearm del Fronte di Liberazione Mutante della serie X-Force; Shogun, un gigante in armatura dotato di ogni tipo di arma da fuoco. Nelle prime pagine della serie, il team attacca la base dell’organizzazione G.A.T.E., guidata dal malvagio Dottor Corben. Un incipit adrenalinico che ricorda tanto il primo numero di X-Force  tanto quello di Youngblood.

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Il team si sbarazza ben presto degli agenti della sicurezza, e dopo che Tag ha provveduto a bloccare Corben, decidono di trucidare con delicatezza il loro nemico.

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“Un silenzio del genere mi ricorda sempre uno dei benefici di questo lavoro… se li ammazzi non devi sentirli frignare su quanto fosse perfetto il loro piano mentre li porti via. Ed eccolo là, morto, con gli occhi ancora aperti dopo tutto… ma è ciò che ti capita se vuoi scherzare con Bloodstrike!” L’aria che tira è questa. Terminata la missione, Bloodstrike si lancia subito sulla prossima: l’eliminazione di Battlestone e della sua Brigade. Il team del Colonnello è appena tornato a casa da una missione nello spazio, costata la vita ad un membro della squadra, Atlas, quando Cabbot e compagni irrompono nella loro base e li attaccano uccidendo Stasis, una delle due donne del gruppo. Inizia la rissa tra le due squadre, illustrata da Marat Mycheals, altro pupillo di Liefeld che si occupa delle matite di Brigade.

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La brigata di Battlestone è decimata dall’assalto di Bloodstrike. Il colonnello si vede costretto a ricorrere all’aiuto di Boone e Lethal, due vecchi membri di Brigade che avevano lasciato la squadra. Seguono altre pagine piene di scazzottate e risse.

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Lethal irrompe nella base di Bloodstrike, dove libera Seahawk, membro della Brigade ferito nel primo scontro. Il tipo è l’ennesimo clone di Wolverine, dotato anche del dono del volo. La voglia di farlo pagare a cara a Bloodstrike e a Cabbot Stone per il ferimento suo e del fratello, Coldsnap, è tanta. Segue rissa tra i due.

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Irrompono anche Battlestone e il resto della Brigade. Segue rissa.

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Il Colonnello Stone si trova finalmente davanti a suo fratello Cabbot. I due si stringono in un abbraccio fraterno.

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Segue rissa. C’è da capirli, sono ragazzi e non si vedevano da un po’.

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Battlestone è riuscito a ribaltare le gerarchie in campo e intima a suo fratello di ritirare i suoi, così per stavolta, eviterà fraternamente di ammazzarlo. Cabbot Stone fugge col resto di Bloodstrike. Entrambi i fratelli sanno che si rivedranno presto per sistemare i conti in sospeso. Così si chiude Blood Brothers, crossover tra Bloodstrike e Brigade. Per realizzare questo capolavoro della Nona Arte non sono bastati i talenti di Liefeld, Fraga e Mycheals, ma è stato necessario anche l’apporto di Eric Stephenson che ha “sceneggiato” una trama concepita da Liefeld. Sì, è proprio lo stesso Stephenson presidente della odierna Image, l’alfiere del fumetto di qualità responsabile della pubblicazioni di serie acclamate dalla critica come Saga e Southern Bastards. Ragazzi, da qualche parte bisogna pur cominciare!

Youngblood, Bloodstrike e Brigade e le altre creazioni liefeldiane ebbero successo per una breve stagione, ma l’inconsistenza artistica di queste collane fu presto manifesta e il fenomeno si sgonfiò, non prima di aver influenzato pesantemente il fumetto di supereroi della prima metà degli anni ’90. Ce lo ricordiamo tutti questo Batman, vero?

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Negli anni successivi la biografia di Rob Liefeld si arricchirà di nuovi ed interessanti capitoli: la cacciata dalla Image da parte degli altri soci, la fondazione di Maximum Press e Awesome Entertainment, entrambe fallite dopo pochi anni, il coinvolgimento di Alan Moore con i suoi scalcagnati personaggi, a cui il Bardo di Northampton conferirà un’insperata dignità, il ritorno alla Marvel col progetto Heroes Reborn: come dimenticare questo Capitan America?

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Tutti si può dire di Rob Liefeld, tranne che non abbia avuto una vicenda umana e professionale più interessante della maggior parte dei suoi più blasonati e talvolta noiosi colleghi. Eppure, nel momento del suo massimo fulgore, i fumetti di Liefeld sono stati esattamente quello che i lettori dell’epoca volevano leggere, come quei teenager che cantavano a squarciagola Unskinny Bop dei Poison ignorando, o infischiandosene, che il vero rock’n’roll era un’altra cosa. Personalmente continuo a provare simpatia per Rob e per i suoi supereroi cafoni pieni di fucili, tasche e marsupi (ci sarebbe da scrivere un saggio sull’ossessione di Liefeld per le cinture porta tasche: si sarà perso spesso le chiavi di casa?) e per le sue distorsioni anatomiche che hanno fatto storia. Ma come, direte! Un endorsment nei confronti dell’Ed Wood dei fumetti, come ebbe e definirlo Peter David? Quando uno è cresciuto con l’Uomo Ragno scarabocchiato da Al Milgrom, anche Rob Liefeld può apparire come un liberatore. Il ragazzo che venne travolto da un successo clamoroso senza avere realmente i numeri per giocare in serie A, il grande ingannatore che riuscì a mentire ai lettori, e soprattutto a se stesso, circa la reale consistenza del suo talento. Eppure in ogni sua tavola è impossibile non cogliere una sorta di entusiasmo contagioso e di esuberanza fanciullesca, emozioni primarie che precedono ogni valutazione artistica. Faccio mia l’affermazione del suo amico Robert Kirkman, creatore di The Walking Dead: “Tutto quello che disegna ha un certo grado di energia in sé. E tutto quel che disegna è interessante, che sia accurato o meno. Molta gente guarda ai disegni di Liefeld e pensa: ai miei occhi questo disegno è sbagliato; ecco, direi che questa gente non ha gioia nell’anima”.
In attesa del suo ennesimo ritorno, come un vero revenant dell’industria del fumetto.

È tutto per questa puntata di Mad Run, gente! In attesa della reunion dei Poison, scrivete pure a Comicus.it o commentate sulle nostre pagine social!
Alla prossima puntata e fino ad allora…
HEY, HO, LET’S GO!

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Deadpool: Cattivo Sangue, recensione: il ritorno di Rob Liefeld sul Mercenario Chiacchierone

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Come tutti i campi della vita, anche la critica fumettistica non è esente da luoghi comuni. Chi opera in questo campo spesso si dimentica di quel sense of wonder che contraddistingueva alcune letture della giovane età, puntualmente rinnegate, e sfoglia le pagine di un fumetto con la supponenza di una signora ingioiellata che sorseggia un Martini ad un vernissage. In questo senso, uno dei cliché più abusati del settore è la derisione preventiva e sistematica dell’opera di Robert “Rob” Liefeld, idolo delle folle tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90 e oggi considerato il paradigma di tutto quello che c’è di sbagliato nell’industria del fumetto a stelle a strisce. Liefeld non è certo un artista raffinato e non lo è mai stato, ma la sua estetica muscolare e steroidea, così come i suoi personaggi ipertrofici e armati fino a ai denti, hanno segnato un’epoca. Peter David, il grande sceneggiatore di Incredible Hulk, lo apostrofò con il non invidiabile titolo di “Ed Wood dei fumetti”. L’accostamento al re del cinema trash, la cui vicenda umana ed artistica venne immortalata in uno splendido film da Tim Burton, non è peregrina.

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Un elemento che avvicina Liefeld a Wood è sicuramente l'entusiasmo fanciullesco e sincero che attraversa le sue opere, che scivolano però facilmente in un grottesco involontario. Un distinguo è comunque necessario, perché Wood non ebbe mai nel cinema il successo di cui Liefeld ha goduto nei primi anni della sua carriera di disegnatore, tra gli inizi in DC e l’esplosione in Marvel con New Mutants. L’artista fu il capofila, insieme a Todd McFarlane e a Jim Lee, del più profondo rinnovamento grafico del fumetto americano dai tempi di Jack Kirby, tra splash-pages e personaggi che schizzavano letteralmente fuori dalla tavola, abbandonando la rigidità della griglia a schema fisso. Senza contare i numeri: cinque milioni di copie per il primo numero di X-Force, cifre per le quali oggi i proprietari delle fumetterie, da anni in debito di ossigeno, firmerebbero col sangue. Inoltre, si deve al buon Rob l’intuizione che portò alla nascita della Image Comics, la casa editrice sinonimo di qualità oggi acclamatissima, creata da Liefeld nel 1992 con gli altri celebri sei transfughi dalla Marvel. A conti fatti non sono pochi i meriti ascrivibili al creatore di Youngblood, non ultimo quello di aver fornito ad Alan Moore la materia prima per scrivere una delle run metatestuali più celebrate di sempre, lo splendido Supreme. Eppure, Rob Liefeld continua ad essere il bersaglio preferito degli haters del web, che lo impallinano puntualmente ad ogni sua nuova uscita. Nel bene o nel male, l’annuncio di un suo nuovo lavoro fa sempre rumore e non ha fatto eccezione quest’ultimo Deadpool: Cattivo Sangue che segna il ritorno dell’artista in Marvel e alla sua creazione di maggior successo.

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Liefeld fece debuttare il “mercenario chiacchierone” su New Mutants 98 del febbraio 1991, mentre la testata dedicata agli studenti più giovani del Professor Xavier, di cui aveva risollevato le vendite, si stava per trasformare nella più aggressiva X-Force. Il personaggio è un incrocio tra l’Uomo Ragno, con cui ha in comune una certa parlantina e un costume simile, e Deathstroke, il villain della DC avversario dei Teen Titans. Deadpool, al secolo Wade Wilson, ruba subito la scena ai titolari dell’albo e diventa un beniamino dei fan, che ne chiedono a gran voce il ritorno. Il grande salto del mercenario da comprimario a protagonista assoluto avviene dopo la partenza del suo ideatore dalla Marvel, grazie ad autori come Fabian Nicieza, Mark Waid e, soprattutto, Joe Kelly. Ma Cattivo Sangue è un revival a tutti gli effetti, e Liefeld riavvia il nastro ai tempi delle prime apparizioni di Deadpool. Tra flashback e apparizioni di altre creazioni celebri di Liefeld come Cable, Domino, la X-Force e Garrison Kane, Wade Wilson dovrà risolvere il mistero dell’identità di un misterioso avversario che lo perseguita da anni, la cui soluzione potrebbe nascondersi nel passato remoto del mercenario.

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Deadpool: Cattivo Sangue, primo graphic novel dedicato al personaggio, è un divertissment gioioso e fracassone, che riporta le lancette dell’orologio a quegli anni ’90 di cui Liefeld ha saputo senza dubbio cogliere lo spirito, più di celebrati colleghi come Jim Lee, con le sue eroine belle ed impossibili, o il sontuoso ma discontinuo Travis Charest. Approcciare il lavoro di Liefeld con gli strumenti tradizionali della critica è un’operazione che lascia il tempo che trova, oltre ad essere priva di senso. Rob Liefeld non sa disegnare i piedi? Probabilmente. Non sa cosa siano gli sfondi? Senza ombra di dubbio. Eppure l’energia e l’entusiasmo contagioso che sprigionano i suoi disegni è innegabile. È un Liefeld in forma, quello che troviamo in queste pagine: avvertendo probabilmente il clima da occasione speciale, limita al massimo le improbabili distorsioni anatomiche che lo hanno reso celebre, producendo comunque tavole godibilissime e ricche d’azione. Il risultato è quello di un b-movie spassoso ed appagante, soprattutto per l’atmosfera da reunion di cui è permeato: la sequenza in cui Liefeld torna a disegnare Cable e la X-Force a distanza di un ventennio farà scattare l’applauso in tutti i fan dell’epoca. Contribuiscono alla festa Chris Sims e Chad Bowers, che hanno il compito di sceneggiare la trama imbastita da Liefeld, collaborazione che si è recentemente rinnovata negli States con il rilancio di Youngblood.

Convinti che presto o tardi tornerà a far parlare di sé, lasciamo il “caso Rob Liefeld” ad altri approfondimenti e ci congediamo con le parole che Robert Kirkman, creatore di The Walking Dead e suo sostenitore da sempre ha speso in suo favore: “Tutto quello che disegna ha un certo grado di energia in sé. E tutto quel che disegna è interessante, che sia accurato o meno. Molta gente guarda ai disegni di Liefeld e pensa: ai miei occhi questo disegno è sbagliato; ecco, direi che questa gente non ha gioia nell’anima”.

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Rob Liefeld rilancerà i Futurians di Dave Cockrum

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Secondo quanto riportato da ComicBook.com, Rob Liefeld riporterà in auge il franchise Futurians creato da Dave Cockrum nel 1983, con possibilità di adattare la proprietà per televisione, cinema e editoria.

Dopo l'uscita nel 1983 di un volume sotto la Marvel, l'autore decise di optare per la Lodestone Comics per i successivi tre volumi, portando a livello creator-owned la serie.

“Io e Paty Cockrum siamo entusiasti nell'affidare a Rob Liefeld i Futurians. Dave Cockrum è per lo più noto per aver creato Nightcrawler e gli iconici design degli X-Men come Storm, Colossus, Thunderbird e Mystique. Ma i Futurians erano i personaggi che Dave amava di più. I suoi graphic novel per la Marvel e per altre case editrici con protagonisti i Futurians erano amate anche dai fan di Dave. E decenni dopo sono ancora ricercate dai collezionisti”, ha dichiarato Clifford Meth, autore che rappresenta la famiglia Cockrum e l'eredità lasciata da Dave.

“Ho contattato i Cockrum mesi fa, dicendo loro di essere interessato a discutere di questa possibilità qualora fossero stati interessati”, ha aggiunto Liefeld, che già in passato aveva cercato di riportare in vita i Futurians a metà degli anni '90, senza riuscire a coinvolgere Dave. “Conosco Cliff da un po' e lui mi ha coinvolto subito. Abbiamo solo dovuto tirare dentro Paty, che si è dimostrata molto amichevole, e dopo si è trattato solo di impostare i giusti parametri insieme, ma quello che volevo era solo la possibilità di fare nuove storie dei Futurians”.

Il progetto potrebbe far parte della linea Extreme Universe di Image Comics anche se non ci sono conferme a riguardo.

(Via CBR)

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Rob Liefeld annuncia il seguito di Deadpool: Bad Blood

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Vi abbiamo già parlato di Deadpool: Bad Blood, fumetto che ha visto il ritorno di Rob Liefeld sulla propria creatura insieme a Chris Sims e a Chad Bowers. Ebbene, un giorno solo dopo la sua uscita, Liefeld ne annuncia su Instagram il sequel dal titolo Deadpool: Badder Blood previsto per il 2018.

Al momento non si hanno ulteriori dettagli, in particolare sul coinvolgimento di Sims e Bowers. Naturalmente, vi terremo aggiornati.

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